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Pubbl. Gio, 19 Mar 2015

Il Quantitative easing: una vera opportunità?

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Maria Gabriella Laratta


La Banca Centrale europea ha lanciato il nuovo programma Quantitative easing, consistente nell´acquisto dei Titoli di stato dei Paesi appartenenti all´Euro-zona. Per fare questo si sono forzate alcune norme dei Trattati istitutivi tra le quali in particolar modo l´art. 125 del TFUE.


Il 9 Marzo 2015 è una di quelle date che di solito si segnano in rosso sul calendario e gli Stati appartenenti all’Eurozona era da tempo che ormai l’avevano cerchiata.

La Banca Centrale Europea ha varato il programma denominato “Quantitative easing“ il c.d. "Alleggerimento quantitativo", consistente nell’acquisto massiccio di titoli di Stato dell’area euro, detenuti nella maggior parte dei casi da banche e assicurazioni, immettendo liquidità nel circuito interbancario, in modo tale che queste ultime, a loro volta, la rimettano nell’economia reale tramite la concessione di mutui e prestiti.  Si auspica in questo modo che l’economia reale possa ripartire.

Si tratta dell’ultimo intervento, in ordine di tempo, messo in campo dalla Banca Centrale Europea per permettere a Eurolandia di uscire dalla stagflazione tutt’ora in atto.

L’attuale crisi finanziaria, infatti, si sostanzia in una sofferenza generalizzata del processo di crescita e di accumulazione del sistema capitalistico, che si è subito riverberata sulle situazioni di squilibrio anomalo dei bilanci dei settori pubblici dei paesi coinvolti.

Da molti paragonata alla “Grande crisi” del ’29, figlia di una globalizzazione “integrata” e “selvaggia” e dell’internazionalizzazione delle economie, oltre che a seminare panico, sfiducia, paura, e poi nell’economia reale che la crisi si è tradotta nell’innalzamento della disoccupazione, per lo più giovanile, abbassamento del Pil e nello stesso tempo aumento del debito pubblico.

Nell’ambito del suo mandato, la Banca Centrale Europea è pronta a salvaguardare l’euro con ogni mezzo. E credetemi, sarà sufficiente”:  sono queste le parole pronunciate a Londra il 26 luglio 2012 dal Presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi.

Agli occhi di chi si occupa di diritto ciò che interessa maggiormente è capire se questo “mezzo” sia rispettoso del principio di legalità, infatti cosi come è accaduto per i precedenti progetti varati dall’Unione Europea, primi fra tutti la creazione dell’Unione Bancaria e l’istituzione del Fondo Salva-Stati, altresì noto semplicemente con l’acronimo MES, anche per questo ulteriore programma si pone la delicata questione se sia rispettoso o meno del dettato dei Trattati.

Se da un lato è fuori di dubbio che il Quantitative easing rientri tra le prerogative della BCE, essendo quest’ultima chiamata a salvaguardare la stabilità dei prezzi della zona euro, dall’altro - ex art. 125 TFUE - l’Unione non risponde né si fa carico degli impegni assunti dalle amministrazioni statali, dagli enti regionali, locali, o altri enti pubblici, da altri organismi di diritto pubblico o da imprese pubbliche di qualsiasi Stato membro.

La norma detta il c.d. principio del no-bailout, divieto nel quale rientrano sia gli impegni che uno Stato potrebbe assumere a priori, obbligandosi ad esempio a "rispondere” con ratei di interesse artificialmente bassi sia quelli che potrebbero assumere a posteriori, acquistando il debito dello Stato in difficoltà, “monetizzandolo”.

Ebbene con il Quantitative easing accade proprio questo, la Bce acquisterà titoli di stato detenuti dai portafogli delle banche provocando di conseguenza un abbassamento dei tassi di interesse sul debito pubblico degli Stati membri.

Per giustificare, in un certo qual modo, uno strappo cosi vistoso ad uno dei cardini della politica monetaria dell’Unione Europea, bisogna ricordare che i programmi di Q. e. rientrano tra le c.d. "misure non convenzionali" che, come facilmente si può intuire, sono strumenti che vengono utilizzati quando intervenire con quelli convenzionali non è più sufficiente.

Proprio perché si tratta di provvedimenti non convenzionali è chiaro che i rischi e i pericoli che si corrono sono maggiori; e sono connessi al fatto che, oltre ad essere non convenzionali, sono strumenti che vengono utilizzati e attuati per la prima volta dalla creazione della moneta unica.

Si può affermare che la compatibilità ai Trattati istitutivi possa essere garantita mediante il ricorso ad un’interpretazione teleologica dell’art. 125 TFUE che tenga conto delle intenzioni ultime dei redattori, attualizzando, allo stesso tempo, il significato della norma in questione.

Infatti è stato asserito che l’art. 125 TFUE sia stato probabilmente concepito per un’applicazione dei singoli casi, allo scopo di prevenire salvataggi di specifici Stati membri, allorquando la politica fiscale nazionale avesse causato delle criticità a quello Stato membro.

L’art. 125 TFUE, e più in generale gli artt. 122-126 TFUE, quindi, non erano predisposti per arginare circostanze in cui ad essere coinvolta era la stabilità finanziaria dell’eurozona nel suo complesso.

Certamente i punti di domanda sono tanti: chi assicura che le banche, ricevuta questa massiccia dose di liquidità, effettivamente, la riverseranno sul mercato distribuendola a famiglie e imprese; chi assicura che gli Stati membri porteranno avanti il treno delle riforme per allinearsi alle politiche fiscali “virtuose” fortemente volute dall’Unione?

È vero che si tratta di un meccanismo già utilizzato dagli Stati Uniti e dal Canada e le rispettive economie hanno dato rilevanti segni di ripresa, ma è pur vero che ci sono marcate differenze con il Vecchio Continente; quindi, a parere di chi qui sta scrivendo, bisogna apprezzare la coraggiosa, e, pur se ritardata, presa di coscienza delle Istituzioni europee e sperare che gli Stati membri dell’Unione Europea non facciano affidamento, sempre e comunque,  sul credito di ultima istanza della BCE ma che continuino a portare avanti il programma di riforme promesso, soprattutto per ridare ai delusi cittadini europei quella credibilità che gli stessi pretendono.