L´ordinanza di demolizione: l´inerzia della pubblica amministrazione non sana l´abuso
Modifica paginaLa sentenza n. 9 del 2017 dell’Adunanza Plenaria affronta la questione relativa all’onere motivazionale dell’ordine di demolizione che la P.A. adotti a notevole distanza di tempo rispetto alla commissione dell´abuso edilizio.
Sommario: 1. Orientamenti “oscillanti” e rimessione dal Cons. St., Sez. VI, ord., 24 marzo 2017 n. 1337; 2 . La sentenza del Cons. St., Ad. plen., 17 ottobre 2017 n. 9; 3. Conclusioni.
1. Orientamenti “oscillanti” e rimessione dal Cons. St., Sez. VI, ord., 24 marzo 2017 n. 1337.
Numerose sono le sentenze che affrontano il tema del potere sanzionatorio della P.A. avverso gli abusi edilizi e del correlato affidamento del privato fondato sul decorso di un notevole lasso di tempo.
La giurisprudenza, nel corso degli anni, ha valorizzato prima un aspetto e poi l’altro, fornendo indicazioni non sempre univoche.
L’analisi del dato normativo non può che partire dal disposto dell’art. 31 del D.P.R. n. 380 del 2001 (T.U. dell’Edilizia) secondo cui “sono interventi eseguiti in totale difformità dal permesso di costruire quelli che comportano la realizzazione di un organismo edilizio integralmente diverso per caratteristiche tipologiche, planovolumetriche o di utilizzazione da quello oggetto del permesso stesso, ovvero l'esecuzione di volumi edilizi oltre i limiti indicati nel progetto e tali da costituire un organismo edilizio o parte di esso con specifica rilevanza ed autonomamente utilizzabile”.
Tale norma, dunque, individua i presupposti necessari per l’adozione di una ordinanza di demolizione, ovvero “interventi edilizi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali”.
L'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti repressivi degli abusi edilizi, è un atto doveroso e vincolato, di carattere non afflittivo, tendente al ripristino del corretto assetto urbanistico-edilizio oggettivamente leso dall'opera abusiva.
La natura vincolata del potere sanzionatorio riflette i suoi effetti, tra l'altro, sull’obbligo motivazionale dell’atto (così come per l’obbligo di comunicazione di avvio del procedimento ex art. 7 L. 241/1990): secondo un primo orientamento, quindi, l’ordine di demolizione, in quanto atto vincolato, non ha bisogno di un particolare obbligo motivazionale sulle specifiche ragioni di pubblico interesse, né sulla comparazione di quest'ultimo con l'interesse del privato, essendo sufficiente fare riferimento all'accertata abusività delle opere che si ingiunge di demolire.
Questa impostazione di carattere generale, largamente condivisa, è stata messa in discussione soprattutto nelle ipotesi in cui si tratti di opere abusive risalenti nel tempo, che - in ragione della posizione di affidamento maturata dal privato - richiederebbero una motivazione rafforzata sulla sussistenza dell'interesse pubblico.
In particolare, la giurisprudenza si è chiesta se il decorrere del tempo possa avere una rilevanza tale da influenzare le modalità di esercizio del potere e, in particolare, il contenuto dell'obbligo di motivazione delle sanzioni demolitorie.
L’interrogativo nasce, come vedremo, dalla necessità di tenere in debita considerazione principi di legittimo affidamento e buona fede del privato.
La questione è stata già affrontata nel 1983 dall’Adunanza Plenaria. Quest’ultima, dopo aver affermato la non necessità di una specifica motivazione dell’ordinanza di demolizione - in ragione della natura vincolata dell'attività repressiva degli illeciti edilizi – ha individuato quale unica eccezione l'ipotesi in cui l'inerzia dell'Amministrazione si sia protratta per molti anni.
Più precisamente, i Giudici di Palazzo Spada hanno affermato che “il lunghissimo decorso del tempo, senza che l'amministrazione si sia comunque preoccupata di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto violata, (...), impone che l'eventuale iniziativa demolitoria abbisogni di essere sorretta da motivazioni più adeguate, rispetto a quella che si riferisca alla semplice constatazione dell'abusività dell'opera” (1).
In buona sostanza, il ragionamento dell’Adunanza Plenaria è che il mancato esercizio del potere repressivo da parte della P.A. per un lungo lasso di tempo attribuisce rilevanza alla edificazione, benché illecita, tanto da rendere necessaria la sussistenza di specifiche esigenze di pubblico interesse per la sua rimozione.
L’Adunanza Plenaria, dunque, ha evidenziato la necessità di una specifica motivazione sull'interesse pubblico sotteso al provvedimento ripristinatorio, mentre nessuna menzione è stata fatta sulla configurabilità dell'affidamento del privato nato per effetto del decorso del tempo.
Nonostante tale pronuncia sono proliferati orientamenti contrastanti sul punto, talvolta tendenti a valorizzare la natura vincolante del potere repressivo, altre volte favorevoli al riconoscimento di una posizione di legittimo affidamento in relazione al decorso di un notevole lasso di tempo.
Secondo un primo orientamento, maggioritario, l'ordinanza di demolizione ex art. 31 d.p.r. 380/2001 di un manufatto abusivo, essendo atto vincolato, può essere legittimamente adottata senza particolare obbligo motivazionale, indipendentemente dal lasso temporale intercorso dalla commissione dell'abuso (2).
Invero, l'elemento temporale, sarebbe estraneo rispetto ai presupposti di esercizio del potere, non soggetto ad alcun termine decadenziale o di prescrizione (3), in ragione del carattere permanente dell'abuso edilizio, che si rinnova giorno per giorno e continua a persistere nel tempo nella sua perenne lesività, sempre attuale. Di conseguenza il provvedimento repressivo non è emanato a distanza di tempo da un illecito ormai compiuto ed esaurito, ma interviene su una situazione antigiuridica che perdura sino a quel momento (4).
Prevedere l’estinzione di un abuso edilizio per decorso del tempo significherebbe configurare una sorta di sanatoria extra ordinem, che potrebbe operare anche quando l'interessato non si sia avvalso del corrispondente istituto legislativamente previsto.
Sennonché, secondo tale orientamento, sarebbe da escludere in radice il legittimo affidamento in capo al responsabile dell'abuso o al di lui avente causa sulla conservazione di una situazione contra ius, che il tempo non può giammai consolidare, né consentire allo stesso privato a dolersi che l'Amministrazione non abbia agito tempestivamente. L'ordinamento, infatti, tutela l'affidamento solo qualora esso sia incolpevole, mentre la realizzazione e il consapevole mantenimento in loco di un'opera abusiva si concretizzano in una volontaria attività del privato contra legem (5).
Dunque, ad avviso dell'orientamento maggioritario, l'ordine di demolizione non ha bisogno di una motivazione “rafforzata”.
Un diverso orientamento giurisprudenziale ha, invece, valorizzato il decorso del tempo come elemento che incide sulla legittimità del provvedimento sanzionatorio che, in casi-limite, deve essere specificamente motivato.
Secondo tale orientamento, l’ordinanza richiederebbe “una puntuale motivazione sull'interesse pubblico al ripristino dei luoghi allo status quo ante. In tal senso, l'ordine di demolizione di opera edilizia abusiva è sufficientemente motivato con l'affermazione dell'accertata abusività dell'opera, salva l'ipotesi in cui, per il lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso ed il protrarsi dell'inerzia dell'amministrazione preposta alla vigilanza, si sia ingenerata una posizione d'affidamento nel privato, ipotesi questa in relazione alla quale si ravvisa un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche all'entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato” (Cons. St. sent. n. 883/2008). (6)
In altri termini, il lungo lasso di tempo dalla commissione dell'abuso edilizio, unitamente al protrarsi dell'inerzia dell'Amministrazione preposta alla vigilanza, genererebbe una posizione di affidamento nel privato, dal quale discenderebbe un obbligo motivazionale rafforzato circa l'individuazione di un interesse pubblico specifico alla emissione della sanzione demolitoria.
In quest'ordine di idee, la maggiore sensibilità nei confronti della posizione del privato, induce a mitigare parzialmente il rigore interpretativo dell'orientamento prevalente, imponendo, nei casi di prolungata inerzia della P.A., un onere di congrua motivazione che, avuto riguardo anche alla entità e alla tipologia dell'abuso, indichi il pubblico interesse, evidentemente diverso da quello al ripristino della legalità, idoneo a giustificare il sacrificio del contrapposto interesse privato.
In alcune pronunce si è, peraltro, specificato che il lasso temporale che fa sorgere l'onere di una motivazione rafforzata in capo all'Amministrazione è quello che intercorre tra la conoscenza da parte dell'Amministrazione dell'abuso e il provvedimento sanzionatorio adottato, ravvisandosi, solo in questo secondo caso, una colpevole e ingiustificata inerzia della P.A .
Secondo questa impostazione, dovrebbe essere “dimostrato che l'amministrazione medesima fosse stata effettivamente a conoscenza dell'esistenza dell'abuso ed abbia tenuto una condotta idonea, per il suo concreto atteggiarsi, a ingenerare nel privato il legittimo convincimento del diritto al mantenimento dell'opera” (7).
Tale orientamento minoritario è stato ulteriormente circoscritto riducendone l'applicabilità ad alcuni “casi-limite”, caratterizzati da tre elementi: a) il notevole lasso di tempo trascorso dalla commissione dell'abuso e la sua repressione; b) l'alterità soggettiva tra l'originario responsabile dell'abuso e il proprietario destinatario dell'ordine di demolizione; c) l'assenza di intento elusivo del trasferimento.
Preso atto della sussistenza del predetto contrasto giurisprudenziale, la sesta sezione del Consiglio di Stato ha rimesso al vaglio dell'Adunanza Plenaria la questione “se l'ordinanza di demolizione di immobile abusivo (nella specie, trasferito mortis causa) debba essere congruamente motivato sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata quando il provvedimento sanzionatorio intervenga a una distanza temporale straordinariamente lunga dalla commissione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi del provvedimento sanzionatorio” (8).
2 . La sentenza del Cons. St., Ad. plen., 17 ottobre 2017 n. 9
Per la risoluzione dei quesiti sottoposti dalla Sesta Sezione con ordinanza del 24 marzo 2017 n. 1337, l'Adunanza plenaria ha, innanzitutto, precisato che la fattispecie sottoposta alla sua attenzione non è riconducibile al quadro generale dell'autotutela, stabilendo che solo “nel caso di ritiro tardivo in autotutela di un atto amministrativo illegittimo ma favorevole al proprietario, si radica comunque un affidamento in capo al privato” beneficiario e ciò giustifica la scelta legislativa, stabilita dall'art. 21-nonies, l. n. 241 del 1990, volta a rafforzare l'onere motivazionale gravante sulla P.A. (9).
Al contrario, in caso di tardiva adozione dell'ordine di demolizione, l'inerzia della P.A. nell'esercizio del proprio potere/dovere di contrasto all'abusivismo edilizio “non è idonea a far divenire legittimo ciò che (l'edificazione sine titulo) è sin dall'origine illegittimo”, né può radicare “un affidamento di carattere “legittimo” in capo al proprietario dell'abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un'aspettativa giuridicamente qualificata”.
Diversamente, il decorso del tempo e il comportamento inerte della P.A. comporterebbero una (inammissibile) forma di sanatoria automatica.
Ebbene, secondo il Supremo Consesso, la conferma di tale assunto si desume dal terzo periodo del comma 4-bis dell'art. 31, d.p.r. n. 380 del 2001 (introdotto dall'art. 17, co. 1, lett. q-bis, d.-l. 12 settembre 2014 n. 133), secondo cui “la mancata o tardiva emanazione del provvedimento sanzionatorio, fatte salve le responsabilità penali, costituisce elemento di valutazione della performance individuale, nonché di responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile del dirigente e del funzionario inadempiente”.
Secondo l’Adunanza Plenaria, quindi, il decorso del tempo non può incidere sulla doverosità dell'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo, pur se tardivamente adottata. Per tale ragione quest’ultima non necessita di una motivazione rafforzata (10).
Al contempo, i Giudici hanno evidenziato che, in caso di edificazioni abusive e mai assistite da alcun titolo, il richiamo all'interesse pubblico in re ipsa è improprio, perché, da un lato, come evidenziato, il “carattere sanzionatorio e doveroso del provvedimento esclude la pertinenza del richiamo alla motivazione dell'interesse pubblico”; dall'altro, la selezione e il bilanciamento degli interessi coinvolti sono già stati effettuati “‘a monte’ dallo stesso legislatore (il quale ha sancito in via indefettibile l'onere di demolizione al comma 2 dell'articolo 31 del d.p.r. 380 del 2001, in tal modo esentando l'amministrazione dall'onere di svolgere — in modo esplicito o implicito — una siffatta ponderazione”.
Dopo aver escluso l'obbligo di motivare l'ordine di demolizione in relazione alla attualità e alla concretezza dell'interesse pubblico all'adozione della misura, l'Adunanza Plenaria si è soffermata sull'ammissibilità o meno di una deroga a tale principio, nel caso in cui l'attuale proprietario dell'immobile non sia responsabile dell'abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi.
In primo luogo, il Supremo Consesso ha sottolineato che il carattere reale della misura ripristinatoria della demolizione (11) e la finalizzazione al ripristino di valori di rilievo primario non impongono alcun onere peculiare e aggiuntivo nelle ipotesi in cui il proprietario non sia responsabile dell'abuso.
Al più, tale alterità soggettiva può rilevare a fini diversi da quelli della misura ripristinatoria, come nelle ipotesi del riparto delle responsabilità fra l'autore dell'abuso e l'avente causa di quest'ultimo. In particolare, l’Adunanza ha evidenziato che “Del resto, la principale (se non l'unica) ragione che potrebbe indurre a valorizzare la richiamata alterità soggettiva è quella relativa allo stato soggettivo di buona fede e di affidamento che caratterizza la posizione dell'avente causa”.
In definitiva, quindi, secondo l'Adunanza plenaria, nessuno stato soggettivo potrebbe incidere sulla motivazione dell'ordine di demolizione - essendo atto di natura vincolata - anche nel caso in cui il destinatario della misura dimostri l'assenza di un intento elusivo.
3. Conclusioni
A sommesso parere dello scrivente la pronuncia esaminata presenta alcuni aspetti che andrebbero ulteriormente investigati.
Innanzitutto, andrebbe chiarito se il principio secondo cui è improprio il richiamo all’interesse pubblico in caso di edificazioni abusive assistite da alcun titolo, potrebbe essere esteso anche alle ipotesi di opere abusive realizzate non in assenza, ma in difformità dal titolo. In altre parole, se il richiamo all’interesse pubblico possa essere qualificato come improprio anche nel caso in cui ci sia stata la concessione di un titolo.
In secondo luogo, andrebbe chiarito l’aver ottenuto un titolo edificatorio possa giustificare l’applicazione del principio di affidamento del privato almeno sotto il profilo risarcitorio, sullo stampo di quanto elaborato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per la lesione dell'affidamento indotto da un atto amministrativo illegittimo favorevole.
Come appare ovvio, l’individuazione di una soluzione anche giurisprudenziale (e non solo dottrinaria) delle predette questioni presuppone che venga sottoposta all’attenzione dei Giudici Amministrativi un caso concreto che presenti tali peculiarità.
Note e riferimenti bibliografici
(1) Cons. St., Ad. plen., 19 maggio 1983 n. 12;
(2) Cons. St., Sez. VI, 10 maggio 2016 n. 1774; Id., 24 ottobre 2016 n. 4447, ivi; Id., 13 dicembre 2016 n. 5256, ivi; Id., 4 marzo 2013 n. 1268; Id., 11 maggio 2011 n. 2781, ivi; Id., Sez. V, 2 ottobre 2014 n. 4926, ivi; Id., 23 dicembre 2013 n. 6197, ivi;
(3) La prescrizione stabilita dall'art. 28, l. n. 689 del 1981 riguarda unicamente le sanzioni pecuniarie con finalità punitiva;
(4) T.A.R. Lombardia, Brescia, Sez. I, 16 gennaio 2012 n. 59;
(5) Cons. St., Sez. IV, 28 febbraio 2017 n. 908; Id., Sez. VI, 5 gennaio 2015 n. 13, ivi; Id., 29 gennaio 2016 n. 357, ivi; T.A.R. Abruzzo, Sez. I, 7 novembre 2016 n. 691;
(6) In termini, Cons. Stato, Sez. VI, 8 aprile 2016 n. 1393; Id., 18 maggio 2015 n. 2512, ivi; Cons. Stato, Sez. V 15 luglio 2013 n. 3847, ivi; Cons. Stato, Sez. IV, 2 novembre 2016 n. 4577, ivi; Id., 4 marzo 2014 n. 1016, ivi; T.A.R. Lombardia, Sez. II, 6 febbraio 2017 n. 299, ivi; T.A.R. Campania, Sez. II, 22 novembre 2013 n. 5317; T.A.R. Lazio, Sez. II, 4 dicembre 2009 n. 12554, ivi, in cui si afferma che “nel rispetto del generale principio di buona amministrazione di cui all'art. 97 della cost., l'ordinanza con la quale si ingiunge la demolizione dell'immobile, intervenuta a lunga distanza di tempo (nella specie quaranta anni) dalla costruzione del fabbricato — e, quindi, in una situazione di consolidato affidamento del privato sulla legittimità del proprio operato — non può essere sorretta esclusivamente dal richiamo al carattere abusivo dell'opera realizzata: in siffatte evenienze, l'amministrazione deve dare conto puntualmente delle ragioni di pubblico interesse che depongono per la demolizione del fabbricato (...); il decorso del tempo, in altri termini, oltre a produrre effetti che l'ordinamento riconosce e consacra dando vita a istituti ampiamente disciplinati in ogni settore del diritto, ivi compreso l'ordinamento amministrativo dello Stato, determina l'esigenza di rafforzare l'impalcatura motivazionale di un provvedimento di natura repressiva perché esige l'efficace rappresentazione del rinnovato interesse della amministrazione procedente a rimuovere situazioni antigiuridiche”.
(7) Cons. Stato, Sez. V, del 9 settembre 2013 n 4470; Cons. Stato, Sez. IV, 1 agosto 2017 n. 3840, ivi, per cui deve essere “dimostrato che l'amministrazione medesima fosse stata effettivamente a conoscenza dell'esistenza dell'abuso ed abbia tenuto una condotta idonea, per il suo concreto atteggiarsi, a ingenerare nel privato il legittimo convincimento del diritto al mantenimento dell'opera”; T.A.R. Piemonte, Sez. II, 8 marzo 2017 n. 321;T.A.R. Veneto, Sez. II, 28 novembre 2013 n. 1333;
(8) Cons. Stato, Sez. VI, 24 marzo 2017 n. 1337;
(9) Cons. St., Sez. IV, 28 febbraio 2017 n. 908;
(10) T.A.R. Campania, Napoli, Sez. II, 29 dicembre 2017 n. 6130; In termini, T.A.R. Sicilia, Catania, Sez. I, 11 dicembre 2017 n. 2829;
(11) Cons. Stato, Sez. VI, 26 luglio 2017 n. 3694 “La sanzione c.d. in senso lato ‒ nozione alla quale si riconducono tradizionalmente le misure ripristinatorie ed interdittive (ove non meramente accessorie alle sanzioni pecuniarie) ‒ gode un apparato di garanzie sostanziali, procedimentali e giurisdizionali, diversificato rispetto alla sanzione in senso stretto (disciplinata dalla l. n. 689 del 1981). Pur costituente una forma di reazione alla violazione di una norma, esse non hanno valenza afflittiva, bensì mirano alla soddisfazione diretta dell'interesse pubblico specificamente pregiudicato dalla violazione (attinente, nella specie, all'ordinato assetto del paesaggio). Gli ordini di demolizione, in particolare, avendo carattere reale, prescindono dalla responsabilità del proprietario o dell'occupante l'immobile (l'estraneità agli abusi assumendo comunque rilievo sotto altri profili), applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione, ma si trovi al momento dell'irrogazione in un rapporto con la res tale da assicurare la restaurazione dell'ordine giuridico violato”.