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Pubbl. Ven, 6 Lug 2018

Evasione fiscale: l´azienda risponde per i ricavi illeciti dell´Amministratore

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Andrea Bazzichi


Evasione fiscale: l´azienda risponde per i ricavi illeciti dell´Amministratore


Sommario: 1. Cenni introduttivi; 2. Evasione fiscale della società - ricavi illeciti dell'amministratore: un rapporto problematico; 3. Il caso concreto: Cassazione 12675/2018; 4. Aspetti critici dell'equazione ricavi occulti dell'amministratore-evasione della società; 5. Riflessioni conclusive.

1. Cenni introduttivi

Uno dei presupposti su cui si fonda il nostro ordinamento è quello della completezza, i criteri interpretativi di cui all'art 12 delle disposizioni sulla legge in generale fanno si che non si verifichi un vuoto di tutela, e al termine del processo esegetico delegato al giudice, quest'ultimo deve essere in grado di individuare la norma applicabile al caso di specie.

L'altro presupposto fondamentale di ogni ordinamento giuridico è il rispetto del principio di non contraddizione, un medesimo fatto non può essere ritenuto lecito o illecito al tempo stesso, o più semplicemente qualificato in un modo da un settore dello stesso e il suo contrario da un altro. 

La questione, dunque, si pone al di fuori della tematica del contrasto di giudicati, pericolo che ogni ordinamento giuridico cerca di scongiurare attraverso l'elaborazione di correttivi, ma che resta comunque un problema ineliminabile. Lo stesso dicasi, per l'altrettanto frequente tematica della diversa valutazione di un medesimo fatto ad opera di differenti branche del diritto.

Sono ben noti i non facili meccanismi di raccordo tra giudizio disciplinare di carattere amministrativo e giudizio penale, tra giudizio penale e giudizio tributario.

Le diverse esigenze di tutela, i variegati meccanismi processuali con le correlate regole, consentono di superare le potenziali antinomie di giudizio.

Tant'è che anche nell'ipotesi di autonomia dei giudizi, tipico il caso del c.d doppio binario tra giudizio penale e giudizio tributario, in base al principio di circolarità della prova si realizza un meccanismo di comunicazione e di osmosi tra i due tipi di procedimenti.

Invece, la contraddittorietà si evidenzia, quando all'interno dello stesso processo, o addirittura dello stesso giudizio, un medesimo fatto è qualificato in un modo, e poi nel suo contrario allorché un fatto successivo ed autonomo trovi la propria radice, appunto nella definizione contraria del fatto precedente. Più semplicemente, posto con certezza che un soggetto ha subito un evento dannoso, tale danno può essere fonte di un vantaggio, ed essendo quest'ultimo illecito, il danneggiato può essere sanzionato? L'ipotesi in considerazione esula dal tema della tassazione dei proventi illeciti, e dall'altrettanto nota tematica della compensatio lucri cum damno.

Infatti, in questo secondo caso, il danneggiato può ricevere diversi tipi di risarcimento che originano in differenti titoli contrattuali.

Sulla scorta delle considerazioni in precedenza svolte, sempre per il rispetto del principio di non contraddizione, un soggetto non può essere ritenuto danneggiato ed avvantaggiato allo stesso tempo, e in virtù di questo sanzionato.

In definitiva, così opinando ne deriverebbe la conseguenza che questi verrebbe di fatto danneggiato due volte: una prima volta dall'evento dannoso, una seconda e successiva dall'ordinamento che lo sanzionerebbe, perché in virtù del fatto dannoso subito ha conseguito un ipotetico vantaggio di natura illecita.

Per evitare confusioni interpretative, la domanda oggetto di analisi, non si riferisce all'eventualità in cui il danneggiato, allorquando patisca un danno, con una condotta successiva cerchi di ottenere un vantaggio e/o risarcimento indebito.

2. Evasione fiscale della società - ricavi illeciti dell'amministratore: un rapporto problematico.

Se una società occulta ricavi o espone costi inesistenti al fine di abbattere la base imponibile realizza la fattispecie di evasione fiscale.

Di questa ricchezza occultata potranno beneficiarne sia gli amministratori sia i soci. In questa eventualità, che potremmo disegnare come da monte a valle, sarebbe da verificare se tale ricchezza venga o meno distribuita ai secondi.

Al più si tratterebbe di controllare se siamo o meno di fronte ad una presunzione di distribuzione degli utili o della ricchezza societaria.

Prendiamo, però, il percorso inverso, da valle verso monte. Si registra un ricavo occulto da parte dell'amministratore, ovviamente sempre in conseguenza del rapporto societario, non di altri. In siffatta ipotesi si pone il problema di verificare se effettivamente si è realizzata una ricchezza in capo alla società, prima ancora di capire se questa è stata occultata dalla medesima.

In buona sostanza, se la ricchezza occulta è presente alla fonte, può non esserlo a valle perché, ad esempio non distribuita, ma se è presente a valle dovrebbe essere stata presente alla fonte, per poter, con cognizione di causa, contestare l'evasione fiscale alla società.

Ancora, se la ricchezza ricavata dall'amministratore è conseguenza di un danno da questi intenzionalmente causato, nell'esercizio delle sue funzioni, alla società, alla quale sono stati sottratti beni, la persona giuridica è suscettibile di essere sanzionata per aver realizzato un'evasione fiscale? Come si vede, torna la domanda di partenza, ed il necessario rispetto del principio di non contraddizione.

Il problema, di non poco conto, potrà essere superato, come si cercherà di dimostrare nel corso dell'esposizione, attraverso il richiamo ai principi generali, ed alla nozioni mutuate da altri settori dell'ordinamento.

3. Il caso concreto: Cassazione 12675/2018

Una società cooperativa, in virtù di un contratto di assuntoria, aveva in deposito nel proprio magazzino beni di una società pubblica.

L'amministratore della cooperativa sottrae illecitamente, per esclusiva iniziativa personale, tali beni e li rivende a società da lui stesso all'uopo costituite ed amministrate.

I proventi derivanti dalle predette cessione vengono dal medesimo incassate, in quanto titolare del potere di incassare somme in nome e per conto della cooperativa.

Tali ricavi occulti non entrano nelle casse sociali, ma sono sempre stati nell'effettività disponibilità dell'amministratore infedele. L'altro elemento oggettivo ed incontestato, è che l'amministratore in sede penale patteggia la pena ex art 444 c.p.p., risulta pacifico che abbia sottratto i beni dal magazzino della cooperativa per un esclusivo interesse personale.

Il dato presuntivo rappresentato dalla sentenza di patteggiamento non viene né obliterato e né superato nella pronuncia in commento.

La suprema corte, nel revisionare radicalmente la sentenza della CTR favorevole al contribuente, ritiene che vi sia evasione fiscale della società anche in presenza di ricavi occulti ottenuti dall'amministratore.

Il ragionamento che conduce a tale approdo si basa sui seguenti argomenti in ordine logico: 1) con il rapporto di immedesimazione organica, l'ente esprime la propria volontà attraverso l'operato dei propri organi, costituiti dai soggetti rivestiti delle competenti funzioni; 2) il rapporto di immedesimazione organica non è rotto dalla condotta dolosa del titolare dell'organo; 3) è sufficiente che l'attività dell'organo rientri nelle finalità istituzionali dell'ente, anche nel caso di attività esorbitante i poteri attribuiti: viene fatta salva solo l'ipotesi in cui l'attività sia compiuta in assoluta carenza di potere; 4) l'operato dell'organo è dunque riferibile all'ente; 5) il titolare dell'organo ha ottenuto ricavi illeciti, ex art. 39 dpr 600/1973, la società ha conseguito ricavi occulti, di conseguenza gli può essere contestata l'evasione fiscale.

In verità, la sentenza sembra avere più forza per quello che non afferma, rispetto a quello che afferma. Ovvero, l'amministratore per poter incassare i ricavi illeciti, deve comunque aver fatto entrare tali ricchezze nella società. In quel momento, si potrebbe affermare che si ravvisa un'evasione fiscale della società.

Vedremo, nel corso dell'esposizione, come anche questo argomento abbia poco pregio. In ogni caso, in via preliminare si deve sottolineare un concetto apparentemente ovvio, ma che sembra assolutamente obliterato nell'arresto giurisprudenziale in commento.

Il concetto di immedesimazione organica, è un concetto molto efficace che spiega come, quando e perché una persona giuridica od un ente collettivo possa esprimere la propria volontà e possa essere titolare di situazioni giuridiche. Ciò non toglie, tuttavia che ente e titolare dell'organo siano due soggetti autonomi e distinti.

Infatti, immedesimare significa fare di due o più cose distinte un'unica cosa, il che conduce all'ovvio risultato che il titolare dell'organo, possa agire per interessi personali, se non addirittura contrastanti con quelli dell'ente. Tant'è che, ad esempio, una società può esperire azione di responsabilità nei confronti di un amministratore. Sembra di cogliere nel decisum della corte l'influenza dei principi elaborati in precedenti sentenze in merito all'applicazione dell'art 28 Costituzione.

Secondo tale norma i funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli enti sono direttamente responsabili degli atti compiuti in violazione di diritti, con la responsabilità civile che si estende allo Stato e agli enti pubblici.

In realtà, il collegamento tra l'art. 28 Cost ed il caso concreto sempre poco pertinente, poiché l'evidente ratio della disposizione è quello di fornire una garanzia di tipo economico da un lato nei confronti dei danneggiati, e dall'altro nei confronti degli stessi rappresentanti della P.A.

Infatti, questi ultimi per evitare di dover rispondere degli eventuali danni per atti compiuti nell'interesse della P.A, potrebbero porre in essere una sorta di attività difensiva, il che inevitabilmente condurrebbe ad una paralisi dell'attività amministrativa.

Di conseguenza, l'art. 28 non può certamente applicarsi nei casi in cui il titolare dell'organo compia danni nei confronti della stessa P.A. A tal fine, ma vale anche per altri settori del diritto, basti pensare in primis alla scriminante dell'esercizio del diritto in ambito penale, è stato elaborato il concetto di nesso funzionale.

Ovvero, perché l'attività sia riferibile all'ente vi occorre un collegamento tra questa e le funzioni per cui il potere viene attribuito.

4. Aspetti critici dell'equazione ricavi occulti dell'amministratore - evasione della società.

Il percorso logico compiuto nella decisione della suprema corte omette del tutto l'analisi dei concetti di interesse e di vantaggio.

Di conseguenza, la premessa di partenza, ovvero la sussistenza del rapporto di immedesimazione organica, resta indimostrata e ciò si riverbera sui passaggi successivi della sequenza motivazionale. Sul piano sistematico, l'art. 5 del D. lgs 231/2001 subordina la responsabilità amministrativa della società alla condizione imprescindibile che il fatto di reato sia stato compiuto nel suo interesse o vantaggio.

Può esservi anche l'interesse o il vantaggio personale del soggetto che materialmente compie il fatto di reato, ma di certo non sussistere questo e mancare l'interesse o il vantaggio della società.

L'ulteriore conseguenza che possiamo ricavare dal dettato normativo, è che se la responsabilità amministrativa dell'ente non sia configurabile ove il proprio interesse o vantaggio sia assente, in forza dell'argomento a contrario, a maggior ragione ciò lo si deve escludere ove il rappresentante compia un'attività a danno della società.

Interesse e vantaggio non rappresentano una endiadi, ma sono concetti autonomi e distinti, secondo quelli che sono i criteri interpretativi elaborati a livello giurisprudenziale.

L'interesse si connota per una valenza soggettiva e per il legame tra la condotta illecita e il risultato che ci si propone di conseguire.

La valutazione circa tale correlazione deve essere compiuta secondo un giudizio ex ante. Invece, il vantaggio ha una connotazione oggettiva e la valutazione va svolta secondo un giudizio ex post.

Fermo restando che basta che si verifichi l'interesse o il vantaggio, e non necessariamente entrambi, ne discende che un'azione che non porta a nessun vantaggio, ma che avesse un interesse iniziale, comporterà la responsabilità dell'ente.

Parimenti, un'azione priva di un interesse iniziale (o magari solo dettata dall'interesse personale del soggetto agente) ma a cui consegua un successivo vantaggio, causerà la responsabilità della persona giuridica.

Nel caso di specie si può affermare che il rapporto di immedesimazione organica sia rotto non tanto dalla condotta dolosa dell'amministratore quanto dall'assenza degli elementi dell'interesse o del vantaggio.

Tanto più, l'assunto viene avvalorato allorquando la società addirittura subisca un danno, dimostrato dalla notevole forza presuntiva tipica di una sentenza di patteggiamento.

Peraltro, la disciplina della responsabilità amministrativa degli enti ha, e non potrebbe essere altrimenti, alla base, proprio il concetto di immedesimazione organica. Inoltre, al di là della terminologia adoperata dal legislatore, è pacifico che la responsabilità degli enti di cui al d. lgs. 231/2001 sia una responsabilità non amministrativa ma penale.

Se ciò è vero, in coerente applicazione del principio di frammentarietà che prevede che l'azione penale debba intervenire quale extrema ratio, non si vede come si potrebbe prescindere dai criteri dell'interesse o del vantaggio allorquando si sia in presenza di ipotesi non punite penalmente.

L'argomento che, per una precisa scelta politico-legislativa i reati tributari non sono stati posti nell'alveo dei reati presupposto di cui al d.lgs. 231/2001, può essere superato sottolineando come opinando diversamente, ne deriverebbe una discrasia nel sistema se non una potenziale violazione dei principi di proporzionalità e ragionevolezza.

Sempre scorrendo in questa analisi di carattere sistematico, non si può obliterare quello che è l'attuale meccanismo di applicazione delle sanzioni tributarie. In rapida successione si è passati: 1) dalla responsabilità diretta della società, alla quale si aggiunge la responsabilità sussidiaria e solidale della persona fisica ex art. 98 dpr 602/1973- 2) alla responsabilità diretta della persona fisica unita alla responsabilità solidale della società ex art. 11 dlgs 472/1997- 3) alla responsabilità diretta ed esclusiva della persona giuridica in base alla novella introdotta dall'art. 7 d.l. 269/2003. In particolare, ai fini del nostro ragionamento, è interessante il passaggio dal secondo al terzo stadio dell'evoluzione normativa in materia di sanzioni tributarie.

La suddetta novità rappresenta il coerente sviluppo sul piano sistematico della disciplina di cui al d.lgs 231/2001 sulla responsabilità degli enti. L'art 7 così dispone al primo comma: “ le sanzioni amministrative relative al rapporto fiscale proprio di società od enti con personalità giuridica sono esclusivamente a carico della persona giuridica”.

Ritornano, quindi, i concetti di interesse o di vantaggio, la società viene sanzionata ove rappresenti il soggetto passivo di imposta, e perché la condotta sanzionata è stata posta in essere nel suo interesse o vantaggio.

Viene meno qualsiasi tipo di responsabilità sussidiaria e solidale della persona fisica. Se si osserva il fenomeno dalla prospettiva inversa, per una corretta tenuta del sistema, si deve concludere che se la violazione è commessa dalla persona fisica, se questa è il soggetto passivo di imposta, perché appunto ha occultato ricavi personali, la persona giuridica non può essere sanzionata.

Comunque, tale ratio di fondo è presente anche in altre norme sparse nel codice civile. Ad esempio l'art. 1228 c.c. (responsabilità per il fatto degli ausiliari) e 2049 c.c (responsabilità dei padroni e dei committenti).

Molto in breve, l'elaborazione del criterio del c.d. nesso funzionale, consente di superare il problema dell'attribuzione del fatto illecito a titolo di responsabilità oggettiva.

Secondo la teoria del c.d. rischio economico, sintetizzata efficacemente nel brocardo cuius commoda eius et incommoda, chi ottiene vantaggi da una situazione (la società che si avvale dei propri dipendenti), deve anche sopportarne gli svantaggi.

Ciò, però vale solo nella misura in cui le condotte degli ausiliari siano finalizzate all'interesse o al vantaggio della persona giuridica, non certo quando sono mosse sin dal principio ad un esclusivo interesse personale, con l'accettazione o la volontà di causare un danno alla società.

Quindi, non è tanto l'attività anche dolosa dell'amministratore che spezza il legame dettato dal rapporto di immedesimazione organica, quanto la mancanza nell'attività di questi di alcun interesse o vantaggio per l'ente.

L'altro punto su cui convince poco la sentenza oggetto di analisi, si registra allorquando si ritiene che la condotta dell'amministratore vincoli la persona giuridica ove questa tenda al conseguimento dei fini istituzionali.

L'enunciato, necessariamente, va precisato. Non vi sono dubbi che un'attività illecita, se posta in essere dall'ente si ponga inevitabilmente contro gli scopi dell'ente, ma se ciò avvenuto nel suo interesse o vantaggio, l'agire della persona fisica sarà a questo riferibile in virtù del rapporto di immedesimazione organica. Se così non fosse, allora dovremmo escludere la responsabilità della persona giuridica perché il rappresentante è andato contro gli scopi istituzionali, anche nelle ipotesi in cui questo ha seguito direttive societarie.

Ciò non accoglibile, pena il venir meno della coerenza del sistema, soprattutto alla luce delle modifiche legislative che si sono succedute negli ultimi anni.

5. Riflessioni conclusive

Come si è cercato di dimostrare, è da respingere l'automatismo tra ricavi occulti dell'amministratore ed evasione fiscale della società, laddove il primo abbia causato un danno alla seconda e sia stato mosso da esclusivi interessi personale.

Necessariamente, il rapporto di immedesimazione organica viene interrotto in queste circostanze.

Va ricordato che la sentenza in commento, non ha superato l'elemento presuntivo dettato dalla sentenza di patteggiamento, ma lo ha assorbito completamente.

Per quanto riguarda un ultimo aspetto, ovvero che l'amministratore per poter incassare le somme a titolo personale, deve averle fatte transitare nei conti della società, si deve escludere che vi sia un elemento tale da poter ragionevolmente contestare a quest'ultima un'evasione fiscale. Certamente, non può dirsi che l'ente sia mai entrato nel possesso di tali somme, poiché le stesse sono sempre state nella disponibilità dell'amministratore, soggetto abilitato ad incassare e pagare somme.

Anche se la nozione di possesso nell'ambito del diritto tributario non è necessariamente coincidente con quella del diritto civile, resta sempre necessario il requisito della disponibilità.

Tanto più nel caso in cui la società stessa nemmeno sapeva dell'esistenza di tali somme. Ma ancora più dirimente appare un'altra considerazione.

Non vi sono dubbi, che la condotta illecita tenuta dall'amministratore sia suscettibile di un'azione di responsabilità della società nei suoi confronti.

Per il principio del terzo escluso, delle due, l'una. Se un fatto è fonte di responsabilità dell'amministratore verso la società, non si vede per quale ragione per lo stesso fatto si possa ritenere che quest'ultima abbia conseguito un vantaggio.

Nel contempo, se la società ha ricevuto un vantaggio, non si vede come potrebbe dolersi della condotta dell'amministratore.

Infine, se l'amministratore viene punito penalmente in forza della sentenza di patteggiamento, questo sta a dimostrare che la società ha ricevuto un danno. Alla fine del cerchio si ritorna al punto di persona: l'equazione ricavi occulti-evasione fiscale della società, se non si ravvisa l'interruzione del rapporto di immedesimazione organica comporta che questa venga, di fatto, danneggiata due volte.

Come anticipato nelle premesse iniziali, nel nostro caso concreto non si tratta delle possibili valutazioni divergenti su uno stesso fatto, causate dall'applicazione delle regole proprie di meccanismi processuali, quello penale e quello tributario. Ma del rispetto del principio di non contraddizione che regola l'intero ordinamento.

Riferimenti normativi: art. 5 D.lgs. 231/2001 - art. 7 d.l. 269/2003 - art. 11 D. lgs. 472/1997 - art. 28 Cost. - art.1228 c.c- art. 2049 c.c.- art. 2384 c.c.- art. 39 Dpr 600/1973

Riferimenti giurisprudenziali: Cass. 12675/2018- Cass. 25946/2011- Cass. 9494/2009