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Pubbl. Gio, 18 Ott 2018

Il diritto di accesso: la disciplina delle diverse tipologie di accesso agli atti e relativi presupposti

Giorgio Avallone


Riflessioni dottrinali e giurisprudenziali sul diritto di accesso e relative tipologie alla luce delle recenti innovazioni normative, con particolare riferimento alla sentenza del TAR Lazio, sez. II bis, n. 7326 del 2018


Sommario: 1. Introduzione – 2. Diritto di accesso cd ordinario ex art 22 l. 241/90 – 3. Diritto di accesso semplice e generalizzato – 4. Analisi delle differenze – 5. La pronunzia Tar Lazio n. 7236/2018 e conclusioni.

Sommario: 1. Introduzione – 2. Diritto di accesso cd ordinario ex art 22 l. 241/90 – 3. Diritto di accesso semplice e generalizzato – 4. Analisi delle differenze – 5. La pronunzia Tar Lazio n. 7236/2018 e conclusioni.

1. Introduzione 

Il diritto di accesso è una situazione giuridica che attribuisce al privato il potere di acquisire conoscenze relative all’attività della Pubblica amministrazione. Trattasi di una previsione normativa introdotta nel nostro ordinamento soltanto con la l. 241/90, legge mediante la quale il legislatore ha predisposto una regolamentazione piena ed effettiva del procedimento amministrativo, alla luce di un’innovata concezione di attività nonché di autorità amministrativa.

Difatti, sia l’assetto amministrativo in generale nonché le modalità di esercizio delle funzioni attribuite a ciascun ente pubblico hanno fortemente risentito delle influenze avutesi grazie non solo ad una interpretazione costituzionalmente orientata delle norme previgenti riguardanti le Pubbliche amministrazioni (e con particolare riferimento al dovere di solidarietà ex art 2 Cost.) ma soprattutto per il tramite delle diverse richieste provenienti dalla Comunità Europea. 

Lontani sono ormai quei tempi ove l’agere pubblicistico era improntato esclusivamente a mere imposizioni a carattere unilaterale, che vedevano il rapporto pubblico-privato in una netta contrapposizione di poteri e di forza da un lato, e di mera soggezione dall’altro. Ciò comportava non soltanto una impossibilità di poter effettuare qualsiasi rapporto dialogico tra le parti, ma si addivenivano anche conseguenze giuridiche di notevole importanza come, ad esempio, la irrisarcibilità dei danni in conseguenza dei provvedimenti amministrativi lesivi, proprio in ragione della posizione privilegiata che rivestiva l’autorità amministrativa. 

Come già anticipato, l’evoluzione normativa ed apporti sia di natura giurisprudenziale nonché comunitaria, ha forgiato non poco il rapporto tra Pubblica amministrazione e cittadino, mutandolo da mera posizione di forza ad una relazione sempre più paritaria. 

Tale cambiamento, tuttavia, non di certo debba far pensare che il provvedimento amministrativo non possa più incidere unilateralmente nella sfera giuridica del privato, che non sia immediatamente eseguibile ovvero che possa essere portato ad esecuzione prescindendo dall’adire l’autorità giudiziaria; piuttosto indica che tra i due soggetti si instaura un rapporto da cui originano obblighi di collaborazione nonché di protezione della altrui posizione giuridica, dalla cui violazione può originare la loro risarcibilità.

Un ruolo non indifferente è stato svolto anche dalla dottrina che ha contribuito alla evoluzione del concetto di interesse legittimo. Infatti, al fine di fornirne una portata precipua a tale situazione giuridica, furono prospettate diverse concezioni: dall’interesse alla mera legittimità dell’esercizio della potestà pubblica alla tesi di natura processuale, che vedeva l’interesse quale diritto a poter ricorrere nei confronti del provvedimento incidente negativamente nella situazione giuridica soggettiva; tuttavia la dottrina del Nigro è quella che destò maggiori consensi, la quale intese definire l’interesse legittimo non come una mera situazione avente natura strumentale o processuale, quanto piuttosto caratterizzata da una accezione di natura sostanziale volto al conseguimento/mantenimento della posizione giuridica, rectius bene della vita. A ciò venivano, pertanto, conferiti una serie di poteri e facoltà idonee concretamente ad incidere sul decorso dell’attività amministrativa, dando vita ad una vera e propria attività di tipo collaborativo. 

Premesso il contesto storico in cui si insedia la disciplina di cui alla l. 241/90, tale innovata concezione di P.A. ha forgiato completamente i diversi precipitati normativi in essa contenuti. Dall’obbligo di designazione del responsabile del procedimento, al diritto del privato titolare di una situazione giuridica differenziata e qualificata di essere avvisato dell’avvio del procedimento, dalla possibilità di intervenire nello stesso, alla possibilità di poter prendere visione degli atti e documenti amministrativi. 

E proprio in relazione a tale ultimo aspetto, il diritto di accesso si dimostra come un intervento sostanzialmente epocale. Difatti alla stregua dei principi di trasparenza e di pubblicità, si consente all’istante di poter prendere conoscenza di determinati atti della Pubblica amministrazione

Per quanto concerne il concetto di trasparenza, l’art. 1 l. 33/2013 la definisce come “accessibilità dei dati e documenti detenuti dalla pubblica amministrazione, allo scopo di promuovere la partecipazione degli interessati all’attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche”; mentre la pubblicità ha la funzione precipua di promuovere un “diritto alla conoscibilità, imponendo pertanto alla pubblica amministrazione la pubblicazione di atti, documenti, dati oggettivi ed informazioni necessarie affinché possano essere di libera conoscenza e conoscibilità, da assicurare anche mediante la facile accessibilità alle stesse”. 

Alla stregua dei predetti principi, pertanto, il diritto di accesso è lo strumento principale che consente di dare loro plasticità e quindi una materialità concreta. 

All’indomani della modifica legislativa ad opera del d.lgs. 2016 che ha novellato a sua volta il d.lgs 33/2013, sono rinvenibili due ulteriori forme di accesso: ai sensi dell’art 5 co1, l’accesso c.d. semplice, ed ai sensi dell’art 5 co 2, ovvero quello generalizzato. 

L’analisi che verrà effettuata nei paragrafi successivi avrà l’ambizione di chiarire, attraverso una loro lettura sistematica, quali siano gli elementi differenzianti nonché le analogie; e ciò in particolare alla luce della recente sentenza resa dal TAR Lazio in materia.

2. Accesso ex art. 22 e successivi.

Con l’accesso disciplinato ex art. 22 e successivi ai sensi della l. 241/90, il legislatore ha inteso disciplinare il diritto degli interessati a prendere visione, nonché la possibilità di estrarre copia di documenti amministrativi. Il riferimento agli interessati dimostra come non chiunque possa procedere all’istanza ma soltanto coloro che sono portatori di interessi pubblici o diffusi, nonché diretti, concreti ed attuali, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata.

Il riferimento esplicito al concetto di “diritto”, ha fatto sorgere una profonda riflessione giuridica, fintanto da far trasparire, in prime considerazioni dottrinali, come l’accesso sia caratterizzato da una situazione giuridica soggettiva piena e perfetta, contraddistinta da una piena sintesi di posizione di libertà e di forza, che consentiva al soggetto di accedere ai documenti (o comunque variamente denominati) in quanto espressione di una facoltà attribuita direttamente dalla legge e che pertanto era meritevole di tutela. 

Il Consiglio di Stato, tuttavia, chiamato a pronunciarsi sulla tematica sin da prima degli anni 2000, condivise la tesi che la posizione relativa all’accesso fosse qualificabile in termini di interesse legittimo, in considerazione soprattutto del necessario collegamento con il relativo interesse pubblico da parte del privato, che doveva essere sotteso all’istanza di accesso (difatti si menziona che l’interessato è colui che sia “portatore di interessi pubblici diffusi”) ed in ragione della struttura impugnatoria. 

La decisione del Consesso non ebbe l’effetto di sopire il dibattito, portando le successive evoluzioni giurisprudenziali e dottrinali ad inquadrare il diritto di accesso quale diritto soggettivo. Tale tesi assurgeva ad una analisi del potere in capo all’amministrazione qualificabile alla stregua di un potere vincolato, il che determinava in capo alla PA la mera verifica della sussistenza dei presupposti di legge e, dunque, dell’eventuale assenza di motivi idonei ostativi alla richiesta di accesso. 

Occorre specificare che non sempre quando si è innanzi ad un’attività vincolata vi sia in ogni caso la presenza di un diritto soggettivo. Difatti in materia, l’orientamento prevalente tende a distinguere quando il potere vincolato della pubblica amministrazione sia posto a tutela di un interesse pubblico e quando, invece, sia a tutela di un interesse privato. Nel primo caso saremmo in presenza di un interesse legittimo; cioè con tale attività la Pubblica amministrazione deve accertare la compatibilità di quel fatto con l’interesse pubblico. Mentre laddove la Pubblica amministrazione eserciti una mera attività di certificazione, di dichiarazione dell’esistenza di determinati presupposti, stabiliti a monte dalla legge a tutela o comunque per soddisfare un interesse privato, saremmo in presenza di un diritto soggettivo. 

Chiarito sin quanto ora detto, l’Adunanza Plenaria nel 2006 con la pronunzia n.6, è ritornata sulla natura giuridica del diritto di accesso, andando oltre al mero dato formalistico utilizzato dal legislatore.

Innanzitutto, come si evince dalla sentenza richiamata, il diritto di accesso è collegato ai principi di pubblicità e trasparenza, ed in generale al diritto di informazione dei cittadini. Tuttavia, in contesti più generali è possibile che il diritto di accesso possa entrare in contrasto con altre situazioni giuridiche tra di loro in contrapposizione, come la riservatezza dei terzi ovvero la tutela del segreto. Situazioni che sono state prese in considerazione dallo stesso legislatore. 

Tali situazioni più che attribuire al soggetto delle utilità finali, risultano piuttosto rilevanti in quanto offrono al titolare dei poteri di natura procedimentale strumentali alla tutela di una ulteriore posizione giuridica (indifferentemente di diritto soggettivo o interesse legittimo).

Il carattere strumentale di detta posizione si riflette inesorabilmente soprattutto circa il carattere delle azioni. In particolare, il giudizio a struttura impugnatoria consente di assicurare la protezione dell’interesse giuridicamente rilevante ed al contempo si contempera l’esigenza di tutela delle altre posizioni giuridiche interessate. 

Nel contesto normativo vigente, infatti, si pone un limite all’esercizio dell’azione posto a pena di decadenza, e a tutela dell’esigenza di certezza che mal si concilierebbe con la proponibilità di una azione ordinaria nei normali di prescrizione. Inoltre, il carattere decadenziale, reca come la mancata impugnazione non consenta la reiterabilità dell’istanza e quindi la conseguente impugnazione successiva del diniego. Il cittadino potrà reiterare invece l’istanza di accesso e pretendere riscontro solo in presenza a fatti nuovi, sopravvenuti o meno, non rappresentati nell’originaria istanza o anche a fronte di una diversa prospettazione dell’interesse giuridicamente rilevante, cioè della posizione legittimante all’accesso; e, in tal caso, l’originario diniego, da intendere sempre rebus sic stantibus, ancorché non ritualmente impugnato, non spiegherà alcun rilievo nella successiva vicenda procedimentale e processuale. 

3. Accesso civico semplice e generalizzato

Il legislatore, col d.lgs. 97/2016, accanto alla ipotesi di accesso tradizionale di accesso, analizzato precedentemente, ha introdotto due nuove forme di accesso, innovando il d.lgs. 33/2013 prescrivendo nell’art 5, al comma 1 il c.d. accesso civico semplice, caratterizzato essenzialmente dall’obbligo previsto in capo alle Pubbliche amministrazioni, di pubblicare documenti e informazione di qualunque tipo, legittimando ogni cittadino a chiederne l’adempimento in caso di inosservanza dell’obbligo. 

Mentre al 2° comma del medesimo articolo, ha introdotto il c.d. accesso civico generalizzato, che legittima chiunque ad azionare il diritto, senza dimostrare la sussistenza di un interesse concreto e attuale in connessione alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti e senza alcun onere di motivazione della richiesta, al precipuo scopo di consentire una pubblicità̀ diffusa ed integrale in rapporto alle finalità̀ esplicitate dalla legge stessa. 

La disciplina prevista in tali forme non pone alcuna limitazione alla legittimazione soggettiva del richiedente, sebbene può rifiutare il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di interessi prescritti ai sensi dell’art. 5 bis riguardante gli interessi pubblici, ovvero ai sensi del secondo comma per la tutela di interessi privati. 

4. Analisi delle differenze

Pur quanto riguarda i diversi tipi di accesso, sebbene essi siano accomunati da una tutela processuale piena ed effettiva benché espletabile in modalità diverse, vi sono differenze di non poco conto. 

Infatti, la lettura comparatistica consente di poter individuare un primo elemento peculiarizzante ogni diritto di accesso in ragione del contenuto del medesimo. L’Accesso ordinario consta nella sola possibilità di estrarre copia dei documenti specificatamente individuati, e quindi idonei a pervenire ad una conoscenza di situazioni specifiche in modo approfondito; mentre l’accesso semplice e generalizzato consentono una conoscenza più estesa degli atti ma meno approfondita, correlata soprattutto alla funzione di pubblicità. In tal guisa, emblematico è il dato normativo. 

L’art 24 della l 241/90 al co. 3 esclude lapidariamente istanze di accesso preordinate al mero “controllo generalizzato” dell’operato della Pubblica amministrazione, mentre invece le nuove forse di accesso hanno proprio la funzione “di favorire forme diffuse di controllo circa il perseguimento di funzioni istituzionali e sull’utilizzo di risorse pubbliche”. 

A ciò si aggiunge anche la differenza nelle tecniche di bilanciamento tra l’interesse all’accesso e quello contrapposto, pubblico o privato che sia. 

Ai sensi della l. 241/90, esso viene affidato al contemperamento tra l’art 22 e l’art 24 che menziona i casi di esclusione del diritto di accesso; la tecnica legislativa, oltre a menzionare ipotesi ove vengano in rilievo interessi pubblici preminenti,  consente al governo di poter emanare dei regolamenti esecutivi ed integrativi della disciplina normativa, in tutte quelle ipotesi ove non solo vi siano interessi pubblici da tutelare ma anche laddove siano strumentali all’ordine pubblico, riguardino l’attività in corso circa la contrattazione collettiva e quando la richiesta di accesso possa confliggere con la tutela della riservatezza dei privati. 

L’accesso generalizzato invece, non reca preclusioni particolarmente stringenti. Difatti sebbene vengano menzionate delle ipotesi di restrizione in ragione della tutela di interessi pubblici o privati, la legge demanda all’autorità nazionale anticorruzione la definizione delle esclusioni e dei limiti all’accesso civico. Dunque, si è in presenta di ipotesi che sono tutt’altro che lapidarie dall’escludere il diritto di accesso tout court, ma piuttosto devono essere individuati di concerto con le linee guida adottate dall’ANAC. 

Infine, un’altra differenza è rinvenibile nel piano procedurale riguardante i rimedi impugnativi in caso di rigetto dell’istanza di accesso. Ai sensi dell’art 241/90 si forma il silenzio rigetto laddove siano decorsi 30 giorni dalla presentazione dell’istanza, che può essere impugnato nel termine di 60 giorni presso il Tribunale amministrativo regionale ovvero chiedere nello stesso termine al difensore civico competente territorialmente, se costituito, la sua riesamina. 

Mentre ai sensi della l 33/2013, non si forma alcun silenzio rigetto, ma il cittadino può attivare la speciale tutela amministrativa interna innanzi al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza formulando l’istanza di riesame, alla quale deve essere dato riscontro entro i termini previsti ai sensi dell’art 5 co. 7. L’assenza di una tipizzazione del silenzio, implica poi che avverso l’inerzia della pubblica amministrazione, occorre attivare lo specifico rito di cui all’art 117 c.p.a. e poi in caso di diniego espresso, il rito sull’accesso ex art 116 c.p.a. 

5. La pronunzia Tar Lazio n. 7236/2018 e conclusioni

Dopo aver chiarito il quadro normativo, la sentenza in esame interviene al fine di verificare la legittimità del rifiuto rispetto ad una istanza di accesso formulata con generico riferimento al d.lgs. 33/2013 nonché alla l. 241/90 avente in oggetto alcuni quesiti, tra cui alcuni volti ad ottenere l’indicazione dei “responsabili di procedimento cui aveva interesse la parte. 

A seguito della Camera di Consiglio, in applicazione della normativa e delle riflessioni sopra esposte, il Tar ha proceduto per il rigetto, evidenziando come mancassero i presupposti per l’ammissibilità dell’accesso. 

Innanzitutto, l’accesso ordinario, ha in oggetto esclusivamente documenti amministrativi, dovendosi escludere che possano trovare accoglimento richieste volte ad un controllo generalizzato dell’operato dell’amministrazione, tanto più se non identificato. Ma tale rimedio non era compatibile con i quesiti dell’istante il quale era volto a prendere conoscenza dei responsabili dei procedimenti, in quanto l’ordinamento già prevede autonomi e specifici rimedi che avrebbero potuti essere azionati dall’interessato ab origine. 

Per quanto concerne l’accesso ex d.lgs. 33/2013, ostativo alla stessa è la circostanza che non vengono in rilievo atti, dati ovvero informazioni per il quale sussista un obbligo di pubblicazione, risultando pertanto generiche le deduzioni del ricorrente, mancando pertanto il presupposto per l’ammissibilità dell’accesso civico generalizzato. 

Sebbene il legislatore abbia predisposto uno strumento a più ampio respiro rispetto all’accesso ordinario di cui all’art 22 e successivi della l. 241/90, esso non deve essere considerato libero da ogni vincolo e/o riferimento. 

Difatti il Tar Lazio con la sentenza n. 7236/2018, ha specificato che l’istituto di cui all’art 5 del d.lgs. 33/2013 è idoneo a perseguire solo le finalità in esso indicate e cioè “favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali”. Sebbene la legge non richieda una esatta motivazione della richiesta di accesso, deve intendersi implicita come vi debba necessariamente essere una rispondenza della stessa al soddisfacimento di un interesse pubblico e non che abbia una mera finalità conoscitiva animata da mero spirito di curiosità. 

Pertanto, ogni richiesta deve essere sottesa da una qualche finalità pubblica, pena la legittimità del diniego per l’istanza di accesso generalizzato.

Bibliografia

• M. Clarich, Manuale di diritto amministrativo
• F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo

Giurisprudenza

• Cons. St. Ad. Plen. n.6/2006
• Tar Lazio, sent. n. 7236/2018

Fonti normative

• Legge 241/90