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Pubbl. Ven, 18 Mag 2018

Il risarcimento del danno causato ad una attività economica dal ritardo della Pubblica Amministrazione

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Elena Dall'olio


Una breve riflessione sulla pronuncia del Consiglio di Stato sul diritto al risarcimento del danno in capo al soggetto leso, qualora il comportamento ostativo della Pubblica Amministrazione generi un ingiusto ritardo tale da danneggiare un’attività economica.


1. La questione affrontata dal Consiglio di Stato

La sentenza del Consiglio di Stato n. 1457 del 6 marzo 2018 statuisce un nuovo principio in tema di quantificazione del danno.

In modo particolare, una società salentina aveva presentato al Comune competente un progetto finalizzato alla ristrutturazione di alcuni trulli ubicati su un’area, di proprietà della stessa, avente un’estensione pari a 40 mila mq., prevedendo altresì l’implementazione della zona con alcuni manufatti rimovibili in legno (come pedane con ombrelloni e un chiosco bar) idonei all’esercizio di attività turistico balneare.

La zona coinvolta dal restauro e dalla trasformazione edilizia era munita di titoli abilitativi conseguiti ab origine, poiché a seguito della presentazione dell’istanza avvenuta nel 2003, nel 2005 la Soprintendenza per i Beni Archeologici autorizzava la realizzazione dell’intervento e nel 2006 veniva conseguito pure il nulla osta paesaggistico, rilasciato dal Comune e confermato poi dalla Soprintendenza per i Beni Culturali. All’esito dell’acquisizione di tutti gli atti autorizzatori, il Comune rilasciava il permesso di costruire, di talchè la società avviava i lavori necessari per la realizzazione del progetto, effettuando altresì un notevole esborso.

Solamente un anno dopo l’inizio dei lavori, sopravveniva un provvedimento di sospensione in itinere emesso dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici, a fondamento del quale, erano sostenute svariate difformità tra le previsioni contenute nel progetto ed i lavori in corso ed alcuni presunti valori archeologici da tutelare.

I titoli abilitativi dell’area de quo venivano quindi sospesi, successivamente revocati ed infine susseguiti da reiterati decreti di occupazione dell’area nonostante l’annullamento giurisdizionale di questi ultimi da parte del TAR locale.

La condotta tenuta dalla P.A. poneva in essere una palese violazione del principio di legittimo affidamento, il quale impone l’attenta salvaguardia delle situazioni soggettive consolidatesi per atti o comportamenti idonei ad ingenerare una ‘fiducia’ nel destinatario. Nel caso di specie, la Soprintendenza aveva autorizzato l’iniziativa imprenditoriale e di conseguenza la società, convinta della fattibilità, aveva effettuato significativi investimenti.

In totale spregio della concessione dei titoli abilitativi, la Soprintendenza per i Beni Archeologici della Puglia paralizzava l’impresa per quasi due anni, per un’asserita tutela del valore archeologico, storico e architettonico insito in quell’area.

Quanto descritto si è poi tradotto in un vero e proprio ‘accanimento’ della Pubblica Amministrazione, perpetrato senza alcuna giustificazione: in modo particolare quanto posto in essere, oltre che sproporzionato rispetto al fine perseguito, è da considerarsi completamente distante dai principi di correttezza e buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione.

Il comportamento della P.A. ha così provocato un notevole pregiudizio economico in capo alla società, quantificato in un mancato introito di utili per quasi due anni, data la completa paralisi dell’attività turistico- balneare esercitata dalla medesima.

Una volta risolta la questione, vale a dire nel momento in cui è stato possibile riattivare l’iniziativa imprenditoriale, il soggetto leso ha azionato una tutela risarcitoria, richiedendo al Ministero un congruo ristoro per quanto patito: è stato infatti accertato il nesso di causalità tra l’illegittimità degli atti di revoca/occupazione ed il pregiudizio derivante dall’arresto dell’attività imprenditoriale.

2. La modalità di quantificazione del danno

I Giudici di Palazzo Spada, hanno applicato il principio di accountability, hanno cioè considerato “l’impatto che l’attività amministrativa produce sulla sfera dei cittadini e delle imprese e che tale impatto deve essere quantificato”, posto che esso non può essere ridotto forfettariamente in considerazione dell’interesse pubblico prevalente.

In modo particolare si è asserito che, in guisa alle considerazioni effettuate sull’impatto economico effettivo dell’attività amministrativa nei confronti delle iniziative private, esso vada pertanto quantificato nella sua portata concreta. Il pregiudizio patito dal privato scaturente dall’attività illegittima è riferibile ad una triplice voce di danno, vale a dire al mancato funzionamento dell’impianto produttivo, al mancato svolgimento dell’attività d’impresa ed al mancato percepimento dei guadagni: tutto ciò è stato adeguatamente motivato col criterio della causalità adeguata di cui all’art. 1223 Cod. Civ. in base al quale “è risarcibile il danno conseguenza immediata e diretta dell’illecito”, tale per cui devono essere risarciti pure le conseguenze indirette dell’illecito, a patto che siano normali e prevedibili. La Cassazione, in quest’ambito, ha infatti ritenuto risarcibile anche il danno mediato derivato da una sequenza fattuale di eventi traenti origine dal fatto originario, secondo la regola probatoria del “più probabile che non” (In questo senso Cass. Civ., sez. III, n. 29 febbraio 2016, n. 3893)

 Il Consiglio di Stato nella sentenza del 6 marzo 2018 ha statuito che la quantificazione del danno doveva tener conto delle conseguenze immediate e dirette ed essere parametrata solamente in base agli utili perduti risultanti dai bilanci depositati, non dovendo ricorrere altresì a consulenze esterne, per esigenze di economia processuale a causa “del lungo tempo già trascorso dall’epoca del fatto dannoso”.

Sicuramente questo è un principio innovativo, il quale ha sorpassato i parametri di equità o il riconoscimento di importi prettamente forfettari e che accorda una vera e propria tutela all’attività imprenditoriale, tenendo così ben presente il principio volto ad incrementare la competitività del Paese.

Il Consiglio di Stato ha ragionato su quanto sarebbe accaduto senza i continui impedimenti provenienti dalla P.A.: ciò che ne è scaturito è che l’imprenditore ha diritto al risarcimento, poichè gli utili che avrebbe potuto percepire nei due anni di mancata attività sono di sua spettanza e il preciso importo ai fini della liquidazione del danno va ora desunto dai bilanci relativi al periodo in cui l’impresa ha operato “a regime”.