Espropriazione per pubblica utilità
Modifica paginaLa tematica ”de qua” verrà trattata partendo dai caratteri generali dell´ istituto giuridico, passando dal contrasto emerso tra l´ 42 Cost. e l´ art. 1 Prot. Add. Cedu, fino a giungere alle ultime novità apportate dal legislatore al T.U. in materia di espropriazione.
Sommario: 1. Premessa; 2. Profili generali dell’espropriazione; 3. La CEDU; 4. Contrasto tra l’art. 42 Cost. e l’art. 1 Prot. Add. CEDU; 5. Modi di risoluzione del contrasto tra la norma CEDU e la norma costituzionale; 6. Profili generali dell’espropriazione urbanistica; 7. Le novità principali del testo unico in materia di espropriazione; 8. Parti del procedimento espropriativo; 9. La procedura espropriativa.
1. Premessa
L’espropriazione in generale è un provvedimento ablatorio reale con cui si dispone l’acquisto coattivo della proprietà o di altro diritto reale su bene dell’espropriato a favore dell’espropriante o di un beneficiario diverso dall’espropriato.
Ogni tipo di espropriazione ha le seguenti caratteristiche:
- è un provvedimento ablatorio reale;
- ha per oggetto l’acquisto coattivo della proprietà o di altro diritto su bene dell’espropriato;
2. Profili generali dell’espropriazione
L’espropriazione prima della costituzione era regolata come normativa generale dal Codice Civile, il cui art. 834 prevedeva sostanzialmente due limiti al potere espropriativo:
- Necessità di una causa di interesse pubblico legalmente dichiarata, che giustificasse la compressione del diritto del privato;
- L’obbligo della corresponsione di un giusto indennizzo, richiedeva cioè che l’indennizzo non fosse genericamente determinato ma avesse una caratteristica precisa, la giustizia.
Dopo l’entrata in vigore della Costituzione, i principi generali sull’espropriazione sono stati tradotti dal codice civile in chiave di costituzionalizzazione e sono ora enunciati dal disposto dell’art. 42 Cost., il quale al terzo comma prevede 3 limiti al potere ablatorio:
a. La riserva di legge;
si tratta di una riserva di legge relativa, quindi alla legge compete essenzialmente il compito di stabilire:
- i fini che giustificano l’espropriazione;
- i criteri di computo dell’indennizzo;
- i principi generali del procedimento;
- le regole sulla tutela processuale, che rientrano nella competenza esclusiva dello Stato.
Nel rispetto di questi vincoli che necessitano una previsione legale, le altre regole organizzative e concernenti lo svolgimento della procedura possono essere fissati dalle amministrazioni con regolamenti o con atti amministrativi.
b. La necessità di una motivazione di interesse generale;
L’espropriazione crea un grave vulnus al diritto del privato che si traduce nella cancellazione della proprietà, per tale ragione questo vulnus può essere ammesso laddove ci sia non un interesse pubblico genericamente inteso, ma un interesse pubblico che abbia una rilevanza significativa tale da giustificare la compressione del diritto del privato.
La legge ha poi chiarito che questo interesse pubblico deve essere dichiarato, deve essere conoscibile, manifestato. La dichiarazione di pubblica utilità può avere tradizionalmente tre caratteristiche, può essere una dichiarazione:
- legale: quando è la legge stessa a fissare in modo preciso la sussistenza di un interesse all’espropriazione;
- espressa: quando è la PA con un provvedimento ad hoc a dichiarare l’interesse a realizzare un certo tipo di opera;
- Implicita: quando è ricavabile da altro atto che implichi la valutazione di interesse generale. Es. l’atto con cui l’amministrazione approva un progetto di opera pubblica non è una dichiarazione di p.u. espressa ma implica una valutazione di p.u.
c. L’obbligo dell’indennizzo (sparisce l’aggettivo giusto);
La disciplina costituzionale non prevede l’aggettivo giusto, che era presente nel codice, il che ha alimentato una giurisprudenza costituzionale per molti anni ha ritenuto legittimo le norme che prevedevano indennizzi anche significativamente inferiori al valore venale del bene.
Oggi la giurisprudenza della Consulta, adeguandosi ai moniti della CEDU, ha ritenuto che l’indennizzo, pur se non previsto espressamente dalla Costituzione, deve essere giusto. L’indennizzo è infatti giusto solo se:
- ripara integralmente il sacrificio, e cioè quando è pari al valore venale del bene;
- oppure, nelle ipotesi in cui ciò sia ammesso, pur non essendo pari al valore venale del bene, è ragionevolmente vicino, e cioè significativamente prossimo al valore venale del bene (cioè può discostarsi dal valore venale del bene solo nel limite del 25% quando sussistano ragioni di tipo economiche).
I suddetti principi sono stati fissati dalla Consulta con sentenza n. 348/2007 e recepiti dalla L. n. 244/2007.
3. La CEDU
Il secondo fondamento normativo della disciplina de qua è la CEDU, art. 1 prot. add.
La normativa CEDU fissa tre canoni. Il primo periodo disciplina la tutela del diritto di proprietà in linea generale: prevede che ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni.
Occorre tenere in considerazione che nella CEDU il diritto di proprietà non è un diritto ordinario ma fondamentale della persona, accedendo la CEDU ad un visione anche patrimonialistica e non solo personalistica dei diritti fondamentali dell’uomo.
Il diritto di proprietà è un diritto fondamentale dell’uomo e non è soltanto mero diritto di carattere economico patrimoniale.
Il secondo periodo, invece, disciplina il regime del potere di espropriazione: fissa il principio secondo cui "nessuno può essere privato della proprietà se non per causa di p.u. e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale".
Giova ricordare che la norma non prevede una riserva di legge in senso legge, quindi, non pretende che sia la legge a stabilire i casi, i modi, le regole e la procedura di esproprio ma richiede il rispetto di un principio di legalità e quindi il rispetto di condizioni generali previste dalla legge.
Il terzo periodo si occupa della disciplina dell’uso dei beni: prevede che "i singoli Stati hanno il diritto di regolare l’uso dei beni (potere conformativo) in modo coerente con l’interesse di carattere generale".
L’art. 42 Cost. e l’art. 1 prot. add. Cedu sono fonti dell’espropriazione e regolano quindi ogni tipo di espropriazione, tuttavia la relazione tra queste due norme è stato oggetto di un lunga querelle giurisprudenziale.
4. Contrasto tra l’art. 42 Cost. e l’art. 1 Prot. Add. CEDU
Le ragioni di contrasto dipendono dal diverso modo di intendere la proprietà:
Diritto normale ed economico, per quanto riguarda la Costituzione;
Diritto fondamentale, per quanto riguarda la CEDU.
Da questa diversa prospettiva dell’importanza del diritto, della tutela dello stesso e dei limiti entro cui l’amministrazione può disporre del diritto stesso, derivano principalmente due conflitti:
Il primo conflitto riguarda l’ambito del potere espropriativo.
La giurisprudenza nazionale ha sempre ammesso un’espropriazione senza un provvedimento di carattere ablatorio.
La Corte Cost. e la Cassazione, prima delle ultime pronunce della CEDU, a partire da una famosa pronuncia delle S.U. n. 1464/1983, hanno ammesso accanto all’espropriazione classica, caratterizzata dall’adozione di un provvedimento formale, un’espropriazione di tipo sostanziale o di tipo fattuale la cd. occupazione appropriativa (quando l’amministrazione, in mancanza di un legittimo provvedimento di esproprio, occupava illecitamente un’area fino a trasformarla irreversibilmente, con la realizzazione sine titulo di un’opera pubblica o di p.u.).
Le S.U. nel 1983, di fronte a situazioni di questo tipo, si posero il problema: cosa si potesse fare qualora l’amministrazione in via di fatto ha realizzato un ospedale, un’autostrada su un terreno privato senza espropriare o senza espropriare legittimamente? Sarebbe possibile in tal caso poter prevedere la restituzione?
Le S.U. affermarono che:
quando si realizza una trasformazione irreversibile si genera un conflitto tra un diritto di proprietà formale, che appartiene al privato e che risponde ad un interesse individuale, un diritto di proprietà sostanziale che appartiene alla PA e che risponde ad un interesse generale.
Nel nostro sistema costituzionale l’interesse generale prevale sull’interesse individuale e la proprietà sostanziale prevale sulla proprietà formale del privato,
Si realizza, quindi, un meccanismo di acquisto della proprietà basato sull’accessione invertita, ex art. 934, 938, 939 c.c. (invertita perché ad acquistare la proprietà non è il proprietario del suolo ma il proprietario del manufatto costruito illecitamente sul suolo del privato).
In definitiva la nostra giurisprudenza sulla base di un’idea gerarchica ha concluso che da un illecito possa derivare un titolo di acquisto della proprietà in favore della P.A.
La giurisprudenza CEDU, d' altro canto, ha sempre radicalmente negato un’espropriazione senza provvedimento di espropriazione.
La giurisprudenza CEDU, considerando il diritto di proprietà un diritto fondamentale, ritiene che l’espropriazione deve essere frutto di un procedimento disciplinato dalla legge, al quale il privato abbia modo di partecipare e che si concluda con un provvedimento legittimo (non può essere l’espropriazione conseguenza di un fatto illecito in cui la legge del più forte imponga un comportamento meramente fattuale e cioè l’occupazione appropriativa).
In ultima istanza la CEDU ha sempre negato la cd. espropriazione indiretta, cioè, quell’espropriazione che sia la conseguenza non di un provvedimento di esproprio all’esito di un procedimento buono e giusto, ma la conseguenza mediata/immediata di un fatto illecito caratterizzato da un’imposizione di tipo meramente fattuale della legge del più forte da parte della P.A.
La CEDU aggiunge che c’è una differenza tra il concetto di riserva di legge (ordinamento italiano) e il principio di legalità (ordinamento CEDU): mentre nel nostro ordinamento, in materia espropriativa, vige un concetto di riserva di legge in senso formale, nell’ordinamento CEDU vige al contrario il principio di legalità in senso sostanziale, cioè non c’è bisogno della legge formale ma è necessario, invece, che la perdita della proprietà da parte del privato, sia regolata da norme, che pur non avendo il carisma della legge formale, siano chiare, accessibili, precise, sostanzialmente giuste e che consentano all’espropriando di sapere quando sarà espropriato, con che procedimento e di quali tutele potrà avvalersi (ricordiamo che la CEDU comprende anche paesi di common law ed infatti il principio di legalità va inteso non come necessaria esistenza di una legge in senso formale ma come necessaria esistenza di una regola chiara, giusta e precisa).
LA CEDU boccia quindi la cd. espropriazione indiretta perché non rispetta la legalità in senso sostanziale, perché non ci sono norme sufficientemente chiare, precise e giuste che regolamentano il procedimento espropriativo e che tutelino al contempo il privato.
Il secondo conflitto riguarda le conseguenze del potere espropriativo
La CEDU, nonostante l’art. 1 prot. add. CEDU non menzioni l’indennizzo, ha sempre ritenuto non solo che l’indennizzo è dovuto ma anche, che in relazione alla piena tutela della proprietà, che esso deve essere pari al valore venale del bene o quando c’è un interesse economico pubblico di particolare rilevanza deve sempre conservare un ragionevole legame con il valore del bene.
5. Modi di risoluzione del contrasto tra la norma CEDU e la norma costituzionale
La Corte Cost., interpretando gli art. 1 CEDU e 117 Cost., ha ritenuto che, anche dopo l’avvento del Trattato di Lisbona e la modifica dell’art. 6 (che recepisce la CEDU), le norme CEDU non si siano comunitarizzate, le stesse, quindi non sono direttamente applicabili nel nostro ordinamento e di conseguenza non producono la disapplicazione automatica delle norme interne, comprese quelle costituzionali, in contrasto con le norme CEDU.
Le norme CEDU fanno parte dell’ordinamento internazionale e hanno rilevanza nell’ordinamento italiano in base a due canoni:
- il canone interpretativo: in quanto nei limiti in ciò è possibile, le norme interne devono essere interpretate compatibilmente con le norme CEDU e con il valore che esse esprimono;
- il canone di norma interposta: se ciò non sia possibile, le norme CEDU pongono un problema di legittimità costituzionale e quindi fungono da norme interposte o indirette che giustificano la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma nazionale per contrasto con l’art. 117, comma1, Cost.
Questi due parametri sono stati utilizzati per risolvere sia il conflitto sull’ammissibilità della occupazione cd. indiretta sia il problema della legittimità costituzionale delle norme che prevedessero indennizzi non correlati al valore venale del bene.
La Consulta è addivenuta ad una declaratoria di illegittimità costituzionale delle norme in contrasto con la Costituzione, utilizzando la CEDU come parametro interposto.
6. Profili generali dell’espropriazione urbanistica
L’espropriazione urbanistica, prevista dal T.U. n. 327/2001 è uno dei tipi di espropriazione.
A tal riguardo è stato correttamente osservato che sarebbe più opportuno parlare non di “espropriazione” come fosse un modello unico, ma di “espropriazioni”, in quanto ogni espropriazione con riferimento alla materia nella quale viene in giuoco il potere ablatorio ha delle regole consce dei problemi e pone delle esigenze particolari.
Nel nostro sisteme, dunque, esiste l’espropriazione come modello in generale e le singole tipologie di applicazione del modello espropriativo.
In particolare l’espropriazione urbanistica ha due elementi caratteristici:
- a) l’oggetto (i beni immobili);
- b) il fine, cioè un’opera pubblica prevista o finalizzata all’attuazione di un fine previsto dallo strumento urbanistico, che nelle previsioni di localizzazione stabiliscono in quali aree del territorio comunale devono essere realizzate le opere pubbliche o di pubblica utilità.
È chiaro da questo punto di vista che non esiste la materia espropriativa, in quanto l’espropriazione è uno strumento, un atto strumentale, che inerisce alle varie materie nell’ambito delle quali viene attuata una procedura espropriativa.
Premesso ciò, l'espropriazione urbanistica a sua volta prevede molte species interne, cioè anche l’espropriazione urbanistica è un fenomeno molteplice sul piano oggettivo, strutturale e cronologico.
1. Piano oggettivo, l’espropriazione urbanistica si distingue in:
- a) piena/integrale: è l’espropriazione tradizionale con cui si determina l’ablazione della titolarità del diritto, in quanto l’espropriato perde la qualità di titolare del diritto oggetto dell’espropriazione;
- b) di valore/sostanziale: si determina quante volte al privato resti il guscio del diritto, cioè la titolarità formale ma senza il valore, il potere, le facoltà e il significato economico del diritto stesso.
Dalla famosa sentenza della Consulta n. 179/1999 (Sandulli), ci si è chiesti se fosse espropriazione quella che si verifica quando l’amministrazione adotta un provvedimento con cui impone un vincolo di inedificabilità ad un’area edificabile.
È vincolo preordinato all’esproprio o è altro vincolo?
Sul punto la Consulta, dichiarando illegittima la Legge Urbanistica del 1942 e la Legge Ponte del 1968, ha evidenziato che tutte le volte che con un provvedimento amministrativo, ad es. strumento urbanistico, si prevede un regime di divieto di uso del bene incoerente con le caratteristiche del bene, esiste per la legge e per l’amministrazione un’alternativa: o questo limite di utilizzo è confinato nel tempo entro un tempo ragionevole e quindi si è in presenza di un potere conformativo dell’amministrazione o se non lo è (cioè se il tempo non è ragionevole o è illimitato rispetto al sacrificio del privato di edificare) si è in presenza di un potere ablatorio dell’amministrazione.
Si introduce, quindi, un concetto rivoluzionario di espropriazione il quale prevede accanto all’espropriazione formale di tipo pieno, che toglie in toto al privato il diritto, un’espropriazione di valore che toglie al privato il contenuto del diritto e l’utilizzo del bene in modo coerente con le caratteriste del medesimo.
Occorre a questo punto distinguere tra:
- a) i vincoli di tipo espropriativo, che impediscono al privato l’esercizio del diritto in coerenza con il contenuto dello stesso (quelli trattati fino ad ora);
- b) i vincoli di tipo conformativo, ammessi anche in base alla CEDU, che sono provvedimenti con cui si impongono vincoli che non sono contrari al contenuto del diritto ma che conformano il contenuto del diritto in coerenza con le caratteristiche dello stesso, cioè che operano una ricognizione dei limiti che derivano dalle caratteristiche del bene, limiti e caratteristiche che impediscono un uso del bene che possa confliggere con le caratteristiche dei beni medesimi (es. vincoli che derivano dalla zonizzazione, ambientali, culturali, storici, cimiteriali).
Questi vincoli sono conformativi perché non riguardano il singolo bene, al quale viene imposto individualmente un regime contrastante con il regime generale, come accade nell’espropriazione, ma riguarda il bene in quanto esponente di una categoria generale alla quale viene applicato uniformemente e in coerenza con le sue caratteristiche questa tipologia di vincolo.
Inoltre, il vincolo conformativo è senza limiti di tempo, per sempre, e non prevede alcun indennizzo.
A questo punto occorre sottolineare la distinzione intercorrente tra le due tipologie di vincoli, che non è meramente teorica ma pratica, perché se si stabilisce che i vincoli sono espropriativi va corrisposto l’indennizzo, mentre se sono conformativi non va corrisposto alcun indennizzo perché non c’è nessuna espropriazione o nessuna limitazione negativa del valore del bene
2. Piano strutturale: distinzione che si fonda sullo strumento/titolo giuridico attraverso cui si dispone l’espropriazione. In questo caso l’espropriazione può essere:
- unilaterale: cioè il provvedimento solitario imperativo;
- consensuale: cioè la cessione volontaria del bene espropriando.
Nel T.U. la cessione volontaria è un’alternativa generale all’espropriazione unilaterale, non è quindi un modello eccezionale dove il privato ha il diritto (potestativo), se accetta l’indennizzo, all’espropriazione consensuale e l’amministrazione non ha il potere di negare il consenso se il privato è disponibile alla cessione volontaria secondo l’indennizzo che è stato all’uopo calcolato;
All' art. 37, comma2, T.U. si afferma che se l’amministrazione ingiustificatamente impedisce la cessione volontaria (o nel caso in cui il rifiuto del privato derivi da un’offerta di un indennizzo di tipo non corretto perché al di sotto degli 8/10 dell’indennizzo spettante) al privato viene comunque riconosciuto il vantaggio economico che la legge riserva nel caso di cessione volontaria.
La cessione volontaria produce gli stessi effetti di quella unilaterale (art. 45 comma 3 T.U.), e quindi produce un acquisto a titolo non derivativo ma titolo originario. L'istituto in esame non è una compravendita nel corso del procedimento di espropriazione, non è quindi un contratto di diritto privato incastonato in procedimento di tipo pubblicistico, ma è un accordo di diritto pubblico o meglio è un accordo che rientra nell’ambito del genus dell’esercizio consensuale del potere amministrativo di cui all’art. 11 L. 241/1990 proprio perché postula che ci sia la pendenza di un procedimento di esproprio, di cui la cessione volontaria costituisce uno sbocco alternativo, perché non c’è libertà nella fissazione del prezzo; perché infine in base all’art. 45 comma3, la cessione volontaria produce gli effetti dell’espropriazione (acquisto della proprietà a titolo originario).
3. Piano cronologico: l’espropriazione si distingue in:
- a) tempestiva o fisiologica in cui l’espropriazione precede l’occupazione;
- b) intempestiva in cui l’occupazione precede l’espropriazione.
L’espropriazione postuma, cioè l’espropriazione di un’area trasformata, pone il problema di verificare se tale sia una nuova espropriazione o una sanatoria di un’espropriazione già posta in essere. (ma questo lo vedremo dopo).
7. Le novità principali del testo unico in materia di espropriazione
La prima novità riguarda il modo di acquisto della proprietà.
Prima del T.U. era discusso se l’espropriazione fosse una compravendita coattiva o un modo di acquisto originario della proprietà.
Il T.U. chiarisce che l’espropriazione è un modo di acquisto a titolo originario della proprietà, a cui non si applicano (previsto espressamente dal TU) i due canoni classici del modo di acquisto della proprietà a titolo derivativo e cioè:
Il principio del divieto di acquisto a non domino (non si può comprare se chi vende non è il proprietario del bene).
Art. 3 T.U.: l’espropriazione viene legittimamente pronunciata nei confronti del proprietario catastale, anche se non coincide con quello reale (dato che i registri catastali non hanno valore costitutivo).
Ne deriva quindi che è possibile un’espropriazione a non domino, cioè è possibile che il provvedimento di esproprio anche se adottato in buona fede nei confronti di un soggetto che non è proprietario è efficace. Ciò conferma che l’espropriazione è modo di acquisto a titolo originario.
Il principio della non cancellazione dei diritti reali gravanti sulla proprietà e persino di alcuni diritti personali.
Art. 34, comma2, T.U.: prevede che l’acquisto per effetto dell’espropriazione della proprietà del bene produce la cancellazione di ogni diritto sul bene compresi quelli reali che si trasferiscono sul diritto di indennizzo. Si determina quindi il cd. effetto della tabula rasa (cancellazione orizzontale dei diritti) viceversa, la compravendita non cancella i diritti che sono e rimangono inerenti al bene e quindi in modo ambulatorio circolano insieme alla circolazione dei diritti sul bene stessi.
Tale a caratteristica riguarda anche:
- a) la cessione volontaria art. 45 comma 3 T.U.;
- b) l’espropriazione postuma.
L’oggetto dell’espropriazione riguarda i beni immobili, ma occorre chiedersi quali diritti su beni immobili sono passibili di espropriazione, ad esempio lo sono la proprietà, la servitù, i diritti reali ma anche i diritti personali? Certamente si, sulla base di due argomenti:
argomento letterale: art. 2 T.U. parla genericamente di diritti;
argomento sostanziale: in base al principio di proporzionalità, di derivazione comunitaria, non avrebbe senso imporre un’espropriazione maggiore, e cioè la proprietà, l’usufrutto e la servitù, se per interesse pubblico fosse sufficiente un esproprio minore, meno sacrificante.
8. Parti del procedimento espropriativo
Le parti necessarie:
a. L’espropriato
È il privato, titolare di un diritto anche personale.
Potrebbe essere anche una P.A.? Sicuramente si, perché la proprietà pubblica è una proprietà assolutamente uguale a quella privata quando riguarda beni disponibili. Tuttavia quando i beni sono anche sostanzialmente pubblici oltre che soggettivamente pubblici (beni demaniali o beni patrimoniali indisponibili) tali non sono espropriabili (i beni demaniali dovrebbero essere infatti prima demanializzati art. 4 T.U., invece, i beni patrimoniali indisponibili non prevedono una preclusione all’espropriazione ma solamente un obbligo di motivazione rafforzata).
b. L’espropriante
Art. 6 T.U. che rinvia per le definizioni in senso stretto all’art. 3 T.U. che prevede come espropriante l’autorità amministrativa titolare del potere di espropriazione.
Va chiarito che il nuovo T.U. ha concentrato in capo ad un'unica autorità il potere di adottare tutto gli atti del procedimento di esproprio compreso il provvedimento finale (non era così prima, in quanto, il provvedimento di esproprio poteva essere adottato solo il prefetto, poiché si riteneva che il potere di esproprio fosse espressione di un potere così incidente sulla sfera privata da bisognare dell’intervento dello Stato).
L’autorità amministrativa espropriante deve inoltre coincidere con la stessa autorità che deve perseguire lo scopo urbanistico e quindi l’autorità che ha la competenza a realizzare l’opera pubblica o di p.u.
c. La parte eventuale, il beneficiario dell’espropriazione.
È una figura che può venire in gioco quando il soggetto che acquista la proprietà del bene è diverso dall’autorità espropriante, cioè l’amministrazione espropria a vantaggio altrui, ciò accade in modo particolare nel caso della realizzazione di opere private di p.u. (l’opera è di un soggetto privato ma il fine per cui l’opera è realizzata è pubblico o di p.u.). Salvo accordi diversi, in questo caso il peso economico dell’espropriazione non grava sull’autorità espropriante ma sul soggetto beneficiario privato.
d. La parte meramente eventuale, il promotore dell’espropriazione.
Viene in giuoco quando la legge prevede un soggetto che pur non essendo beneficiario dell’espropriazione abbia un interesse alla stessa che lo legittimi a compiere atti di propulsione e di incentivazione della procedura espropriativa.
9. La procedura espropriativa
La procedura di esproprio prevede tre fasi:
1) L’apposizione del vincolo preordinato all’espropriazione: ex art. 9 ss.
La prima fase è importante perché chiarisce che l’espropriazione urbanistica è essenzialmente strumentale all’attuazione degli strumenti urbanistici, deve eseguire cioè le previsioni urbanistica e realizzare quelle opere pubbliche/di pubblica utilità necessarie per il territorio.
Essendo uno strumento di attuazione di scelte urbanistiche, è necessario che il primo atto della procedura espropriativa sia un atto urbanistico, che serve a risolvere a monte il problema della compatibilità urbanistica dell’opera pubblica o di p.u.
Quindi, all’apposizione del vincolo preordinato all’esproprio è un atto che ha una duplice natura: è un atto urbanistico, perché stabilisce quali opere vanno realizzate sul territorio comunale; è un atto che rappresenta l’inizio del procedimento di esproprio, perché di per sé introduce una limitazione alla proprietà privata.
È un atto quindi necessariamente comunale, che deve avere una durata necessariamente limitata, non superiore a 5 anni, se si reitera con adeguata motivazione diventa esso stesso un atto espropriativo (espropriazione di valore), che obbliga all’indennizzo secondo i parametri dell’art. 9 T.U.
2) La dichiarazione di pubblica utilità: ex art. 12 ss.
La dichiarazione di p.u. raramente è legale, quasi mai è espressa, è quasi sempre tacita, cioè essa è insita nell’atto con cui l’autorità competente approva il progetto di opera pubblica, cosi valutando l’esistenza di una ragione di p.u. che soddisfa il principio dell’art. 42, comma 3, Cost. e dell’art. 1 prot. add. CEDU.
La procedura di esproprio è semplice se l’opera è comunale mentre è complessa se l’opera non è comunale.
È emerso un problema nella vecchia giurisprudenza nel caso in cui l’amministrazione non avesse indicato il termine nella dichiarazione di p.u. per l’adozione del provvedimento di esproprio. La giurisprudenza della Cassazione riteneva che non solo la mancanza della dichiarazione di p.u., ma anche la mancanza di fissazione del termine nella dichiarazione, oltre che della scadenza del termine, comportassero una carenza di potere in concreto. Aggiungiamo poi che i termini erano 4: inizio e fine opera e di inizio e fine procedura.
Oggi il problema è risolto, poiché il T.U. prevede che se l’amministrazione dimentica di fissare il termine subentra il termine suppletivo legale di 5 anni, per cui la dichiarazione resta ferma ed entro 5 anni la Pa può adottare il provvedimento di espropriazione.
Giova evidenziare come sia il vincolo che la dichiarazione, pur essendo atti della procedura di esproprio, e quindi atti procedimentali, sono autonomamente intesi anche come atti immediatamente lesivi e quindi atti immediatamente impugnabili, perché producono degli effetti autonomi che pregiudicano ex nunc la posizione giuridica del destinatario.
3) Il provvedimento di espropriazione: ex art. 20 ss.
Previa fissazione dell’indennizzo, l’amministrazione adotta il provvedimento di esproprio.
Per l’indennizzo, prima delle pronunce della CEDU, la Consulta aveva ritenuto legittime le norme del T.U. e precedenti al T.U: art. 5 bis D.L. 333/1992 le quali prevedevano:
Per le espropriazioni finalizzate alle realizzazione di opere private e per le espropriazioni di aree edificate (espropriazione cioè di un area già oggetto di edificazione) ovvero indennizzi pari al valore venale del bene;
Per tutte le altre ipotesi di espropriazioni l’indennizzo non era né pari né vicino al valore venale del bene. Ad esempio per le aree edificabili l’art. 37 prevedeva tale criterio: la semi somma del valore venale del bene con il decuplo del reddito domenicale abbattuto al 40 %, mentre per le aree non edificabili l’art. 40 comma 2 e 3 prevedeva che l’indennizzo fosse parametrato al valore agricolo e per quelle non coltivate al valore agricolo medio.
Le aree non edificabili erano trattate tutte come aree agricole e si rifiutava la configurazione di un tertium genus di aree in quanto venivano parificate ad aree agricole aree che pur non essendo edificabili erano utilizzabili per scopi ben diversi e ben più lucrativi degli scopi agricoli es. cave, stazioni di carburante ecc.
Oggi la giurisprudenza CEDU prevede un principio, recepito dalla sent. 348/2007 e 181/2011 della Consulta, secondo cui il diritto di proprietà è sacro. Ciò vuol dire che tale diritto non può essere sacrificato in assenza di adeguate remunerazioni, e la remunerazione è adeguata non solo se c’è ma anche se è pari o prossima al valore del bene desunto dalle sue caratteristiche concrete, con conseguente divieto di ogni indennizzo astratto, che commisuri il compenso economico del bene alle caratteristiche di beni che sono diversi da quello oggetto della procedura espropriativa.
La Corte Cost. (sent. 348/2007) ha bocciato il criterio di indennizzo di cui all’art. 37 e la norma è stata riscritta con la legge 244/2007, la quale prevede ora un indennizzo pari al 100% del valore venale del bene e in casi particolari un abbattimento solo del 25% (75%di indennizzo).
La Corte Cost. (sent. 181/2011) ha poi bocciato l’art. 40, comma 2 e 3, perché prevedeva il criterio del valore agricolo per aree non agricole e giungeva quindi ad una commisurazione dell’indennizzo in astratto.
Il T.U. prevede che la dichiarazione di p.u. deve essere adottata entro 5 anni dall’apposizione del vincolo, ma il vincolo può essere reiterato, la dichiarazione, in assenza di diversa previsione, è valida 5 anni, termine entro il quale deve essere adottato il provvedimento espropriativo, dal provvedimento di espropriazione decorrono 2 anni entro i quali esso deve essere eseguito attraverso l’immissione in possesso.
La procedura dura quindi in totale 12 anni.
Inoltre, a seconda che gli espropriati siano inferiori o superiori a 50 la procedura di esproprio segue o meno il contraddittorio. Se l’esproprio prevede non più di 50 espropriati: (art. 1 – 16 T.U.) l’avvio del procedimento deve essere comunicato seguendo i criteri della L. 241/1990; se sono più di 50, invece, la comunicazione è sostituita dalla pubblicazione sul sito del comune, albo pretorio, quotidiani.
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