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Pubbl. Mer, 23 Mag 2018

Commette falso chi occulta con il nastro adesivo una lettera della targa dell´auto

Barbara Druda


Con sentenza n. 9013 del 04.01.2018 la Suprema Corte ha ritenuto integrato il delitto di falso di cui all’art. 490 c.p. in relazione agli artt. 477 e 482 c.p. e non la fattispecie di cui all’art. 100 del Codice della Strada


Sommario: 1. Il caso concreto; 2. Il delitto di soppressione, distruzione ed occultamento di atti veri; rapporti con l’art. 100 C.d.S.

Sommario: 1. Il caso concreto; 2. Il delitto di soppressione, distruzione ed occultamento di atti veri; rapporti con l’art. 100 C.d.S.

1. Il caso concreto

L’imputato aveva occultato con del nastro adesivo una lettera della targa della propria auto rendendola irriconoscibile, quindi, sia in primo che in secondo grado veniva condannato per il delitto di cui all’art. 490 c.p. in relazione agli artt. 477 e 482 c.p.

La difesa presentava ricorso per Cassazione lamentando il vizio di violazione di legge perchè il fatto era stato sussunto nell’art. 490 c.p. anziché nella fattispecie di cui all’art. 100 del C.d.S.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 9013 del 4 gennaio 2018, depositata in Cancelleria il 27 febbraio 2018, riteneva infondato il motivo di ricorso confermando la configurabilità del delitto di falso.

2. Il delitto di soppressione, distruzione ed occultamento di atti veri; rapporti con l’art. 100 C.d.S.

L’art. 490 c.p., rubricato «soppressione, distruzione e occultamento di atti veri», prevede che «chiunque, in tutto o in parte, distrugge, sopprime od occulta un atto pubblico vero o, al fine di recare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, distrugge, sopprime od occulta un testamento olografo, una cambiale o un altro titolo di credito trasmissibile per girata o al portatore veri, soggiace rispettivamente alle pene stabilite negli articoli 476, 477 e 482, secondo le distinzioni in essi contenute».

Detta fattispecie rientra nella più ampia categoria dei delitti di «falsità in atti», relativi alla falsificazione di documenti, certificati od autorizzazioni amministrative e posti a tutela (principalmente)[1] della fede pubblica, da intendersi come la fiducia riposta dai consociati in ordine alla veridicità e genuinità di atti cui l’ordinamento riconosce un particolare credito.

Sul piano oggettivo, le condotte tipizzate dal legislatore sono quelle di distruzione, soppressione od occultamento che si pongono tra loro in un rapporto di alternatività rappresentando, infatti, diverse modalità di un’azione di sottrazione[2]. In particolare, la distruzione si realizza con l’eliminazione materiale del documento; la soppressione consiste nella mera eliminazione del contenuto dell’atto attraverso cancellazioni o manipolazioni che lo rendano in tutto od in parte illeggibile; l’occultamento si ha quando l’atto viene temporaneamente celato, reso irreperibile, oppure ne viene impedita la lettura attraverso sovrapposizioni.

Il delitto in esame, inoltre, si caratterizza per il fatto che le condotte descritte ricadono su un atto pubblico vero, per tale intendendosi l’originale o la copia autentica del medesimo laddove la stessa, a norma di legge, tenga conto dell’originale mancante[3]. Peraltro, la giurisprudenza di legittimità ha più volte precisato che la norma de qua sia applicabile a qualsiasi tipologia di atto proveniente da un Pubblico Ufficiale, ivi incluse le certificazioni e le autorizzazioni amministrative[4]. Ciò emerge sia dall’uso della formula «atto pubblico» che, soprattutto, dal rinvio che la norma fa in favore degli articoli 476, 477 e 482 c.p.  - aventi ad oggetto, rispettivamente, il falso materiale in atto pubblico, in certificati o autorizzazioni amministrative e la falsità materiale commessa dal privato - disponendo l’applicazione delle sanzioni ivi previste.

L’elemento soggettivo è rappresentato dal dolo generico, di conseguenza il soggetto agente deve agire con la necessaria consapevolezza di frustrare, attraverso la sua condotta, la funzione probatoria dell’atto.

Tanto premesso, con specifico riguardo all’ipotesi in cui la condotta di soppressione, distruzione od occultamento abbia ad oggetto una targa automobilistica, la Suprema Corte è sempre stata pacifica nel ritenere che la stessa sia penalmente rilevante ai sensi dell’art. 490 c.p. in relazione agli artt. 477 e 482 c.p. Infatti, la targa di un autoveicolo costituisce una certificazione amministrativa, e ciò in quanto si tratta di un documento attestante l’immatricolazione e l’iscrizione al pubblico registro automobilistico.

Invece, l’art. 100 del Codice della Strada - che al comma 12 commina la sanzione amministrativa pecuniaria da € 2.004,00 ad € 8.017,00 nei confronti di chiunque circoli «con un veicolo munito di targa non propria o contraffatta», mentre al comma 14 prevede che «chiunque falsifica, manomette o altera targhe automobilistiche ovvero usa targhe manomesse, falsificate o alterate è punito ai sensi del codice penale» - trova applicazione nella diversa ipotesi in cui l’occultamento della targa sia stato determinato da fattori occasionali[5].

La Cassazione, quindi, con la sentenza n. 9013 del 2018 ha ribadito un proprio orientamento già consolidato.  

 

Note e riferimenti bibliografici

[1] Giova ricordare che la Cassazione, pronunciandosi a Sezioni Unite, con la sentenza n. 46982 del 2007 ha sposato la tesi della plurioffensività dei delitti di falso. In particolare, ha ritenuto che oltre alla fede pubblica il legislatore abbia inteso tutelare anche l’interesse del soggetto nei cui confronti l’atto viene fatto valere e risultante pregiudicato dalla falsa attestazione.
[2] Cass. sent. n. 3404/2000.
[3] Di conseguenza, è da escludersi l’integrazione di detto reato ogniqualvolta la condotta ricada su una copia autentica che non tenga luogo degli originali mancanti.
[4] Ex pluribus Cass. sent. n. 10580/1983.
[5] Ex multis, Cass. sent. n. 11072/2015 avente ad oggetto una fattispecie in cui l’occultamento della targa era avvenuto mediante terriccio.