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Pubbl. Gio, 23 Ago 2018

La responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione prima della aggiudicazione definitiva

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Maria Avossa
Università degli Studi di Salerno


La pronuncia dal Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, del 4 maggio 2018, n. 5 e gli ambiti applicativi della responsabilità precontrattuale nei procedimenti ad evidenza pubblica.


Sommario: 1.  Premessa; 2 Il caso; 3. I quesiti posti all’Adunanza Plenaria ed il contrasto giurisprudenziale; 4. La posizione del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2018. n. 5 e le implicazioni nelle procedure ad evidenza pubblica; 4 Osservazioni conclusive.

1. Premessa

L’intervento nomofilattico del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2018, n. 5, richiesto dall’ordinanza di remissione del Consiglio di Stato, Sezione Terza, n. 5492 del 2017, interviene a dirimere il contrasto giurisprudenziale esistente in tema di responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione nei procedimenti ad evidenza pubblica. La questione è affrontata mediante la risposta data ai due quesiti deferiti all’Adunanza Plenaria in esame. Le linee di principio ed i parametri ivi enunciati si pongono come nuovo punto di osservazione della più ampia tematica di fondo relativa al rapporto intercorrente la culpa in contrahendo e l’attività della Pubblica Amministrazione nelle procedure ad evidenza pubblica.

2. Il caso

La vicenda processuale oggetto della pronuncia del Consiglio di Stato del 4 maggio 2018, n. 5 trae origine dalla vertenza promossa presso il TAR Calabria avverso la condotta provvedimentale tenuta da una Stazione Unica Appaltante in sede di procedura ad evidenza pubblica. La Stazione appaltante, in luogo della emanazione degli atti di conclusione della procedura della gara indetta, dispose un provvedimento di annullamento d’ufficio (rispettivamente del decreto di indizione della gara e del decreto di approvazione degli atti di gara). La motivazione del provvedimento amministrativo di annullamento venne ricondotta a due criteri, invocati ai sensi dell’art. 97 Cost., quali il principio costituzionale del buon andamento dell’attività della pubblica amministrazione e l’interesse pubblico all’annullamento di una aggiudicazione inficiata da errori materiali. Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima), giudice di prime cure della questione, con sentenza del 23/03/2017, n. 515 provvide, in termini, rigettando il ricorso nella parte relativa alla richiesta la pronuncia demolitoria di annullamento degli atti impugnati e lo accolse (nei limiti di cui in motivazione) nella parte in cui era stato adito in domanda per il risarcimento dei danni, da liquidare, secondo i criteri indicati nella parte motiva. La pronuncia giudiziale fondò il titolo risarcitorio sulla responsabilità precontrattuale della stazione appaltante per violazione dell'obbligo di buona fede incombente sulle parti nel corso delle trattative. L’attenzione dei giudici di Palazzo Spada sulla questione della risarcibilità del danno a titolo di responsabilità precontrattuale fu sollevata in ragione di appello interposto dalle parti processuali avverso alla pronuncia del TAR Calabria. La Sezione Terza del Consiglio di Stato con sentenza non definitiva del 24 novembre 2017 n° 5491 provvide a dare avviso che - con separata ordinanza - sarebbe stato richiesto l’intervento della Adunanza Plenaria, a cui si diede attuazione con ordinanza del Consiglio di Stato, in sede giurisdizionale, del 24 novembre 2017, n. 5492.

3. I quesiti posti all’Adunanza Plenaria ed il contrasto giurisprudenziale.

L’ordinanza di rimessione della Sezione Terza del Consiglio di Stato deferisce alla Adunanza Plenaria due quesiti concernenti la quaestio iuris dell’ammissibilità della responsabilità precontrattuale - nell’ambito delle procedure a evidenza pubblica finalizzate all’affidamento di appalti e contratti - anche nella fase che precede la scelta del contraente, nonché la valutazione del comportamento dell’Amministrazione anteriore o successivo al bando di gara.

Il primo è: “Se la responsabilità precontrattuale sia o meno configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione”.

Il secondo è: “Se, nel caso di risposta affermativa, la responsabilità precontrattuale debba riguardare esclusivamente il comportamento dell’amministrazione anteriore al bando, che ha fatto sì che quest’ultimo venisse comunque pubblicato nonostante fosse conosciuto, o dovesse essere conosciuto, che non ve ne erano i presupposti indefettibili, ovvero debba estendersi a qualsiasi comportamento successivo all’emanazione del bando e attinente alla procedura di evidenza pubblica, che ne ponga nel nulla gli effetti o ne ritardi l’eliminazione o la conclusione

Le due questioni devolute all’Adunanza Plenaria formano oggetto di orientamenti giurisprudenziali contrastanti. Il Consiglio di Stato nella ordinanza di remissione riassume le posizioni assunte dalla Giurisprudenza. In primo luogo ricorda (§ 6.2 dell’ordinanza di rimessione all A.P.) come una prima posizione riguardi la configurazione della responsabilità precontrattuale nella fase successiva alla aggiudicazione. La giurisprudenza più datata ha, in generale, riconosciuto la responsabilità precontrattuale in tutti i casi in cui la Pubblica amministrazione, dopo l'aggiudicazione ponga in essere provvedimenti quali, ad esempio, di revoca, annullamento, diniego di stipula o di approvazione che pongano nel nulla gli esiti della procedura di selezione. In questa prospettiva, la responsabilità è stata, indifferentemente, configurata dalla giurisprudenza sia in presenza del preventivo annullamento per illegittimità di atti della sequenza procedimentale, sia in caso di loro validità ed efficacia, ma sempre e solo nel caso sia già intervenuta aggiudicazione (si veda in proposito Cons. St., Adunanza Plenaria, 05/09/2005, n. 6; cfr. fra le tante, Cons. St., sez. VI, 17 dicembre 2008, n. 6264; sez. VI, 5 aprile 2006, n. 1763; sez. V, 6 dicembre 2006, n. 7194; Ad. plen., 5 settembre 2005, n. 6, Cons. Giust. Amm. Sic., 15 aprile 2009, n. 230; Cons. Stato Sez. V, Sent., 07 luglio 2009, n. 5245) e più precisamente : a) nel caso di revoca dell'indizione della gara e dell'aggiudicazione per esigenze di una ampia revisione del progetto, disposta vari anni dopo l'espletamento della gara; b) per impossibilità di realizzare l'opera prevista per essere mutate le condizioni dell'intervento; c) nel caso di annullamento d'ufficio degli atti di gara per un vizio rilevato dall'amministrazione solo successivamente all'aggiudicazione definitiva o che avrebbe potuto rilevare già all'inizio della procedura; d) nel caso di revoca dell'aggiudicazione, o rifiuto a stipulare il contratto dopo l'aggiudicazione, per mancanza dei fondi.

Per ciò che concerne, invece, la fase anteriore alla aggiudicazione si fronteggiano due posizioni giurisprudenziali contrapposte di cui il Giudice remittente da conto in ordinanza di rimessione. Un primo orientamento fa capo, fra le tante, alla pronuncia del Consiglio di Stato 15 luglio 2013, n.3831. Qui il Consiglio riporta un orientamento favorevole alla sussistenza della responsabilità precontrattuale, anche nella fase che precede la scelta del contraente, sebbene resti rilevante il momento ed il grado di sviluppo raggiunto dalla singola procedura di evidenza pubblica al momento della revoca poiché, riflettendosi sullo spessore dell’affidamento ravvisabile nei partecipanti, presenta una sicura rilevanza, sul piano dello stesso diritto comune, ai fini dello scrutinio di fondatezza della domanda risarcitoria a titolo  di responsabilità precontrattuale. Un secondo orientamento è riconducibile, ex plurimis, alla sentenza del Consiglio di Stato 29 luglio 2015, n.3748. In tale orientamento si afferma che la violazione delle regole di correttezza, che presidiano la formazione del contratto, divengono rilevanti solo dopo che la fase pubblicistica abbia attribuito all’interessato effetti concreti e vantaggi e soltanto dopo che tali effetti siano venuti meno, nonostante l'affidamento ormai conseguito dalla medesima parte interessata.  Il Giudice rimettente articola le proprie argomentazioni in favore dell’orientamento più restrittivo, riconducendolo oltre che alla citata sentenza anche alle più recenti pronunce del Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato Sez. V, n. 1599 del 2016; Sent., 08-11-2017, n. 5146. Contra, solo Cons. Stato Sez. V, Sent., 21-04-2016, n. 1599).

4. La posizione del Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, 4 maggio 2018. n. 5 e le implicazioni nelle procedure ad evidenza pubblica.  

L’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, con sentenza 4 maggio 2018. n. 5 estende il perimetro applicativo della responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione, tracciandone la configurabilità anche nelle ipotesi in cui l’affidamento sia stato leso prima alla scelta del contraente e, quindi, prima dell’aggiudicazione. Non costituisce circostanza ostativa il fatto che la lesione dell’affidamento intervenga prima dell’aggiudicazione propedeutica alla stipula del contratto. Men che meno osta il fatto che la parte non sia stata ancora individuata, come il dettato dell’art. 1337 c.c. richiederebbe.

Di fatto la Pubblica Amministrazione, secondo quanto espresso nella sentenza 4 maggio 2018, n. 5 emessa dal Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria, è tenuta a comportarsi secondo buona fede anche prima dell’aggiudicazione, sia nella fase antecedente al bando, sia in quella successiva.

Il ragionamento logico-giuridico dell’Adunanza plenaria si articola in punto di diritto dando soluzione ai due quesiti deferiti dalla Ordinanza di rimessione del 24 novembre 2017, n. 5492 della terza Sezione del Consiglio di Stato. Il primo dei quesiti è: “Se la responsabilità precontrattuale sia o meno configurabile anteriormente alla scelta del contraente, vale a dire della sua individuazione, allorché gli aspiranti alla posizione di contraenti sono solo partecipanti ad una gara e possono vantare un interesse legittimo al corretto esercizio dei poteri della pubblica amministrazione”.

Il secondo è: “Se, nel caso di risposta affermativa, la responsabilità precontrattuale debba riguardare esclusivamente il comportamento dell’amministrazione anteriore al bando, che ha fatto sì che quest’ultimo venisse comunque pubblicato nonostante fosse conosciuto, o dovesse essere conosciuto, che non ve ne erano i presupposti indefettibili, ovvero debba estendersi a qualsiasi comportamento successivo all’emanazione del bando e attinente alla procedura di evidenza pubblica, che ne ponga nel nulla gli effetti o ne ritardi l’eliminazione o la conclusione”

L’Adunanza plenaria ritiene che le questioni rimesse dalla Sezione Terza del Consiglio di Stato debbano essere risolte nel seguente modo: in merito al primo quesito, L’Adunanza Plenaria risponde che il dovere di correttezza e di buona fede oggettiva (e la conseguente responsabilità precontrattuale derivante dalla loro violazione) sia configurabile in capo all’Amministrazione anche prima e a prescindere dall’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva.

Con riguardo al primo quesito, l'Adunanza ha ritenuto preferibile aderire all'orientamento della giurisprudenza in base al quale il dovere di correttezza e buona fede (e l'eventuale responsabilità precontrattuale in caso di sua violazione) si configura, prima (prescindendo) dell'aggiudicazione ed  in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica finalizzate  alla scelta del contraente. Il procedimento ad evidenza pubblica si pone quale strumento di formazione progressiva del consenso contrattuale nell'ambito di un sistema di trattative (c.d. multiple o parallele). In costanza della formazione progressiva si determina la generazione di un rapporto giuridico sin dal momento in cui vengono presentate le offerte.  In tale frangente la responsabilità precontrattuale della Pubblica amministrazione è rivolta a tutelare il legittimo affidamento nella correttezza della controparte, che sorge sin dall'inizio del procedimento. Per l’adunanza Plenaria non è necessario un rapporto personalizzato tra P.A. e privato per la sussistenza della responsabilità precontrattuale, poiché in tale prospettiva avrebbe la sua unica fonte nel provvedimento di aggiudicazione.

Per la motivazione in tal senso, l’Adunanza Plenaria prende in considerazione l’operatività dell’articolo 1337 c.c. nella sua dimensione costituzionalmente orientata. Il legame che si instaura tra dovere di correttezza e libertà di autodeterminazione negoziale letta alla luce dell’art 2 Cost. va a sostituire l’impostazione precedente che legava la tutela dell’interesse nazionale alla correttezza nell’accezione funzionale attribuita all’art 1337 c.c. del codice civile del 1942, ossia quella di favorire la conclusione di un contratto (valido) e socialmente utile. Nel disegno costituzionale - che pone al centro l’individuo (art. 2 Cost.) - l’attenzione si sposta dal perseguimento dell’utilità sociale alla tutela della persona e delle sue libertà.  Il nuovo legame che così si instaura tra dovere di correttezza e libertà di autodeterminazione negoziale impedisce di restringerne lo spazio applicativo alle sole situazioni in cui sia stato avviato un vero e proprio procedimento di formazione del contratto o, comunque, ai casi in cui esista una trattativa che abbia raggiunto già una fase molto avanzata, tanto da far sorgere il ragionevole affidamento circa la conclusione del contratto. La valenza costituzionale del dovere di correttezza impone di ritenerlo operante in un più vasto ambito di casi, in cui, pur eventualmente mancando una trattativa in senso tecnico-giuridico, venga, comunque, in rilievo una situazione “relazionale” qualificata, capace di generare ragionevoli affidamenti e fondate aspettative.

A supporto di tale impostazione si pongono le precedenti pronunce della Corte di Cassazione (già citate al 2 di questo commento), in particolar misura la Sentenza Cass. Civ., Sez. I., 12 luglio 2016, n 14188 in argomento di contatto sociale qualificato. La sentenza viene richiamata dalla Adunanza Plenaria n. 5 del 2018. La relazione con tale pronuncia è facilmente comprensibile, data la prospettazione della culpa in contrahendo e le relative conseguenze risarcitorie (sia pure espungendo, ai fini delle argomentazioni logico giuridiche dell'A.P. il diverso profilo della responsabilità ex art 1218 c.c., non pertinente ai fini del richiamo operato). Il richiamo, sia pur breve, serve all’Adunanza per sottolineare la prospettiva del mutato quadro costituzionale, in ragione del fatto che è affermazione largamente condivisa quella secondo cui il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede rappresenta una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale che trova il suo principale fondamento nell’articolo 2 della Costituzione. La teoria del “contatto sociale qualificato” (argomentato nella sentenza Cass. 14188 del 2016) per l’Adunanza Plenaria porta con sé il pregio di avere messo bene in luce il legame esistente tra l’ambito e il contenuto dei doveri di protezione e correttezza, da un lato, e il grado di intensità del momento relazionale e del conseguente affidamento da questo ingenerato, dall’altro. L’elemento qualificante del contatto sociale che vale a definire il contatto “qualificato” come fonte di doveri puntuali di correttezza a tutela dell’altrui affidamento è lo status – personale, professionale e, talvolta, pubblicistico – del soggetto pubblico o privato della vicenda “relazionale”. Tale status è sicuramente individuabile in capo a chi esercita una funzione amministrativa, costituzionalmente sottoposta ai principi di imparzialità e di buon andamento (art. 97 Cost.), quale una Pubblica Amministrazione, da cui il cittadino si aspetta uno sforzo maggiore, in termini di correttezza, lealtà, protezione e tutela dell’affidamento, rispetto a quello che si attenderebbe da un soggetto comune.

La prospettiva costituzionalmente orientata rende intellegibile e spiega il motivo per cui L’Adunanza Plenaria respinga la visione della corrente giurisprudenziale restrittiva, caldeggiata in ordinanza di remissione dalla Terza Sezione del Consiglio di Stato n.5492 del 2017 e prospettata in sede di motivazione dell’ordinanza di remissione in uno alla giurisprudenza in essa richiamata. La corrente giurisprudenziale restrittiva (riportata al § 3 di questo commento) parte dalla premessa teorica che il dovere di correttezza e di buona fede trovi il suo presupposto in una “trattativa” già in stato avanzato, tale da far sorgere un ragionevole affidamento nella conclusione del contratto (la c.d. “trattativa affidante”). Ciò giustifica la conclusione secondo cui, nelle procedure ad evidenza pubblica, è soltanto l’aggiudicazione (definitiva) il momento a partire dal quale il partecipante alla gara può avere un ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.  In conseguenza a ciò ne discenderebbe la legittima doglianza del “recesso” ingiustificato dalle trattative che la stazione appaltante abbia posto in essere attraverso l’esercizio dei poteri di autotutela pubblicistici sugli atti di gara. La premessa teorica alla base del filone giurisprudenziale corrispondente troverebbe supporto nel dato normativo dell’’art. 1337 c.c., che pone il dovere di correttezza in capo alle “parti” della “trattativa” e del “procedimento di formazione del contratto”, in assolvimento di una funzione economico-sociale. Vale la pena ricordare che nell’intenzione originaria dei compilatori del codice civile del 1942, l’art. 1337 c.c. rappresentava un’espressione tipica della c.d. solidarietà corporativa, vale a dire di quel tipo di solidarietà che unisce tutti i fattori di produzione verso la realizzazione della massima produzione nazionale Alla luce del dato costituzionale del disposto dell’art.2 Cost., la funzione dell’art. 1337 c.c. non è più -soltanto- quella asetticamente legata al dovere di correttezza precontrattuale di cui all’art. 1337 e 1338 c.c.,  inteso come la reazione negativa del legislatore nei confronti della attività prenegoziale di una delle parti che interrompe  la trattativa ed impedisce la nascita di quei valori meritevoli di tutela che il contratto (sfumato o invalidamente concluso) avrebbe perseguito. La rivisitazione, in un’ottica costituzionalmente orientata, di quelle disposizioni che, come l’art. 1337 c.c., utilizzano “clausole generali” (la buona fede appunto), le rende destinate, per loro stessa natura, a adeguarsi ai mutamenti che interessano l’ordinamento giuridico e la società civile. Il dovere di comportarsi secondo correttezza e buona fede rappresenta una manifestazione del più generale dovere di solidarietà sociale che trova il suo principale fondamento nell’articolo 2 della Costituzione (cfr., ex multis, Cass. civ., sez. I, 12 luglio 2016, n. 14188). Detto ciò, la soluzione adottata dalla Adunanza Plenaria nella pronuncia n.5 del 2018 -per il primo quesito risolto- rafforza la culpa in contrahendo nel suo inquadramento nei procedimenti ad evidenza pubblica. Nella scelta del contraente tali procedure determinano la formazione necessariamente progressiva del contratto che si sviluppa in base allo schema dell’offerta al pubblico ed in cui l’amministrazione entra in contatto con una pluralità di partecipanti, con ciascuno dei quali instaura trattative (c.d. multiple e parallele). La conseguenza diretta è che si determina la costituzione di un rapporto giuridico dal momento della presentazione delle offerte. Pertanto, già nell’ambito di ciascuno di tali rapporti la P.A. è tenuta al rispetto dei principi generali di comportamento posti dalla legge a tutela indifferenziata degli interessi delle parti in contatto. L’ovvia conseguenza è che il mancato rispetto di tale precetto, anche anteriore alla conclusione della gara, determina l’insorgere della responsabilità precontrattuale della Pubblica Amministrazione a prescindere dalla prova dell’eventuale diritto all’aggiudicazione del partecipante. L’ operatività della culpa in contrahendo non richiede, infatti, un rapporto personalizzato tra P.A. e privato poiché è posta a tutela del legittimo affidamento nella correttezza della controparte, che sorge nel momento di inizio del procedimento. D’altro canto, la sentenza n.3831 del 2013 del Consiglio di Stato ha già chiarito che la fase di formazione dei contratti pubblici è caratterizzata dalla contestuale presenza di un procedimento amministrativo e di un procedimento negoziale. Ci si trova così in presenza di una unica serie di atti operanti in una duplice dimensione, pubblicistica e privatistica. Ciò consente di concludere che la fase dell’evidenza pubblica non si colloca al di fuori delle trattative, ma ne costituisce una parte integrante. Anche il legislatore, del resto, ha mostrato propensione per l’impostazione teorica secondo cui i doveri di correttezza e di lealtà gravano sulla pubblica amministrazione anche quando essa esercita poteri autoritativi sottoposti al regime del procedimento amministrativo. Un esempio è dato dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241 il quale assoggetta l’attività amministrativa ai principi dell’ordinamento comunitario, tra i quali assume un rilievo primario la tutela dell’affidamento legittimo. Notoriamente il principio della tutela dell’affidamento, pur se non espressamente contemplato dai Trattati, è stato più volte affermato dalla Corte di giustizia (a partire dalla sentenza Topfer del 3 maggio 1978, C-12/77), che lo ha elevato al rango di principio dell’ordinamento comunitario.

Per analoghe ragioni, l'Adunanza plenaria risolve in termini negativi anche il secondo quesito che l’ordinanza di rimessione ha posto all’attenzione dell’Adunanza Plenaria. Il quesito (si ricorda) è:  se la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione nella fase anteriore all’aggiudicazione debba riguardare esclusivamente il comportamento anteriore al bando, e, quindi, debba essere circoscritta alle ipotesi in cui l’amministrazione ha fatto sì che il bando venisse pubblicato nonostante fosse conosciuto o conoscibile che non vi erano i presupposti indefettibili.

La pronuncia n. 5 del 2018 in commento affronta anche un altro aspetto. L’Adunanza Plenaria va ad approfondire quali siano i requisiti necessari per poter configurare la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione. Non essendo sufficiente la buona fede soggettiva del privato si aggiungono ulteriori presupposti, come ad esempio: “a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione.

La necessità di definire e accertare con rigore tali elementi costitutivi trova riscontro nella necessità di stabilire un punto di equilibrio tra opposti valori meritevoli di tutela cioè, tra la libertà negoziale di chi patisce, suo malgrado, gli effetti e le conseguenze del recesso dalle trattative (o, comunque, la lesione dell’affidamento sulla serietà delle stesse) e  la libertà contrattuale della parte che, prima che sorga del vincolo contrattuale, decide di interrompere il procedimento di formazione del contratto. Ovviamente, qualora si tratti di contratti stipulati all’esito delle procedure di evidenza pubblica, la libertà contrattuale della stazione appaltante coincide anche con l’interesse pubblico alla cui tutela è preordinato l’esercizio dei poteri di autotutela provvedimentale sugli atti di gara. Con ciò si vuol significare che la parte entrata in una trattativa precontrattuale (specialmente se condotta nelle forme del procedimento di evidenza pubblica, soggetto anche ai poteri di autotutela pubblicistici preordinati alla cura dell’interesse pubblico), giocoforza assumerà margine di rischio, preventivabile, in ordine alla conclusione del contratto, derivante  dall’esercizio della libertà contrattuale di entrambe le parti, e quindi anche dal legittimo esercizio alla libertà contrattuale dell’amministrazione.

In buona sostanza, la libertà contrattuale della stazione appaltante e la discrezionalità nell’esercizio delle sue prerogative pubblicistiche da una parte, vanno contemperate, dall'altra, con il limite della correttezza e della buona fede. Ciò comporta la disciplinata applicazione dei principi e degli elementi costitutivi della fattispecie generatrice di responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione. Inoltre, va tenuto in considerazione un altro elemento ai fini della configurabilità della responsabilità precontrattuale, ossia l’affidamento incolpevole del privato. Questo elemento costitutivo della complessa fattispecie che perfeziona l’illecito, peraltro, va valutato tenendo in considerazione tutte le circostanze del caso concreto e sempre considerando che (nell’ambito del procedimento amministrativo), il dovere di correttezza è un dovere con caratteri di reciprocità tra le parti, che grava, quindi, tanto sulla Pubblica Amministrazione quanto sul privato. Con ciò si vuol dire che il privato non è affatto esentato dal rispetto degli oneri di diligenza e di leale collaborazione verso l’Amministrazione. A tale logica soggiace anche la posizione delle parti – privato e P.A.- in sede di procedimento ad evidenza pubblica. Gli aspetti relativi agli elementi costitutivi della fattispecie che perfeziona l’illecito da considerare nel momento in cui si procede all’applicazione si legano a molteplici principi non predeterminabili in astratto e variabili che possono, di volta in volta, connotarsi nella specifica situazione. Tuttavia si possono evidenziare alcuni profili in grado di incidere sul giudizio -e di condizionarne il giudizio- sull’esistenza dei presupposti della responsabilità quali, ad esempio, quelli citati dalla pronuncia della Adunanza Plenaria in commento, cioè: a) il tipo di procedimento di evidenza pubblica che viene in rilievo (anche tenendo conto dei diversi margini di discrezionalità di cui la stazione appaltante dispone a seconda del criterio di aggiudicazione previsto dal bando); b) lo stato di avanzamento del procedimento rispetto al momento in cui interviene il ritiro degli atti di gara; c) il fatto che il privato abbia partecipato al procedimento e abbia, dunque, quanto meno presentato l’offerta (in assenza della quale le perdite eventualmente subite saranno difficilmente riconducibili, già sotto il profilo causale, a comportamenti scorretti tenuti nell’ambito di un procedimento al quale egli è rimasto estraneo); d) la conoscenza o, comunque, la conoscibilità, secondo l’onere di ordinaria diligenza richiamato anche dall’art. 1227, comma 2, cod. civ., da parte del privato dei vizi (di legittimità o di merito) che hanno determinato l’esercizio del potere di autotutela (anche tenendo conto del tradizionale principio civilistico, secondo cui non può considerarsi incolpevole l’affidamento che deriva dalla mancata conoscenza della norma imperativa violata); e) la c.d. affidabilità soggettiva del privato partecipante al procedimento (ad esempio, non sarà irrilevante verificare se avesse o meno i requisiti per partecipare alla gara di cui lamenta la mancata conclusione o, a maggior ragione, l’esistenza a suo carico di informative antimafia che avrebbero comunque precluso l’aggiudicazione o l’esecuzione del contratto).

La summa dell’articolato discorso argomentativo - svolto dall’Adunanza plenaria nella sentenza n. 5 del 2018 circa la responsabilità precontrattuale e la relativa fattispecie che ne perfeziona l’illecito – si concentra nella enunciazione di specifici i principi di diritto nella sentenza in commento:

- Anche nello svolgimento dell’attività autoritativa, l’amministrazione è tenuta a rispettare oltre alle norme di diritto pubblico (la cui violazione implica, di regola, l’invalidità del provvedimento e l’eventuale responsabilità da provvedimento per lesione dell’interesse legittimo), anche le norme generali dell’ordinamento civile che impongono di agire con lealtà e correttezza, la violazione delle quali può far nascere una responsabilità da comportamento scorretto, che incide non sull’interesse legittimo, ma sul diritto soggettivo di autodeterminarsi liberamente nei rapporti negoziali, cioè sulla libertà di compiere le proprie scelte negoziali senza subire ingerenze illecite frutto dell’altrui scorrettezza.

- Nell’ambito del procedimento di evidenza pubblica, i doveri di correttezza e buona fede sussistono, anche prima e a prescindere dell’aggiudicazione, nell’ambito in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica, con conseguente possibilità di configurare una responsabilità precontrattuale da comportamento scorretto nonostante la legittimità dei singoli provvedimenti che scandiscono il procedimento.

- La responsabilità precontrattuale della pubblica amministrazione può derivare non solo da comportamenti anteriori al bando, ma anche da qualsiasi comportamento successivo che risulti contrario, all’esito di una verifica da condurre necessariamente in concreto, ai doveri di correttezza e buona fede.

- Affinché nasca la responsabilità dell’amministrazione non è sufficiente che il privato dimostri la propria buona fede soggettiva (ovvero che egli abbia maturato un affidamento incolpevole circa l’esistenza di un presupposto su cui ha fondato la scelta di compiere conseguenti attività economicamente onerose), ma occorrono gli ulteriori seguenti presupposti: a) che l’affidamento incolpevole risulti leso da una condotta che, valutata nel suo complesso, e a prescindere dall’indagine sulla legittimità dei singoli provvedimenti, risulti oggettivamente contraria ai doveri di correttezza e di lealtà; b) che tale oggettiva violazione dei doveri di correttezza sia anche soggettivamente imputabile all’amministrazione, in termini di colpa o dolo; c) che il privato provi sia il danno-evento (la lesione della libertà di autodeterminazione negoziale), sia il danno-conseguenza (le perdite economiche subite a causa delle scelte negoziali illecitamente condizionate), sia i relativi rapporti di causalità fra tali danni e la condotta scorretta che si imputa all’amministrazione.

5. Osservazioni conclusive.

La pronuncia dell’Adunanza Plenaria in sentenza n. 5 del 2018 circa la responsabilità precontrattuale rappresenta, oggi, l'ultimo punto di approdo del percorso giurisprudenziale ampio ed articolato che, facendo leva su un prototipo di attività amministrativa non scisso dai principi costituzionali, tende sempre più ad un modello di attività di grado paritetico rispetto al privato. L’astratta configurabilità in capo alla Pubblica Amministrazione -in tutte le fasi della procedura ad evidenza pubblica- ne è un esempio eclatante: si abbandona la presunzione di non colpevolezza nei rapporti con il privato anche in fasi procedurali imperniate su parametri iure imperii come quello di scelta del contraente. Il ragionamento della Adunanza Plenaria non lascia spazio a dubbi ove assimila la procedura di gara ad una formazione progressiva del contratto, in cui la costituzione del rapporto giuridico si genera sin dal momento della presentazione delle offerte, instaurando trattative con una pluralità di partecipanti e, specificamente, con ciascuno di essi. Il passaggio successivo dell’applicazione il principio cardine del neminem laedere - applicato in tutte le fasi della procedura - ne è una logica conseguenza, volta a bilanciare l’ontologica asimmetria che connota il rapporto tra PA e privato nel segmento pubblicistico della gara. Quindi, in presenza di una condotta scorretta imputabile alla Pubblica amministrazione si legittima in capo al privato il titolo per esperire azione risarcitoria per responsabilità precontrattuale a carico della pubblica amministrazione, anche se gli estremi della fattispecie si verifichino nella fase di scelta del contraente un procedimento ad evidenza pubblica.  Non resta, per il futuro, che attendere gli ulteriori sviluppi derivanti dalla applicazione dei principi enunciati dalla Adunanza Plenaria, verificandone i profili applicativi concreti. Il percorso intrapreso dall’Adunanza Plenaria con la sentenza n. 5 del 2018 lascerebbe presagire ciò che parte della dottrina auspica, cioè la metamorfosi del giudice amministrativo “da giudice dell'annullamento a giudice del risarcimento”, al fine di evitare i possibili effetti distorsivi del risarcimento determinati dalla particolare natura pubblicistica del soggetto danneggiante.

Bibliografia

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