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Pubbl. Sab, 29 Set 2018

La differenza tra concussione e induzione indebita

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Mariangela Miceli
AvvocatoUniversità degli Studi di Palermo


La legge Severino ha di fatto “spacchettato” il reato di concussione. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 30436 del 2018, è tornata a precisare lo ”sdoppiamento” dell´originaria formulazione dell´articolo 317 c.p.


Sommario: 1. La vecchia fattispecie di concussione e i problemi in ordine alla distinzione con la corruzione; 2. La legge Severino e lo “spacchettamento” della concussione; 3. Le Sezioni Unite: il criterio per distinguere concussione e induzione indebita; 4. Le riforme in materia di contrasto alla corruzione: la l. n. 69/2015.

1. La vecchia fattispecie di concussione e i problemi in ordine alla distinzione con la corruzione

Per poter meglio delineare i contorni della fattispecie di cui all’art. 317c.p., appare utile far un primo e doveroso riferimento al dettato normativo codicistico attuale, la cui norma così recita: “Il pubblico ufficiale che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, costringe taluno a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra utilità è punito con la reclusione da sei a dodici anni.”

Preliminarmente, dalla norma sopra citata è possibile rilevare come la riforma anticorruzione abbia significativamente trasformato il delitto di concussione, adeguando la nostra normativa agli obblighi assunti dal nostro Paese a livello comunitario.

La novella legislativa  intervenuta nel 2012 con la legge n. 190, è tornata alla previsione del codice Zanardelli, procedendo non solo alla rimozione della persona incaricata di un pubblico servizio dal novero dei soggetti attivi, ma anche all’eliminazione della condotta dell’ induzione.

Tale ultima condotta è a oggi disciplinata dall’art. 319 quater che punisce, oltre il pubblico ufficiale e l’incaricato di pubblico servizio, anche il c.d. extraneus, in altre parole colui il quale non essendo stato “costretto” dal pubblico ufficiale alla promessa ma solo all’indebita dazione e quindi “indotto”, resta pur sempre libero di assecondare o meno le indebite richieste rivoltegli dall’intraneus, non potendosi considerare una vera e propria vittima.[1]

La nuova condotta prevista dal legislatore disciplina, quindi, un’autonoma disposizione collocata tra i reati di corruzione, perdendo così definitivamente ogni collocamento con il delitto di concussione, al fine di suggellare una forma di corruzione sui generis, che si differenzia dagli stessi per non essere caratterizzata da un rapporto sinallagmatico fra le parti ma dalla presenza di un “abuso della qualità o dei poteri” perpetrato dell’intraneus.

2. La legge Severino e lo “spacchettamento” della concussione.

La questione riguarda gli effetti derivanti dall’entrata in vigore della legge 6 novembre 2012 n. 190, nonché della riforma del 2015 con la legge n. 69 che,nel novellare la disciplina dei reati contro la pubblica amministrazione, ha sostituito l'art. 317 c. p., con l'introduzione di una “diversa” fattispecie di“concussione” ed ha introdotto l'art. 319-quater c.p. riguardante l'innovativa figura criminosa della “induzione indebita a dare o promettere utilità”, figura sostanzialmente intermedia tra quella residua della condotta concussiva sopraffattrice e l'accordo corruttivo, integrante uno dei reati previsti dall'art. 318 o dall'art. 319 c. p.

La circostanza che il legislatore della novella del 2012, nello sdoppiare le fattispecie di reato, abbia riproposto, rispettivamente nella nuova versione dell'art. 317 e nell'art. 319-quater comma 1, formulazioni testuali sostanzialmente identiche, nelle quali l'unico dato di distinzione è, appunto, quello del verbo “costringe” nel primo caso, “induce” nel secondo, costituisce un indice che la voluntas legis sia stata nel senso di attribuire una qual continuità normativa rispetto alla disposizione incriminatrice precedentemente vigente, con la conseguenza che appare senz'altro possibile continuare a valorizzare le decisioni della Suprema Corte cui era pervenuta la giurisprudenza di legittimità che, pur nella indifferenza degli effetti pratici, aveva tracciato una  linea tra la condotta costrittiva e quella induttiva.[2]

Secondo tali orientamenti,sia la costrizione che l'induzione si realizzano laddove il comportamento del pubblico ufficiale, che abusa della sua qualità o dei suoi poteri, si sostanzi nella formulazione di una pretesa indebita, di dazione o di promessa di denaro o di altra utilità, manifestata con forme e modalità idonee ad incidere psicologicamente sulla volontà e, quindi, sulle determinazioni del destinatario; solo che, nel primo caso, si parla di costrizione perché la pretesa ha una maggiore carica intimidatoria, in quanto espressa in forma ovvero in maniera tale da non lasciare alcun significativo margine di scelta al destinatario, mentre, nel secondo caso, si parla di induzione perché la pretesa si concretizza nell'impiego di forme di suggestione o di persuasione, ovvero di più blanda pressione morale, sì da lasciare al destinatario una maggiore libertà di autodeterminazione, un più ampio margine di scelta in ordine alla possibilità di non accedere alla richiesta del pubblico funzionario.

Va, dunque, escluso che le modifiche introdotte dalla legge n. 190 del 2012 abbiano comportato una riqualificazione delle due condotte di "costrizione" e di "induzione", formule lessicali che appaiono entrambe capaci di indicare sia la condotta che l'effetto: solo che, anche alla luce del differenziato trattamento sanzionatorio, la prima descrive una più netta iniziativa finalizzata alla coartazione psichica dell'altrui volontà, che pone l'interlocutore di fronte ad un aut-aut ed ha l'effetto di obbligare questi a dare o promettere, sottomettendosi alla volontà dell'agente, la seconda una più tenue azione di pressione psichica sull'altrui volontà, che spesso si concretizza in forme di persuasione o di suggestione ed ha come effetto quello di condizionare ovvero di “spingere”  taluno a dare o promettere, ugualmente soddisfacendo i desiderata dell'agente.

In entrambe le ipotesi, quindi, la condotta delittuosa deve concretizzarsi in una forma di pressione psichica che determina, proprio per l'abuso delle qualità o dei poteri da parte dell'agente, uno stato di soggezione nel destinatario; e che, per essere idonea a realizzare l'effetto perseguito dal reo, deve sempre contenere una più o meno esplicita prospettazione di un male ovvero di un pregiudizio, patrimoniale o non patrimoniale, le cui conseguenze dannose il destinatario della pressione cerca di evitare soddisfacendo quella pretesa indebita, dando o promettendo denaro o altra utilità.

Su tale tema si è anche doverosamente espressa la Suprema Corte di che, in tal senso, ha avuto modo di precisare come, per un verso, “l'esito del confronto strutturale tra le due considerate disposizioni, permette agevolmente di rilevare come, a parte l'inciso iniziale, il legislatore della novella abbia riproposto nel nuovo art. 319-quater c. p. una descrizione degli elementi costitutivi del reato di induzione indebita sostanzialmente identica a quella degli elementi costitutivi del reato di concussione per induzione, di cui al previgente art. 317 c. p..Per altro verso, l'analisi del giudizio di disvalore che qualifica le due fattispecie, risultante identico in entrambe le norme, essendo ugualmente colpite vicende criminose identiche, consistenti nell'iniziativa di induzione illecita posta in essere da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio.”[3]

Non ultima la recente sentenza n.30436/2018 in cui il Supremo Collegio ha così statuito “Si configura il reato di concussione, quando al vantaggio prospettato quale immediata conseguenza della promessa e della indebita dazione della utilità, si accompagni anche la prospettazione di un male ingiusto, attuale o futuro, di portata assolutamente spropositata rispetto al primo, in quanto la situazione di vantaggio prospettata si rileva, in siffatte occasioni, integralmente assorbita dalla netta predominanza del male ingiusto.”

Vale la pena evidenziare, come sia in dottrina che in giurisprudenza si ritenga che non  conduce ad una differente conclusione nemmeno la circostanza che il privato, destinatario della induzione, promette denaro o altra utilità al pubblico ufficiale oppure all'incaricato di pubblico servizio, già soggetto passivo nella previgente disciplina dell'art. 317 c. p., sia oggi punibile come concorrente necessario, giusta la previsione del sopra menzionato comma 2 dell'art. 319-quater c. p. Tale “struttura bilaterale” del nuovo reato non modifica affatto una fattispecie che, con riferimento alla posizione del pubblico funzionario, resta immutata nei suoi elementi strutturali, ad esclusione della fattispecie sanzionatoria prevista dalle due normativa.

3. Le Sezioni Unite: il criterio per distinguere concussione e induzione indebita

Prima di chiarire il contenuto della  Sentenza della Sezione Unite di cui al presente paragrafo, la giurisprudenza di legittimità si era espressa su di tre diversi orientamenti delle sezioni semplici della Cassazione a proposito dei criteri differenziali tra le figure delittuose di cui si tratta e, quindi, tra le condotte di costrizione (art. 317 c.p.) e induzione (art. 319-quater c.p.):

un primo orientamento, è rilevabile dalla sentenza c.d Nardi, il quale riproponeva il criterio, tradizionale nella giurisprudenza pre-riforma, della intensità della pressione prevaricatrice: “a modalità di pressione molto intense e perentorie, tali da limitare gravemente la libertà di determinazione del soggetto, corrisponderebbe la 'costrizione' ex art. 317 c.p.; a forme più blande di persuasione, suggestione, o pressione morale, che non condizionino gravemente la libertà di determinazione, corrisponderebbe l''induzione' ex art. 319-quater c.p.”[4]

un secondo orientamento, invece, è riferibile alla sentenza Roscia, che individuava  la linea di discrimine tra le due ipotesi delittuose nell'oggetto della prospettazione: danno ingiusto e contra ius nella concussione, danno legittimo (giusto) e secundumius nell'induzione indebita.

A tal proposito, al Suprema Corte a sostegno della tesi sosteneva come fosse ragionevole la più severa punizione dell'agente pubblico che (nella concussione) prospetta un danno ingiusto, e non già, come nell'induzione indebita, una conseguenza sfavorevole derivante dall'applicazione della legge (c.d. danno giusto).

Per altro verso rilevava, altresì, come fosse altrettanto ragionevole punire il privato nella sola ipotesi (induzione indebita) in cui, aderendo alla pretesa dell'indebito avanzata dall'agente, perseguisse un tornaconto personale (evitare un danno giusto).

Terzo ed ultimo orientamento (sentenza Melfi), si colloca in una posizione intermedia  due orientamenti, più di specifico, individuava il criterio discretivo tra le due figure di reato nella diversa intensità della pressione psichica esercitata sul privato, con la precisazione però che, per le situazione dubbie, si sarebbe dovuto far leva, in funzione complementare, sul criterio del vantaggio indebito da questi perseguito.       

 Le Sezione Unite, si sono pronunciate sul principale problema interpretativo posto sulla riforma “anticorruzione” introdotta dalla Legge Severino, oggetto sia di dibattito dottrinale che di contrasto interpretativo.

Va rilevato come le S.U. non avallino nessuno degli orientamenti appena descritti, in quanto la stessa Corte ritiene che ciascuno di essi “evidenzia aspetti che sono certamente condivisibili, ma non autosufficienti, se isolatamente considerati, a fornire un sicuro criterio discretivo”.[5]

Più di specifico le S.U., affermano come, il criterio dell'intensità della pressione psichica, indicato dal primo orientamento, “non coglie i reali profili contenutistici” delle condotte di costrizione e induzione e affida la determinazione della linea di confine tra le due modalità della condotta ”a un'indagine psicologica dagli esiti improbabili, che possono condurre a una deriva di arbitrarietà”, che il criterio dell'ingiustizia o meno del danno prospettato, propugnato dal secondo orientamento, “ha il pregio di individuare indici di valutazione oggettivi...ma incontra il limite della radicale nettezza argomentativa...la quale mal si concilia con l'esigenza di apprezzare l'effettivo disvalore di quelle situazioni 'ambigue', che lo scenario della illecita locupletazione da abuso pubblicistico frequentemente evidenzia” , ed infine che  la combinazione dei primi due criteri, prospettata dal terzo e ultimo orientamento, non fa d'altra parte venir meno gli anzidetti rilievi critici mossi ai criteri stessi (singolarmente considerati), e in particolare a quello, indicato, come principale, della intensità della pressione psichica.

Da tali osservazioni prende le mosse il tentativo di individuare i “parametri di valutazione, per quanto possibile più nitidi”.

Pertanto, dalla valorizzazione di tali parametri si sono mosse le stesse S.U., partendo da una analisi della riforma del 2012, nata sotto la spinta di obblighi sovranazionali quali il il GRECO (Group of Statesagainstcorruption),  che hanno inteso “chiudere ogni possibile spazio d'impunità al privato, non costretto ma semplicemente indotto” a pagare una “tangente”. Conferme in tal senso, osservano le S.U. (p. 21), si rinvengono d'altra parte nei lavori preparatori.[6]

La riforma quindi ha inciso fortemente su quello che viene inquadrata nella promessa o alla dazione indebita da parte del privato, il quale non è più visto quale vittima, impunita, di un fatto concussivo, bensì concorrente (necessario) nel nuovo reato di induzione indebita.

Ciò in coerenza con la natura plurioffensiva del reato di cui all'art. 317 c.p., viceversa, il privato non costretto ma indotto alla dazione indebita concorre nel delitto di cui all'art. 319-quater c.p. [7]

Il nuovo assetto normativo, dunque,definisce una nuova induzione indebita ex art. 319-quater c.p., la quale a parere delle S.U. non rappresenta un'ipotesi minore di concussione gravitando bensì nell'orbita della corruzione della quale condivide la “logica negoziale” di reato-contratto bilateralmente illecito.[8]

Tutto ciò premesso, le S.U. nella loro analisi (lunga 60 pagine) si sono  soffermate in un primo momento  sull'esame degli elementi comuni alle due fattispecie , per poi dedicare, come era naturale attendersi, ampio spazio alla trattazione degli elementi differenziali. La sentenza non si ferma però qui: si 'sporca le mani', nel lodevole tentativo di fornire una guida sicura all'interprete, prendendo in esame, in rapida successione, una serie di ulteriori casi “borderline”, qui di seguito menzionati:

  1. abuso di qualità di chi fa pesare la propria posizione soggettiva senza però fare riferimento a un atto specifico del proprio ufficio o servizio, come ad es. il poliziotto che pretenda di non pagare al ristoratore una cena con amici: si dovrà qui valutare, secondo le S.U., se il fatto si colora della sopraffazione o della dialettica utilitaristica;
  2. prospettazione di un danno generico:  che il destinatario, per autosuggestione o per metus ab intrinseco, può caricare di significati negativi, paventando di poter subire un'oggettiva ingiustizia. Anche in questo caso,il giudice dovrà valutare se vi è stata o meno prevaricazione costrittiva.

Evidenziano però le Sezioni Unite che “il percorso valutativo, per ritenere la sussistenza di questa, deve tenere presente, in particolare, che quanto più il supposto danno è indeterminato tanto più l'intento intimidatorio del pubblico agente e i riflessi gravemente condizionanti - per metus ab extrinseco - l'autodeterminazione della controparte devonoemergere in modo lampante, per poter pervenire a un giudizio di responsabilità per concussione”;

  1. minaccia-offerta o minaccia-promessa, che ricorre quando il pubblico ufficiale  minaccia un danno ingiusto (ad es., l'esclusione illegittima e arbitraria da una gara d'appalto) e contestualmente promette un vantaggio indebito (la sicura vincita della gara in caso di dazione o promessa dell'indebito): in casi del genere, come pi volte precisato anche dalla stessa Suprema Corte, il giudice deve stabilire se il motivo della dazione/promessa dell'indebito risiede nella prospettiva del danno o del vantaggio. Sono, secondo le S.U. per inciso, i casi nei quali il criterio impostato sulla dicotomia male ingiusto/giusto (patrocinato a partire dalla sentenza Roscia) mostra il suo limite;
  2. minaccia dell'uso di un potere discrezionale: concussione se l'esercizio sfavorevole del proprio potere discrezionale viene prospettato in via estemporanea  e pretestuosa, al solo fine di costringere alla dazione/promessa dell'indebito; induzione indebita se l'atto discrezionale pregiudizievole per il privato è prospettato nell'ambito di una legittima attività amministrativa, e si fa comprendere che, cedendo alla pressione abusiva, si consegue un trattamento indebitamente favorevole;

La parte conclusiva della motivazione della sentenza in esame è dedicata ai profili di diritto intertemporale e, cioè, alla connessa questione di diritto rimessa alle S.U., diretta a stabilire se la riforma della concussione abbia comportato o meno una parziale abolitiocriminis in relazione ai fatti di induzione, espunti dall'ambito applicativo dell'incriminazione.

La soluzione delle SU, che si richiama ai principi generali affermati in materia dalle precedenti sentenze Rizzoli (dello stesso relatore) e Giordano, è negativa: nessuna abolitiocriminis. La riforma ha solo comportato, ai sensi e per gli effetti dell'art. 2, co. 4 c.p., una successione di leggi meramente modificative della disciplina di fatti che continuano ad essere previsti dalla legge come reato.

In applicazione dell’art. 2 del codice penale, si dovrà applicare la disciplina più favorevole al reo.

4. Le riforme in materia di contrasto alla corruzione: la l. n. 69/2015.

A meno di tre anni dalla riforma della legge Severino, le politiche di contrasto alla corruzione hanno conosciuto una nuova novella legislativa, che in parte consolida e in parte innova il precedente quadro normativo.

Con la legge n.69 del 2015, contenente le “Disposizioni in materia di delitti contro la pubblica amministrazione , di associazioni di tipo mafioso e di falso in bilancio”, il legislatore italiano è infatti tornato sulla disciplina penale della corruzione pubblica e fattispecie contigue, con l’intento di rafforzare ulteriormente il bene giuridico protetto dalla norma.[9]

La novella legislativa è intervenuta sull’inasprimento della fattispecie di concussione, corruzione e induzione indebita, fino a toccare figure di reato di tipo societario.

L’intervento riformatore del 2015 ha inciso in vario modo sulla disciplina dei reati dei pubblici ufficiali contro la P.A.

In primo luogo è intervenuto sul piano sanzionatorio: per i delitti di peculato ordinario, corruzione, corruzione in atti giudiziari e induzione indebita a dare o promettere utilità sono aumentate le pene.

Passando a quelle che sono le modifiche concernenti i delitti contro la pubblica amministrazione,  si evidenzia come la legge Severino e la legge n.69\2015 siano intervenute con scelte opposte.

La legge Severino, infatti, come già sopra esposto, aveva portato la fattispecie “indietro nel tempo” a quelle che furono le previsione del codice Rocco, innovato in chiave estensiva dalla legge n.86\1990.

Secondo la riformata norma del 2012, solo il pubblico ufficiale avrebbe potuto ingenerare il c.d. metus publicae potestatis.

Per quanto riguarda gli abusi costrittivi dell’incaricato di un pubblico servizio, alla concussione erano subentrate le fattispecie comuni di estorsione (art. 629 c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.) o violenza sessuale (art. 609-bis c.p.); tutte aggravate dall’abuso dei poteri o dalla violazione dei doveri inerenti a un pubblico servizio (art. 61, n. 9, c.p.)[10] .

In dottrina si è però evidenziato come, rispetto all’ipotesi ex art. 629 c.p., vi sia una sperequazione sanzionatoria in sospetto attrito con l’art. 3 Cost.[11], in quanto l’incaricato di pubblico servizio responsabile di estorsione aggravata poteva essere punito con una pena – pari a 5-10 anni, aumentabili fino a un terzo – potenzialmente più elevata di quella comminata al pubblico ufficiale concussore, che per di più avrebbe potuto beneficiare anche dell’attenuante di cui all’art. 323-bis c.p. Proprio per rimediare a tali criticità, il legislatore ha opportunamente reinserito l’incaricato nella sfera d’incidenza soggettiva dell’art. 317 c.p.

A questo punto, sarà compito del giudice verificare in concreto quale sia la disposizione più favorevole per gli abusi costrittivi commessi prima della l. n. 190/2012 e per quelli successivi a questa ma anteriori alla novella del 2015[12].

Nella novella del 2015 può intravedersi un ulteriore passo in avanti incidente sul  tema della commisurazione della pena e della direttrice politico-criminale: “il tentativo di intraprendere un percorso non monoliticamente repressivo, ma più costruttivo sul piano della tutela degli interessi delle amministrazioni pubbliche”.[13]

Su tale punto la riforma ha infatti previsto il recupero coattivo del lucro illecito ottenuto dai funzionari pubblici, il neonato art. 323-quater c.p. (introdotto dall’art. 4 della l. n. 69), che prevede una nuova misura cogente, denominata riparazione pecuniaria,consistente nel “pagamento di quanto indebitamente ricevuto dal pubblico ufficiale o dall’incaricato di un pubblico servizio” attraverso reati tassativamente indicati quali: peculato ordinario e d’uso, concussione, corruzione in tutte le sue forme (per l’esercizio delle funzioni, per atto contrario, in atti giudiziari, di pubblici agenti extra-nazionali), e induzione indebita a dare o promettere utilità. Il pagamento, che lascia impregiudicato il risarcimento del danno, è testualmente imposto “a titolo di riparazione pecuniaria in favore dell’amministrazione cui il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio appartiene, ovvero, nel caso di cui all’articolo 319-ter, in favore dell'amministrazione della giustizia, restando impregiudicato il diritto al risarcimento del danno”.

In linea con quanto disposto dal sopra citato articolo, va ricordato il nuovo comma 1-ter incorporato nell'art. 444 c.p.p., il quale consente di evitare che il reo, semplicemente aderendo al rito semplificato dell’applicazione della pena su richiesta, possa eludere il disposto dell’art. 322-quater c.p., che si applica solo in caso di “sentenza di condanna”. La norma ne subordina così l’ammissibilità “nei procedimenti per i delitti previsti dagli articoli 314, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater e 322-bis del codice penale […] alla restituzione integrale del prezzo o del profitto del reato”.

E’ evidente che la legge Severino del 2012 aveva tralasciato qualsiasi incentivo normativo alla rottura del patto omertoso tra corrotto e corruttore, sia a livello politico che dottrinale, infatti, furono sollevate non poche perplessità in merito.

Negli ultimi tempi, però, si fece sempre più pressante l’idea che si dovesse far strada una politica criminale repressiva non solo dal punto di vita strettamente morale.

Tali perplessità hanno tratto nuova linfa anche dalla sopra citata legge Severino che nella lettura estensiva invalsa nella giurisprudenza prima della novella del 2012 dell’art. 317 c.p.non di rado finiva per fungere nella prassi, da causa di non punibilità dell’extraneusche avesse fornito alla pubblica accusa dichiarazioni utili a dimostrare la responsabilità del pubblico agente[14]. A seguito della riforma  il legislatore aveva due opzioni dinanzi a sé: introdurre una vera e propria causa di non punibilità fondata sulla collaborazione, ovvero, più riduttivamente, prevedere in simili evenienze un’attenuazione della risposta sanzionatoria, ferma l’obbligatorietà dell’azione penale e della condanna in presenza dei requisiti di un patto corruttivo. La soluzione radicale venne propugnata dalla nota Proposta di Cernobbio del 1994: per temperare l’auspicata introduzione di una rigorosissima fattispecie onnicomprensiva di corruzione, si pensò ad una causa di esenzione da pena del soggetto che avesse denunciato spontaneamente e per primo un episodio di corruzione entro tre mesi dalla sua realizzazione e anteriormente all’iscrizione della notitia criminis a suo nome, fornendo indicazioni utili per l’individuazione degli altri responsabili . Ma dalla stessa dottrina di sollevarono non poche perplessità sulla plausibilità di una “denuncia spontanea” antecedente alla scoperta del reato, per la “esaltazione contestuale di rigore repressivo delle sanzioni e di indulgenzialismo esasperato di istituti premiali”, ed infine, per il rischio di offrire “al corrotto o al corruttore una temibile “arma di persuasione” nei confronti del correo perché questi perseveri nel compimento di attività rientranti nel patto corruttivo”[15]

Questo intreccio di obiezioni fa comprendere la decisione del legislatore del 2015 di non spingersi sul terreno della premialità sino a prevedere una causa speciale di non punibilità. Si è ritenuto più ragionevole, per favorire la rottura del vincolo omertoso che lega le due parti dell’accordo corruttivo, senza però scardinare l’ordinaria sequenza reato-pena, la previsione di una mera circostanza attenuante, sia pure di consistente impatto. Recita, così, il comma aggiunto all’art. 323-bis c.p.: “Per i delitti previsti dagli articoli 318, 319, 319-ter, 319-quater, 320, 321, 322 e 322-bis, per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che l'attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, per assicurare le prove dei reati e per l’individuazione degli altri responsabili ovvero per il sequestro delle somme o altre utilità trasferite, la pena è diminuita da un terzo a due terzi”.

Le condotte che vengono premiate sono quelle  sul piano delle prove o sul piano strettamente materiale Vengono, quindi, premiate condotte positive sul piano materiale o probatorio-processuale, senza peraltro fissare alcun termine, antecedente alla sentenza definitiva per la loro realizzazione (diversamente, ad es., dall’art. 62 n. 6 c.p.). L’attenuante si applica a tutte le ipotesi corruttive, incluse quelle istigatorie (art. 322 c.p.) e di rilievo internazionale (infra-Ue ed extra-Ue) ex art. 322-bis c.p., o paracorruttive, come l’induzione indebita a dare o promettere utilità. Dalla sfera applicativa della nuova circostanza, invece, è rimasta esclusa la concussione, cosicché non potrà beneficiarne il concussore che collabori, ad es. indicando i nomi di eventuali concorrenti nel reato ‘proprio’ da lui commesso.

Allo stesso modo l’attenuante non si applica al peculato.

In relazione ai reati commessi dopo la data di entrata in vigore della legge (14 giugno 2015), la collaborazione può temperare i consistenti aumenti edittali stabiliti dalla L. n. 69 del 2015. Al riguardo, l’incentivo alla denuncia e alla collaborazione dei privati corruttori sarebbe risultato sicuramente maggiore nel caso in cui il legislatore avesse limitato agli intranei alla p.a. l’incremento delle soglie edittali di pena dei delitti di corruzione. “Ma non era affatto agevole infrangere l’impostazione tradizionale che, nel nostro sistema penale, equipara nel trattamento punitivo entrambi i lati del pactum sceleris.”[16]

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Benussi, Titolo del volume, in Trattato di diritto penale parte speciale, a cura di Marinucci, Dolcini seconda edizione, Cedam, p. 489.
[2]Sez. 6, n. 33843 del 19/06/2008, Lonardo, Rv. 240795; Sez. 6, n. 49538 del 01/10/2003, P.G. in proc. Bertolotti, Rv. 228368.
[3]Ibidem.
[4]G. L. Gatta, diritto penale contemporaneo, 17 marzo 2014, p. 1.
[5]Ibidem.
[6]Ibidem.
[7]che - affermano le SU (p. 27) - ha natura monoffensiva: "presidia soltanto il buon andamento e l'imparzialità della pubblica amministrazione e si pone, pertanto, in una dimensione esclusivamente pubblicistica" (p. 27). Nell'ipotesi considerata dall'art. 319-quater c.p. il privato non subisce dunque un'offesa a un bene di cui è titolare; concorre bensì nell'offesa al bene pubblico, e proprio per questo ne risponde penalmente.
[8]come farebbe pensare la metafora dello 'sdoppiamento' della concussione stessa, che ha avuto una certa fortuna nell'immediatezza della riforma.
[9]V. Mongillo, Le riforme in materia di contrasto alla corruzione introdotte dalla legge n.69 del 2015, in diritto penale contemporaneo, p. 2.
[10]Sul piano del diritto intertemporale, era venuto a determinarsi un rapporto di continuità normativa con le fattispecie incriminatrici “comuni”, che pertanto avevano conosciuto un processo di riespansionein relazione alla figura soggettiva in discorso: cfr. Cass., s.u., 14 marzo 2014, n. 12228.
[11]Cfr. S. Seminara, I delitti di concussione, corruzione per l’esercizio della funzione e induzione indebita, in Dir. pen.proc., Speciale Corruzione, a cura di P. PISA, 2013, 16; E. DOLCINI - F. VIGANÒ, Sulla riforma in cantiere dei delitti di corruzione, in Dir. pen.cont. – Riv. trim., n. 1/2012, 243. P. SEVERINO, La nuova legge anticorruzione, cit. 9, aveva replicato adducendo che la circostanza aggravante comune fosse comunque suscettibile di bilanciamento ex art. 69 c.p.
[12]V. Mongillo, Le riforme in materia di contrasto alla corruzione introdotte dalla legge n.69 del 2015, in diritto penale contemporaneo, p. 4.
[13] Cit. Ibidem p. 8.
[14]Si pensi, in particolare, alla “concussione ambientale”, ideata dalla giurisprudenza per “munirsi di un comodo espediente atto ad agevolare la collaborazione del privato”: G. FORTI, L’insostenibile pesantezza della “tangente ambientale”: inattualità di disciplina e disagi applicativi nel rapporto corruzione-concussione, in Riv.it. dir. proc.pen., 1996, 497.
[15]G. Fiandaca, Legge penale, cit., c. 3.
[16]Cit. Mongillo op. cit.