La discrezionalità tecnica ed il sindacato giurisdizionale sulle valutazioni espresse dalla Commissione esaminatrice
Modifica paginaIl controllo del Giudice amministrativo non impinge nella sfera riservata delle scelte discrezionali del pubblico potere ma assicura la legalità sostanziale dell’azione amministrativa soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo per le quali vengono in rilievo poteri regolatori con i quali l´Autorità detta le regole del gioco
Indice
SEZIONE I - Discrezionalità tecnica e sindacato giurisdizionale; 1. La discrezionalità tecnica della P.A.; 2. La problematica del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica; 2.1. L’intensità del sindacato intrinseco.
SEZIONE II - Le valutazioni della Commissione in sede di procedure concorsuali e discrezionalità tecnica; 1. Le valutazioni della Commissione di gara in materia di appalti pubblici; 1.1. Il sindacato del Giudice amministrativo sulle valutazioni della Commissione; 2. La consulenza tecnica in materia di appalti; 3. Il problema del rinnovo delle operazioni di gara e nomina della commissione a seguito di annullamento dell'aggiudicazione; 3.1. L'interesse strumentale al rinnovo della gara. Cenni; 4. Il sindacato sulle valutazioni tecnico-discrezionali della Commissione esaminatrice di concorsi pubblici; 4.1. Voto numerico e motivazione; 4.2. La motivazione nei sottopunteggi della griglia di valutazione.
SEZIONE I
Discrezionalità tecnica e sindacato giurisdizionale
1. La discrezionalità tecnica della P.A.
Si parla di discrezionalità tecnica quando la P.A. è chiamata a valutare fatti o situazioni alla stregua di regole di carattere specialistico la cui applicazione non garantisce un risultato univoco ed obiettivo, connotandosi, al contrario, per l’inevitabile soggettività ed opinabilità dell’esito.
L’Amministrazione non è chiamata, pertanto, a valutare comparativamente interessi scegliendo, all’esito, le modalità che consentano il più efficace soddisfacimento dell’interesse pubblico primario, ma soltanto a verificare, in applicazione di regole specialistiche a risultato non garantito, la sussistenza di alcuni presupposti richiesti dalla norma per l’adozione della determinazione amministrativa.
Per una migliore comprensione si citano i seguenti esempi. Il controllo sanitario sull’impiego di sostanze radioattive (art. 6, lett. k), legge n. 833/1978); il calcolo del fabbisogno abitativo nel prossimo decennio ai fini della determinazione dell’area da includere in un piano di zona per l’edilizia economica e popolare (art. 29, legge n. 865/1971); l’individuazione dei giacimenti di gas a marginalità economica (art. 5, D.Lgs. n. 164/2000); la valutazione di impatto ambientale (art. 19 ss., D.Lgs. n. 152/2006); l’individuazione degli spartiti musicali di pregio artistico o storico da sottoporre alla disciplina dei beni culturali (art. 10, comma 4, lett. d), D.Lgs. n. 42/2004); verifica di pregio dell’area su cui apporre il vincolo; verifica della anomalia dell’offerta in materia di appalti.
La discrezionalità tecnica trova spazio sia nella fase di giudizio dell’amministrazione, in cui vengono interpretate le norme, sia nella fase di acquisizione di fatti e interessi rilevanti per l’esercizio del potere, soprattutto in presenza di circostanze complesse la cui cognizione presuppone il ricorso a nozioni esterne all’ordinamento giuridico.
La discrezionalità tecnica è, dunque, caratterizzata da un momento valutativo, basato sull’esame di regole e parametri di natura tecnica e scientifica, cui non fa seguito la fase della scelta, in quanto già predeterminata dalla legge.
L’amministrazione deve solo procedere alla qualificazione dei fatti sulla base di conoscenze specialistiche, vale a dire di regole tecniche, e poi provvedere in quel particolare modo previsto dall’ordinamento per il caso che la valutazione tecnica ha concorso a chiarire.
Diversamente dalla discrezionalità amministrativa nella quale si compiono valutazioni di opportunità nella scelta della misura amministrativa più idonea a soddisfare l’interesse pubblico primario, l’amministrazione, nel fare uso di discrezionalità tecnica, si limita a verificare la sussistenza di fatti applicando regole dal risultato opinabile.
Va, quindi, distinta la scelta di opportunità che connota la discrezionalità amministrativa dall’opinabilità di risultati propri del giudizio formulato nell’esercizio di discrezionalità tecnica. Nel primo caso l’a P.A. è abilitata a scegliere tra più opzioni amministrative, quella più conveniente nella prospettiva del miglior soddisfacimento dell’interesse pubblico affidato alle sue cure; nel secondo caso, invece, l’amministrazione è chiamata a svolgere un giudizio tecnico riguardante il fatto. L’opinabilità attiene alla soggettività di tale giudizio e riviene dalla natura non esatta delle regole applicate senza perciò solo implicare la titolarità di un potere di scelta.
In passato Autorevole dottrina ha ritenuto che la “discrezionalità tecnica non ha proprio nulla di discrezionale, e che chiamandosi così per un errore storico della dottrina, l’errore potrebbe anche essere corretto.(…). La discrezionalità si riferisce infatti ad una potestà, e implica giudizio e volontà insieme; la discrezionalità tecnica si riferisce ad un momento conoscitivo, e implica solo giudizio: ciò che attiene alla volizione viene dopo, e può coinvolgere o non coinvolgere una separata valutazione discrezionale”[1]
2. La problematica del sindacato giurisdizionale sulla discrezionalità tecnica
Ci si è chiesti da tempo se, nel sindacare la discrezionalità tecnica, al G.a. sia consentita la sola verifica dell’iter logico seguito dall’amministrazione o se, viceversa, possa lo stesso spingersi fino a valutare la correttezza dei criteri tecnici e del metodo applicativo seguito, se del caso sostituendo a quello dell’amministrazione il proprio giudizio tecnico.
In un primo momento la dottrina tradizionale ha assimilato sul piano sostanziale la discrezionalità tecnica con la discrezionalità pura, assoggettandola agli stessi limiti e quindi ammettendo un sindacato del giudice amministrativo solo rispetto al profilo dell’eccesso di potere[2]
Tale posizione ha trovato supporto nella giurisprudenza che, incerta sulla possibilità di consentire un sindacato pieno e sostitutivo delle valutazioni tecniche, lo ha limitato ai casi di dubbia ragionevolezza delle valutazioni effettuate[3] In altri termini, al giudice amministrativo sarebbe precluso sindacare tanto il “merito” della scelta tecnica, quanto il merito della scelta di buona opportunità e, quindi, tale sindacato sarebbe limitato ad un controllo estrinseco sulla motivazione del provvedimento amministrativo. Secondo tale impostazione, al G.A. sarebbe consentito sindacare la scelte al solo fine di verificarne l’intrinseca logicità e la formale congruenza rispetto al fine concreto che l’Amministrazione intende perseguire. Le scelte di discrezionalità tecnica operate dalla P.A. sono sindacate dal Giudice soltanto applicando i criteri di logica formale: errore di fatto, illogicità manifesta, motivazione contraddittoria ed incongrua.
Mentre i fatti semplici erano ritenuti pacificamente sindacabili, in quanto l’applicazione di regole tecniche avrebbe determinato in questi casi soluzioni univoche, lo stesso non poteva dirsi per i fatti complessi.
Il sindacato di legittimità sul fatto poteva dunque esercitarsi solo se la norma di riferimento era assolutamente chiara e precisa, anche se, in tal caso, più che di discrezionalità tecnica si sarebbe dovuto parlare di accertamento tecnico, diretto a verificare la sussistenza dei presupposti previsti dalla norma per l’emanazione del provvedimento.
Viceversa, nel caso in cui l’amministrazione ritenesse necessario compiere un’ulteriore valutazione sul dato accertato, il potere esercitato avrebbe avuto natura discrezionale e come tale sarebbe stato sindacabile solo sotto il profilo dell’eccesso di potere e delle sue figure sintomatiche[4]
Tale riserva a favore dell’amministrazione presentava tuttavia profili di incostituzionalità rispetto al principio di effettività della tutela, il cui rispetto implica che non si possano escludere dal sindacato del giudice amministrativo valutazioni diverse da quelle legate alle scelte di “opportunità” della pubblica amministrazione[5]
Da qui la necessità di un sindacato “intrinseco” del giudice amministrativo sugli atti discrezionali, al pari di quanto previsto per il giudice penale e quello contabile che, rispetto a provvedimenti sintomatici di una discrezionalità non pura, non si limitano a svolgere un sindacato esterno.
L’applicazione più stringente del principio della piena tutela giurisdizionale del cittadino nei confronti della pubblica amministrazione ha determinato, a partire dagli anni Ottanta, un controllo più ampio sui giudizi tecnico-valutativi posti in essere dai pubblici poteri. Ciò al fine di consentire al giudice, in quanto peritus peritorum, una cognizione estesa al fatto e alla correttezza del procedimento seguito dall’amministrazione nell’emanazione del provvedimento.
Ed infatti un cambiamento di indirizzo si è avuto con la nota sentenza “Baccarini” del Consiglio di Stato, Sez. IV, del 9 aprile 1999 n. 601 che ha riconosciuto l’opportunità di una verifica più incisiva e penetrante sugli apprezzamenti tecnici.
Sul punto tale statuizione ha previsto: “Il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici può svolgersi, allora, in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì invece alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo. Non è, quindi, l’opinabilità degli apprezzamenti tecnici dell’amministrazione che ne determina la sostituzione con quelli del giudice, ma la loro inattendibilità per l’insufficienza del criterio o per il vizio del procedimento applicativo.[…] Quando la tecnica è inserita nella struttura della norma giuridica, l’applicazione di un criterio tecnico inadeguato o il giudizio fondato su operazioni non corrette o insufficienti comportano un vizio di legittimità dell’atto di riconoscimento o di diniego … La c.d. discrezionalità tecnica ricorre quando la P.A., per provvedere su un determinato oggetto, deve applicare una norma tecnica alla quale una norma giuridica conferisce rilevanza diretta o indiretta”.
Tale indirizzo ha trovato conferma negli orientamenti giurisprudenziali successivi in cui si sostenuto quanto segue: “Tramontata l’equazione discrezionalità tecnica-merito insindacabile, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi in base non al mero controllo formale ed estrinseco dell’iter logico seguito dall’autorità amministrativa, bensì, alla verifica diretta dell’attendibilità delle operazioni tecniche sia sotto il profilo della loro correttezza sia con riguardo al criterio tecnico ed al relativo procedimento applicativo, dovendosi intendere, oramai, per merito amministrativo solo i profili di opportunità e di convenienza(…)”[6]
Sul versante processuale, l’indicata svolta giurisprudenziale, è stata accompagnata e confermata dal legislatore laddove, già con l’art. 16 della l. 205/2000, ha riconosciuto al G.A., anche in sede di giurisdizione generale di legittimità, il potere di disporre la consulenza tecnica, strumento tipicamente utilizzato dal G.O. ma fondamentale per consentire al giudice amministrativo di verificare l’attendibilità e la correttezza delle valutazioni tecniche e la cui assenza, in passato, ha costituito un solido argomento a sostegno dell’inammissibilità del sindacato intrinseco.
2.1. L’intensità del sindacato intrinseco
Riconosciuto il sindacato sulla discrezionalità tecnica, la giurisprudenza si è interrogata sul tipo di controllo, forte o debole, che poteva essere effettuato dal giudice amministrativo.
Ci si è chiesti se il giudice amministrativo dovesse limitarsi a utilizzare la valutazione tecnica emersa dal processo solo al fine di dimostrare l’erroneità di quella amministrativa (tesi del sindacato intrinseco non sostitutivo o “debole”) o potesse sostituirla con la propria (tesi del sindacato sostitutivo o “forte”), con la conseguenza di poter annullare non solo il provvedimento basato su una valutazione scientificamente sbagliata dei fatti, ma anche quello fondato su una valutazione non errata ma semplicemente opinabile e non coincidente con quella del giudice.
La giurisprudenza prevalente si era orientata nel senso dell’inammissibilità di un sindacato di tipo forte, in quanto il compito del giudice nel valutare la legittimità del provvedimento amministrativo sarebbe esclusivamente di verificare se tale atto sia espressione di un potere esercitato in modo conforme alla norma che lo attribuisce.
La norma indica una serie di fatti come presupposto per l’esercizio del potere che il giudice ha il compito di accertare; se la valutazione tecnica diretta a verificare l’esistenza del fatto posta in essere dall’amministrazione non è errata, ma solo opinabile, il giudice non può sostenere l’illegittimità del provvedimento.
L’espressione “sindacato debole”, in riferimento alla valutazione che il giudice può compiere su provvedimenti espressione di discrezionalità tecnica dell’amministrazione, costituisce una sorta di limite alla sua determinazione finale.
Una volta accertati i fatti e verificato l’iter logico-valutativo posto in essere dalla pubblica amministrazione, sulla base di regole tecniche e di buona azione amministrativa, il giudice, se ritiene tali valutazioni corrette, ragionevoli, proporzionate ed attendibili, non deve esprimere propri convincimenti o compiere autonome scelte.
Non è consentito infatti all’autorità giudiziaria di sostituirsi ad un potere già esercitato, potendo questa “solo stabilire se la valutazione complessa operata nell'esercizio del potere debba essere ritenuta corretta sia sotto il profilo delle regole tecniche applicate, sia nella fase di contestualizzazione della norma posta a tutela della conformità a parametri tecnici, che nella fase di raffronto tra i fatti accertati ed il parametro contestualizzato”[7].
La consulenza tecnica disposta dal giudice serve dunque a porre in essere un controllo sulla ragionevolezza e sulla coerenza tecnica delle decisioni adottate dall’amministrazione. In questo caso “il giudice penetra nel momento conoscitivo dell’autorità e ne vaglia l’esito, ma solo allo scopo di accertarne l’attendibilità scientifica, arrestandosi di fronte alla sfera di opinabilità che sostanzia il nucleo forte del concetto giuridico indeterminato”[8]
La tesi del sindacato “debole” ha trovato pieno accoglimento da parte della giurisprudenza.
La giurisprudenza ha affermato, al riguardo, che “(…)al giudice non è certamente concesso un potere di sostituzione del proprio giudizio a quello dell’amministrazione (…).Ne segue, altresì, che il provvedimento deve reputarsi legittimo quando il giudizio tecnico (di applicazione del concetto giuridico indeterminato), anche a prescindere dalla intrinseca e sicura esattezza, è obiettivamente attendibile: ossia quando in una ragionevole percentuale di casi conduce ad un risultato corretto”[9]
Nello stesso senso è un altro orientamento della giurisprudenza secondo cui “la c.d. discrezionalità tecnica esprime un concetto diverso dal merito amministrativo e pertanto non può essere aprioristicamente sottratta al sindacato da parte del giudice amministrativo atteso che l’apprezzamento degli elementi di fatto del provvedimento, siano essi semplici o complessi, attiene comunque alla legittimità di quest’ultimo. Tuttavia la censurabilità della discrezionalità tecnica non deve mai arrivare alla sostituzione del giudice all’amministrazione nell’effettuazione di valutazioni opinabili, ma deve consistere nel controllo, ab externo, dell’esattezza e correttezza dei parametri della scienza utilizzata nel giudizio”[10]
Ancora il Consiglio di Stato ha affermato che “il sindacato giurisdizionale su atti normativi secondari, per mezzo dei quali l’Amministrazione, nell’esercizio della propria discrezionalità tecnica, abbia fornito utili criteri di interpretazione e di delimitazione del significato di concetti giuridici indeterminati di valenza tecnica utilizzati dalla normativa principale, nel rispetto della disciplina che presiede alla loro possibile impugnazione e disapplicazione, è consentito soltanto nel caso in cui le scelte effettuate si pongano in contrasto con il principio di ragionevolezza tecnica. Nei termini di cui innanzi non è, pertanto, sufficiente che la determinazione assunta sia, sul piano del metodo e del procedimento seguito, meramente opinabile, poiché il Giudice Amministrativo non può in attuazione del principio costituzionale di separazione dei poteri-sostituire proprie valutazioni a quelle effettuate dall’Amministrazione”[11]
Anche la giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione ha accolto la medesima soluzione, affermando, a proposito delle valutazioni compiute del giudice amministrativo in ordine alle procedure concorsuali che “non sussiste ragione per sottrarne l’accertamento al controllo del giudice amministrativo, essendo predicabile un sindacato che giunga, senza impingere nella riserva di intangibilità del merito amministrativo, ben più che al controllo della mera coerenza logica dell’argomentazione al diretto sindacato di attendibilità dei giudizi tecnici adottati, restando esclusa pertanto la possibilità di alcun intervento demolitorio sulle valutazioni attendibili ancorché opinabili, (…)con la conseguenza di veder adottate, in perfetta conformità al ruolo “debole” del sindacato stesso, decisioni di annullamento” con ricorrezioni delle valutazioni delle commissioni esaminatrici affette da manifesta inattendibilità od implausibilità”[12]
Di recente la giurisprudenza, superando l’oramai antinomia forte/debole del sindacato giurisdizionale, ha affermato che il Giudice amministrativo deve attestarsi sulla linea di un controllo che, senza ingerirsi nelle scelte discrezionali della Pubblica autorità, assicuri la legalità sostanziale del suo agire, per la sua intrinseca coerenza, anche e soprattutto in materie connotate da un elevato tecnicismo, per le quali vengano in rilievo poteri regolatori con i quali l'autorità detta, appunto, le regole del gioco[13].
SEZIONE II
Le valutazioni della Commissione in sede di procedure concorsuali e discrezionalità tecnica
1. Le valutazioni della Commissione di gara in materia di appalti pubblici
Sovente è il problema che la giurisprudenza amministrativa ha affrontato in merito ruolo della Commissione di gara nell'ambito delle procedure ad evidenza pubblica e la natura del potere esercitato dalla stessa all'atto della valutazione delle offerte dei concorrenti.
In primo luogo, al fine di meglio comprendere la problematica, è opportuno fornire un quadro sintetico sulla natura e le funzioni delle Commissioni giudicatrici.
La Commissione di gara è stata tradizionalmente definita come organo temporaneo e straordinario della stazione appaltante, con funzioni essenzialmente consultive e non di amministrazione attiva.
La Commissione di gara è nominata dalla stazione appaltante (organo competente ad effettuare la scelta del soggetto affidatario del contratto); è composta da un numero dispari di componenti, in numero massimo di cinque, esperti nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto; possono far parte della commissione funzionari, appartenenti ad altra amministrazione, in qualità di commissari esterni; è presieduta, di norma, da un dirigente della stazione appaltante e, in caso di mancanza in organico, da un funzionario della stazione appaltante incaricato di funzioni apicali, nominato dall'organo competente. I commissari, diversi dal presidente, non devono aver svolto né possono svolgere alcun'altra funzione o incarico tecnico o amministrativo, relativamente al contratto del cui affidamento si tratta. Coloro che, nel biennio precedente, hanno rivestito cariche di pubblico amministratore non possono essere nominati commissari, relativamente a contratti affidati dalle amministrazioni, presso le quali hanno prestato servizio. Sono esclusi da successivi incarichi di commissario coloro che, in qualità di membri delle commissioni giudicatrici, abbiano concorso, con dolo o colpa grave accertati in sede giurisdizionale con sentenza non sospesa, all'approvazione di atti dichiarati illegittimi. La nomina dei commissari e la costituzione della commissione devono avvenire dopo la scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte. In caso di rinnovo del procedimento di gara, a seguito di annullamento dell'aggiudicazione o di annullamento dell'esclusione di taluno dei concorrenti, è riconvocata la medesima commissione.
Da un punto di vista funzionale, la commissione va inquadrata come collegio perfetto, necessitando della presenza del plenum dei componenti per poter correttamente e legittimamente funzionare[14].
La Commissione di gara nominata dalla stazione appaltante deve essere composta da un numero dispari di componenti, in numero massimo di cinque, esperti nello specifico settore cui si riferisce l'oggetto del contratto.
L'attività della commissione assume rilevanza esterna solo se ed in quanto recepita ed approvata dai competenti organi di amministrazione attiva della stazione appaltante.
La commissione di gara - nell'esercizio delle funzioni alla stessa attribuite - è chiamata a compiere delle scelte. Tali scelte sono (in via generale) espressione della discrezionalità amministrativa[15].
Nello specifico va detto che nel caso in cui il criterio di aggiudicazione prescritto dalla lex specialis di gara sia quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa, la Commissione all'atto della valutazione delle offerte tecniche è tenuta ad applicare norme scientifiche cui una norma giuridica conferisce rilevanza diretta o indiretta (discrezionalità tecnica )[16].
La cd. discrezionalità tecnica ricorre, dunque, quando l'amministrazione, per provvedere su un determinato oggetto, deve applicare una norma tecnica cui una norma giuridica conferisce una qualche rilevanza[17].
In altre parole, la discrezionalità tecnica si risolve in analisi di fatti, sia pure complessi, ma non di interessi.
Da ciò consegue che - come è stato storicamente affermato[18] - l'esercizio della discrezionalità tecnica si traduce in un giudizio opinabile della p.a..
È di tutta evidenza come i fatti valutati attraverso l'applicazione di una norma tecnica siano suscettibili di vario apprezzamento. Ciò accade in particolare nel momento in cui la norma che la Commissione è chiamata ad applicare contenga concetti indeterminati o comunque richieda apprezzamenti opinabili.
L'opinabilità, però, non va confusa con l'opportunità[19]. La questione di fatto, che attiene ad un presupposto di legittimità del provvedimento amministrativo, non si trasforma - soltanto perché opinabile - in una questione di opportunità, anche se è antecedente o successiva ad una scelta di merito[20].
Ne deriva che le valutazioni della Commissione di gara - aventi ad oggetto le offerte tecniche presentate dai partecipanti ad una procedura selettiva per l'aggiudicazione di un contratto pubblico - costituiscono espressione di un potere di natura tecnico-discrezionale a carattere complesso.
1.1. Il sindacato del Giudice amministrativo sulle valutazioni della Commissione
A questo punto, occorre stabilire se le scelte della Commissione di gara, oggetto di discrezionalità tecnica, possano essere censurate o meno dal Giudice amministrativo.
Si è ritenuto che tali scelte non possono essere direttamente censurate se non per macroscopici vizi motivazionali[21].
La giurisprudenza più recente ha affermato che le valutazioni tecniche riguardanti le offerte presentate nelle gare d'appalto sono caratterizzate dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dalla opinabilità dell'esito della valutazione. Donde, il Giudice potrà sindacare le scelte della commissione solo se affette da macroscopici vizi logici, disparità di trattamento, errore manifesto, contraddittorietà ictu oculi rilevabile[22] In questo modo la giurisprudenza sembra aver aderito alla teoria del sindacato di tipo intrinseco debole delle conclusioni della Commissione tecnica veicolato nelle forme della ricorrenza dei vizi sintomatici dell'eccesso di potere[23]. In questa sede però non può essere taciuta l'esistenza in giurisprudenza di un diverso orientamento teso a rafforzare i margini di sindacato del g.a. sulla discrezionalità tecnica[24]. È stato ritenuto nello specifico che la tutela giurisdizionale, per essere effettiva, non può limitarsi ad un sindacato meramente estrinseco, ma deve consentire al Giudice un controllo intrinseco, avvalendosi eventualmente anche di regole e conoscenze tecniche appartenenti alla medesima scienza specialistica applicata dall'amministrazione[25]. Più in particolare, secondo la teoria del sindacato intrinseco forte si verrebbe a determinare la sostituzione della valutazione tecnica operata nel processo a quella opinabile effettuata dall'amministrazione e si traduce in un potere sostitutivo tout court, che consente al giudice di sovrapporre il proprio giudizio tecnico a quello dell'amministrazione[26].
E’ stato precisato che in sede di valutazione comparativa delle offerte tecniche presentate nelle gare d'appalto le valutazioni tecniche, caratterizzate dalla complessità delle discipline specialistiche di riferimento e dalla opinabilità dell'esito della valutazione, sfuggono al sindacato intrinseco del giudice amministrativo, se non vengono in rilievo specifiche censure circa la plausibilità dei criteri valutativi o circa la loro applicazione[27] Inoltre in tema di verifica dell'anomalia dell'offerta il giudizio della stazione appaltante costituisce esplicazione paradigmatica di discrezionalità tecnica, sindacabile solo in caso di macroscopica illogicità o di erroneità fattuale che rendano palese l'inattendibilità complessiva dell'offerta[28]
Tra l’altro, in sede di verifica dell’anomalia dell’offerta, l’esame delle giustificazioni prodotte dalle ditte concorrenti a dimostrazione della congruità ed attendeibilità della loro offerta, rientra nella discrezionalità tecnica della Pubblica amministrazione, con la conseguenza che soltanto in caso di macroscopiche illegittimità, quali gravi ed evidente errori di valutazione oppure valutazioni abnormi o inficiate da errori di fatto, il Giudice di legittimità può esercitare il proprio sindacato, ferma restando l'impossibilità di sostituire il proprio giudizio a quello della Pubblica amministrazione. Tuttavia, il giudice può sindacare le valutazioni della Pubblica amministrazione sotto il profilo della logicità, ragionevolezza ed adeguatezza dell'istruttoria, senza poter tuttavia procedere ad alcuna autonoma verifica della congruità dell'offerta e delle singole voci, ciò rappresentando un'inammissibile invasione della sfera propria della Pubblica amministrazione[29].
La Dottrina maggioritaria ha aderito alla teoria del sindacato di tipo intrinseco debole ribadito dalla recente Giurisprudenza in quanto le considerazioni di quest’ultima si reputano idonee a contemperare due valori che trovano un puntuale riconoscimento nel nostro ordinamento a livello costituzionale: da un lato quello dell'effettività della tutela giurisdizionale e, dall'altro, quello della separazione dei poteri, amministrativo e giurisdizionale. In questo senso, infatti, il giudice non può sostituirsi ad un potere già esercitato, ma deve solamente stabilire se la valutazione complessa operata nell'esercizio del potere debba essere ritenuta corretta sia sotto il profilo delle regole tecniche applicate, sia nella fase di contestualizzazione della norma posta a tutela della conformità a parametri tecnici, che nella fase di raffronto tra i fatti accertati ed il parametro contestualizzato[30].
2. La consulenza tecnica in materia di appalti
La consulenza tecnica d’ufficio, in linea generale, consente la cognizione del fatto o dei criteri che hanno condotto l’amministrazione a compiere determinate valutazioni, senza incidere sulla scelta posta in essere che, espressione di quel merito caratterizzante la funzione amministrativa, è sottratta al controllo giurisdizionale.
La CTU, la cui disciplina è mutuata sostanzialmente dal codice di procedura civile, rappresenta uno strumento di conoscenza diretta di fatti tecnici, anche complessi, con cui il legislatore ha messo a disposizione del giudice un mezzo diretto ad acquisire la completa conoscenza del fatto, garantendo così piena effettività di tutela ogniqualvolta una semplice istruttoria documentale non risultasse idonea o sufficiente.
Il ricorso alla consulenza tecnica, anche nel processo amministrativo, si spiega con l’esigenza di rendere edotto il giudicante su questioni inerenti materie tecnico-specialistiche estranee all’ambito di propria competenza ma necessarie per una corretta deliberazione.
Da sempre si è discusso sulla natura giuridica di mezzo istruttorio o strumento probatorio della consulenza tecnica d’ufficio.
La dottrina processualcivilistica maggioritaria ha costantemente affermato che la consulenza tecnica costituisce un mezzo istruttorio e non un mezzo di prova, la cui funzione è di rendere edotto il giudice in merito agli aspetti tecnici della questione sottoposta al suo esame. Lo scopo non è quello di fondare il convincimento del giudice in merito alla veridicità o meno dei fatti allegati dalle parti, ma solo di fornire un supporto tecnico alla sua valutazione[31].
Ora, non solo nel codice di procedura civile ma anche nel nuovo codice del processo amministrativo, istituito con d.lgs. n. 104 del 2010, il consulente tecnico viene inquadrato tra gli ausiliari del giudice ed il suo apporto assume rilevanza fondamentale in tutti quei casi in cui l’organo decidente, venuto a conoscenza dei fatti di causa attraverso i mezzi probatori, necessita di valutare aspetti tecnici della questione, estranei all’ambito delle proprie competenze[32]
Ciò che si instaura tra giudice e consulente è un vero e proprio rapporto di collaborazione in base al quale quest’ultimo deve mettere a disposizione del primo le cognizioni scientifiche o tecniche in suo possesso, utili alla definizione della controversia.
Storicamente dottrina e giurisprudenza e, poi, successivamente il legislatore, hanno attribuito alla consulenza tecnica un peso decisivo ai fini del sindacato del Giudice amministrativo in materia di appalti.
Il potere discrezionale esercitato dalla Commissione giudicatrice nell'ambito di una procedura di gara affonda le radici nelle specifiche competenze tecnico-scientifiche dei singoli membri della stessa. Per poter dunque accertare la ragionevolezza e la congruità delle scelte adottate dalla commissione giudicatrice, il Giudice ricorre all'istituto della consulenza tecnica.
Questa assume rilievo nei casi in cui si controverte in merito alla correttezza del giudizio formulato dalla stazione appaltante e, in particolare, nei casi in cui il criterio di aggiudicazione scelto per assegnare l'appalto sia quello dell'offerta economicamente più vantaggiosa nonché quello in cui il giudizio riguardi l’anomalia dell’offerta.
In siffatte circostanze, la consulenza tecnica dovrà limitarsi ad esprimere un giudizio relativo all'individuazione del possibile percorso logico seguito dalla Commissione (uno dei tanti astrattamente ipotizzabili) che, in base alla disciplina di gara, sia in grado di spiegare, ragionevolmente, i risultati a cui è giunta la Commissione.
Come bene precisato dalla norma contenuta nell'art. 67 del codice del processo amministrativo (D.Lgs. n. 104 del 2010), il Giudice, nel momento in cui intende avvalersi di un consulente tecnico, stabilisce i confini entro i quali il consulente stesso dovrà svolgere la sua analisi[33].
Giova all'uopo precisare che al consulente tecnico non può comunque essere chiesto di rivalutare le offerte tecniche. Questi, infatti, può esclusivamente individuare un verosimile percorso logico - se esistente - che consenta di apprezzare la congruenza e ragionevolezza dell'operato della commissione giudicatrice.
Il consulente tecnico, per poter assolvere nel miglior modo possibile al compito assegnatogli, dovrà ricorrere:
- ai criteri di valutazione indicati nel bando di gara;
- ai principi tecnico-scientifici comunemente accettati;
- ai valori dell'esperienza e del buon senso.
La descritta impostazione è confermata dalla recente giurisprudenza amministrativa, per la quale le valutazioni della commissione - nell'ambito di una procedura concorsuale per l'affidamento di un appalto - costituiscono espressione dell'esercizio della cd. discrezionalità tecnica[34] .
Tali valutazioni sono pienamente sindacabili dal Giudice amministrativo, solo sotto il profilo della ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità.
A questo punto della trattazione, vale la pena sottolineare che con la sentenza n. 601 del 1999 pronunciata dalla IV Sezione del Consiglio di Stato, è stata abbandona l'impostazione rigida che portava a ritenere assolutamente insindacabile in sede giurisdizionale la scelta assunta dall'amministrazione nell'esercizio del potere discrezionale-tecnico.
Il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici della p.a. può oggi svolgersi, infatti, non solo in base al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, ma anche alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza (quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo).
La ragione e il fondamento del mezzo istruttorio in argomento non consistono, dunque, nell'individuare il preciso iter seguito da una commissione di gara nell'esercizio della discrezionalità tecnica , ma nell'accertare se esista un percorso logico il quale, alla stregua della disciplina dettata dalla lex specialis di gara, sia in grado di spiegare ragionevolmente le scelte della p.a.
In questo senso, la giurisprudenza amministrativa ha affermato che - nell'ambito di un giudizio amministrativo - la nomina di consulente tecnico risponde all'esigenza del Giudice di chiarire situazioni di fatto, effettuare rilievi, acquisire dati certi, controllare le operazioni tecniche sotto il profilo della loro correttezza quanto ai criteri tecnici applicati. Non si estende, invece, fino alla valutazione circa l'idoneità di un certo bene o servizio a rispondere all'interesse pubblico (merito amministrativo). Tale valutazione attiene, infatti, alla discrezionalità propria dell'Amministrazione, costituendo un giudizio di valore che solo il titolare dell'interesse può formulare, in quanto attiene strettamente alla relazione tra il bene e la soddisfazione dell'interesse pubblico perseguito[35].
3. Il problema del rinnovo delle operazioni di gara e nomina della commissione a seguito di annullamento dell'aggiudicazione.
Ci si è chiesti se la stazione appaltante possa riconvocare la medesima commissione, in caso di rinnovo del procedimento di gara a seguito dell'annullamento dell'aggiudicazione.
In un caso deciso dal Supremo Consesso di Giustizia amministrativa[36] la stazione appaltante, a seguito dell'annullamento parziale dell'aggiudicazione, aveva ritenuto opportuno nominare una nuova commissione, anche in virtù del fatto che, con specifico riferimento all'attribuzione di un singolo punteggio, in seno alla precedente commissione si era determinata la spaccatura tra membri interni e membri esterni. L'Amministrazione ha compiuto la descritta scelta, peraltro, in esecuzione della sentenza di primo grado che suggeriva, appunto, la ricostituzione ex novo del collegio giudicante.
Secondo quanto deciso dai giudici del Consiglio di Stato la previsione normativa di cui all’art. 84, comma 12, del D.Lgs. n. 163 del 2006[37] contiene un'enunciazione di principio, posta a presidio della celerità e del buon andamento dell'Amministrazione. Secondo il Supremo Consesso amministrativo, infatti, la norma sottintende che - nell'ipotesi di rinnovazione dell'intera gara - la conoscenza degli atti e delle operazioni già effettuate possa giovare alla celere rinnovazione del procedimento. Tutto ciò, ovviamente, non deve andare a discapito dell'imparzialità della commissione stessa, essendo questo un principio altrettanto preminente in materia di affidamenti pubblici.
La norma, pertanto, va interpretata nel senso che la possibilità di nominare una nuova commissione non va esclusa qualora vi sia l'esigenza di assicurare maggiore serenità di giudizio.
In altre parole, di volta in volta la stazione appaltante dovrà contemperare i diversi valori messi in gioco, per poter poi compiere una scelta di buona amministrazione.
Tenuto conto dell'interpretazione della suddetta norma nel caso deciso dal Consiglio di Stato, riconvocare la medesima commissione avrebbe comportato il rischio di rinnovare anche il contrasto tra i membri della stessa potendo determinare, in definitiva, indebiti condizionamenti di giudizio. Secondo il ragionamento seguito dal Collegio il comma 12 dell'art. 84 del D.Lgs. n. 163 del 2006 non rappresenta affatto una norma imperativa, in quanto derogabile dalla singola stazione appaltante chiamata ad effettuare il bilanciamento tra gli interessi rilevanti nel caso di specie. Ancora una volta, in definitiva, la giurisprudenza va ad incidere in maniera rilevante sullo stesso dato normativo, relegando a mera norma dispositiva un articolo del codice dei contratti che - secondo quanto emerge dall'interpretazione (non solo letterale) - meriterebbe costante applicazione.
Sulla questione si è formato successivamente un consolidato orientamento giurisprudenziale conforme agli indirizzi posti dal Consiglio di Stato ed un indirizzo minoritario che sembra porsi in linea parzialmente difforme.
Infatti, la Giurisprudenza maggioritaria ha ritenuto che, ogni qual volta si proceda al rinnovo del procedimento di gara e ciò, espressamente, sia che vi si pervenga a seguito di annullamento dell'aggiudicazione (quando dunque tutte le offerte sono state conosciute), sia che vi si giunga a seguito dell'annullamento dell'esclusione di taluno dei concorrenti, l'Amministrazione, che peraltro conserva una facoltà di scelta discrezionale relativa alla indizione di una nuova gara, ove ricorrano i presupposti per la revoca del bando, potrà far luogo alla rinnovazione parziale delle operazioni di gara successive al provvedimento di esclusione annullato, mediante riconvocazione della medesima commissione giudicatrice, non potendosi ritenere violato, per tale ragione, il principio di segretezza delle offerte[38].
Secondo la tesi minoritaria, invece, l'art. 84 comma 12 del D.Lgs. n. 163 del 2006 è (era) applicabile solamente ai casi in cui la "medesima commissione", sia chiamata a valutare offerte già presentate nell'ambito di un unico procedimento, in attuazione del principio di conservazione degli atti amministrativi. A fronte dell'indizione di una nuova gara, successivamente alla sentenza di annullamento, con acquisizione di nuove offerte, il predetto art. 84 comma 12 non si applica, pena, tra l'altro, la violazione del comma 10 dello stesso art. 84, che impone la nomina dei commissari successivamente al termine di scadenza di presentazione delle offerte[39]
3.1. L'interesse strumentale al rinnovo della gara. Cenni.
Connessa alla problematica della rinnovazione della gara a seguito di annullamento dell’aggiudicazione è la dibattuta questione dell’interesse strumentale di una delle parti in causa finalizzato all’annullamento dell’intera gara e cioè ci si è chiesti se sia meritevole di tutela in giudizio il solo interesse strumentale fatto valere in via principale senza che siano sollevate ex ante le censure che consentano al concorrente di ottenere un vantaggio diretto dall’annullamento della procedura di appalto.
Sul punto la giurisprudenza amministrativa sembra concorde nell’ammettere la possibilità, per il ricorrente che ha partecipato legittimamente alla gara, di far valere tanto un interesse "finale" al conseguimento dell'appalto affidato al controinteressato, quanto, in via alternativa (e normalmente subordinata), l'interesse "strumentale" alla caducazione dell'intera gara e alla sua riedizione, sempre che sussistano però, in concreto, ragionevoli possibilità di ottenere l'"utilità richiesta"; il criterio dell'interesse strumentale va contemperato con le peculiarità in fatto che caratterizzano la procedura per la quale è causa, peculiarità che consentono di ricavare, dall'indirizzo giurisprudenziale maturato in tema di procedure in senso lato selettive e applicabili quindi anche alle procedure di appalto spunti utili per confermare la sentenza là dove la società ricorrente è stata ritenuta priva di interesse ad agire [40]. E’ stato, altresì, recentemente sostenuto che non si può prescindere dalla verifica della cd. prova di resistenza, con riferimento alla posizione della parte ricorrente rispetto alla procedura selettiva le cui operazioni sono prospettate come illegittime, nel senso che è inammissibile, per carenza di interesse, il ricorso contro un provvedimento qualora, dall'esperimento per l'appunto della cd. prova di resistenza e in esito a una verifica a priori, risulti con certezza che il ricorrente non avrebbe comunque ottenuto il bene della vita perseguito nel caso di accoglimento del ricorso. Occorre avere riguardo, cioè, alla possibilità concreta di vedere soddisfatta la pretesa sostanziale fatta valere[41].
4. Il sindacato sulle valutazioni tecnico-discrezionali della Commissione esaminatrice di concorsi pubblici.
L’orientamento giurisprudenziale più recente[42] è pressoché unanimemente orientato ad affermare che le valutazioni tecniche operate delle commissioni esaminatrici di esami nei concorsi pubblici o nelle procedure comparative pubbliche (valutazioni inserite in un procedimento amministrativo complesso nel quale viene ad iscriversi il momento valutativo tecnico della commissione esaminatrice quale organo straordinario della pubblica amministrazione) costituiscono espressione di discrezionalità tecnica, pienamente sindacabili dal giudice amministrativo, sia sotto il profilo della loro ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità sia sotto l'aspetto più strettamente tecnico.
Si pensi al caso in cui la commissione di concorso valuta negativamente l’elaborato di un candidato, escludendolo dalla prova orale. Il giudice annullando il voto non sostituisce un suo voto a quello della Commissione. Tiene conto del fatto, risultante dal verbale, che il tema è stato corretto e valutato in meno di due minuti, e non reca traccia di correzioni o di altri segni da parte di commissari. Ritiene, quindi, che costoro siano venuti meno ai doveri istruttori perché solo se questi vengono correttamente adempiuti la valutazione negativa si giustifica.
Prima di passare all’esame della giurisprudenza sul tema del sindacato giurisdizionale del G.A., occorre, in primo luogo, chiarire, in maniera sintetica, i fondamentali concetti di ragionevolezza e proporzionalità elaborati da autorevole dottrina.
Il principio di ragionevolezza come limite del potere discrezionale ha una lunga tradizione in tutti gli ordinamenti europei.
I giuristi inglesi risalgono al Rooke’s Case (1598, 56 Rep. 99b) quando una tassa per la riparazione degli argini di un fiume fu posta a carico dei soli proprietari dei fondi limitrofi e non di tutti quelli che dai lavori avrebbero tratto un beneficio.
Sebbene l’organo che aveva deliberato la tassa disponesse di un potere discrezionale (discretio), «tuttavia la decisione doveva essere limitata e vincolata dalla regola della ragione e del diritto» («rule of reason and law»). La discrezionalità, infatti, è la scienza che distingue ciò che è falso da ciò che è vero, ciò che è giusto da ciò che è ingiusto, tra l’apparenza e la sostanza.
E in altro giudizio, quasi coevo (1614), si legge che «discretio est discernere per legem, quid sit iustum».
Che la discrezionalità non possa essere arbitrio, ma debba essere limitata dalla ragione e dal diritto (o dalla legge: nella lingua inglese il termine law designa sia la legge che il diritto) è un principio cui si attiene tuttora la giurisprudenza britannica. La scelta che è insita nella discrezionalità è irragionevole non solo quando è «arbitraria e capricciosa», ma anche quando è discriminatrice (la revoca di una licenza di vendita di alcolici poiché il titolare è testimone di Geova) o basata sulla considerazione di fatti che non sono rilevanti rispetto all’oggetto della decisione (il licenziamento di un insegnante perché ha i capelli rossi) o all’opposto, perché è adottata senza la necessaria considerazione dei fatti rilevanti, o quando è presa in mala fede (bad faith)[43].
Nella giurisprudenza italiana il ricorso al principio di ragionevolezza è comparativamente meno frequente perché alcune delle sue manifestazioni costituiscono pura e semplice violazione di legge. Non si esclude che un ampio spazio residui per l’operatività diretta del principio in questione anche nel nostro ordinamento: in tutti i casi in cui l’amministrazione, nell’esercizio di un potere che può esplicarsi in una pluralità di direzioni e dar luogo ad almeno due scelte diverse, non effettui un congruo bilanciamento degli interessi in gioco o non espliciti adeguatamente le ragioni della scelta o non tenga conto delle possibilità di un’alternativa meno restrittiva dell’interesse del privato o ignori l’aspettativa che quest’ultimo nutre in un certo comportamento dell’amministrazione (provvedimenti retroattivi, atti di ritiro in assenza di presupposti adeguati etc.).
Negli anni più recenti la giurisprudenza ha affiancato al principio di ragionevolezza il principio di proporzionalità.
La proporzionalità è stata elaborata come limite del potere discrezionale quando questo si imbatte in un diritto fondamentale del singolo: riguarda essenzialmente i poteri restrittivi della sfera privata ai quali richiede l’«imposizione del mezzo più mite» (questo è il senso del requisito della «necessarietà»: la scelta deve essere necessaria nel senso che non ne esiste altra che comporti per il privato un sacrificio minore)[44]
Il principio di proporzionalità copre un’area più ristretta del principio di ragionevolezza perché riguarda i soli provvedimenti restrittivi della sfera privata, mentre il canone della ragionevolezza è applicabile a qualunque provvedimento discrezionale. Ma negli ambiti ai quali entrambi possono essere riferiti i due principi sono in qualche modo fungibili: anche se il principio di proporzionalità implica una ulteriore restrizione dei limiti entro cui può muoversi il potere discrezionale.
Fatte queste brevi considerazioni occorre osservare che, superata ormai da tempo l'equazione che assimilava la discrezionalità tecnica al merito insindacabile, il sindacato giurisdizionale sugli apprezzamenti tecnici dell’ amministrazione può oggi svolgersi non in base al mero controllo formale ed estrinseco dell'iter logico seguito dall'autorità amministrativa, bensì alla verifica diretta dell'attendibilità delle operazioni tecniche sotto il profilo della loro coerenza e correttezza, quanto a criterio tecnico ed a procedimento applicativo. La giurisprudenza ha colto in tale ambito valutativo il difficile crinale sul quale deve muoversi il giudice amministrativo essendo "chiara la difficoltà da parte del giudice nell'esercitare un sindacato intrinseco in presenza di procedure concorsuali, in cui al di là delle previsioni del bando, sono forti la caratterizzazione da parte dei componenti della commissione e le valutazioni, anche soggettive, espresse dai componenti di questa. Tale difficoltà non deve condurre ad una rinuncia all'esercizio di un sindacato, che tenda ad una tutela giurisdizionale sempre più effettiva, anche se deve nel contempo essere evitato il rischio di sconfinamenti da parte del giudice nell'attività amministrativa di diretta valutazione, propria solo dell'amministrazione e delle commissioni giudicatrici"[45].
Ciò premesso, i difficili spazi in cui deve muoversi il giudice amministrativo debbono essere individuati rispettando anche la specificità della materia in oggetto: si può infatti ammettere un sindacato anche intrinseco tenendo conto, però, che le valutazioni della commissione, per quanto opinabili, devono pur sempre essere considerate legittime allorché rientrino nell'ambito delle soluzioni tecniche potenzialmente corrette e ammissibili.
In un caso specifico i Giudici amministrativi, sulla base dei parametri valutativi delineati dall'articolo 4 del D.P.R. n. 117 del 2000 (recante il Regolamento concernente le modalità di espletamento delle procedure per il reclutamento dei professori universitari di ruolo e dei ricercatori), ha ritenuto attendibile il giudizio espresso unanimamente da tutti i commissari in ordine alla non perfetta aderenza della produzione scientifica dell'originario ricorrente rispetto all'ambito disciplinare relativo alla cattedra posta al concorso. Considerata l'unanimità e la congruità, in rapporto ai vizi denunciati, della valutazione tecnica compiuta dalla commissione d'esame, si è sostenuto che l'esame della valutazione della commissione sia legittima in quanto non affetta da errori metodologici o da incoerenze logiche o motivazionali. In punto di onere della prova il candidato escluso è tenuto inoltre a dimostrare la piena aderenza della produzione scientifica del ricorrente alla materia oggetto di concorso; in mancanza di tale dimostrazione, non può essere ritenuto fondato lo specifico errore commesso dalla commissione per non aver considerato pienamente congruente la produzione scientifica del candidato rispetto alla materia oggetto di concorso[46].
4.1. Voto numerico e motivazione
Lo strumento per consentire al giudice il controllo delle valutazioni delle commissioni esaminatrici, è costituito dalla motivazione dell’atto. Il provvedimento amministrativo, quale manifestazione dell’esercizio puntuale di un potere attribuito dall’ordinamento ad un organo amministrativo, penetra nella sfera giuridica del suo destinatario con astratta capacità lesiva di quest’ultima o di quella di cui i controinteressati sono titolari. In tal modo, la motivazione rappresenta il mezzo che consente al giudice amministrativo di conoscere le modalità con cui l’autorità amministrativa pondera gli interessi pubblici, oltre che il principale oggetto d’indagine del sindacato giurisdizionale.
In altre parole, la legittimità di ogni provvedimento amministrativo deve essere parametrata in base alla congruità ed esaustività del referto motivazionale che lo stesso atto rechi, cosicché emerga l'iter logico seguito e le ragioni specifiche che hanno indotto l'autorità amministrativa ad adottare il provvedimento, anche in relazione alle risultanze dell’istruttoria.[47]
E’ appena il caso di aggiungere che l’obbligo di una congrua motivazione è posto a tutela delle ragioni del cittadino il quale, per mezzo delle giustificazioni contenute nell’atto, può disporre di un ulteriore strumento di verifica sulla congruità e ragionevolezza dell’operato dell’Amministrazione, anche al fine di un’eventuale impugnazione in sede giurisdizionale. In tal senso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi costituisce corollario del fondamentale principio di buon andamento dell’Amministrazione, enunciato nell’art. 97 Cost.
Nell’ambito delle valutazioni delle prove concorsuali, dunque, la motivazione rappresenta il veicolo che consente al candidato di percepire l’iter logico seguito nella formulazione dei giudizi da parte della commissione, oltre che dei criteri predeterminati che la stessa ha applicato nel caso concreto. In buona sostanza, la motivazione del giudizio valutativo nell’ambito delle procedure concorsuali riveste un ruolo fondamentale in quanto costituisce l’oggetto principale del sindacato del giudice amministrativo.
Al contempo, la fase della valutazione delle prove è quella più delicata e la più problematica del procedimento concorsuale, in quanto non disciplinata da alcuna disposizione legislativa o regolamentare che limiterebbe fortemente l’ampia discrezionalità e il notevole potere di apprezzamento che caratterizza l’opera di giudizio delle commissioni. Lo dimostra il fatto che, come noto, gran parte del contenzioso in materia di concorsi pubblici riguarda le operazioni di valutazione e di giudizio delle commissioni concorsuali.
In tale contesto, una volta compreso il ruolo fondamentale che riveste la motivazione del provvedimento ai fini del sindacato giurisdizionale, un problema di grande rilevanza è il riuscire a capire fino a che punto l’attività discrezionale tecnica finalizzata ad concretizzarsi in un giudizio finale, esercitata dalle Commissioni esaminatrici – intesa da una parte della giurisprudenza come una sorta di campo superprotetto ed impenetrabile ad ogni sindacato di legittimità – possa essere messa in discussione dall’obbligo di motivazione che l’articolo 3 della l. n. 241/90, impone per tutti i provvedimenti amministrativi, ivi comprese le manifestazione di giudizio tecnico quali le valutazioni attribuite alle prove concorsuali.
In particolare, l’annosa questione di cui si dibatte da anni in dottrina e giurisprudenza – della quale in questa sede si cerca di offrire un’analisi il più esaustiva possibile – è quella di ritenere idoneo il solo punteggio numerico attribuito alle prove concorsuali ai fini dell’adempimento dell’obbligo di motivazione imposto all’Amministrazione dal citato art. 3 della L. n. 241/90, ovvero se, per adempiere a tale obbligo, sia piuttosto necessario rendere percepibile l’iter logico che ha condotto la commissione all’adozione del giudizio in forma numerica.
Da un lato, infatti, solo una motivazione che dia conto dei parametri di valutazione seguiti nel caso concreto può garantire l’uniformità di giudizio e la par condicio tra i candidati e, con essi, il rispetto del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 della Costituzione.
Dall’altro, la motivazione espressa mediante un punteggio numerico risponde ad esigenze di speditezza ed economicità nello svolgimento dell’azione amministrativa nell’ambito della procedure concorsuali, nonché, nella sostanza, al principio di buon andamento di cui all’art. 97 Cost..
Il problema è stato affrontato in giurisprudenza la quale in un primo momento ha aderito ad una posizione favorevole alla tesi della sufficienza dell’indicazione del solo punteggio numerico; in un secondo momento era invalso l’indirizzo dell’insufficienza del punteggio numerico e della necessità di una motivazione espressa; infine, più, recentemente, la giurisprudenza consolidata è ritornata è ritornata a ammettere che la motivazione espressa numericamente assicura la necessaria chiarezza sulle valutazioni di merito delle prove di concorso.
In sintesi si ripercorrono i vari passaggi della dottrina e della giurisprudenza fino all’orientamento attuale.
Prima dell’entrata in vigore dell’art. 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, era, tuttavia, opinione largamente condivisa che il voto non costituisse una sorta di dispositivo di cui occorra fornire una motivazione, ma sintetizzasse ed esprimesse in forma numerica il giudizio reso dalle commissioni esaminatrici.
Anche successivamente all’entrata in vigore della predetta legge, secondo l’orientamento pressoché granitico del Consiglio di Stato, il punteggio numerico costituiva un’espressione sintetica ma eloquente della valutazione tecnica compiuta dalla commissione, che contiene in sé la propria motivazione. Il semplice valore numerico attribuito all’elaborato di un candidato nell’ambito delle operazioni di valutazione delle prove scritte effettuata da una commissione concorsuale è ritenuto di per sé sufficiente a soddisfare l’esigenza di trasparenza, imparzialità e di non contraddittorietà del giudizio tecnico finale.
La valutazione delle prove di esame da parte delle commissioni esaminatrici di concorsi a pubblici impieghi è espressione dell’ampia discrezionalità tecnica di cui esse dispongono nello stabilire l’idoneità tecnica e culturale dei candidati, il cui esercizio è da ritenere sindacabile in sede giurisdizionale soltanto sotto il profilo dell’eccesso di potere per illogicità manifesta, travisamento dei fatti e palese disparità di trattamento. Tale insindacabilità – rectius limitata sindacabilità – consente di ritenere esaustiva la motivazione della prova concorsuale mediante un punteggio numerico[48].
Un orientamento di segno opposto, rivelatosi minoritario, era dell’opinione che tutti i giudizi resi sulle prove di esame necessitassero di una motivazione che rendesse intellegibile l’iter logico seguito dalla commissione esaminatrice nell’attribuzione del punteggio numerico[49].
Tale necessità di motivare la valutazione di una prova di concorso, a maggior ragione se negativa, deriverebbe innanzitutto dal fatto che sovente i criteri di valutazione delle prove non sono predeterminati dalla commissione esaminatrice ovvero coincidono con espressioni affette da estrema genericità.
Secondo tale tesi, la predeterminazione di criteri di valutazione corretti, rigidi e puntuali, quale risultato di un’attività discrezionale tecnica riconosciuta alla commissione stessa, dovrebbe rendere percepibile l’iter logico seguito nell’attribuzione del punteggio finale in ordine alla puntuale attinenza ed effettiva rispondenza della valutazione delle prove effettuate ai criteri stessi. Tale necessità sarebbe dettata dal rispetto dei principi di trasparenza ed imparzialità dell’attività amministrativa, cui le commissioni concorsuali sono tenute nelle operazioni di valutazione delle prove delle selezioni pubbliche[50].
Si era poi sviluppato un indirizzo intermedio, per cui la motivazione può essere ricondotta alvotonumericosolo se questo sia attribuito in modo che dal datonumericopossa risalirsi, attraverso una apposita griglia di valutazione, agli aspetti e ai contenuti della prova ritenuti a tal fine rilevanti[51]
Di recente la prima posizione è stata autorevolmente qualificata come prevalente.
Infatti l'obbligo di motivazione in sede di attribuzione dei punteggi nelle procedure selettive è validamente assolto mediante valutazione in forma numerica , in quanto il voto numerico esprime e sintetizza il giudizio tecnico - discrezionale dellaCommissione, contenendo in sé la sua stessa motivazione, senza bisogno di ulteriori spiegazioni e chiarimenti; inoltre la motivazione espressanumericamente, oltre a rispondere ad un evidente principio di economicità amministrativa di valutazione, assicura la necessaria chiarezza e graduazione delle valutazioni compiute dallaCommissione nell'ambito del punteggio disponibile e del potere amministrativo da essa. La Commissione esaminatrice è titolare di un'ampia discrezionalità in ordine sia all'individuazione dei criteri per l'attribuzione ai candidati dei punteggi spettanti per i titoli da essi vantati nell'ambito del punteggio massimo stabilito dal bando, per rendere concreti ed attuali gli stessi criteri del bando, sia alla valutazione dei singoli tipi di titoli. Le relative valutazioni non sono sindacabili dal Giudice amministrativo, se non nei casi in cui sussistono elementi idonei ad evidenziarne uno sviamento logico, un errore di fatto o ancora una contraddittorietà immediatamente rilevabile; in sostanza, il giudizio amministrativo è il luogo in cui la valutazione della commissione di esame può essere apprezzata "ab estrinseco" e non la sede per contrapporre giudizi di merito, salvo il caso in cui tali giudizi siano chiaramente irragionevoli e arbitrari.[52].
E’ stato, altresì, ritenuto che non sia necessario che la commissione esaminatrice apporti sull'elaborato segni grafici, glosse o commenti da cui poter dedurre quali parti di esso sono state ritenute erronee o insufficienti. Infatti - si afferma - dalla mancanza di segni grafici apposti sugli elaborati dalla Commissione esaminatrice non può farsi discendere l'assenza di errori ed incongruenze tali da giustificare la valutazione negativa. La Commissione giudicatrice non svolge attività "scolastica" di correzione degli elaborati scritti dei candidati e neppure ha il dovere di evidenziare con segni grafici i punti dai quali, più degli altri risulti l'insufficienza o l'erroneità dell'elaborato ovvero la non rispondenza alla traccia. Infatti, l'apposizione di annotazioni sugli elaborati, di chiarimenti ovvero di segni grafici o specificanti eventuali errori, costituisce una mera facoltà di cui la Commissione può avvalersi nel caso in cui ne ricorrano i presupposti, mentre l'inidoneità della prova risulta dalla stessa attribuzione delvotonumericoin base ai criteri fissati dalla Commissione sia per la correzione che in sede di giudizio[53].
4.2. La motivazione nei sottopunteggi della griglia di valutazione
Nel caso in cui la Commissione giudicatrice, nell’ambito di una procedura concorsuale per titoli e colloquio per l’accesso ad un elevato profilo professionale, abbia redatto per ciascun candidato una griglia di valutazione in base alla quale attribuire i punteggi complessivi delle varie macro categorie di voci (es. anzianità di servizio, incarichi espletati, pubblicazioni, ecc.) prevedendo nella stessa griglia le corrispondenti sotto-voci alle quali assegnare i relativi sotto-punteggi (ad esempio partecipazione a gruppi di lavoro come membro fino ad un massimo di punti 0,3; come responsabile di sottogruppo fino ad un max di 0,5, ecc.)[54], ci si è posta la questione se la medesima Commissione debba necessariamente riportare nei relativi verbali la valutazione parziale cioè i sottopunteggi che consentirebbero ai candidati di conoscere in che modo sia stato determinato il punteggio totale delle varie macro-categorie.
Ebbene, in un primo momento il Giudice amministrativo in alcune pronunce (cfr. T.A.R. Lazio Roma, Sez. III Quater, 20.11.2012, n. 9608; Consiglio di Stato sez. VI 13 giugno 2012, n. 3492) aveva ritenuto che la Commissione, allorquando si limita alla descrizione analitica nei verbali delle categorie valutabili ricollegando ad esse i vari sottocriteri dalla stessa elaborati ai fini della ripartizione dei punteggi massimi assegnati dal bando per ogni categoria valutabile, già compie una valutazione in termini numerici delle diverse categorie di titoli e ciò consente alla stessa di ricostruire in maniera sufficiente l'iter logico-giuridico nell'assegnazione del punteggio. Quindi in presenza di criteri predeterminati il voto numerico è sufficiente per la valutazione dei titoli[55].
Di recente la Giurisprudenza (cfr., ex multis, Cons. Stato, Sez. VI, 27.04.2015, n. 2119; TAR Lazio Roma, Sez. III, 30.05.2017, n. 6392), contrariamente al pregresso orientamento, ha chiarito espressamente il principio secondo cui la Commissione esaminatrice quando si auto-vincola prevedendo una griglia articolata di criteri di valutazione con un punteggio massimo assegnabile e con eventuali sottopunteggi, deve poi esplicitare le ragioni dell’assegnazione di quel determinato voto e indicare, ove previsti, i singoli voti assegnati per ciascuna sub-voce. Se la commissione si limita ad indicare, accanto alla “grande voce” un voto complessivo numerico il candidato non riesce a comprendere i motivi per i quali si è pervenuto a quel risultato. Tale principio è ancor più rigoroso nelle selezioni concorsuali laddove si tratti di valutare prove per soli titoli[56].
Note e riferimenti bibliografici
[1] GIANNINI M. S., Il potere discrezionale della Pubblica Amministrazione, Milano, 1939.
[2] O. RANELLETTI, Principi di diritto amministrativo, Napoli, 1912, 353.
[3] Cons. Stato, sez. V, 22 gennaio 1982, n. 55 in Foro Amm., 1982, I, 54; Cons. Stato, sez. V, 18 febbraio 1991 n. 160; T.A.R. Puglia, sez. II, Lecce, 27 luglio 1993, n. 406.
[4] Cons. Stato, sez. VI, 13 aprile 1992 n. 256, in Foro amm., 1992, I, 820. C. CALABRO’, La discrezionalità amministrativa nella realtà di oggi. L’evoluzione del sindacato giurisdizionale.
sull’eccesso di potere, in Cons. Stato, 1992, II, 1568-1569.
[5] F. G. SCOCA, Sul trattamento giurisprudenziale della discrezionalità, in Potere discrezionale e controllo giudiziario, Milano, 1998, 115.
[6] Cfr., ex multis, Cons. Stato Sez. VI, 06-05-2014, n. 2295; Cons. Stato Sez. VI, 03-07-2014, n. 3364; Cons. Stato, sez. VI, n. 4635 /2007.
[7] Cons. Stato, sez. IV, n. 1274/2010, in www.giustizia-amministrativa.it
[8] F. CARINGELLA-M. PROTTO, Il nuovo processo amministrativo, Giuffrè, Milano, 2001, 924.
[9] Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5287 del 2001, in Foro it., 2002, III, coll. 414 ss.
[10] Consiglio di Stato n. 829 del 27 febbraio 2006.
[11] Consiglio di Stato, sez. VI, del 1 giugno 2012, n. 3283.
[12] Cass. sez. un., n. 14893 del 2010.
[13] T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, 01-02-2017, n. 1627.
[14] Sul punto si segnala la pronuncia Cons. Stato, sez. III, 11 aprile 2012, n. 2078, in www.giustizia-amministrativa.it che con riguardo alle attività della commissione di gara ha precisato che la regola funzionale del plenum non opera nei casi in cui la commissione sia chiamata a svolgere compiti di carattere non valutativo, che si sostanziano in attività puramente preparatorie (quale è la verifica della documentazione prescritta per la partecipazione alla gara), ovvero del tutto vincolata (quale è l'attribuzione del punteggio per l'offerta economica e la conseguente redazione della graduatoria).
[15] Scoca F.G., La discrezionalità nel pensiero di Giannini e nella dottrina successiva, in Rivista Trim. Diritto Pubblico, 2000, 4, 1045-1072. A. Police, Giudice del "potere" e poteri del giudice. Un chiasmo complicato, Intervento alla giornata di studio "L'Avvocatura ed il riparto di giurisdizione", Roma 7 ottobre 2004, in Rassegna Forense, 2005, 1-2, 297-309.
[16] Storicamente in dottrina e in giurisprudenza si è dibattuto sulla rilevanza della discrezionalità tecnica quale categoria assimilabile alla discrezionalità amministrativa, le cui valutazioni sarebbero, in questo senso, riconducibili al merito amministrativo. Tale impostazione è stata sottoposta ad una critica attenta dal momento che le due forme di discrezionalità sono categorie distinte e disomogenee. Cfr. sul punto M. S. Giannini, Il potere discrezionale della pubblica amministrazione, Milano, 1939, 161 ss., e Diritto Amministrativo, Milano, 1988, II, 492 ss. Per ragioni di completezza espositiva, va detto che il concetto di merito amministrativo costituisce un corollario del principio della separazione dei poteri, per cui il potere amministrativo, in quanto tale, deve essere esercitato in via esclusiva dalla p.a.. Così F. Caringella, Manuale di Diritto Amministrativo, Roma, 2010, 995 ss.
[17] Sul punto si v. ex multis T.A.R. Lazio, sez. II- bis, 20 settembre 2007, n. 9127 in www.giustizia-amministrativa.it.
[18] Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, in www.giustizia-amministrativa.it.
[19] Sulla distinzione tra i concetti di opportunità e opinabilità si rinvia alla nota sentenza del Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601 cit., secondo la quale il primo concetto si sostanzierebbe nella scelta tra più opzioni per la cura dell'interesse pubblico; il secondo concetto indicherebbe, invece, la soggettività di un giudizio tecnico che non riguarda l'interesse pubblico ma concerne il fatto.
[20] Così storicamente è stato affermato da Cons. Stato, sez. IV, 9 aprile 1999, n. 601 cit. La nota sentenza segna lo spartiacque tra la concezione dell'assoluta insindacabilità della cd. discrezionalità tecnica dell'amministrazione e la sindacabilità delle scelte adottate dall'amministrazione all'atto dell'esercizio della cd. discrezionalità tecnica se le stesse scelte sono affette da macroscopici vizi logici, disparità di trattamento, errore manifesto, contraddittorietà ictu oculi rilevabile.
[21] Nicodemo A., Le vicende della commissione di gara: dalla discrezionalita ' tecnica al rinnovo della procedura, in Urbanistica e appalti, 2012, 8 ; 9, 937. Secondo l’Autore il pericolo di elaborare motivazioni illegittime in quanto affette da macroscopici vizi, può essere scongiurato nei casi in cui i punteggi numerici assegnati dalla commissione sono esaurientemente motivati e conformi alle dettagliate prescrizioni del disciplinare di gara e del capitolato speciale.
[22] Cfr. in questo senso Cons. Stato Sez. III, 13 marzo 2012, n. 1409; Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2011, n. 1464; conf. Cons. Stato, sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7262, in www.giustizia-amministrativa.it.
[23] Cfr. ex multis T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 28 gennaio 2008, n. 85 e T.A.R. Lazio, sez. II-bis, 20 settembre 2007, n. 9172 tutte in www.giustizia-amministrativa.it.
[24] Cfr. ex multis Cons. Stato, sez. VI, 8 febbraio 2007, n. 515, in www.giustizia-amministrativa.it.
[25] Sul punto si v. da ultimo Cons. Stato, sez. VI, 30 luglio 2009, n. 4802, in www.giustizia-amministrativa.it.
[26] F. Caringella, Corso di diritto amministrativo, II, 1489, Milano, 2011.
[27] Cons. Stato, sez. V, 8 marzo 2011, n. 1464, in www.giustizia-amministrativa.it.
[28] Cons. Stato Sez. V, 08-04-2014, n. 1667.
[29] Cons. Stato Sez. V, 08-03-2018, n. 1494.
[30] Nicodemo A., Le vicende della commissione di gara: dalla discrezionalita ' tecnica al rinnovo della procedura, cit.
[31] F. CARNELUTTI, La prova civile, Roma, 1947, 69 e 86; G. MONTELEONE, Diritto processuale civile, Padova, 2000, 417.
[32] A. CHIZZINI, Il potere istruttorio del giudice amministrativo nel quadro delle recenti riforme delineate dal d.lgs. n. 80/1998 e dalla l. 205/2000, in Dir. proc. amm., 2001, 896-897.
[33] Art. 67 Consulenza tecnica d’ufficio.
1. Con l’ordinanza con cui dispone la consulenza tecnica d’ufficio, il collegio nomina il consulente, formula i quesiti e fissa il termine entro cui il consulente incaricato deve comparire dinanzi al magistrato a tal fine delegato per assumere l’incarico e prestare giuramento ai sensi del comma 4. L’ordinanza è comunicata al consulente tecnico a cura della segreteria.
2. Le eventuali istanze di astensione e ricusazione del consulente sono proposte, a pena di decadenza, entro il termine di cui al comma 1.
3. Il collegio, con la stessa ordinanza di cui al comma 1, assegna termini successivi, prorogabili ai sensi dell’articolo 154 del codice di procedura civile, per:
a) la corresponsione al consulente tecnico di un anticipo sul suo compenso;
b) l’eventuale nomina, con dichiarazione ricevuta dal segretario, di consulenti tecnici delle parti, i quali, oltre a poter assistere alle operazioni del consulente del giudice e a interloquire con questo, possono partecipare all’udienza e alla camera di consiglio ogni volta che è presente il consulente del giudice per chiarire e svolgere, con l’autorizzazione del presidente, le loro osservazioni sui risultati delle indagini tecniche;
c) la trasmissione, ad opera del consulente tecnico d’ufficio, di uno schema della propria relazione alle parti ovvero, se nominati, ai loro consulenti tecnici;
d) la trasmissione al consulente tecnico d’ufficio delle eventuali osservazioni e conclusioni dei consulenti tecnici di parte;
e) il deposito in segreteria della relazione finale, in cui il consulente tecnico d’ufficio dà altresì conto delle osservazioni e delle conclusioni dei consulenti di parte e prende specificamente posizione su di esse.
4. Il giuramento del consulente è reso davanti al magistrato a tal fine delegato, secondo le modalità stabilite dall’articolo 193 del codice di procedura civile.
5. Il compenso complessivamente spettante al consulente d’ufficio è liquidato, al termine delle operazioni, ai sensi dell’ articolo 66, comma 4, primo e terzo periodo.
[34] Cons. Stato, sez. V, 29 dicembre 2011, n. 6980, in www.giustizia-amministrativa.it.
[35] Cons. Stato n. 1409/2012 cit.
[36] Cons. Stato, n. 1409/2012 cit.
[37] La norma al comma 12 così recita: in caso di rinnovo del procedimento di gara a seguito di annullamento dell'aggiudicazione o di annullamento dell'esclusione di taluno dei concorrenti, è riconvocata la medesima commissione.
[38] T.A.R. Campania, Napoli, sez. I, 3 aprile 2012, n. 1544, in www.giustizia-amministrativa.it.
[39] T.A.R. Lombardia, Milano, sez. I, 21 aprile 2012, n. 1113, in www.giustizia-amministrativa.it
[40] cfr., fra le altre, Consiglio di Stato, III n. 2078/2012, V nn. 3084 e 1928/2011 e 6406/2009, VI n. 7300/2010 e 4326/2008
[41] Consiglio di Stato, Sez. III, n. 571 del 05/02/2014.
[42] Cons. Stato Sez. IV, 05-02-2018, n. 705; Cons. Stato Sez. VI, 19-01-2018, n. 352; Cons. Stato, Sez. VI, 17.06.2014, n. 3043; Cons. Stato Sez. VI, 06-05-2014, n. 2295; Cons. Stato Sez. IV, 30 luglio 2012, n. 4293; Cass., Sezioni Unite, 28 maggio 2012, n. 8412; Consiglio di Stato, sez. VI, 18 agosto 2009, n. 4960;Consiglio di Stato, Sez. VI, 28 aprile 2009,n. 4960, Consiglio di Stato, sez. IV, 4 maggio 2007, n. 4635.
[43] Corso, Manuale di diritto amministrativo, Giappichelli editore, 2010.
[44] Corso, Manuale di diritto amministrativo, op. cit.
[45] Consiglio di Stato, sez. IV, 4 maggio 2007, n. 4635.
[46] Cons. Stato Sez. VI, 06-05-2014, n. 2295.
[47] T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 30 agosto 2006, n. 581.
[48] Consiglio di Stato, sez. IV, 26 aprile 2006 n. 2335.
[49] La dottrina si era espressa per lo più criticamente sull'interpretazione, ormai costante, delle Corti circa la soddisfattorietà del punteggio umerico al fine di assolvere all'obbligo di motivazione (v. ad es. Antonio Leo Tarasco, La motivazione del potere: le ragioni dell'uomo e del diritto a confronto, in Foro amm. T.A.R. 2002, 1, 49. vedi anche: S. Grassi, Sui poteri delle commissioni di valutazione nei concorsi universitari e sulla sindacabilità del giudice, in questa Foro amm. - T.A.R., 2005, 4013; L. Ieva, Sulla insufficienza della sola votazione in forma numerica a motivare l'esito delle prove concorsuali, in Foro T.A.R., 2004, 1225; Id., Sulla obbligatorietà della motivazione delle valutazioni tecniche espresse dalle commissioni giudicatrici sulle prove di esame nei concorsi pubblici, ibidem, 2003, 1684; R. Rotigliano, La motivazione dei giudizi tra forma e sostanza della funzione pubblica, in ibidem 2003, 3181).
[50] Cons. Stato, sez. V, 19 settembre 1995, n. 1323, in Foro amm., 1995, 1887; T.r.g.a. Trentino-Alto Adige, Trento, 1 febbraio 1996, n. 32, in Foro it., 1997, III, 55; Tar Lombardia, Brescia, 19 ottobre 1996, n. 990, in Foro it., 1997, III, 54; Cons. Stato, sez. V, 24 marzo 1997, n. 297, in Cons. Stato, 1997, I, 381; Cons. Stato, sez. V, 14 luglio 1999, n. 822, in Foro amm., 1999, 1456; Tar Lombardia, Milano, sez. III, 28 aprile 2000, n. 153, ord., in www. lexitalia.it; Cons. Stato, sez. V, 1 ottobre 2001, n. 5182, in Ragiusan, 2002, 213, 236; Tar Lombardia, Milano, sez. III, 16 luglio 2003, n. 1227, in Foro amm. - Tar, 2003, 1865; Cons. Stato, sez. V, 6 ottobre 2003, n. 5899, in Cons. Stato, 2003, I, 2126; Tar Lombardia, Milano, sez. I, 24 febbraio 2005, n. 446, in Foro amm.-Tar, 2005, 329; Tar Campania, Napoli, sez. V, 27 giugno 2005, n. 8731, in Foro amm.-Tar, 2005, 2128; Cons. Stato, sez. VI, 11 ottobre 2005, n. 5627, in Foro amm.-Cons. Stato, 2005, 3012; Tar Calabria, 31 ottobre 2006, n. 1677, in Foro amm.-Tar, 2006, 3339; Tar Sicilia, Catania, 10 gennaio 2009, n. 36, in www.lexitalia.it; Tar Sicilia, Palermo, sez. II, 9 settembre 2009, n. 1492, in www.lexitalia.it.
[51] Tar Puglia, sez. II, Lecce, 14 giugno 1996, n. 510, in Trib. amm. reg., 1996, I, 3453; Tar Puglia, sez. I, Lecce, 25 marzo 1997, n. 207, in Trib. amm. reg., 1997, I, 2077; Cons. Stato, sez. VI, 30 aprile 2003, n. 2331, in Foro amm.-Cons. Stato, 2003, 1682; Tar Emilia-Romagna, Bologna, sez. I, 21 aprile 2004, n. 566, in www.giustizia-ammnistrativa.it; Tar Campania, Salerno, sez. I, 4 novembre 2004, n. 1973, in Foro amm.-Tar, 2004, 3448; Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2006, n. 2514, in Foro amm. - Cons. Stato, 2006, 1503; Cons. Stato, sez. VI, 12 luglio 2006, n. 4382, in Foro amm.-Cons. Stato, 2006, 2240; Cons. Stato, sez. VI, 12 luglio 2006, n. 4383, in Foro amm.-Cons. Stato, 2006, 2240; Cons. Stato, sez. IV, 30 novembre 2007, n. 6096 in Foro amm.-Cons. Stato, 2007, 3116; Cons. Stato, sez. VI, 8 maggio 2008, n. 2128, in Foro amm.-Cons. Stato, 2008, 1525.
[52] Ex multis, cfr. Cons. Stato Sez. V, 23-03-2018, n. 1860; Cons. Stato Sez. V, 07-12-2017, n. 5770; Cons. Stato Sez. V, 07-12-2017, n. 5775; T.A.R. Lazio Roma Sez. II quater, 24-05-2017, n. 6171Cons. Stato Sez. V, 26-06-2014, n. 3229; Consiglio di Stato sez. IV 05 settembre 2013 n. 4457; C.d.S., Sez. IV, 17 dicembre 2010, n. 5792; C.d.S., Sez. VI, 15 settembre 2010, n. 6706.
[53] Ex multis cfr. T.A.R. Campania, Napoli, Sez. VIII, 7 febbraio 2011, n. 719 e C.d.S., Sez. III, 25 ottobre 2010, n. 1029.
[54] Le commissioni, di solito, predispongono una scheda individuale nel quale si riporta la grande voce e il voto finale complessivo. Così, ad esempio per la voce attività ordinaria il punteggio massimo è di 16 e per la voce percorso formativo il punteggio fino ad un massimo di 3, ecc; nell’ambito di queste voci sono inserite le sottovoci, rispettivamente, nella prima, partecipazione a gruppi di lavoro come membro fino ad un massimo di 0,7…; nella seconda, per dottorato di ricerca fino ad un massimo di 1,5 punti ecc.
[55] Si trattava dell’impugnazione della graduatoria per un concorso di elevato profilo professionale (dirigente di ricerca di I livello) all’esito della quale la Commissione esaminatrice aveva provveduto ad inserire nella scheda di valutazione del candidato ricorrente soltanto il punteggio complessivo delle macro voci senza riportare il punteggio delle singole micro voci e, pertanto, tale omissione non permetteva all’istante di conoscere l’iter logico seguito dall’Organo valutativo nell’assegnazione del punteggio complessivo.
[56] In tal caso appare evidente il mutamento dell’indirizzo giurisprudenziale in materia atteso che si è in presenza di una procedura concorsuale bandita da Ente pubblico di ricerca per profili di elevata professionalità in cui si richiede a carico della Commissione una valutazione molto rigorosa dei candidati i quali sono selezionati in virtù del solo esame dei titoli professionali e curriculari ed a seguito di colloquio. Stante la specificità della procedura, non è prevista alcuna una prova d’esame scritta. Tale principio trova, quindi, applicazione per tutte le procedure concorsuali analoghe a quella oggetto di tali giudizi.