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Pubbl. Lun, 20 Ago 2018

Donare il suolo e rivenderlo non costituisce elusione fiscale

Andrea Bazzichi


I trasferimenti tra familiari sono valutabili da un punto di vista economico?


Sommario: 1) Cenni generali: il problema del carattere negativo della nozione di elusione ed abuso fiscale; 2) La sequenza donazione-vendita. I rapporti tra familiari sono passibili di essere giudicati sul piano economico? Il caso affrontato da Cass. 17128/2018; 3) La sequenza donazione-vendita o è un'ipotesi di evasione fiscale oppure è lecita: l'elemento dirimente dell'effettivo percettore del ricavato della vendita; 4) Considerazioni conclusive. 

Sommario: 1) Cenni generali: il problema del carattere negativo della nozione di elusione ed abuso fiscale; 2) La sequenza donazione-vendita. I rapporti tra familiari sono passibili di essere giudicati sul piano economico? Il caso affrontato da Cass. 17128/2018; 3) La sequenza donazione-vendita o è un'ipotesi di evasione fiscale oppure è lecita: l'elemento dirimente dell'effettivo percettore del ricavato della vendita; 4) Considerazioni conclusive. 

1) Cenni generali: il problema del carattere negativo della nozione di elusione ed abuso fiscale.

Qualsiasi definizione di istituti giuridici avente carattere negativo, oltre che inappagante per l'interprete, inevitabilmente risulta di difficile applicazione nell'esperienza pratica. In virtù del carattere residuale che le è proprio, il confronto con altre definizioni afferenti ad istituti similari o prossimi, può forse consentire di sapere, appunto in negativo, cosa non viene definito, ma non l'aspetto positivo di ciò che, invece si vorrebbe delimitare. Ciò può affermarsi per quanto concerne le nozioni di elusione fiscale e di abuso del diritto, che nate come nozioni distinte, anche in virtù del percorso legislativo compiuto negli ultimi anni possono essere rappresentate come un unicum. Peraltro, tale oggettiva difficoltà di inquadramento era ben nota al legislatore del 1942 che consapevolmente decise di non immettere nel codice civile una clausola generale attinente all'abuso del diritto. Da un lato perché le clausole generali, per la loro specifica natura hanno sempre contorni non ben definiti, ma soprattutto mobili. Dall'altro, per evitare il pericolo dell'inevitabile potere discrezionale che verrebbe conferito in sede di giudizio al giudice, il quale dovrebbe, di volta, in volta riempire di contenuti detta clausola in correlazione al caso di specie sottoposto alla sua analisi. Comunque, pur di fronte alle citate difficoltà, secondo quella che è la ricostruzione più accreditata l'elusione fiscale viene catalogata come l'aggiramento, lo sviamento delle norme tributarie. Mentre l'abuso del diritto viene rappresentato come l'uso distorto, anche in combinazione di strumenti giuridici, di per sé leciti; per un fine diverso da quello per il quale tale diritto viene conferito. Idealmente, possiamo indicare l'elusione e l'abuso del diritto come un figura mediana, che sta in mezzo al guado tra l'evasione fiscale, che comporta la violazione diretta delle norme tributarie, ed il legittimo risparmio di imposta. Tale schema consente di non appiattire troppo l'interpretazione solo sul primo rapporto evasione-elusione, spesso in realtà tanti casi di elusione sono casi di evasione, e forse di poter recuperare, concentrando l'attenzione anche sul secondo rapporto elusione-legittimo risparmio di imposta, un minimo di autonomia e di contenuto positivo al concetto di abuso del diritto nell'ambito tributario. L'operazione non è semplice, poiché è insito nell'istituto dell'abuso del diritto un'intima contraddizione: l'esercizio di un diritto è ammesso o non è ammesso. Se è ammesso non possiamo avere violazione alcuna, se non è ammesso non siamo in presenza di un uso distorto, bensì di una violazione diretta di una norma che impedisce, giustappunto l'esercizio di quel diritto. Sono tematiche ben note ai civilisti allorquando hanno cercato di dare un minimo di autonomia al negozio in frode alle legge ex art 1344 c.c, rispetto all'art. 1343 c.c. che prescrive la nullità dei contratti con causa illecita. In definitiva, stante il divieto di analogia stabilito all'art. 14 delle disposizioni preliminari al codice civile, la violazione indiretta o si risolve, in concreto in una violazione diretta, o non può sanzionata perché configura un'ipotesi simile. Peraltro, un profilo che spesso viene obliterato è che nella gerarchia dei criteri interpretativi enucleati all'art. 12 delle disposizioni preliminari il criterio teleologico, ovvero l'individuazione della ratio juris della norma è secondario e successivo rispetto a quello letterale, e l'accertamento dei fini della norma è sempre soggetto a valutazioni necessariamente discrezionali. Di una qualche utilità, nel novero delle disposizione imperative che possono essere violate direttamente o indirettamente è la distinzione operata da parte della dottrina tra norme materiali e norme formali. Le prime sanzionano il raggiungimento di un risultato con un determinato mezzo, il che comporta che per definizione è consentito l'approdo con mezzi diverse ed alternativi. Invece, le seconde interdicono il raggiungimento di tale risultato con qualsiasi mezzo, anche se diverso da quello espressamente indicato dal legislatore. A dimostrazione del carattere meramente negativo del concetto di elusione, basta prendere in considerazione quello che abbiamo, in precedenza indicato, come il secondo rapporto, ovvero elusione-legittimo risparmio. L'elusione fiscale può essere circoscritta come un'ipotesi di risparmio illegittimo, ed il legittimo risparmio a sua volta come un'ipotesi di mancata elusione fiscale. In altri termini, ci troviamo di fronte ad una definizione circolare, che nulla aggiunge al punto di partenza ed al contenuto dei due elementi presi in oggetto. In conclusione di queste prime note introduttive, in rapida sequenza abbiamo una nozione generale di abuso del diritto di dubbio inquadramento, che sovente viene correlata ai fenomeni o del collegamento negoziale o del negozi indiretti che non istituti disciplinati per legge. Infine, si rinviene il fondamento della clausola generale antiabuso o negli artt. 53 e 3 Cost che, però sono norme programmatiche e nel contempo possono essere anche lette come salvaguardia del legittimo affidamento del contribuente nell'esercizio di strumenti non vietati dal legislatore. Senza trascurare la circostanza, a complicare ulteriormente il quadro, che nell'ambito dell'elusione fiscale il negozio o i negozi mantengono la loro validità sul piano civilistico ma non sono opponibili all'amministrazione finanziaria.

2) La sequenza donazione-vendita. I rapporti tra familiari sono passibili di essere giudicati sul piano economico? Il caso affrontato da Cass. 17128/2018

In base alla riscrittura dell'art. 10 bis dello Statuto del Contribuente, che ha abrogato l'art. 37 bis Dpr 600/1973 e rimodellato la figura dell'abuso del diritto, i suoi presupposti sono rispettivamente: 1) presenza di operazioni prive di sostanza economica- 2) la presenza di un vantaggio fiscale indebito- 3) l'essenzialità del vantaggio fiscale. Queste tre elementi devono necessariamente sussistere, se ne manca anche solo uno, non può essere contestato l'abuso del diritto. A differenza di quanto prevedeva la precedente normativa all'art. 10 L 408/1990 è indifferente la presenza dell'elemento soggettivo del dolo o dello scopo fraudolento del risparmio fiscale. L'onere della prova, circa la sussistenza dei medesimi, spetta all'amministrazione finanziaria, mentre al contribuente compete la dimostrazione dell'esimente di cui all'art.10 bis, n° 3, ovvero che il vantaggio fiscale non costituisce lo scopo, il fine dell'azione, in quanto l'operazione, le operazioni sono giustificate da valide ragioni extrafiscali, non marginali, anche di ordine organizzativo e gestionale. Ovviamente, allorquando già in abbrivio sia assente qualunque vantaggio o risparmio fiscale, rispetto all'operazione ritenuta “normale” secondo una normale logica di mercato, l'abuso del diritto viene a cadere in radice. Anche se rispetto all'abrogato art. 37 bis Dpr 600/1973 è cambiata la formulazione, laddove l'inciso valide ragione economiche viene sostituto, appunto, da valide ragioni ragioni extrafiscali, pare indubbio che i presupposti dell'elusione fiscale e dell'abuso del diritto siano visti, soprattutto con la mente rivolta all'esercizio di operazioni economiche nell'ambito di rapporti commerciali. Sembra evidente che tali schemi mal si attaglino ai trasferimenti operati nella cerchia di rapporti familiari che, sulla base del principi del id quod plerumque accidit, per massima di esperienza comune, sono regolati da logiche non commerciali. Secondo il combinato disposto degli artt. 67 e 68 TUIR, il trasferimento, la cessione a titolo oneroso di beni immobili scontano la tassazione sulla plusvalenza tra il prezzo di acquisto ed il prezzo di cessione. Nel caso specifico analizzato da Cass. 17128/2018 un soggetto dona al marito ed ai figli un terreno che questi successivamente rivendono a terzi, incassando i proventi della predetta vendita. I due atti, la donazione e la compravendita sono contestuali, o comunque a distanza prossima come in altri casi esaminati dalla Cassazione. L'amministrazione finanziaria contesta, ex art. 37, 3° comma dpr 600/1973 l'interposizione fittizia dei donatari, in relazione al possesso del reddito derivante dalla vendita, sul presupposto dell'aspetto elusivo dell'operazione, tesa in realtà ad evitare che fosse tassata la plusvalenza tra prezzo di acquisto e prezzo di vendita del terreno, ricorrendo all'uso distorto dello strumento lecito della donazione. In genere, questo tipo di contestazioni viene basato rispettivamente su codesti elementi presuntivi: 1) sulla contestualità o prossimità dell'atto di donazione e successiva compravendita; 2) rapporto di parentela tra donante e donatari; 3) coincidenza o quasi coincidenza tra il valore dichiarato nell'atto di donazione e quello dichiarato nell'atto di vendita. Viene del tutto obliterato il dato, che come vedremo nel prosieguo dell'esposizione, è assolutamente dirimente, del chi abbia effettivamente incassato il ricavato della vendita, se il donante o i donatari. Anzi, secondo la posizione che spesso viene sostenuta dagli accertatori, ciò comporterebbe un'inversione dell'onere della prova che, invece, poiché si è dimostrata l'elusione dell'operazione, sorge in capo al contribuente. Per completezza, va aggiunto che diverse pronunce della Cassazione, anche recenti hanno riscontrato l'abuso del diritto, nella sequenza donazione-compravendita, anche laddove i donatari avevano dimostrato di aver ricevuto il denaro della compravendita, e non il donante. Comunque, nel caso di specie, la Cassazione accoglie le ragioni del contribuente affermando: “nelle fattispecie quale quella in esame assume spesso rilievo, trattandosi di rapporti patrimoniali tra genitori e figli (qui anche rapporti con il coniuge), il profilo della libertà di pianificazione della successione da parte dei genitori, quanto in generale, che nulla impone al contribuente di optare, nell'esercizio della propria attività negoziale, per la soluzione più onerosa sul piano fiscale”. Peraltro, la sentenza in commento ha escluso l'abusività della donazione e la non genuinità della stessa, proprio sull'elemento che il prezzo della compravendita era stato ricevuto dai donatari. Ciò avvalora il fatto che il fine del donante non fosse quello di eludere l'applicazione della plusvalenza sul trasferimento immobiliare, ma viceversa quella di beneficiare i donatari. In ogni caso deve essere accolta con favore la novella introdotta nel 2015, allorchè all'art. 10 bis Statuto del contribuente si ribadisce che resta ferma la libertà del contribuente in ordine alla scelta tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale. Sia nelle decisioni a favore del contribuente, sia in quelle sfavorevoli si legge una massima che viene riportata in maniera tralatizia, in questi termini: “ La disciplina antielusiva non presuppone necessariamente un comportamento fraudolento da parte del contribuente, essendo sufficiente un uso improprio, ingiustificato o deviante di un legittimo strumento giuridico, che consenta di eludere l'applicazione del regime fiscale che costituisce il presupposto di imposta. Ne deriva che il fenomeno della simulazione relativa, nell'ambito della quale può ricomprendersi l'interposizione fittizia di persona, non esaurisce il campo di applicazione della norma, ben potendo attuarsi lo scopo elusivo anche mediante operazioni effettive e reali”. Nelle sentenze negative vi è l'aggiunta che l'effettiva percezione del prezzo da parte dei venditori-donatari, non sono sufficienti ad escludere lo scopo elusivo dell'intera operazione negoziale ravvisabile nella sequenza donazione-vendita. Come detto in precedenza, anche se l'attuale formulazione contiene il riferimento ai validi motivi di carattere extrafiscale, il collegamento con i restanti commi dell'art. 10 bis fa sorgere forti dubbi che la norma generale sull'abuso possa riguardare i trasferimenti tra familiari che non siano dettati da rapporti di natura commerciale. E nemmeno si può ritenere che detti trasferimenti siano dettati esclusivamente dalla scelta del legittimo regime più favorevole, in vista del regolamento di una futura successione. Tra l'altro gli artt. 67 e 68 TUIR non costituiscono nemmeno un'ipotesi clausola antielusiva particolare, poiché si limitano ad indicare e prescrivere che i trasferimenti immobiliari infraquinquennali, scontino la tassazione sulla plusvalenza tra differenza di prezzo di acquisto e prezzo di cessione. Se può essere condiviso l'assunto che lo scopo del legislatore sia quello di sanzionare indirettamente, prevedendo una tassazione specifica, il fenomeno delle c.d. vendite speculative, certo non è dimostrato che gli artt. 67 e 68 siano norme antielusive, tant'è  vero che si ricorre, in sede di contestazione, allo strumento della clausola generale antiabuso. Per inciso, le due norme non prevedono che ad un determinato risultato si debba giungere solo ed esclusivamente in un determinato modo, e nemmeno che ad un determinato risultato non si debba giungere in un qualsiasi modo.

3) La sequenza donazione-vendita o è un'ipotesi di evasione fiscale oppure è lecita: l'elemento dirimente dell'effettivo percettore del ricavato della vendita.

Si è sottolineato come l'onere della prova, relativamente all'individuazione degli elementi che connotano l'abusività dell'operazione economica, è in capo all'amministrazione finanziaria. Al contribuente, invece, viene dato il compito di spiegare la sussistenza di valide ragioni di carattere extrafiscali che non devono essere, né marginali, se rapportati all'elemento del risparmio fiscali, e soprattutto devono avere un carattere oggettivo. Sia l'accertatore, sia il contribuente, per i profili di loro competenza possono ricorrere ad elementi presuntivi. Dal lato dell'elusione si individuano: 1) contestualità della sequenza donazione-vendita 2) rapporto di parentela tra il donante e il donatario 3) la corrispondenza tra valore dichiarato nella donazione e quello denunciato nella vendita. Se si analizzano partitamente, emerge come siano del tutto assenti i caratteri della gravità, precisione e concordanza che devono sorreggere un elemento presuntivo. Com'è noto, secondo l'indirizzo costante della giurisprudenza è bastevole anche la presenza di un solo elemento, purché dotata di una specifica forza, così come anche una pluralità di elementi che presi singolarmente non sono in grado di sostenere autonomamente una presunzione, lo possono essere se analizzati globalmente, in un quadro di insieme, l'uno con l'altro. E' ovvio che, sotto quest'ultimo aspetto, il profilo della concordanza è assolutamente necessario, tanto più che se l'analisi deve essere globale e comparativa tra gli stessi, sta a significare che i caratteri della gravità e della precisione non sono completamente soddisfacenti. La relazione tra fatto noto e fatto ignoto che sorregge la presunzione semplice, se può anche fondarsi su un giudizio di verosimiglianza, è destinata a venir meno laddove tale collegamento conduca a risultati opposti, ambedue ambivalenti, in cui l'uno non sia preferibile all'altro. Se non è necessario, anche perché molto difficilmente lo si può riscontrare nella pratica, che il collegamento tra fatto noto e fatto ignoto si connoti del grado della certezza, è però essenziale che il giudizio di verosimiglianza faccia preferire una soluzione all'altra. Solo in questo modo, in particolare ove si renda necessaria la combinazione di più elementi presuntivi, sarà soddisfatto il requisito della concordanza degli stessi. Per quanto concerne il fattore tempo, ovvero la contestualità e/o la prossimità della sequenza donazione-vendita, in primo luogo va ribadito come questo non si fondi su alcun dato normativo. Tutte le volte, in cui la legge, non solo nell'ambito del diritto tributario, ha legato degli effetti giuridici al fattore tempo, lo ha sempre fatto espressamente. Ma soprattutto si determina compiutamente, magari anche arbitrariamente, quanto sia l'arco temporale di riferimento che vale ai fini di legge. In particolare, ciò è tanto più vero allorquando vengono poste delle presunzioni di legge, legate al fattore tempo. Se come in precedenza si è indicato, quasi necessariamente le presunzioni sono condizionate da un giudizio di verosimiglianza, siano esse presunzioni semplici o legali, almeno il fattore tempo, se entra a far parte dello schema della presunzione, per una questione di certezza dei rapporti giuridici, deve avere una durata predeterminata nel suo inizio e nella sua fine. Tra l'altro, la dimostrazione di quanto si afferma, la si ritrova negli stessi artt. 67 e 68 TUIR: si individua la ratio della norma nel disincentivare le vendite speculative, tassando la plusvalenza. Ma perché una vendita sia ritenuta speculativa, la legge introduce un termine di 5 anni, precisando per le varie ipotesi la decorrenza del termine iniziale riferito al primo acquisto antecedente la successiva vendita. Detto termine poteva essere inferiore o maggiore, il legislatore nella sua discrezionalità lo ha valutato in cinque anni, l'importante è che sia stato determinato. Nel nostro caso di specie, la prossimità tra l'atto di donazione e l'atto di vendita può ravvisarsi perché contestuale, ma anche, in assenza di un predeterminazione del periodo, a distanza di decine di giorni, se non mesi. Infatti, l'amministrazione finanziaria ha più volte contestato l'abusività dell'operazione complessiva anche quando la distanza tra i due atti, donazione e vendita, era nell'ordine di decine di giorni. Comunque, sul punto, la spiegazione più logica e banale, poiché trattasi di rapporti familiari in cui lo scopo del donante è quello di arricchire il donatario, è che si proceda alla donazione allorquando è prossima la vendita. La casistica, in particolare dove la donazione ha per oggetto terreni, vede la successiva vendita degli stessi da parte dei donatari ad una società di costruzioni, dove il corrispettivo è coperto dal valore dell'appalto relativo alla costruzione dei futuri immobili. In altri termini, si tratta della classica operazione di permuta in cui il proprietario del terreno, a fronte del trasferimento del medesimo, in mancanza di liquidità per procedere alla costruzione dell'immobile, trattiene la proprietà di uno dei due o più edifici che il costruttore provvederà ad erigere. E' di tutta evidenza che, specialmente in queste ipotesi, lo scopo iniziale del donante non fosse quello di donare il terreno, bensì quello di beneficiare di una futura e possibile soluzione abitativa il donatario. Il fatto che ciò avvenga a stretto giro di posta, rispetto ad un trasferimento più spostato in avanti nel tempo, non vale a mutare la natura dell'operazione. Per quanto riguarda il rapporto di parentela tra donante e donatari, l'elemento presuntivo è assolutamente discordante. Lo scopo dell'operazione, il depauperamento e l'arricchimento del donatario, si legge e si spiega compiutamente, proprio in virtù di detto rapporto di parentela. Infatti, le decisioni, come quella in commento, in cui il donante aveva partecipato direttamente alle trattative della futura e prossima vendita, vengono motivate sul rapporto di parentela che viene considerato elemento presuntivo idoneo nell'escludere l'abusività dell'intera operazione economica. Riguardo alla corrispondenza tra valore della donazione e valore della donazione, gli stessi artt. 67 e 68 Tuir prevedono che per valutare l'esistenza della plusvalenza in capo al donatario si debba fare riferimento, come atto precedente al valore indicato nella donazione. Se i due atti sono contestuali o prossimi è logico che non via sia un discostamento di valori, anzi il contrario potrebbe indurre a pensare che vi siano degli indici di anomalia. A maggior ragione tenendo conto che l'atto di donazione sconta la propria tassazione. In definitiva l'elemento dirimente, centrale per valutare se l'intera operazione economica sia o meno lecita, consiste nell'accertamento se il corrispettivo della vendita venga ricevuto dal donante o dal donatario. In altri termini, si deve stabilire se il donante si sia effettivamente impoverito oppure no. Nel primo caso la donazione sarà genuina, nel secondo no. Vedremo, come sul piano logico, non sia accoglibile la posizione di quella parte della giurisprudenza che ritiene assolutamente indifferente che la donazione non sia simulata ma effettivamente esistente e realmente voluta dalle parti. Sovviene, in tal senso, l'efficace criterio, elaborato dalla dottrina, della circolarità dell'operazione. Se il donante, al termine della sequenza donazione-vendita, incassa il provento della vendita, come in un cerchio si torna al punto di partenza. Infatti, il donante invece di procedere direttamente alla vendita, pone in essere una donazione simulata, collegata ad una successiva vendita, al fine di evitare la tassazione sulla plusvalenza. In siffatta ipotesi, però, sembra che più di elusione fiscale si debba parlare di evasione fiscale, in quanto siamo di fronte ad una violazione diretta della norma tributaria. Infatti, in tale contesto la donazione in quanto del tutto simulata, più correttamente da inquadrarsi come simulazione assoluta anziché simulazione relativa, realizza collegata alla vendita un negozio in frode alla legge ex art 1344 c.c., che come si è visto rappresenta, in verità, un esempio di violazione diretta della norma, più che indiretta. Invece, se il prezzo della vendita viene percepito dal donatario, ciò vuol dire che non siamo in presenza di negozi collegati tra loro, di un'operazione circolare, ma soprattutto che lo scopo preso di mira dal donante fosse quello, non di aggirare la tassazione sulla plusvalenza, bensì quello di arricchire il beneficiario della donazione. Se prendiamo le singole operazioni economiche, vendita e donazione, di per sé non sono assolutamente illecite nel caso oggetto di esame, poiché non vietate dalla norma tributaria. Se però, la donazione è genuina e non simulata, quello che manca è il collegamento tra i due negozi, e in realtà la stessa contestata sequenza donazione-vendita. Il collegamento negoziale, secondo la ricostruzione prevalente, non è un istituto disciplinato per legge, ma un fenomeno che può avere diverse forme. Si può forse affermare, partendo dal necessario presupposto che la donazione sia realmente esistente e voluta tra le parti, di un collegamento occasionale, non certo di un collegamento negoziale, che si fonda sul nesso funzionale che deve legare tra loro i due o più negozi. Tant'è che nel collegamento negoziale, salvo diversa volontà delle parti tale da far presumere l'applicazione dell'art. 1418 c.c sulla nullità di singole clausole, si ricorre all'espressione simul stabunt simul cadent. Il venire meno di uno o più negozi, anche se distinti tra loro, proprio perché legati da un nesso funzionale tra loro, fa venir meno anche gli altri. Nel nostro caso di specie, come detto, manca qualsiasi collegamento e la stessa sequenza donazione-vendita. La successiva vendita, del resto, potrebbe esserci o non esserci, ma questo non varrebbe a mutare la natura del negozio posto in essere e dell'operazione economica. Per tali ragioni, è del tutto dirimente, accertare chi, tra il donante ed il donatario ha ricevuto il ricavato della vendita. Infatti, se è il donante, siamo in di fronte ad un'operazione circolare in cui, in buona sostanza si torna al punto di partenza, ma nel frattempo, nei fatti, si è ottenuto un indebito risparmio fiscale. Se l'operazione ha natura circolare, necessariamente vi deve essere un collegamento negoziale, non meramente occasionale tra donazione e vendita. Contrariamente, se è il donatario a ricevere il ricavato della vendita, per le ragioni esposte, si deve escludere che l'operazione sia circolare e che vi sia un collegamento negoziale tra la donazione e la vendita. In più l'orientamento giurisprudenziale che ritiene assolutamente indifferente, che la vendita sia genuina, sconta un'intima ed insuperabile contraddizione. Se si ritiene che il donatario abbia posto in essere un'operazione elusiva, e si riprende a tassazione la plusvalenza sul trasferimento, necessariamente sul piano logico si ritiene che si sia arricchito, magari indebitamente, ma si è arricchito, lui e non il donante. Nel contempo, la donazione parte dal presupposto logico-giuridico dell'impoverimento del donatario e del correlato arricchimento del donatario. Se ciò è vero, e si ritiene che la vendita sia assolutamente genuina, ne discende che si deve escludere che l'operazione sia elusiva. Sul punto, può essere compiuta un'ulteriore considerazione. Nella ricostruzione dei presupposti dell'abuso del diritto, come attualmente disciplinato, si è visto tra gli altri che vi debba essere il risparmio fiscale. Il contribuente, rispetto allo strumento, che potremmo definire canonico, anche se impiega uno strumento contestato in quanto ritenuto elusivo, ma a conti fatti il risparmio fiscale, confrontando i valori che ne discenderebbero dall'uso dell'uno o dell'altro strumento, non si concretizza; l'abuso in via preliminare ed assorbente viene escluso in radice. Detto ciò, allora, a fortiori, si deve escludere l'abuso ove venga meno, come nel caso in oggetto, il presupposto dell'arricchimento. Tra l'altro, l'abuso del diritto a livello tributario, comporta la validità sul piano civilistico del negozio ma l'inopponibilità dei suoi effetti nei confronti dell'amministrazione finanziaria. Per la tenuta e la coerenza del sistema, appare difficile, in ipotesi come quelle oggetto della pronuncia in commento, ritenere valida una donazione sul piano civile, e non valida su quello fiscale. Tra i numerosi aspetti basti pensare, soprattutto in tema di trasferimenti tra i familiari, al tema della collazione secondo cui tutte le donazioni ricevute dal de cuius devono essere computate nell'asse ereditario al fine di determinare correttamente le porzioni ereditarie. Ma lo stesso potremmo dire della revoca della donazione.

4) Considerazioni conclusive

In materia di trasferimenti immobiliari tra parenti, si è visto, come in assenza di una specifica norma antielusiva speciale, si ricorra in sede di contestazione alla clausola generale antiabuso, ora rappresentata dall'art. 10 bis Statuto del contribuente. Anche se è stato novellato l'inciso a livello di esimente, passando dal criterio delle valide ragioni economiche ai validi e giustificati motivi di carattere extra fiscale, rimane sempre problematico applicare una disciplina studiata ed approntata per regolare rapporti economici a rapporti che per definizione non seguono logiche di carattere economico. Diverso è il caso in cui si contesti la genuinità di detti trasferimenti, ma allora è più corretto ritenere che vi sia la violazione diretta della norma tributaria e quindi l'evasione fiscale piuttosto che la violazione indiretta e l'elusione. Correttamente, quindi, può essere contestata l'interposizione fittizia di cui all'art. 37 3° comma Dpr 600/1973, e la prova può essere raggiunta anche attraverso presunzioni. Basti pensare alla circostanza se il ricavato della vendita fosse versato su un conto corrente cointestato anche al donante o a questo riconducibile. Oppure se il ricavato fosse versato direttamente dall'acquirente ai donatari, e poi da questi riversato al donante, per giunta in una contiguità di tempi abbastanza sospetta. In tali eventualità diventa del tutto logico che l'onere probatorio si sposti sul contribuente. Invece, come si è dato conto, in genere, si pongono quali elementi presuntivi alla base dell'accertamento, dati assolutamente equivoci tra loro che già alla fonte dovrebbero escludere qualsiasi contestazione. L'elemento dirimente dell'effettivo pagamento ricevuto dal donatario viene del tutto omesso da un indirizzo giurisprudenziale, che si limita nel riportare in modo tralatizio le massime sull'abuso del diritto ai trasferimenti nell'ambito dei rapporti familiari. Come si cercato di motivare se la donazione non è vera e non reale, abbiamo un'evasione e non un'elusione fiscale, se diversamente la donazione è vera e reale si esclude necessariamente qualsiasi ipotesi di illecito fiscale, tanto più ove le singole operazioni sono lecite ed ammesse, e non vi è nemmeno collegamento negoziale tra loro, se non meramente occasionale. L'illiceità dell'operazione deve essere esclusa, non tanto e non solo perché il contribuente ha il diritto di scegliere lo strumento meno oneroso dal punto di vista fiscale che l'ordinamento gli mette a disposizione, ma più semplicemente perché mancano i caratteri dell'elusione fiscale. Infatti, non necessariamente i trasferimenti tra familiari devono essere improntati o valutati sulla logica della pianificazione della futura successione.

Riferimenti normativi

Artt.1343-1344 c.c.
Artt. 37 e 37 bis, Dpr 600/1973
Art. 10 bis, L. 212/2000
Artt. 67 e 68 TUIR

Riferimenti giurisprudenziali

Cass. 17128/2018
Cass. 19149/2018
Cass. 14470/2016
Cass. 15830/2016
Cass 5937/2015
Cass. 21794/2014
Cass. 25671/2013
Cass. 449/2013