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Pubbl. Dom, 29 Mar 2015

Rubrica di Filosofia del Diritto: Capitolo IV, il tempo e la volontà.

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Gian Marco Lenzi


La prospettiva della scelta come rimedio alla “verità” del diritto


"Caduto il vincolo obbligante della verità, si schiude l’orizzonte delle possibilità.
Se nessun diritto è necessario, tutti i diritti sono possibili.

L’atto di scelta instaura il mondo del diritto, del mio diritto, di cui riconosco e assumo la norma fondamentale."

(N. Irti - Diritto senza Verità)

 

Siamo arrivati all’ultimo tassello di questo “percorso” (vedi anche il Capitolo I, il Capitolo II e il Capitolo III) che ci ha portato ad analizzare alcune opere di Lysander Spooner che, all’apparenza, ci appaiono come proiettate su diversi ambiti e argomenti, scivolando lontano da qualsiasi volontà sistematica. In realtà i temi e il modo di osservarli nascondono, da parte di chi scrive, un filo rosso che le allinea in una ragnatela di “provocazioni” dirette verso un telos ben definito.

Questo concetto base che, come detto, ha alimentato le precedenti riflessioni è quello della volontà; volontà intesa come scelta, ma non certo in un ottica assolutistica, bensì relazionata ad un’altra componente fondamentale: il tempo. Perché dico tutto ciò delineando questa affascinante relazione tra il tempo e la volontà? Osserviamolo insieme.

Nei precedenti articoli “spooneriani” si sono osservate tre macro-categorie di diritti: i diritti individuali, la costituzione e il “diritto naturale” come osservazione della realtà. Tutte queste tipologie di diritti, nel nostro ordinamento, sono al di là del tempo, non se ne curano e non lo contemplano: sono “fissi” o comunque molto lontani da essere mobili, alla portata del cittadino e dell’individuo. 

La costituzione ad esempio è quasi-fissa, modificabile solo con molte difficoltà e molti blocchi “morali”, nonché lontana da qualsiasi scelta del cittadino. I “blocchi morali” sono quelle dinamiche, molto simili a quelle analizzate per i miti discussi in un articolo recente (Mito e rito, Definizione dello spazio politico), che si definiscono in un ottica di “creazione” e di provenienza che ci costruisce come cittadini, che ci definisce come “uomini uguali” nelle ottica statuale: questa è lontana dai formalismi che si richiedono per una modifica ma è contemplata in un “eterno ritorno” di validità e di difesa alla morte della sua validità, come centro mitico delle nostre vite, da cui tutti noi proveniamo come “figli”. Il fatto è che noi, forse, siamo solo dei “nipoti” e i nostri nipoti saranno bis/tris-nipoti di questa centenaria madre con milioni di figli. Questa “madre” non ha tempo e non vuole nessun vaglio del tempo; come sottolineato nell’articolo precedente, non può non essere vista con gli “occhi” del potere.

L’altro aspetto è quello dei diritti individuali, dei vizi che possiamo e non possiamo fare. Anche qui, c’è chi ha già scelto per noi. Non c’è il tempo di decidere, di provare che la sua verità inconciliabile con la scelta è assoluta, al di là di ogni decisione, di ogni ripensamento. Anche chi si propone di modificare queste regole, lo fa come esponente di un movimento con proprie ragioni e modalità; e anche quando lo fa (quasi mai, a dire il vero), lo fa per le sue proprie ragioni che non seguono mai la mia esperienza e non sono mai la mia volontà, ma con una nuova ed eterna verità che non è mai la mia.

Anche i diritti naturali, i principi ispiratori dell’ordinamento, già in qualche modo scelti, cambiano perché chi può decidere li può cambiare: non sono mai a disposizione della scelta della comunità e degli individui; quando cambiano lo fanno forse per sempre o forse no, ma non importa: non ci è permesso di “osservare la natura” e di poter decidere.

Ora, quello con cui voglio concludere l’argomento di questo mese è sottolineare il “lascito” di Spooner, almeno rispetto a questo ambito, non come una nuova verità, ma come ambito di riflessione, come spunto, che mi sembra ampiamente raccolto, seppur da diverse “fonti”, da quella che è la riflessione odierna, anche nel campo del diritto. 

Il punto fondamentale di questo “lascito” è che, a mio parere, le cose “senza tempo” si possono sconfiggere solo con la scelta individuale, con la propria volontà. Se c’è qualcosa infatti che la filosofia e il diritto si stanno domandando, all’interno di queste nuove riflessioni, è se, con la caduta di ogni verità, ci devono essere cose “senza tempo” anche all’interno del diritto. Non a caso ho citato in apertura un bellissimo libro di Natalino Irti, che pur nell’ottica giuspositivista, ha centrato quello che è il problema attuale: cioè la necessità di permettere la possibilità di scelta quale “Dio” giudico (inteso, come principio fondamentale), cosa voler seguire.

C’è forse bisogno, quindi, di cercare un sistema di valori che incameri diverse possibilità di scelta a cui aderire, un politeismo delle possibilità e che questa volontà di aderirne sia commisurata al tempo, nella possibilità di scegliere quando poterla cambiare. 

A mio modestissimo parere, quindi, il diritto si deve chiedere e deve considerare assolutamente le prospettive del tempo e della scelta per essere finalmente qualcosa di “giusto”; un diritto che, finché sarà considerato in questo sistema attuale, non potrà che essere visto come qualcosa di obbligato e di ingiusto, dove la scelta è solo di qualcun altro, e i miti sono sempre i soliti, anno dopo anno, generazione dopo generazione. La morte di ogni volontà.

 

Immagine di copertina
Paride Pascucci - La Giustizia in atto di scacciare, con la spada, il Delitto e la Calunnia e di premiare, con il ramo d’alloro, la Forza, l’Innocenza e la Verità (Parziale) - Affresco nell’Aula Magna del Palazzo di Giustizia (Roma).