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Pubbl. Ven, 13 Lug 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Il risarcimento del danno da ritardo della pubblica amministrazione: aspetti sostanziali e processuali

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Francesco Orabona


Al fine di accoglimento della domanda risarcimento del danno da ritardo-inerzia della P.A. nella conclusione del procedimento amministrativo è necessario che che la condotta inerte o tardiva dell´amministrazione sia stata causa di un danno nella sfera giuridica del privato che, con la propria istanza, ha dato avvio al procedimento amministrativo.


Sommario. A) PARTE PRIMA: il dibattito della dottrina sul danno da ritardo. 1. La responsabilità della P.A. per danno da ritardo ed art. 2 bis della Legge n. 241/90; 2. La qualificazione della situazione giuridica soggettiva lesa dal “mero ritardo”; 3. Presupposti oggettivi e soggettivi per la configurazione del danno da ritardo. B) PARTE SECONDA: la giurisprudenza sul danno da ritardo. 1. L’orientamento della Giurisprudenza dopo l’entrata in vigore dell’art. 2 bis della L. n. 241/90. C) PARTE TERZA: il danno biologico. 1. Il riconoscimento del danno biologico a seguito di colpevole ritardo nell’emissione di un provvedimento autorizzativo. D) PARTE QUARTA: disciplina processuale. 1. Il problema del riparto di giurisdizione; 2 La disciplina dell'azione risarcitoria nel Codice del processo amministrativo.

A) PARTE PRIMA: il dibattito della dottrina sul danno da ritardo

1. La responsabilità della P.A. per danno da ritardo ed art. 2 bis della Legge n. 241/90.

Con l’espressione “danno da ritardo” della Pubblica amministrazione si è soliti far riferimento a quella particolare forma di responsabilità risarcitoria per illegittimo esercizio della funzione ossia per l’omesso o tardivo svolgimento dell’attività amministrativa.

L’ambiguità del danno da ritardo sta nel fatto che l’Amministrazione può essere in ritardo perlomeno in due significati: può tardare nel provvedere, cioè nel concludere il procedimento, oppure può tardare a dare soddisfazione all’interesse sostanziale dell’amministrato. Nella singola fattispecie queste due accezioni del ritardo possono coesistere ovvero trovarsi disgiunte: può accadere che in concreto l’Amministrazione sia in ritardo in entrambi i sensi indicati oppure in uno solo di essi. L’amministrazione tarda nel provvedere ogni qualvolta lascia decorrere il termine di conclusione del procedimento senza aver adottato il provvedimento, naturalmente al di fuori delle ipotesi di silenzio significativo.

L’Amministrazione tarda a dare soddisfazione all’interesse sostanziale del privato quando non produce, nei tempi normativamente stabiliti, l’assetto di interessi che consente la soddisfazione di quella pretesa. Questa seconda ipotesi può verificarsi evidentemente non solo con la semplice inerzia, ma anche con l’adozione di un provvedimento negativo nei confronti della richiesta del privato. Per tale ragione, quando l’Amministrazione si decide a rilasciare il provvedimento di assenso, in ipotesi a seguito dell’annullamento giurisdizionale del provvedimento di diniego, il privato può chiedere i danni connessi al ritardo con cui ha finalmente ottenuto quanto gli spettava, potendosi anche in questo caso parlare di danno da ritardo.

Il concetto di ritardo poi presenta un’ulteriore complicazione, poiché´ comprende sia il profilo omissivo dell’inazione protratta oltre il termine massimo consentito sia quello attivo dell’azione tardiva; è in ritardo sia chi rimane inerte sia chi, a un certo punto, si risolve ad agire, sebbene tardivamente. Tale duplice profilo è presente anche nel ritardo dell’Amministrazione. Può quindi accadere che il ricorrente agisca per il risarcimento del danno da ritardo sia quando l’Amministrazione non si è ancora pronunciata sia dopo la pronuncia tardiva. Nel caso di azione risarcitoria proposta quando l’Amministrazione è ancora silente, può porsi il problema del rapporto tra tale azione e azione avverso il silenzio.

Il dibattito sul tema si è focalizzato intorno ad un’alternativa che riflette la duplicità di significati sopra messa in luce: considerare risarcibili solo i danni connessi alla ritardata soddisfazione dell’interesse sostanziale del privato oppure anche quelli connessi all’incertezza, all’attesa, alla stasi imposta al privato e ai suoi affari dal tergiversare dell’amministrazione.

Se si tiene per buona la prima tesi, il ritardo può essere considerato causa di danni risarcibili solo ove risulti che l’interesse sostanziale del privato meritava comunque soddisfazione, con la conseguenza che la domanda risarcitoria può essere accolta in due casi: quando il provvedimento di assenso sia stato infine rilasciato o quando il Giudice abbia comunque accertato che l’esito del procedimento doveva essere positivo.

Se si segue la seconda tesi, invece, la domanda risarcitoria può trovare accoglimento a prescindere dalle probabilità di soddisfazione della pretesa sostanziale del privato, per il semplice fatto del ritardo, sempre che tale ritardo abbia prodotto dei danni. In questo caso viene data autonoma rilevanza e tutela all’interesse strumentale del cittadino ad avere comunque una risposta—sia pure negativa—nei tempi preventivati, al fine di potersi regolare di conseguenza e gestire al meglio i propri affari in un quadro di condizioni certe e definite.

In dottrina si è affermato l’uso di una differente terminologia per indicare le due tipologie di danno, parlandosi di “danno da impedimento” con riferimento alle conseguenze negative connesse al ritardo nel godimento dell’utilità finale, e di “danno da mero ritardo” o anche “da incertezza” con riguardo agli effetti pregiudizievoli dell’inosservanza del termine di conclusione del procedimento considerati indipendentemente dal profilo sostanziale. La giurisprudenza ha seguito inizialmente un andamento piuttosto incerto, apparendo però maggiormente orientata verso la prima delle tesi indicate. Per lo più il risarcimento del danno da ritardo è stato agganciato alla fondatezza della pretesa sostanziale e quindi riconosciuto in caso di provvedimento tardivo favorevole o di giudizio prognostico positivo, negato in caso di provvedimento tardivo sfavorevole divenuto inoppugnabile per l’omessa proposizione di un’impugnativa, oppure per la ritenuta impossibilità di effettuare il giudizio prognostico a fronte di un potere amministrativo discrezionale.

Le iniziali oscillazioni giurisprudenziali sono state superate da una netta presa di posizione dell’Adunanza plenaria[1], secondo la quale «il sistema di tutela degli interessi pretensivi [...] consente il passaggio a riparazioni per equivalente solo quando l’interesse pretensivo, incapace di trovare realizzazione con l’atto, in congiunzione con l’interesse pubblico, assuma a suo oggetto la tutela di interessi sostanziali e, perciò, la mancata emanazione o il ritardo nella emanazione di un provvedimento vantaggioso per l’interessato (suscettibile di appagare un “bene della vita”)».

La giurisprudenza successiva fino al 2009 si è sostanzialmente attestata sull’indirizzo restrittivo[2].

A riaprire il dibattito sul danno da ritardo è stata l’emanazione dell’art. 2 bis legge n. 241/1990, introdotto dalla legge delega 18 giugno 2009, n. 69, che ha previsto, per la prima volta in modo espresso, la risarcibilità dei danni derivanti dalla inosservanza del termine di conclusione del procedimento[3]. Tale disposizione è stata dai più salutata come il riconoscimento della risarcibilità del danno da mero ritardo, ossia sganciato dalla consistenza della pretesa sostanziale del richiedente.

E’ stata sollevata qualche perplessità sulla effettiva portata innovativa dell’art. 2 bis legge n. 241/1990 rispetto al quadro normativo previgente[4].

A ben riflettere, infatti, sembra potersi osservare che tale disposizione non abbia fatto altro che applicare la clausola generale della responsabilità aquiliana di cui all’art. 2043 c.c. a una particolare ipotesi di fatto illecito, quella consistente nella inosservanza dolosa o colposa da parte dell’Amministrazione del termine di conclusione del procedimento, lasciando per il resto immutata la fattispecie di responsabilità in questione. A far data dalla sentenza delle Sezioni unite della Corte di Cassazione n. 500/1999, è assodato che il fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c. possa consistere nell’illegittimo esercizio della funzione amministrativa; con la nuova disposizione si chiarisce che può integrare fatto illecito, ai sensi del citato articolo del codice civile, anche l’illegittimo non esercizio o tardivo esercizio della medesima funzione, il che però è un dato acquisito sin dalle origini del dibattito sull’argomento.

Per questo aspetto, quindi, non può dirsi che la disposizione in commento, indubbiamente utile sul piano del chiarimento interpretativo, abbia modificato in modo significativo l’assetto preesistente. E infatti, ad onor del vero, l’effetto innovativo che viene attribuito all’art. 2 bis non è tanto quello di aver incluso nel novero delle condotte potenzialmente dannose ai fini della responsabilità risarcitoria l’inerzia o il ritardo, quanto quello di aver sancito la risarcibilità del danno causato dal ritardo indipendentemente dall’esito positivo o negativo del procedimento tardivamente concluso.

Questo passaggio, invero non esplicitato dalla lettera della norma, viene probabilmente desunto dalla circostanza che la condotta dannosa è descritta come «inosservanza del termine di conclusione del procedimento» piuttosto che (in ipotesi) «mancata o ritardata attribuzione del bene della vita». Una simile argomentazione però non convince, dal momento che l’inosservanza del termine di conclusione del procedimento, come sopra si è visto, può ben determinare la mancata o ritardata attribuzione del bene della vita al richiedente, per cui le due ipotesi, lungi dall’escludersi a vicenda, possono in concreto coincidere. Ma soprattutto, la disposizione non dichiara risarcibili tutti i danni comunque prodotti dalla inosservanza del termine di conclusione del procedimento, ma soltanto il danno ingiusto cagionato dalla suddetta inosservanza. D’altra parte, l’area del danno risarcibile non può essere delimitata soltanto dalla definizione della condotta, ma deve risultare dall’interpretazione complessiva della fattispecie, in particolare dalla considerazione congiunta della condotta e del danno risarcibile, che la norma identifica nel danno ingiusto.

Nulla impedirebbe di leggere la disposizione nel senso che sono risarcibili i danni prodotti dall’inosservanza del termine di conclusione del procedimento a condizione che tali danni siano ingiusti nel senso voluto dalla prevalente giurisprudenza civile ed amministrativa a far data dal 1999, quindi lesivi dell’interesse al bene della vita al quale si correla l’interesse legittimo pretensivo del soggetto che attende una risposta da parte dell’Amministrazione. Aderendo a tale interpretazione si potrebbe concludere che la norma in esame ha confermato la risarcibilità del danno da impedimento, senza nulla disporre sul danno da mero ritardo o da incertezza, mancando pertanto di carattere innovativo.

Alla luce delle considerazioni svolte, il riconoscimento della risarcibilità del danno da mero ritardo o da incertezza appare, più che il portato dell’introduzione dell’art. 2 bis, che resta astrattamente suscettibile di diverse interpretazioni, il frutto del superamento, avvenuto in sede dottrinaria e ormai anche giurisprudenziale, della tesi secondo la quale è danno ingiusto risarcibile soltanto il danno connesso alla lesione dell’interesse al bene della vita correlato all’interesse legittimo[5].

2. La qualificazione della situazione giuridica soggettiva lesa dal “mero ritardo”.

L’adesione alla tesi che accorda tutela risarcitoria al privato leso dall’illegittimo esercizio della funzione amministrativa, come pure dall’illegittimo ritardo o silenzio dell’amministrazione, a prescindere dalla lesione dell’interesse finale (e quindi indipendentemente dalla fondatezza della pretesa sostanziale) implica alcuni corollari sul piano della qualificazione della situazione giuridica soggettiva lesa dall’attività o dall’inerzia della P.A.

Sembrano possibili due scenari, tra loro alternativi.

Se si ritiene che la situazione giuridica soggettiva lesa dalla condotta attiva o omissiva dell’Amministrazione sia sempre e comunque l’interesse legittimo, allora occorre abbandonare l’idea che questo abbia ad oggetto il bene della vita al quale tende l’interesse sostanziale del privato, per aderire a una diversa ricostruzione di tale situazione soggettiva che la estenda a un ventaglio di situazioni, anche strumentali, non esclusivamente incentrate sul nesso con l’interesse sostanziale. La tesi più coerente in tal senso appare quella di chi sottolinea il carattere strumentale dell’interesse legittimo e pone all’esterno della relativa nozione il riferimento al bene della vita, definendolo come «la situazione soggettiva del privato che tende all’ottenimento, attraverso l’adozione del provvedimento, della disciplina (eventualmente) favorevole del proprio interesse finale». Ne consegue che «il comportamento inerte dell’amministrazione impedisce la determinazione (o il mantenimento) di un (eventualmente) favorevole assetto di interessi finali», e pertanto «la mancata o ritardata adozione del provvedimento formale costituiscono ipotesi di lesione dell’interesse legittimo [...] sempre, anche se successivamente l’azione amministrativa si conclude con un provvedimento espresso tardivo, favorevole o sfavorevole, legittimo o illegittimo che sia»[6].

Se invece si tiene ferma l’idea che l’interesse legittimo abbia ad oggetto l’interesse al bene della vita, si deve conseguentemente riconoscere che quando viene accordata tutela risarcitoria indipendentemente dalla fondatezza della pretesa sostanziale — come nel caso del danno da mero ritardo—ad essere risarcito non è l’interesse legittimo, ma una diversa situazione soggettiva. Si deve cioè aderire a quel filone teorico che a fronte dell’esercizio della funzione amministrativa ravvisa una pluralità di situazioni giuridiche di varia natura, anche di diritto soggettivo[7]

Per quanto in particolare riguarda il danno da mero ritardo o da incertezza sono state proposte due tesi, che fanno perno sulla qualificazione della situazione soggettiva lesa in termini, rispettivamente, di “interesse procedimentale” oppure di vero e proprio diritto soggettivo all’adozione tempestiva del provvedimento.

Secondo la prima tesi[8] il privato è titolare, nei confronti dell’amministrazione, di molteplici interessi aventi ad oggetto il rispetto delle norme sul procedimento, strumentali alla soddisfazione dell’interesse finale; tra tali “interessi procedimentali” se ne possono individuare alcuni dotati di speciale autonomia rispetto all’interesse finale in quanto di per sé rilevanti come beni della vita, i quali sarebbero meritevoli di tutela risarcitoria indipendentemente dall’esito positivo o negativo del procedimento. Tra questi viene appunto inserita la pretesa al rispetto del termine di conclusione del procedimento di cui all’art. 2 della legge n. 241/1990, con la conseguenza che la sua lesione darebbe titolo al risarcimento dell’eventuale danno che ne sia derivato a prescindere dalla “spettanza” dell’utilità finale.

Alcuni autori hanno poi enfatizzato la diversità dell’interesse al rispetto del termine da altri interessi, in modo particolare dalle pretese partecipative, la cui autonomia dall’interesse sostanziale sarebbe meno evidente. A questo proposito non si può non osservare che l’interesse al rispetto del termine di conclusione del procedimento, specie se reso autonomo dal bene della vita finale, assume specifico rilievo proprio in relazione all’esigenza di conoscere con certezza l’esito del procedimento, mostrando una chiara affinità con le pretese partecipative, esse pure rivolte in gran parte ad acquisire tempestive informazioni sulle decisioni che l’amministrazione è orientata a prendere.

La seconda tesi, invece, partendo dalla ricostruzione della relazione tra privato ed amministrazione che si instaura nel procedimento come un vero e proprio rapporto giuridico regolato da diritti e obblighi reciproci, qualifica l’interesse del privato a ricevere una risposta in tempi certi come un diritto soggettivo, al quale corrisponde un’obbligazione in capo al soggetto pubblico, la cui lesione dà titolo al risarcimento dei danni conseguenti a prescindere da qualsiasi nesso con il bene della vita fatto oggetto del potere amministrativo.

Questa tesi è stata ripresa con rinnovata convinzione a seguito dell’introduzione dell’art. 2 bis della legge n. 241/1990, inteso come definitiva ed esplicita previsione della risarcibilità del danno da mero ritardo.

Si è infatti argomentato che, se il legislatore ha reso autonomo il risarcimento del danno dalla meritevolezza dell’interesse finale, collegandolo direttamente allo stato di incertezza causato dal ritardo, è difficile negare che oggetto di tutela sia senz’altro un diritto soggettivo al rispetto del termine. La consistenza di diritto della pretesa al provvedimento tempestivo è stata ricavata, in particolare, dalla considerazione congiunta degli artt. 2, 2 bis e 29 della legge n. 241/1990, dal momento che tale ultima disposizione qualifica espressamente come obbligo della P.A. quello di concludere il procedimento entro il termine prefissato. Altro elemento richiamato a sostegno della tesi in esame è la devoluzione alla giurisdizione esclusiva delle controversie sul danno da ritardo, la quale presuppone evidentemente che nelle relative vertenze possano venire in questione situazioni di diritto soggettivo[9].

Esiste poi un nesso logico tra la qualificazione della situazione giuridica soggettiva lesa dal mero ritardo e la soluzione del problema relativo alla natura della corrispondente responsabilità dell’amministrazione. Com’è noto, varie teorie si contendono il campo in ordine a quale dei modelli di responsabilità civile (aquiliana, contrattuale, precontrattuale, da contatto) meglio si attagli alle caratteristiche della responsabilità dell’amministrazione per illegittimo esercizio della funzione[10]. Ora è evidente che se si tiene ferma la qualificazione della situazione lesa in termini di interesse legittimo, non v’è ragione di discostarsi dal modello originariamente adottato dalla Cassazione nella sentenza n. 500/1999, quello aquiliano di cui all’art. 2043 c.c., il quale presuppone che tra amministrazione e privato non si ravvisi alcuno specifico rapporto giuridico preesistente alla lesione. Se invece si sostiene che la violazione della regola procedimentale — nella specie quella che impone di chiudere il procedimento entro un dato termine — lede un diritto soggettivo del privato, la conseguente responsabilità presenta i tratti di quella contrattuale da inadempimento dell’obbligazione. Non è un caso che nella motivazione delle sentenze che ammettono la risarcibilità del danno da incertezza si aderisce sovente alla tesi — sostenuta anche da autorevole dottrina — che inquadra la responsabilità dell’amministrazione in quella contrattuale “da contatto qualificato”[11]. Appare significativa al riguardo l’affermazione della Cassazione secondo la quale «il fenomeno, tradizionalmente noto come lesione dell’interesse legittimo, costituisce in realtà inadempimento alle regole di svolgimento dell’azione amministrativa, ed integra una responsabilità che è molto più vicina alla responsabilità contrattuale».

Non è questa la sede per una disamina critica delle tesi ricordate. Ci si limita soltanto ad osservare, richiamando quanto detto sopra, che la necessità di costruire la pretesa al rispetto del termine come situazione diversa dall’interesse legittimo al fine di affermarne l’autonoma risarcibilità si pone solo in quanto si concepisca l’interesse legittimo come situazione avente ad oggetto direttamente il bene della vita sul quale si esercita il potere amministrativo. Se invece si accoglie una concezione strumentale dell’interesse legittimo, come situazione dotata di una rilevanza giuridica indipendente dalla logica della “spettanza”, si può ricondurre l’interesse all’adozione tempestiva del provvedimento nell’alveo dell’interesse legittimo e contestualmente predicarne la piena e autonoma tutela risarcitoria.

Quanto poi alla questione della natura della responsabilità, la qualificazione unitaria della situazione giuridica del privato in termini di interesse legittimo ben si concilia, come si è visto, con la cornice teorica della responsabilità extracontrattuale, alla quale resta saldamente ancorata non solo la giurisprudenza (come si vedrà meglio oltre), ma stando alla lettera dell’art. 2 bis, anche il legislatore. Una volta che si sia chiarito che l’ingiustizia del danno risiede nella lesione di qualsiasi interesse giuridicamente rilevante, cioè di qualsiasi situazione giuridica soggettiva—e quindi anche dell’interesse legittimo — non pare che il modello della responsabilità extracontrattuale, incentrato sulla clausola del danno ingiusto, presenti particolari controindicazioni, consentendo anzi la risarcibilità di tutti i danni comunque cagionati—con dolo o colpa—dalla violazione delle regole procedimentali di esercizio del potere, ivi compresa quella relativa alla durata massima del procedimento amministrativo. Riconsiderando la posizione della giurisprudenza in tema di danno da ritardo, sopra esaminata, nel prisma delle opzioni teoriche che si sono brevemente ricostruite, si può dire che essa appare nel complesso ancora fortemente condizionata dalla concezione dell’interesse legittimo come interesse al bene della vita. Inoltre, in misura prevalente, la dottrina è dell’avviso che anche l’inerzia e il ritardo, alla stessa stregua del provvedimento illegittimo, ledano l’interesse legittimo — in particolare di tipo pretensivo — del privato. Risulta quindi comprensibile, alla luce delle considerazioni svolte, che tenendo ferma sia una certa concezione dell’interesse legittimo, sia una determinata qualificazione della situazione giuridica soggettiva del privato, la giurisprudenza abbia finora in maggioranza negato la risarcibilità del danno da mero ritardo; né sorprende che nei rari casi nei quali l’ha ammessa, abbia finito per qualificare diversamente (in termini di interesse procedimentale o di diritto soggettivo) la situazione giuridica del privato.

3. Presupposti oggettivi e soggettivi per la configurazione del danno da ritardo.

La formulazione della norma di cui al citato art. 2 bis ed, in particolare, l’utilizzo di espressioni come «danno ingiusto» e condotta «dolosa o colposa» sembra deporre chiaramente per la configurazione della tipologia di danno da ritardo della P.A. nello schema dell’illecito aquiliano ex art. 2043 c.c.[12]

A fronte di una siffatta qualificazione della relativa natura giuridica, il giudice amministrativo è chiamato cosı` a compiere una duplice verifica.

Innanzitutto, con riferimento all’elemento oggettivo, è tenuto ad accertare la sussistenza obbiettiva del ritardo causativo del danno che, stante la condizione di sostanziale ed immotivata incertezza in cui viene a trovarsi il soggetto privato, consiste nel comportamento omissivo serbato dall’amministrazione in violazione dei termini procedimentali normativamente predeterminati.

Con riferimento all’elemento soggettivo, invece, il giudice è chiamato a verificare se il ritardo sia soggettivamente imputabile o meno all’amministrazione competente.

In sede processuale, nelle ipotesi di responsabilità della pubblica amministrazione, compresa quella per i danni cagionati per il mancato esercizio dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in maniera stringente la prova del danno; non è possibile, in altri termini, invocare il cosiddetto principio acquisitivo che concerne lo svolgimento dell’istruttoria e non l’allegazione dei fatti. Anche se si ritiene astrattamente ammissibile il ricorso alle presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c., non si può prescindere dall’obbligo di allegare circostanze di fatto sufficientemente precise ed univoche.

Nei casi di danno da ritardo, l'elemento soggettivo non si può mai presumere[13], dovendo essere oggetto, assieme a tutti gli altri elementi costitutivi della domanda risarcitoria, ed in particolare al danno, di apposita prova: in sostanza, il mero "superamento" del termine fissato ex lege o per via regolamentare alla conclusione del procedimento costituisce indice oggettivo, ma non integra "piena prova del danno"[14]. Tuttavia è stato chiarito che la valutazione che il giudice è tenuto a compiere “è di natura relativistica, deve tenere conto della specifica complessità procedimentale, e quindi di sospensioni o rallentamenti ingiustificati (e ciò sarebbe a sfavore dell'amministrazione), ma anche degli oneri istruttori che abbiano ragionevolmente allungato l'iter decisionale (e ciò andrebbe a sfavore della parte privata”[15]

Si è osservato che, nel danno da ritardo, i giudici amministrativi non estendono l'insegnamento ormai dominante circa la prova (per presunzioni) dell'elemento soggettivo nella responsabilità da provvedimento illegittimo. Al contempo, però, non si può attribuire a questa circostanza un valore del tutto dirimente (per capire, cioè, se essa testimoni una differenza davvero significativa tra la fattispecie del danno da ritardo e il risarcimento degli interessi legittimi): poiché, da un lato, nell'inerzia non c'è, per definizione, una manifestazione visibile, attizia, dalla cui illegittimità desumere un'apparenza di colpevolezza; e poiché, specialmente, laddove si ponga attenzione alle valutazioni che l'organo giudicante dovrebbe compiere per valutare le ragioni delle dilazioni procedimentali, ci si può accorgere che esse non sono semplicemente ascrivibili al novero dei criteri oggettivi e controllabili che il giudice deve sempre fornire nell'esercizio motivato del suo libero apprezzamento; esse, infatti, tendono ad agevolare autonome ed obiettive qualificazioni di fatti che le parti possono aver semplicemente allegato, al di là della prova puntuale di una negligenza rimproverabile[16]

Se, in estrema sintesi, il soggetto onerato della allegazione e della prova dei fatti non vi provvede autonomamente, non si può procedere alla valutazione equitativa del danno ai sensi dell’art. 1226 c.c. anche per l’impossibilità di comprovare l’esatto ammontare dei pregiudizi patiti. Allo stesso tempo, poi, al mancato assolvimento dell’onere probatorio gravante sul ricorrente non si può ovviare surrettiziamente attraverso la richiesta di una consulenza tecnica d’ufficio che, per ciò solo, rivelerebbe una portata affatto strumentale.

La domanda di risarcimento del danno da ritardo deve essere sempre pre esaminata sulla base delle prove fornite dall’istante. Si è sostenuto, a tal riguardo, che alla luce delle allegazioni della parte istante, risultano essere tre le voci di danno derivanti dal tardivo rilascio di una autorizzazione e cioè: gli interessi passivi, i costi sostenuti per le consulenze e gli utili non realizzati da una Società[17]. Il rilascio dell’autorizzazione richiesta entro il termine di conclusione del procedimento avrebbe permesso all’operatore economico di rispettare il proprio programma di investimento. Il ritardo, invece, ha provocato un’asimmetria tra il ricorso al credito e l’attuazione dell’intervento traducendosi in un effettivo pregiudizio per la ricorrente che, laddove avesse conosciuto la durata del procedimento, avrebbe potuto eventualmente desistere dall’investimento o comunque non ricorrere immediatamente al finanziamento.

In tal modo non è per nulla illogico o scorretto continuare ad applicare l'art. 2043 c.c. e affermare la possibilità teorica della risarcibilità di danni da mero ritardo a condizione che la sussistenza di tutti gli elementi costitutivi della fattispecie aquiliana sia concretamente provata e accertata dal giudice. Questa è proprio la possibilità che l'art. 30, comma 4, c.p.a. e l'art. 2 bis legge n. 241/1990 intendono consentire.

Oltre a ciò, però, si deve aggiungere — svolgendo così un'operazione sul presente e sull'auspicabile e migliore valorizzazione futura dei nuovi dati positivi di cui all'art. 30, comma 3, c.p.a. — che la specificazione testuale sull'esistenza di un «risarcimento per lesione di interessi legittimi», da un lato, ha necessariamente superato la definizione che la Cassazione aveva dato di questa tipologia di situazione soggettiva (per la Cassazione, infatti, non si risarcivano tout court tali interessi), dall'altro, non ha impedito di promuovere espressamente nell'area della risarcibilità tutto ciò che può vantare di (variamente) sostanziale il titolare dell'interesse legittimo (inteso ex novo) come interesse al bene della vita (finale) la cui soddisfazione è normativamente mediata dall'esercizio del potere.

Quale significato avrebbe, altrimenti, la dizione generale ed onnicomprensiva di cui all'art. 30, comma 2, c.p.a., per la quale «può essere chiesta la condanna al risarcimento del danno ingiusto derivante dall'illegittimo esercizio dell'attività amministrativa o dal mancato esercizio di quella obbligatoria»? Sotto questo "cappello" sono tutelati sia gli interessi legittimi (per così dire in senso stretto), per la cui risarcibilità la verifica sull'esito della definizione del rapporto amministrativo può essere determinante, sia gli altri interessi (essi pure, se si vuole, legittimi, ma in senso lato) che da quella definizione possono essere occasionalmente garantiti in quanto passibili di considerazioni autonome (e tra questi vi è l'interesse alla certezza temporale dell'azione amministrativa)

B) PARTE SECONDA: la giurisprudenza sul danno da ritardo.

1. L’orientamento della Giurisprudenza dopo l’entrata in vigore dell’art. 2 bis della L. n. 241/90.

Nell’ultimo decennio la problematica inerente la risarcibilità del danno derivante dal mancato rispetto dei termini di conclusione del procedimento ha assunto grande importanza.

Infatti il prevalente orientamento della Giurisprudenza amministrativa[18], formatosi dopo l’entrata in vigore dell’art. 2 bis della l. n. 241/90, ha preso posizione a favore della risarcibilità dei danni derivanti dal ritardo dell’amministrazione, a prescindere dall’esito positivo o negativo del procedimento, annettendo autonomo rilievo all’interesse del cittadino ad una tempestiva decisione della propria istanza che gli consenta di conoscere con certezza le determinazioni dell’amministrazione che lo riguardano. In altri termini la violazione sic et simpliciter, dolosa o colposa, del tempo, legittimerebbe, infatti, il risarcimento del danno indipendentemente dalla spettanza o meno del bene della vita oggetto del provvedimento. Ciò perché il tempo rientra nella categoria degli interessi sostanziali del privato qualificabili essi stessi beni della vita[19].

Tra l’altro, nel senso del rafforzamento di tale orientamento va anche ricordata la novella recata all’articolo 2-bis della legge 241/1990 a opera dell’articolo 28 del Dl 69/2013 (Dl “del fare”), che ha affermato il diritto a ottenere un indennizzo per il mero ritardo registrato nella conclusione del procedimento amministrativo, che non esclude la risarcibilità del danno effettivamente subito.

La responsabilità dell’amministrazione per il ritardo sussisterebbe anche qualora il procedimento si fosse concluso negativamente, con il diniego della richiesta autorizzazione, dal momento che l’inosservanza del termine di conclusione del procedimento si è tradotta in un pregiudizio per il` privato già solo sul piano dell’impossibilità di prevedere le future scelte amministrative e di programmare coerentemente le proprie risorse e le proprie attività. Anche nell’ipotesi in cui l’Amministrazione abbia rilasciato in ritardo un’autorizzazione va accordata al privato la tutela risarcitoria per i danni conseguenti al ritardo con cui l’amministrazione ha adottato un provvedimento a lui favorevole, ma emanato con ritardo rispetto al termine previsto per quel determinato procedimento, di talchè ne consegue che il ritardo procedimentale ha determinato un ritardo nell’attribuzione del c.d. “bene della vita”. Tale ricostruzione non è però condivisa da quella parte della giurisprudenza minoritaria che ritiene il danno da ritardo non risarcibile ex se[20].

Ed ancora è stato stabilito che il ritardo nella conclusione di un qualunque procedimento, qualora incidente su interessi pretensivi agganciati a programmi di investimento di cittadini o imprese, è sempre un costo, dal momento che il fattore tempo costituisce una essenziale variabile nella predisposizione e nell’attuazione di piani finanziari relativi a qualsiasi intervento, condizionandone la relativa convenienza economica. In questa prospettiva ogni incertezza sui tempi di realizzazione di un investimento si traduce nell’aumento del c.d. “rischio amministrativo” e, quindi, in maggiori costi, attesa l’immanente dimensione diacronica di ogni operazione di investimento e di finanziamento[21]»

Il danno da ritardo risarcibile deve, quindi, essere ricondotto agli elementi costitutivi di cui alla disciplina dell’illecito civile. Il “ritardo risarcibile” deve innanzitutto “produrre” un danno considerato ingiusto, e cioè, come pure è stato affermato in dottrina, sostanziare «la lesione di un interesse giuridicamente protetto nella vita di relazione». Il danno non iure, deve, poi, conseguire all’inosservanza dolosa o colposa dei termini a provvedere.

L’ingiustizia e la sussistenza stessa del danno non possono, in linea di principio, presumersi iuris tantum[22] in meccanica ed esclusiva relazione al ritardo nell’adozione del provvedimento amministrativo, ma il danneggiato deve provare tutti gli elementi costitutivi della relativa domanda, ossia oltre al danno (in relazione all’an ed al quantum), l’elemento soggettivo del dolo o della colpa e il nesso di causalità tra danno ed evento[23]. Pertanto, l’accertamento della responsabilità della P.a per il tardivo esercizio della funzione amministrativa non può ricollegarsi, quale effetto automatico, alla mera constatazione della violazione dei termini del procedimento. Si richiede un quid pluris, ossia che l’inosservanza dei termini procedimentali sia imputabile a colpa o dolo dell’amministrazione medesima e che il danno sia conseguenza diretta e immediata del ritardo dell’amministrazione[24].

La tesi per cui il tempo, nel nostro ordinamento, è un bene della vita risarcibile ex se, trova un temperamento nella disciplina generale introdotta dal codice del processo amministrativo in tema di azione risarcitoria. Il comma 3 dell’articolo 30 del Cpa prevede che «Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti». Tale norma assume valore di canone interpretativo del principio stabilito dal comma 2 dell’articolo 1227 del C.C. secondo cui «Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza» e cioè non è risarcibile il danno che il creditore non avrebbe subito se si fosse comportato in maniera collaborativa, comportamento cui è tenuto secondo correttezza. A tal proposito va richiamato in questa sede quanto affermato dal Supremo Consesso della Giustizia amministrativa con la decisione dell’Adunanza plenaria 3/2011 secondo la quale il comma 3 dell’articolo 30 del Cpa «pur non evocando in modo esplicito il disposto dell’art. 1227, comma 2, del codice civile, afferma che l’omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce, nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile alla stregua del canone di buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. Operando una ricognizione dei principi civilistici in tema di causalità giuridica e di principio di auto-responsabilità, il codice del processo amministrativo sancisce la regola secondo cui la tenuta, da parte del danneggiato, di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede e al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati secondo il canone della causalità civile imperniato sulla probabilità relativa recide, in tutto o in parte, il nesso casuale che deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili. In base al comma 2 dell’articolo 1227, il creditore è gravato non soltanto da un obbligo negativo (astenersi dall’aggravare il danno), ma anche da un obbligo positivo (tenere quelle condotte, anche positive, esigibili, utili e possibili, rivolte a evitare o ridurre il danno)... per cui anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno laddove si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica di cui si è detto, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo e avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno»[25].

Proprio con riferimento al comportamento corretto e diligente del creditore, alcune pronunce del Giudice amministrativo hanno affermato che il diritto al risarcimento del danno derivante dal ritardo con il quale l’amministrazione ha provveduto spetta solo ove i soggetti interessati abbiano reagito all’inerzia impugnando il silenzio-rifiuto; solo in caso di persistente inerzia a seguito di questa procedura può infatti configurarsi la lesione al bene della vita, risarcibile, alla stregua dei canoni di correttezza e buona fede, nello svolgimento del rapporto qualificato e differenziato tra soggetto pubblico e privato[26]

Di particolare interesse è la statuizione del Consiglio di Stato del 9 ottobre 2013 n. 4968[27] nella quale il Supremo Consesso ha giustamente ritenuto che le ripetute violazioni di legge e dei fondamentali principi cui deve essere conformata l’attività amministrativa ex articolo 97 della Costituzione che hanno segnato il procedimento di rilascio di un titolo edilizio richiesto dal privato vanno certamente ascritte a ipotesi di «grave negligenza o imperizia degli uffici dell’amministrazione comunale» complessivamente considerati. Nemmeno possono essere invocate, a scusante delle illegittimità verificatesi, pretese prassi o comportamenti reiterati e consolidati degli uffici, in particolare quando siano contra legem e manifestamente lesivi degli interessi dei cittadini che impediscono loro l’esercizio delle facoltà di tutela riconosciute dalla legge. Nel caso concreto esaminato dal Consiglio di Stato la procedura amministrativa seguita è stata segnata dalla violazione da parte dell’Amministrazione dell’obbligo di legge di comunicare al ricorrente (entro 60 giorni dalla presentazione dell’istanza, a norma dell’articolo 31, comma 5, della legge 17 agosto 1942 n. 1150) le varie determinazioni assunte, anche negative, tenuto conto anche della insussistenza di reali ragioni ostative al rilascio del richiesto titolo fino a quando non è stata proposta la variante urbanistica. L’amministrazione procedente non ha dato conto di alcun impedimento o motivo ostativo al rilascio del titolo dal momento della presentazione dell’istanza e per i successivi 10 mesi, ciò comportando un irragionevole aggravamento del procedimento e un ulteriore periodo di sospensione nel rilascio del provvedimento dovuto al sopraggiungere dell’iter teso all’adozione della variante al vigente piano regolatore generale (del quale nessuna notizia è stata comunque data al ricorrente). Questo comportamento tenuto dall’amministrazione è stato ritenuto dal giudice di appello «negligente e superficiale», posto in essere in dispregio dei canoni di legalità, imparzialità e buon andamento, anche in considerazione del fatto che l’inerzia dell’amministrazione è proseguita anche dopo l’approvazione definitiva della variante (divenuta efficace in data 25 giugno 1992). Detta condotta dell’amministrazione rileva anche ai fini dell’individuazione della sussistenza dell’elemento soggettivo (in particolare della colpa).

Il Collegio, in tale decisione ha, tra l’altro, esaminato il comportamento tenuto dal privato appellante ai fini della quantificazione della somma spettante.

La circostanza per cui il ricorrente non avesse impugnato il silenzio rifiuto formatosi, ai sensi del comma 6 del citato articolo 31 della legge n. 1150 del 1942, rileva certamente sotto il profilo del concorso causale alla produzione del danno (concausa) e della concreta determinazione del danno risarcibile (ex articoli 1227 del Cc e 30, comma 3, del CPA).

E infatti il Consiglio di Stato ha ritenuto che anche il comportamento del ricorrente ha contribuito al tardivo rilascio del titolo richiesto in ragione del fatto che, probabilmente, la tempestiva impugnazione del silenzio rifiuto avrebbe potuto comportare il rilascio del titolo da parte dell’amministrazione inerte sollecitata da eventuali provvedimenti del giudice. Inoltre, il giudice di appello ha anche considerato la condotta del ricorrente nei sette anni di durata dell’inerzia dell’amministrazione, nel corso dei quali lo stesso ha inviato solo due solleciti (uno a distanza di circa 3 anni dalla proposizione dell’istanza e un altro a 4 anni circa dal primo sollecito), difettando, quindi, nel ricorrente, il requisito dell’ordinaria diligenza. Il Consiglio di Stato ha, quindi, ritenuto che un comportamento maggiormente improntato ai principi di solidarietà e di buona fede avrebbe certamente comportato un minor ritardo nel rilascio del titolo edilizio e quindi ridotto i danni economici evidenziati dall’appellante.

C) PARTE TERZA: il danno biologico

1. Il riconoscimento del danno biologico a seguito di colpevole ritardo nell’emissione di un provvedimento autorizzativo.

La Giurisprudenza in questi ultimi anni occupandosi in più occasioni del danno da ritardo della P.A. ne ha ampliato la sfera di risarcibilità al danno biologico, conseguente alla patologia medica sofferta dal privato in ragione del tardivo provvedere dell’amministrazione.

L’estensione dell’area dei danni risarcibili ha condotto la Giurisprudenza ad abbandonare il precedente orientamento che aveva ritenuto possibile alleggerire lo sforzo probatorio gravante sul privato danneggiato, collocando pienamente la norma dell’art. 2-bis della Legge. n. 241/1990 nell’ambito della disciplina tradizionale della responsabilità aquiliana. Si continuano a ridurre, cosı`, i tratti di ‘‘specialità`’ della responsabilità della pubblica amministrazione rispetto ai canoni della responsabilità extracontrattuale.

In particolare è risultata significativa, in tema di ristoro anche del danno biologico, la statuizione del Consiglio di Stato (Sez. V) del 28 febbraio 2011, n. 1271 la quale oltre ad aver affrontato la problematica delle conseguenze del ritardo nel rilascio di un provvedimento autorizzativo quando, a causa di esso, siano derivati danni patrimoniali, ha preso, altresì, in esame gli effetti pregiudizievoli anche sotto il diverso profilo del danno biologico, quando questo deriva da uno stato di ansia e di preoccupazione della parte istante a causa della situazione di prolungata incertezza sulla sorte dell’affare per la cui conclusione l’autorizzazione richiesta era necessaria. Diversamente da quanto statuito dai giudici di primo grado, i giudici dell’appello hanno concluso per la risarcibilità del danno anche sotto questo profilo, sulla base di accertamenti clinici e psicofisici[28].

Il contenzioso dinanzi al Giudice amministrativo (proseguito in appello dinanzi al Consiglio di Stato) è scaturito dal fatto che un cittadino di un Comune della Puglia ha ottenuto il rilascio di un permesso di costruire in variante con due anni di ritardo rispetto al termine che avrebbe dovuto essere osservato nel rispetto delle norme che disciplinano questo procedimento. A causa di detto ritardo erano derivati impedimenti alla stipula di contratti definitivi per la vendita degli immobili sui quali avrebbero dovuto essere eseguiti gli interventi che erano stati richiesti dai promissari acquirenti. Avendo ciò premesso, l’interessato ha proposto ricorso al TAR della Puglia, Sezione di Lecce, chiedendo il ristoro dei danni patrimoniali che ne erano derivati, oltre al danno biologico subito per il turbamento che l’attesa oltre ogni limite del rilascio del permesso aveva determinato. L’amministrazione comunale si è difesa sostenendo che il ritardo doveva considerarsi giustificato, a causa della necessità di integrazioni istruttorie, di approfondimenti legali, e della opportunità di attendere l’esito di un giudizio ritenuto connesso. Il TAR ha condiviso le argomentazioni addotte dall’amministrazione, e quindi esclusa la responsabilità da colpevole ritardo dell’amministrazione, aggiungendo che, in ogni caso, vi era l’impossibilità di pronunciarsi sui danni per non essere stata fornita alcuna prova sulla sussistenza e sulla quantificazione. Il ricorso veniva quindi respinto. Sull’appello del ricorrente, il Consiglio di Stato ha dapprima affrontato la questione del ritardo imputato all’amministrazione comunale e della sussistenza di colpa nella sua formazione. Sul punto la Sezione ha rilevato che il provvedimento autorizzativo è stato rilasciato con due anni di ritardo rispetto al termine che avrebbe dovuto essere osservato nel rispetto delle norme che disciplinano questo procedimento. Premesso il dato oggettivo del ritardo, la Sezione ha ritenuto evidente l’elemento soggettivo della colpa in capo all’amministrazione comunale, non apparendo sussistenti i presupposti in base ai quali erano state promosse iniziative istruttorie e attivati pareri legali, come pure del tutto irrilevanti gli altri impedimenti addotti per la conclusione del procedimento, quali il pagamento della tassa per l’occupazione del luogo pubblico, l’attesa della definizione di un giudizio ritenuto correlato, la sostituzione del responsabile del procedimento. Conseguentemente la Sezione conclude con il rilievo che dalle considerazioni svolte «(...) emerge come il ritardo nel rilascio del permesso di costruire sia imputabile al Comune (...) e come non sussista alcun valido elemento idoneo a escludere la colpa dell’amministrazione per il ritardo (...)». La decisione passa poi ad esaminare la domanda di risarcimento nei suoi aspetti prospettati di danno patrimoniale e di danno biologico. Per il primo aspetto, i giudici di appello hanno ritenuto provato il nesso di causalità tra danno e il ritardo, e individuato il danno medesimo nella perdita economica derivante dalla mancata disponibilità dei beni nel tempo in cui il permesso di costruire ha tardato a venire rilasciato. Per il secondo, i giudici hanno ritenuto, sulla base di accertamenti sanitari disposti nel giudizio di appello, che il ricorrente ha subito un danno psicologico consistente in un turbamento tanto grave da togliergli la serenità di vivere. Da qui la condanna al risarcimento del danno sotto entrambi i profili enunciati, con le quantificazioni derivanti dagli elementi documentali raccolti, e dalla esperita consulenza tecnica medico-legale.

La sentenza, tra l’altro, offre lo spunto per alcune riflessioni sulla natura del danno biologico prodotto da lesione di interessi pretensivi: se influente sulla capacità di reddito, e quindi pur sempre di natura patrimoniale, oppure se afferente alla sfera della personalità.

Per individuare questa fattispecie di danno occorre rifarsi al giudice civile per la sua copiosa giurisprudenza con la quale viene affrontato il tema del danno prodotto da fatto illecito. Con la sentenza della III Sezione civile 24 febbraio 2011, n. 4493, la Cassazione ha affermato che occorre tenere distinta la figura del danno biologico rispetto al danno patrimoniale, in quanto la capacità di produrre reddito in modo ridotto a causa di menomazioni fisiche è misurabile mediante l’applicazione dei criteri al riguardo dettati e quantificabili.

La decisione dei Giudici di Palazzo Spada non si discosta, di fatto, da quanto già affermato dalla Giurisprudenza della Cassazione civile[29], a seguito della quale è stato definitivamente esteso l’ambito della risarcibilità del danno non patrimoniale, oltre ai casi espressamente previsti dalla legge - ex art. 185 c.p. -, anche alle ipotesi in cui l’inadempimento leda, in modo grave, un diritto della persona tutelato dalla Costituzione.

A tale riguardo, e confermando, quindi, quanto già stabilito dalla giurisprudenza consolidata, il Consiglio di Stato ha precisato che, se il ritardo nel provvedere conduce ad una lesione dell’integrità fisica della persona, i postumi d’invalidità - a seconda che siano idonei, o meno, ad incidere sulla capacità del danneggiato di produrre reddito - possono assumere, alternativamente, natura patrimoniale o non patrimoniale. Nel caso di specie è stato ritenuto sussistente il danno biologico, inteso, genericamente, quale aspetto del danno non patrimoniale che afferisce all’integrità fisica della persona, e qualificato, nello specifico, come danno derivante dalla lesione del diritto inviolabile, costituzionalmente protetto, alla salute, cagionato in ragione dell’inerzia dell’amministrazione nel provvedere sull’istanza del privato.

Il danno biologico è da riferirsi al turbamento della psiche, quando esso è causato da un evento o da una situazione di disagio, non produttivo di danno patrimoniale diretto e quantificabile, ma pur sempre monetizzabile sotto il profilo del ristoro e va inteso come lesione all’interesse costituzionalmente garantito all’integrità fisica e psichica..

Nel caso qui in esame, il danno subito dal cittadino, per il ritardo nell’attendere il rilascio delle autorizzazioni necessarie per gli interventi di ristrutturazione di suoi immobili, per ottenerne un beneficio economico, viene considerato duplice: la perdita di denaro per la sorte compromessa dei preliminari di vendita, e l’affanno psicologico per l’attesa frustrante di ottenere quanto pensava di averne diritto.

Sotto il profilo dell’onere probatorio del soggetto che agisce per il risarcimento, la statuizione del Consiglio di Stato sembra ricondurre la responsabilità per danno da ritardo al modello aquiliano. Infatti, il privato che si ritenga leso dall’omessa o tardiva adozione del provvedimento amministrativo, ha il dovere di fornire la prova del danno, affermando che per ogni ipotesi di responsabilità della p.a. per i danni causati per l’illegittimo esercizio (o, come nel caso di specie, mancato esercizio) dell’attività amministrativa, spetta al ricorrente fornire in modo rigoroso la prova dell’esistenza del danno, non potendosi invocare il c.d. principio acquisitivo perchè tale principio attiene allo svolgimento dell’istruttoria e non all’allegazione dei fatti.

Infine è stato ribadito il principio già fissato dalla precedente giurisprudenza secondo il quale consulenza tecnica d’ufficio non può mai sostituirsi al mancato assolvimento dell’onere probatorio ad opera del ricorrente, essendo, di contro, la sua funzione limitata a quella di fornire un apporto di cognizioni tecniche all’attività valutativa del giudice[30].

D) PARTE QUARTA: disciplina processuale.

1. Il problema del riparto di giurisdizione.

Quanto alla giurisdizione, va segnalato l'intervento della Legge n. 69 del 2009, che, introducendo l'art. 2 bis, L. n. 241 del 1990, ha previsto espressamente la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo per le controversie risarcitorie aventi ad oggetto il danno ingiusto cagionato in conseguenza dell'inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento (ipotesi ora confluita nell'art. 133, comma 1, lett. a), n. 1, C.p.a.).

Su altro fronte, l'art. 30, comma 4, dello stesso Codice del processo amministrativo, dispone che il risarcimento dell'eventuale danno che il ricorrente comprovi di aver subito in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento, il termine di scadenza di 120 giorni entro cui proporre la domanda di risarcimento non decorre fintanto perdura l'inadempimento e inizia comunque a decorrere dopo un anno dalla scadenza del termine per provvedere.

Ancor prima la giurisprudenza[31] aveva già concluso per la giurisdizione del G.A. sui danni da provvedimento, affermando che appaiono riconducibili alla giurisdizione del giudice amministrativo i casi in cui la lesione di una situazione soggettiva dell'interessato è postulata come conseguenza d'un comportamento inerte, si tratti di ritardo nell'emissione di un provvedimento risultato favorevole o di silenzio.

2. La disciplina dell'azione risarcitoria nel Codice del processo amministrativo.

Ai sensi dell’art. 30, comma 3, del Codice del processo amministrativo la domanda di risarcimento per lesione di interessi legittimi è proposta entro il termine di decadenza di centoventi giorni.

La fissazione di un termine decadenziale risponde, evidentemente, all'esigenza di ridimensionare il rischio insito nell'adesione ad un sistema che ammetta la proposizione in forma autonoma della domanda risarcitoria, che l'amministrazione resti esposta, per il lungo periodo prescrizionale, alla pretesa risarcitoria da parte di chi non abbia impugnato, nel rispetto del termine decadenziale, l'atto cui deriva asseritamente il danno.

tale termine decorre: dal giorno in cui il fatto si è verificato ovvero dalla conoscenza del provvedimento se il danno deriva direttamente da questo.

Per la diversa decorrenza del termine con riferimento'al danno da silenzio si rimanda a quanto detto sopra.

Nella diversa fattispecie in cui sia stata precedentemente proposta l'azione di annullamento la domanda risarcitoria può essere formulata nel corso del giudizio, con lo strumento dei motivi aggiunti, o comunque sino a 120 giorni dal passaggio in giudicato della relativa sentenza (art. 30, comma 5, c.p.a.).

Per evitare il rischio che abbiano a verificarsi condotte processuali negligenti, se non addirittura maliziose, è stata prevista la possibilità che il giudice tenga conto, nel valutare la fondatezza della domanda risarcitoria "pura", della complessiva condotta tenuta dal ricorrente. In tale prospettiva, l'art. 30, comma 3, c.p.a., dispone che "nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostante di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l'ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti

Il riferimento, non esplicito ma nemmeno celato, è (innanzitutto) al previo esperimento dell'azione di annullamento. Come sostenuto dalla Giurisprudenza[32] la disposizione, pur non evocando in modo esplicito il disposto dell'art. 1227 del codice civile, afferma che l'omessa attivazione degli strumenti di tutela previsti costituisce nel quadro del comportamento complessivo delle parti, dato valutabile, alla buona fede e del principio di solidarietà, ai fini dell'esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l'ordinaria diligenza.

Quanto alla consistenza del riferimento normativo agli "strumenti di tutela del cui mancato esperimento il giudice del risarcimento può e deve tener conto, la stessa Giurisprudenza del Consiglio di Stato[33], ha chiarito come lo stesso consenta di prendere in considerazione l'incidenza eziologica non solo della mancata impugnazione del provvedimento dannoso ma anche dell'omessa attivazione di altri rimedi potenzialmente idonei quali la via dei ricorsi amministrativi e l'assunzione di atti di iniziativa finalizzati alla stimolazione dell'autotutela amministrativa (cd. invito all'autotutela). Più in generale va apprezzata l'omissione di ogni altro comportamento esigibile in quanto non eccedente la soglia del sacrificio significativo sopportabile anche dalla vittima di una condotta illecita alla stregua del canone di buona fede di cui all'art. 1175 e del principio dì solidarietà di cui all’art. 2 Cost.. Sotto questo profilo, il giudice amministrativo dovrà escludere la fondatezza dell’azione risarcitoria laddove risulti che la decisione del ricorrente di non fare leva sullo strumento impugnatorio sia frutto di un'opzione discrezionale ragionevole e non sindacabile in quanto l’interesse all'annullamento oggettivamente non esista, sia venuto meno e, in adeguatamente suscettibile di soddisfazione.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Cfr. Cons. di Stato, Ad. plen., 15 settembre 2005, n. 7,

[2] Sulla stessa linea della Plenaria si collocano, ad es., Cons. di Stato, Sez. V, 30 giugno 2009, n. 4237, in www.giustiziaamministrativa. it; T.A.R. Lazio, Sez. II bis, 16 marzo 2009, n. 2693, in Foro Amm. TAR, 2009, n. 3, 744; Cons. di Stato, Sez. V, 2 marzo 2009, n. 1162, in Resp. Civ. e Prev., 2009, n. 6, 1394; Id., Sez. VI, 12 gennaio 2009, n. 65, in www.giustamm.it, 2009, 1; T.A.R. Abruzzo, Pescara, Sez. I, 6 novembre 2008, n. 889 e Id. Campania, Napoli, Sez. VII, 24 luglio 2008, n. 9313, entrambe in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Lazio, Roma, Sez. III quater, 31 marzo 2008, n. 2704, in www.giustamm. it, 2008, 4; Cons. di Stato, Sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 248, in Guida Dir., 2008, 10, 95; T.A.R. Lazio, Sez. II ter, 18 luglio 2007, n. 6687; T.A.R. Campania, Napoli, Sez. III, 14 settembre 2006, n. 8107; Cons. di Stato, Sez. VI, 17 maggio 2006, n. 2862; T.A.R. Lombardia, Brescia, 2 febbraio 2006, n. 108; Cons. di Stato, Sez. VI, 30 gennaio 2006, n. 321, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.

[3] Art. 2-bis, comma 1, L. n. 241/90:

Conseguenze per il ritardo dell’amministrazione nella conclusione del procedimento.

Le pubbliche amministrazioni e i soggetti di cui all’articolo 1, comma 1-ter, sono tenuti al risarcimento del danno ingiusto cagionato in conseguenza dell’inosservanza dolosa o colposa del termine di conclusione del procedimento.

[4] D’Antonio Simona, Risarcimento del danno “da mero ritardo” e situazioni giuridiche soggettive, in Giurisprudenza italiana/Diritto Amministrativo, Giugno 2011, pag. 1426 ss..

[5] Chieppa, Il codice del processo amministrativo, Milano, 2010, 201 e segg.; Codice del nuovo processo amministrativo a cura di Caringella, Protto, Roma, 2010.

[6] F.G. Scoca, Risarcibilità e interesse legittimo, in Diritto pubblico, 2000, 33 e segg.; F.G. Scoca, Il silenzio della pubblica amministrazione alla luce del suo nuovo trattamento processuale, in Dir. proc. amm., 2002, 248-251.

[7] Clarich, Termine del procedimento e potere amministrativo, Torino, 1995; Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1996; Romano Tassone, voce “Situazioni giuridiche soggettive (dir. amm.)”, in Enc. Dir., aggiornamento, Milano, 1998, II, 966 e segg.

[8] la ricostruzione contenuta in Cons. di Stato, Sez. IV, 7 marzo 2005, n. 875 (ord.), cit., ma già proposta da Cass., Sez. I, 10 gennaio 2003, n. 157, in Foro It., 2003, I, 78, con nota di Fracchia, Risarcimento del danno causato da attività provvedimentale dell’amministrazione: la Cassazione effettua un’ulteriore (ultima?) puntualizzazione, 79 e segg. La si legga anche in Foro Amm. CdS, 2003, 479, con nota di Siracusano, La nuova (e “vera”) svolta della Cassazione sulla c.d. risarcibilità dell’interesse legittimo: i doveri di comportamento della pubblica amministrazione verso la logica garantistica del rapporto, 480 e segg.; V. Sigismondi, nota a Cons. di Stato, Ad. plen., 15 settembre 2005, n. 7, in Foro It., 2006, III, 1 e segg.; Zito, Le pretese partecipative del privato nel procedimento amministrativo, Milano, 1996.

[9] Protto, Il rapporto amministrativo, Milano, 2008. Orsi Battaglini, Alla ricerca dello Stato di diritto. Per una giustizia “non amministrativa”, Milano, 2005; Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione. La dissoluzione dell’interesse legittimo nel nuovo assetto della giurisdizione amministrativa, Milano, 2003; Siracusano, op. cit.; Id., Ruolo creativo del giudice e principio di legalità nella responsabilità civile da illegittimo esercizio del potere discrezionale, in Diritto

pubblico, 2003, 533 e segg..

[10] Zito, Il danno da illegittimo esercizio della funzione amministrativa, cit., 101-136.

[11] Protto, La responsabilità della P.A. per lesione di interessi legittimi come responsabilità da contatto amministrativo, in Resp. Civ. e Prev., 2001, 213 e segg.; Comporti, Torto e contratto nella responsabilità civile delle pubbliche amministrazioni, Torino, 2003; Ferrara, Dal giudizio di ottemperanza al processo di esecuzione, cit., 105 e segg.; Renna, Obblighi procedimentali e responsabilità dell’amministrazione, in AA.VV., Ver- so un’amministrazione responsabile,Milano,2005,287esegg. In giurisprudenza, cfr. ad es. T.A.R. Lazio, Sez. III ter, 5 novembre 2007, n. 10852; Id. Lazio, Sez. III ter, 21 febbraio 2007, n. 1527; Id. Veneto, Sez. I, 20 novembre 2003, n. 5778; Cons. di Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2003, n. 204; Id., Sez. V, 8 luglio 2002, n. 3796, tutte in www.giustizia-amministrativa.it.

[12] Volpe, Danno da ritardo, natura dell’azione risarcitoria e spunti generali sulla responsabilità civile per lesione dell’interesse legittimo dell’Amministrazione, in www.lexitalia.it; Spezzati, Obbligo di conclusione del procedimento e responsabilità dell’amministrazione, in Sandulli, Piperata (a cura di), La legge sul procedimento amministrativo. Venti anni dopo, cit., 339 e segg.

[13] Così sembra ritenere, viceversa, parte della dottrina: v., ad esempio, Quinto, Problemi vecchi e nuovi, cit. supra a nt. 16. Ad ogni modo la tesi qui sostenuta dal Consiglio di Stato è quella più diffusa in giurisprudenza: v., in via esemplificativa, T.A.R. Veneto, Sez. I, 12 dicembre 2012, n. 1548, in Foro Amm. TAR, 2012, 3817, Id. Basilicata, Sez. I, 18 ottobre 2012, n. 469, ibid., 3342, Id. Sicilia, Catania, Sez. I, 16 agosto 2012, n. 2027, ibid., 2586, Id. Campania, Salerno, Sez. II, 25 luglio 2012, n. 1465, ibid., 2491.

[14] In particolare cfr. Cons. Stato Sez. IV, 07/03/2013, n. 1406.

[15] Cons. Stato n. 1406/2013 cit..

[16] Cortese F., Il danno da ritardo nel risarcimento degli interessi legittimi, in Giur. It., 2013, 8-9.

[17] Cfr. commento alla sentenza del Consiglio di Stato, V Sezione, 21 marzo 2011, n. 1739 di Bonetti T., Pubblica amministrazione e danno da ritardo: il fattore «temporale» come bene della vita, in Giurisprudenza Italiana - Febbraio 2012/Diritto Amministrativo, pag. 448 ss..

[18] Cfr. Consiglio di giustizia amministrativa per la Regione siciliana, 4 novembre 2010, n. 1368; T.A.R. Campania, Salerno, sez. I, 21 giugno 2011, n. 1123; Consiglio di Stato, V Sezione, 21 marzo 2011, n. 1739.

[19] Nicodemo A., E’ risarcibile il danno da ritardo anche in caso di non spettanza del ‘‘bene della vita’’?, in Urbanistica e appalti 11/2011/Giurisprudenza amministrativa, 1363 ss.

[20] Cons. Stato Sez. IV, 05-04-2018, n. 2108; T.A.R. Roma, sez. I, 22 settembre 2010, n. 32382; Cons. Stato, Ad. Plen., 15 settembre 2005, n. 7.

[21] C.G.A. n. 1368/2010 cit..

[22] .A.R. Puglia Lecce Sez. I, 22-05-2018, n. 852; C.d.S. sez. IV, 22 maggio 2014 n. 2638; in senso conforme, anche sez. VI, 5 maggio 2016 n. 1768; Cgars, 16 maggio 2016 n. 139; sez. V, 9 marzo 2015 n. 1182

[23] Cons. Stato, sez. V, 11 luglio 2016 n. 3059

[24] Tar Campania, Napoli, sezione VIII, n. 4942 del 26 ottobre 2011.

[25] Consiglio di Stato, Adunanza plenaria, n. 3 del 23 marzo 2011 cit.

[26] Tar Lombardia Milano, sezione IV, 18 ottobre 2010 n. 6989, sezione I, 12 gennaio 2011 n. 35.

[27] Corrado A., Solo in presenza del cosiddetto errore scusabile va esclusa la responsabilità dell’amministrazione, in Guida al Diritto, n. 1/2014, 72 ss..

[28] Bassani M., Il riconoscimento del danno biologico anche per lesione di interessi pretensivi, in Urbanistica e appalti 6/2011/Giurisprudenza amministrativa, 701 ss.. Averardi A., Il Consiglio di Stato e la risarcibilità del danno biologico da ritardo, in Giornale di diritto amministrativo 7/2011, 742 ss..

[29] Corte di Cassazione Sezione Terza, sentenze nn. 8827 e 8828 del 31 maggio 2003, e dalle Sezioni Unite della stessa Corte, pronunce nn. 26972, 26973, 26974 e 26975 dell’11 novembre 2008.

[30] Cfr., Cons. Stato, sez. V., 13 giugno 2008, n. 2967; Cons. Stato, sez. VI, 12 marzo 2004, n. 1261.

[31] Ad. PI n. 7 del 2005; Cass. nn. 13659 e 13660 del 2006.

[32] Cons. St., A.P., 23 marzo 2011 n. 3

[33] Cons. St., A.P., 23 marzo 2011 n. 3 cit.