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Pubbl. Mar, 16 Ott 2018

Le presunzioni semplici nell´accertamento tributario

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Andrea Cerruti


Nota alla sentenza n. 4817 del 2017 della Commissione Tributaria Provinciale di Salerno.


Sommario: 1. Premessa; 2. Sui principi costituzionali; 3. Sui fatti di causa; 4. Sul metodo accertativo e sulle presunzioni gravi, precise e concordanti; 5. Sui precedenti giurisprudenziali in materia; 6. Sulla sentenza in esame; 7. Conclusioni.

1. Premessa

Col fine di rendere un compiuto commento alla sentenza n. 4817/2017 resa dalla Commissione Tributaria Pronvinciale di Salerno appare opportuno fare un preambolo su alcuni principi enucleati dalla nostra Carta costituzionale, descrivere brevemente i fatti di causa richiamando dei precedenti giurisprudenziali in materia e poi, analizzare l’iter logico giuridico adoperato dalla commissione adita.
Può ritenersi, che la normativa tributaria prevede ordinariamente che gli accertamenti tributari siano basati su elementi probatori idonei ad integrare una prova rigorosa della contestazione fiscale, a pena di invalidità degli stessi.

2. Sui principi costituzionali

Una tale esigenza, del resto, è in qualche modo emanazione degli artt. 53 (capacità contributiva e giusta imposizione) e 97 (imparzialità e buon andamento dell’amministrazione) della Costituzione.
Così come è espressione del fondamentale diritto di difesa, ex art. 24 Cost., il diritto del contribuente di sottoporre alla valutazione dell’organo giudicante la fondatezza delle prove su cui si basa l’attività amministrativa di controllo e accertamento tributario, affinché il giudice possa valutarne, in concreto, il rigore e la persuasività secondo il suo libero e prudente apprezzamento (art. 116 c.p.c).

3. Sui fatti di causa

Orbene, la società “Alfa & C.” ed i suoi soci proponevano ricorso cumulativo avverso gli avvisi di accertamento emanati nei loro confronti dall’Agenzia delle Entrate, la quale accertava in riferimento al periodo d’imposta 2013 maggiori ricavi per € 50.368,00 ed un reddito d’impresa pari ad € 34.025,00 (afferente l’attività di “commercio al dettaglio di carburante per autotrazione).
Conseguentemente, l’ufficio procedeva all’imputazione in capo ai soci del relativo reddito di partecipazione in relazione alle quote da loro possedute.
La vicenda in esame trae origine da una verifica fiscale della G.d.F. al culmine della quale si contestava alla ricorrente una redditività al di sotto di quella tipica del settore di appartenenza, anche in virtù del riscontro di alcune violazioni concernenti la vendita di carburante, in particolare, l’esistenza di una deficienza oltre quella consentita tra giacenza fisica e quella contabile.
L’ufficio sulla base degli elementi emersi nel processo verbale di contestazione redatto dai militi ed unitamente a quelli emersi dalla dichiarazione anno 2013 presentata dalla ricorrente, emanava avviso di accertamento ex art. 39 c. 1 lett. d) del DPR 600/73, a mezzo del quale accertando dei maggiori ricavi della società (mediante l’applicazione di una percentuale di ricarico del 96%) rideterminava il reddito della stessa, col fine di recuperare le relative imposte.

4. Sul metodo accertativo e sulle presunzioni gravi, precise e concordanti

L’accertamento presuntivo è una metodica accertativa in cui l’accertamento della conoscenza di un fatto è derivata dalla conoscenza di un altro fatto, per mezzo di un ragionamento logico-inferenziale.
L’avviso di accertamento emesso, come nel caso che ci occupa, ai sensi dell’art. 39 c. 1 del Dpr 600/73 in una parte della medesima lettera d), dispone che “l’esistenza di attività non dichiarate o la inesistenza di passività dichiarate è desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché queste siano gravi, precise e concordanti”.
Le parole adoperate nella normativa tributaria col fine di qualificare le presunzioni che possono essere utilizzate a mezzo di prove nell’accertamento tributario (gravi, precise e concordanti), sono riconducibili alla normativa civilistica ed in particolare alla disciplina dell’art. 2729 c.c. anche per quanto concerne il suo significato giuridico-probatorio.
Posto ciò, l’utilizzo di presunzioni semplici, dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, implica la ragionevole necessità che l’accertamento basato su tali presunzioni deve manifestare un rigoroso rapporto di consequenzialità logica fra premessa e conclusione del ragionamento inferenziale.
Negli anni, la giurisprudenza di legittimità ha precisato il significato di tali requisiti, in particolare si rammenta la sentenza n. 4168 del 22 marzo 2001, attraverso la quale i giudici di legittimità giungono ad affermare: “con riguardo al requisito di gravità è sufficiente che l’esistenza del fatto ignoto sia desunta con ragionevole certezza, anche probabilistica; il requisito di precisione impone che i fatti noti … non siano vaghi ma ben determinati nella loro realtà storica; con il requisito della concordanza, si prescrive che la prova sia fondata su una pluralità di fatti noti convergenti nella dimostrazione del fatto ignoto”.
La fondatezza della prova che si basi su presunzioni semplici è sempre liberamente valutabile dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento a differenza delle presunzioni legali relative, ove l’organo giudicante una volta accertato il fatto noto da cui scaturisce la presunzione legale non può valutare la rispondenza in concreto del nesso inferenziale (essendo lo stesso stabilito ex lege) ma solo la fondatezza della prova contraria.

5. Sui precedenti giurisprudenziali in materia

A tal punto, è utile richiamare la sentenza n. 22938 del 2007 della Corte di Cassazione, la quale afferma che l’accertamento di un maggior reddito determinato con l’applicazione delle percentuali di ricarico medie del settore è da solo insufficiente a determinare l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente.
Detti valori, qualificati come una estrapolazione statistica di una pluralità di dati disomogenei, “in nessun caso possono giustificare presunzioni qualificabili come gravi e precisi, da confortare quindi – da parte dell’Ufficio - con altre risultanze, con altri indizi certi” che possono ricondurre alla presunta evasione.
Quindi, l’accertamento fiscale non può basarsi unicamente su una variabile sospetta, con conseguente onere della prova a carico del contribuente; tale variabile deve essere accompagnata da ulteriori elementi di segno uguale. Deve essere, proseguono i Giudici di Piazza Cavour, “ulteriormente assistita da altri elementi, di segno convergente, idonei ad escludere la natura marginale dell’impresa in rapporto alle condizioni relative all’area geografica, all’area urbana, all’area periferica, alla tipologia dell’esercizio, alle condizioni personali del titolare etc…”;
In merito allo scostamento della percentuale di ricarico applicato dal contribuente rispetto alla percentuale di ricarico mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, giova richiamare anche la sentenza n. 19136/2010 della Suprema Corte.
La suddetta sentenza statuisce che l’ufficio, non può basare il recupero a tassazione sul solo fatto che la percentuale di ricarico applicata dal contribuente si discosta da quella normalmente utilizzata nel settore commerciale accertato. Pertanto, l’accertamento ha ragione di esistere, solo se, da elementi ulteriori quali l’abnormità e l’irragionevolezza della difformità rilevata, emerga l’inattendibilità della dichiarazione, “ovverosia la concreta ricorrenza di circostanze gravi, precise e concordanti”.
Appare utile sottolineare, altresì, l’orientamento tracciato dalla recente ordinanza della Cassazione n. 9932 del 19 aprile 2017.
Quest’ultima ha avuto modo di chiarire, che l’accertamento basato sull’aumento di percentuale di ricarico e da cui si evinca nello stesso, una insufficienza di prove fornite dall’Ufficio, deve considerarsi illegittimo.
I giudici di legittimità affermarono che “la prova fornita dall’Agenzia delle Entrate non è sufficiente, perché lo stesso studio di settore non indicherebbe quale periodo è stato considerato e quali imprese sono state prese a parametro di confronto. Non dunque un onore probatorio ulteriore rispetto a quello richiesto dalla legge, ma l’insufficienza delle prove fornite nell’adempimento dell’onere di legge”.

6. Sulla sentenza in esame.

Poste tali necessarie premesse e passando all'analisi della sentenza n. 4817/17, si pone in evidenza che la commissione adita nella motivazione della statuizione (culminata con l’accoglimento dei ricorsi formulati da parte ricorrente) richiama una sentenza della Suprema Corte la n. 27329/2016 la quale, conferma il pregresso nonché costante orientamento - sopra analizzato - in tema di percentuali di ricarico.
La suddetta sentenza testualmente recita “pare opportuno rilevare che è orientamento consolidato di questa Corte (tra le ultime, Cass. n. 23831 e 23832 del 2016) quello secondo cui, in presenza di scritture contabili formalmente non contestate, l’Amministrazione finanziaria può comunque procedere, ai sensi del citato art. 39, primo comma, alla determinazione induttiva dei ricavi sulla scorta delle percentuali di ricarico, ma poiché queste costituiscono presunzioni semplici, che debbono essere assistite dai requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ. e desunte dai dati di comune esperienza, oltreché da concreti e significativi elementi desunti dalla singola fattispecie, non è sufficiente, ai fini dell’accertamento di maggiori ricavi, il solo rilievo dell’applicazione da parte del contribuente di una percentuale di ricarico aritmeticamente diversa da quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza, in quanto le medie aritmetiche, ponderate o no, non costituiscono un fatto noto, cioè storicamente provato, dal quale argomentare, con giudizio critico, il fatto ignoto da provare, ma soltanto il risultato di un’estrapolazione ragionata di dati. Ne consegue che tali percentuali non sono di per sé sole inidonee a integrare gli estremi di una prova per presunzioni, occorrendo quantomeno che emerga l’abnormità e l’irragionevolezza della percentuale quale elemento ulteriore”.
Sulla scorta di tale precedente giurisprudenziale, la commissione motiva l’emanata sentenza affermando che l’entità del ricarico non è una variabile indipendente di carattere occasionale, ma è condizionata da vari fattori ovvero dalle condizioni di mercato, le cui prove, se non altrimenti acquisite, devono essere fornite dal contribuente in virtù del principio di vicinanza delle prove.

7. Conclusioni

Orbene a parere di chi scrive la motivazione addotta dall’Ufficio non è stata del tutto esaustiva, anzi, risulta carente, in quanto lo stesso, ha motivato l’accertamento sulla scorta di errate presunzioni.
Risulta evidente, altresì la incongruenza per eccesso del ricarico applicato (nella specie il 96%) senza alcun adattamento concreto alle specifiche modalità di esercizio dell’attività del contribuente.
Ed infatti le prove addotte da quest’ultimo contribuente per giustificare la propria redditività sono state cospicue, in particolare nel corso del giudizio ha dato dimostrazione: di vincoli posti dal comodante in merito al prezzo della fornitura e della vendita; della struttura dell’impianto che consta di una sola colonnina multifunzionale; del costo del dipendente che è attratto nell’ambito familiare e che comunque incide sul ricarico; del fatto che l’attività non rientra nel libero mercato ed è vincolata alla concorrenza; dell’esistenza di vincoli nella gestione dell’impianto; di una comunicazione concernente i prezzi di vendita del carburante; rappresentando, infine, che entrambi i soci della società sono titolari di altri redditi d’impresa.
I suddetti elementi forniti dal contribuente hanno determinato, indi, il convincimento della commissione nel ritenere corrette le risultanze contabili della società, annullando gli accertamenti nei confronti della stessa e dei soci.
In conclusione, sulla tematica dell’onere probatorio, appare utile richiamare la sentenza della Corte di Cassazione n. 7838/15 la quale ha precisato che “la sussistenza dei presupposti per un accertamento induttivo non comporta di per sé una inversione dell’onere della prova a carico del contribuente ... L’onere della prova del maggior reddito resta perciò a carico dell’Amministrazione che ovviamente può assolverlo anche a mezzo di presunzioni semplici - la cui adeguatezza deve essere valutata dal giudice - rispetto alle quali il contribuente è ammesso alla prova contraria”.
L’onere di provare l’evasione, sempre gravante sull’Amministrazione finanziaria, può essere soddisfatto mediante presunzioni. Se le presunzioni sono semplici, l’attendibilità dell’inferenza deve essere dimostrata dall’Ufficio nella motivazione dell’atto e può essere contestata dal contribuente in sede giurisdizionale, mentre il giudice ha l’onere di motivare la propria decisione dando conto delle ragioni in forza delle quali egli ritiene raggiunta la prova dell’evasione anche qualora il contribuente rimanga inerte.
Orbene, analizzando i fatti di causa, le presunzioni semplici disegnate dall’Ufficio procedente sono risultate inattendibili perché poggiano su elementi acquisiti all’esito di una istruttoria non diligente, in quanto sono state inficiate dalle argomentazioni difensive addotte dal contribuente.