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Pubbl. Dom, 22 Mar 2015

Legalizzazione della cannabis: pareri di prestigio, iniziative parlamentari, sentenze. Ma il nostro Paese è pronto? Quali i motivi per dire di sì?

Giuseppe Ferlisi
AvvocatoUniversità degli Studi di Salerno


Analizziamo la situazione italiana alla luce di autorevoli pareri, sentenze di portata dirompente e possibili vantaggi economici per l´erario.


In questi giorni si fa un gran parlare del tema "cannabis" e della sua legalizzazione. In verità, questo argomento è balzato all'attenzione dell'opinione pubblica da qualche mese, in particolare con gli appelli di Umberto Veronesi prima, e Saviano poi. Il primo, ex Ministro della Salute ed oncologo di fama internazionale, è da sempre contrario al proibizionismo e ritiene piuttosto che vietare serva a poco, essendo dell'idea che questa strada debba essere sostituita da educazione e controllo in un'ottica di legalizzazione. Quanto ai rischi per la salute, che non possono essere oggetto di un articolo come questo, incentrato prettamente sui profili giuridici della vicenda, Veronesi afferma che: "la marijuana non fa male e che i danni sono praticamente inesistenti", portando, anzi, ad esempio l'invito alla depenalizzazione per uso personale che la "Organizzazione Mondiale Sanità" (OMS) ha rivolto agli Stati. Altro protagonista di questo dibattito è senza dubbio Roberto Saviano, famoso per la sua attività anti-camorra, che in un articolo sul suo blog, ha invitato il Primo Ministro Renzi a prendere una posizione netta in favore della legalizzazione. Saviano insiste soprattutto sui vantaggi nel contrasto della criminalità organizzata e sul riverbero positivo sul gettito dell'erario che una iniziativa del genere riuscirebbe a realizzare (per la sottrazione di "spazi" economici al crimine, n.d.r.).

In questi giorni si fa un gran parlare del tema "cannabis" e della sua legalizzazione.
In verità, questo argomento è balzato all'attenzione dell'opinione pubblica da qualche mese, in particolare con gli appelli di Umberto Veronesi prima, e Saviano poi.
Il primo, ex Ministro della Salute ed oncologo di fama internazionale, è da sempre contrario al proibizionismo e ritiene piuttosto che vietare serva a poco, essendo dell'idea che questa strada debba essere sostituita da educazione e controllo in un'ottica di legalizzazione.
Quanto ai rischi per la salute, che non possono essere oggetto di un articolo come questo, incentrato prettamente sui profili giuridici della vicenda, Veronesi afferma che: "la marijuana non fa male e che i danni sono praticamente inesistenti", portando, anzi, ad esempio l'invito alla depenalizzazione per uso personale che la "Organizzazione Mondiale Sanità" (OMS) ha rivolto agli Stati.

Altro protagonista di questo dibattito è senza dubbio Roberto Saviano, famoso per la sua attività anti-camorra, che in un articolo sul suo blog, ha invitato il Primo Ministro Renzi a prendere una posizione netta in favore della legalizzazione.
Saviano insiste soprattutto sui vantaggi nel contrasto della criminalità organizzata e sul riverbero positivo sul gettito dell'erario che una iniziativa del genere riuscirebbe a realizzare (per la sottrazione di "spazi" economici al crimine, n.d.r.).

Lo scrittore ha evidenziato come ogni anno si consumino circa cento/duecento dosi procapite, in relazione alle vendite della marijuana sul mercato nero.
In quest'ottica è, quindi, evidente il fallimento di una politica probizionistica e che l' agire per la legalizzazione non vuol dire "creare un bisogno che già c'è, quanto piuttosto sottarlo alle vendite delle gestioni criminali".
I vantaggi determinati da una legalizzazione sarebbero sia sanitari, perchè essa consentirebbe il controllo dei prodotti in commercio, che vengono consumati -dati alla mano- da percentuali altissime di adulti e giovanissimi; sia  giudiziari, con la possibilità di liberare i nostri tribunali e le nostre Forze dell'Ordine dall'ingolfamento di tutta una miriade di processi a carico di piccoli spacciatori e per piccoli reati.
A sostegno della sua tesi, Saviano, inoltre, evidenzia come la strada della legalizzazione della cannabis abbia permesso, ad esempio, in America una riduzione considerevole del guadagno dei gruppi Narcos, e conseguentemente anche dei capitali da reinvestire in altre attività illecite.

Ma oltre all'opinione pubblica, nel nostro Paese si è mossa -parecchio!- anche la Consulta, con la bocciatura circa un mese fa della legge Fini-Giovanardi nella parte in cui equiparava le droghe leggere e pesanti.
Le ragioni sono strettamente giuridiche giacchè la Corte, compulsata dalla Cassazione, ha evidenziato come in sede di conversione furono inserite norme estranee all'oggetto e alle finalità del decreto. Certamente tale sentenza avrà un impatto dirompente sia nei processi in corso, con termini di prescrizione più brevi, sia per il futuro, poichè la Corte sarà di nuovo interpellata in materia dopo la sentenza della Corte di Appello di Brescia del 10 marzo scorso.

La Corte territoriale, infatti, ha sospeso il processo, e lo ha sottoposto al vaglio della Consulta; esso riguardava la vicenda di un commerciante "pizzicato" con otto piante di canapa in casa (garage e balcone) e condannato ad otto mesi per tale attività di coltivazione.
Ebbene, i tre giudici che compongono il collegio giudicante in sede di Appello hanno ritenuto meritevole del vaglio costituzionale la disposizione sull'uso personale nella parte in cui "escludono tra le condotte suscettibili di sola sanzione amministrativa, qualora finalizzate al solo uso personale, la coltivazione di piante di cannabis, in relazione ai principi di ragionevolezza, uguaglianza e offensifità", ritenendo inoltre non provata la finalità dello spaccio, vera ratio della legge che regola la materia, dalla semplice presenza di marijuana in casa.
Un menzione merita la tesi difensiva dell'imputato di tale processo che ha posto in risalto come, dopo il referendum del 1993, fare uso personale di stupefacenti non costituisce reato, ma viene punito con una semplice segnalazione alla Prefettura, mentre ciò non accadeva per la canapa, con chiara violazione del principio di eguaglianza.
Se la Corte accogliesse questa tesi sarebbe solo un ricordo l'arresto o l'assoggettamento a procedimento penale per l'uso personale -sia per scopi ricreativi che terapeutici- di tale sostanza,  ed avrebbe una portata giuridica e sociale di notevole entità.


In attesa del contributo alla definizione dei contorni della vicenda da parte della giurisprudenza, spesso in anticipo rispetto all'azione della politica, quest'ultima si è comunque mossa con una iniziativa parlamentare bipartisan per la legalizzazione, che ha visto la partecipazione di rappresentanti di tutti i partiti dell'emiciclo.
Per ora non c'è l'appoggio del Governo, ma i parlamentari puntano a normativizzare un fenomeno che già esiste nei fatti e contro cui una politica di tipo proibizionista non ha portato alcun frutto.
Certamente non mancano le tesi contrarie, ma anche chi si oppone all'uso della marijuana come Silvio Garattini, Direttore dell' Istituto Farmacologico di Milano, afferma come " gli effetti collaterali non siano più alti di quelli di tabacco e alcol (legali da quando abbiamo memoria)".

La legalizzazione, quindi, di un fenomeno che nei fatti già esiste, permetterebbe un maggiore controllo su ciò che viene messo in commercio e soprattutto enormi vantaggi per l'erario italiano.
Veniamo ai vantaggi economici veri e propri.
Basti pensare che dal primo gennaio scorso in Colorado la legalizzazione ha prodotto un gettito erariale di cinque milioni di dollari al mese, in uno Stato che conta cinque milioni di abitanti, a fronte dei sessanta milioni di cittadini italiani: immaginiamo, in proporzione, il potenziale guadagno per il nostro erario!
Nel 2006 Gary Becker, Kevin Murphy e Micheal Grossman del National Bureau of Economic Research hanno pubblicato una ricerca, denominata "The Economic Theory of Illegal Goods: The Case of Drugs", le cui conclusioni sono state riprese da uno studio dell’Università La Sapienza che, nel 2009, ha calcolato la spesa pubblica italiana per il contrasto alla droga dal 2000 al 2005.
Nel periodo considerato, per punire violazioni di legge afferenti alla droga, sono state effettuate più di 140.000 operazioni investigative, che hanno portato a circa 226.000 denunce (di cui più di 100.000 per cannabis), 250.000 processi e 130.000 condanne.
Nello stesso periodo, circa il 38% dei detenuti nelle carceri italiane scontava condanne per violazioni della legge sulla droga.
La spesa pubblica destinata alla lotta anti-droga (considerando le spese dei servizi di polizia, di magistratura e carcerari, relativi a "reati di droga") dal 2000 al 2005 è stata di 13 miliardi di euro, di cui il 44% concerne la proibizione della vendita della sola cannabis, che dunque è costata allo Stato più di un miliardo ogni anno.
E questo è solo il risparmio che potrebbe generarsi dalla liberalizzazione, senza contare i potenziali introiti derivanti dalla tassazione.
I profitti per lo Stato, in questo caso, sarebbero enormi.
Un’aliquota fiscale ottimale, cioè un livello di tassazione sufficientemente alto da ridurre il consumo di droghe rispetto ad oggi, ma non abbastanza da ridimensionarne gli scambi nel mercato nero, potrebbe essere quella applicata alle sigarette (cioè circa il 75%).
Imponendo un’aliquota del 75% sui prezzi all’ingrosso registrati nel mercato nero tra il 2000 e il 2005, il prezzo d’offerta della cannabis sarebbe leggermente superiore a quello attualmente registrato nel mercato nero, mentre cocaina ed eroina costerebbero quasi il doppio.
Sulla base delle stime effettuate da Becker, Murphy e Grossman circa l’elasticità della domanda di droghe rispetto al loro prezzo, il raddoppio del prezzo d’offerta di eroina e cocaina ne dimezzerebbe il consumo, mentre il consumo di cannabis rimarrebbe sostanzialmente uguale.
Ebbene, con tale aliquota, ed un volume del mercato della droga non difforme da quello stimato, tra il 2000 e il 2005 l’erario italiano avrebbe potuto riscuotere 47 miliardi di euro, di cui 32 miliardi solo dall’imposta sulla vendita di cannabis. Vale a dire, cinque miliardi ogni anno. Complessivamente, quindi, il costo fiscale del proibizionismo della cannabis è, in Italia, di circa sei miliardi ogni anno.
Sei miliardi ogni anno che, sommati a quelli del risparmio, danno circa sette miliardi di euro -una enormità, se pensiamo che il famoso bonus governativo "degli ottanta euro" è costato dieci miliardi, laddove la realizzazione del reddito di cittadinanza (base) ne costerebbe otto.

Quanto alla tesi proibizionista, secondo la quale legalizzare determina anche un aumento del consumo degli stupefacenti, gli studi nei Paesi in cui esso è legale o comunque depenalizzato -Svizzera, Belgio, Olanda, Spagna, Portogallo, dodici Stati americani fra cui anche Washington, Uruguay, Colombia, Messico- hanno mostrato che addirittura entro i loro confini il consumo è diminuito, come conferma pure uno studio recente, “Medical Marijuana Laws and Teen Marijuana Use”, che analizza l’effetto della legalizzazione della marijuana per uso medico in undici Stati americani.
Come è possibile che una legalizzazione che riduce i prezzi non faccia aumentare il consumo dei giovani? La risposta è molto semplice.
Se la marijuana è proibita ci sarà un fiorente mercato nero. Questo mercato nero non discrimina in base all’età. Quindi, fintanto che la marijuana è illegale, gli adolescenti vi avranno facile accesso sul mercato nero. Quando la marijuana viene legalizzata, il mercato nero sparisce. Di conseguenza, diventa più difficile per un adolescente procurarsi tale droga.

Quanto poi all'uso terapeutico della stessa marjuana, in medicina i risultati sono evidenti in relazione a malattie molto gravi, con benefici per pazienti affetti da serie patologie disabilitanti in ordine al controllo del dolore (sclerosi multipla, danni ai nervi, lesioni spinali, dolore neurogenico) o ai fini della stimolazione dell'appetito per pazienti terminali affetti da cancro o Aids.
In proposito si è pronunciato, in un articolo per l'Espresso, anche il Direttore del Dipartimento di Medicina e Chirurgia dell'Università degli Studi di Salerno, Maurizio Bifulco, sostenendo l'uso terapeutico di tale sostanza, invero in Italia ammesso già dal 2007.

La strada da perseguire dovrebbe essere, concludendo, quella intrapresa per altri consumi nocivi come quelli di alcol e tabacco, ossia quella dell’informazione, della dissuasione e della tassazione.
Alcol e tabacco fanno bene? No. Provocano danni sociali e sanitari? Sì. Eppure nessuno propone di consegnarne al mercato illegale la produzione ed il commercio.
Quanto poi ai problemi etici o di salute, la questione si pone esattamente alla stregua di quella sull’alcol (che, peraltro, causa un numero maggiore di morti).
Il dibattito sul “fanno bene-fanno male”, cioè, sembra svuotarsi di contenuto: la libertà individuale finisce dove inizia quella degli altri.
Aggiungerei: il fatto che taluno voglia farne uso, servendosi di "prodotti" aventi standard di qualità garantiti, e non di mercanzia di bassa qualità potenzialmente davvero pericolosa, è una garanzia decisamente maggiore per la salute rispetto alla cieca repressione.
Sembra assurdo dover discutere ancora, quasi cent’anni dopo il National Prohibition Act, degli effetti politici e sociali del proibizionismo; d’altra parte, è necessario ribadire che durante gli anni '20, negli Usa, non c’è stata alcuna riduzione del consumo di alcol, mentre, per contro, si è registrato un netto aumento della criminalità.