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Pubbl. Lun, 16 Apr 2018

Violazione degli obblighi di assistenza familiare in caso di separazione o divorzio: il nuovo art. 570-bis c.p.

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Laura Martinelli


Con il d.lgs. 21 del 2018, il legislatore introduce nel codice penale l´art. 570-bis, che punisce chi si sottrae all´obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi derivanti dall´affidamento condiviso dei figli.


Sommario: 1. La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 570 c.p. 2. Rapporti tra art. 570 c.p. e art. 12-sexies della legge sul divorzio; 3. L’intervento del legislatore del 2018, nel rispetto della cd. “riserva di codice”.

1. La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 570 c.p.

Il legislatore del 1930 ha introdotto l’art. 570, nell’impianto del codice penale, al fine di offrire una tutela rafforzata a situazioni che, altrimenti, avrebbero una loro rilevanza soltanto nell’ambito del diritto civile. Tale norma, infatti, si trova nel Titolo XI del Libro secondo del codice penale, dedicato ai “Delitti contro la famiglia” e, più nello specifico, all’interno del Capo dedicato ai “Delitti contro l’assistenza familiare”.

È noto che il nostro ordinamento ricollega alla contrazione del matrimonio tutta una serie di obblighi discendenti in capo ai coniugi. L’art. 143 del codice civile elenca, specificamente, i reciproci diritti e doveri gravanti sui coniugi, quali “l'obbligo reciproco alla fedeltà, all'assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell'interesse della famiglia e alla coabitazione”. Nello specifico, per quel che qui interessa, l’obbligo di assistenza morale e materiale consiste non soltanto nell’obbligo di contribuire economicamente alle esigenze e ai bisogni di vita essenziali dell’altro coniuge, ma anche in un obbligo di assistenza, appunto, morale, da intendersi nel senso di una vicinanza affettiva e spirituale rispetto all’altro coniuge, che rappresenta la massima esplicazione del vincolo solidaristico che si instaura con il matrimonio, nella creazione di una vera e propria famiglia.

Tuttavia, l’ordinamento civile appresta, già di per sé, strumenti efficaci per le ipotesi di violazione dei suddetti obblighi coniugali, da parte di uno dei due coniugi. In primo luogo, è lo stesso sistema del diritto di famiglia ad indicare la conseguenza diretta della violazione degli obblighi matrimoniali: tale strumento è la dichiarazione di addebito della separazione, da cui consegue la perdita di una serie di diritti, a carico del coniuge cui sia addebitata la separazione (a scopo esemplificativo, si ricorda la perdita del diritto al mantenimento, nonché la perdita dei diritti successori connessi allo status di coniuge, fatta eccezione per il diritto ad un assegno vitalizio, laddove il coniuge “colpevole” godesse, al momento dell’apertura della successione, di un assegno alimentare). Peraltro, accanto al classico e tipico strumento dell’addebito della separazione, la giurisprudenza, da alcuni decenni, mostra aperture rispetto alla possibilità che, dalla violazione degli obblighi coniugali, possano discendere, altresì, conseguenze di tipo risarcitorio. Gli argomenti dedotti dalla giurisprudenza di legittimità, a fondamento di tale orientamento, concernono la stretta interconnessione degli obblighi matrimoniali con diritti e prerogative costituzionalmente riconosciuti: ne discende, pertanto, che, laddove dalla violazione degli obblighi ex art. 143 c.c. (si pensi, ad esempio, proprio all’obbligo di mantenimento), discenda la lesione di un diritto inviolabile della persona, costituzionalmente garantito, il coniuge che abbia posto in essere tale violazione sarà tenuto a risarcire il danno non patrimoniale, ai sensi dell’art. 2059 c.c., nei confronti dell’altro coniuge (cfr., da ultimo, Cass. n. 18853/2011).

Gli obblighi coniugali, peraltro, non cessano di operare per il solo fatto della separazione, ovvero dello scioglimento del matrimonio. Il legislatore predispone un sistema di assistenza e mantenimento, anche a seguito del realizzarsi dei suddetti eventi, proprio in ragione del vincolo di solidarietà che caratterizza l’unione familiare. Nel caso della separazione, in particolare, è possibile imporre, ad uno dei due coniugi, il pagamento di un assegno di mantenimento, a favore dell’altro, laddove quest’ultimo non abbia “redditi propri” per provvedere all’espletamento dei bisogni di vita primari (e salvo il caso, come si è detto, in cui gli sia stata addebitata la separazione). Nel caso del divorzio, il giudice può imporre, ad uno dei due coniugi, il versamento di un assegno periodico a favore dell’altro, laddove quest’ultimo non abbia mezzi sufficienti per provvedere al proprio mantenimento, ovvero sussistano ragioni oggettive che gli impediscano di procurarseli. Anche per la violazione di tali obblighi, susseguenti all’ingresso del matrimonio in una fase patologica, l’ordinamento civile predispone appositi strumenti (come la possibilità di agire in giudizio, per ottenere l’esecuzione forzata dell’assegno di mantenimento). Ma, accanto agli strumenti civilistici, in funzione di rafforzamento della tutela del coniuge debole, come vedremo, interviene anche lo strumento penalistico.

Accanto ai reciproci obblighi coniugali, meritano menzione, poi, gli obblighi gravanti sui genitori nei confronti dei figli. Tali obblighi, a differenza dei primi, prescindono completamente dalla sussistenza o meno del matrimonio, operando, in ogni caso, anche a seguito della separazione, ovvero dello scioglimento del matrimonio. Essi, infatti, trovano fondamento costituzionale nell’art. 30, che impone ai genitori il dovere di mantenere, istruire ed educare i figli, “anche se nati fuori dal matrimonio”.

Ebbene, proprio la particolare rilevanza dell’istituto della famiglia, che oggi trova anche referenti normativi a livello costituzionale, ha spinto il legislatore penale ad intervenire, per rafforzarne la tutela, affiancando, agli ordinari strumenti civilistici di tutela, una peculiare fattispecie incriminatrice avente ad oggetto proprio la violazione degli obblighi gravanti, reciprocamente, sui coniugi, nonché sui genitori rispetto ai figli. Tale fattispecie incriminatrice, come si è detto, è riportata all’art. 570 c.p., che prevede, al suo interno, tre diverse condotte: la violazione degli obblighi di assistenza genitoriali o coniugali, mediante abbandono del domicilio domestico, ovvero tenendo una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie; la malversazione o dilapidazione dei beni del figlio minore o del coniuge; la violazione dell’obbligo di assistenza materiale, ovvero di mantenimento nei confronti dei discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, degli ascendenti, o del coniuge, non legalmente separato per sua colpa. In realtà, non vi è unanimità di vedute circa la qualificazione dell’art. 570 come “norma a più fattispecie”, ovvero come “disposizione a più norme”; il dibattito, in particolare, concerne la possibilità di ritenere le diverse condotte come semplici modalità alternative per realizzare una fattispecie di reato unica (in tal senso, il secondo comma rappresenterebbe l’ipotesi aggravata del reato base di cui al primo comma), oppure come autonome fattispecie di reato. Secondo un primo orientamento, l’art. 570 si comporrebbe quantomeno di due autonomi e distinti titoli di reato, descritti rispettivamente nel primo e nel secondo comma della norma: infatti, secondo i sostenitori di tale orientamento, il primo comma descriverebbe condotte violative dell’obbligo di assistenza morale; mentre il secondo comma riguarderebbe la violazione dell’obbligo di assistenza materiale, ovverosia dell’obbligo di mantenimento. Tuttavia, non sono mancati orientamenti minoritari, secondo cui l’art. 570 si sostanzierebbe in un unico titolo di reato, realizzabile con modalità e condotte differenti ed alternative. La giurisprudenza più recente sembra sposare la tesi che individua nell’art. 570 una pluralità di fattispecie di reato, tante quante sono le condotte descritte all’interno di tale disposizione. In questo senso, deporrebbe anche il diverso trattamento sanzionatorio riservato, dal legislatore, per le diverse condotte descritte nella norma: mentre la condotta di cui al primo comma è punibile, alternativamente, o con la pena detentiva o con la pena pecuniaria; le condotte di cui al secondo comma sono punibili congiuntamente con la pena sia detentiva che pecuniaria.

Dal punto di vista del rispetto del principio di legalità, sub specie di precisione e determinatezza nella formulazione della disposizione normativa, vi è da sottolineare come il legislatore abbia preferito utilizzare, all’interno dell’art. 570, espressioni dal significato vago e generico. Si noti, ad esempio, nel primo comma della disposizione l’inciso “condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie”; è evidente che si tratti di termini ondivaghi, suscettibili di essere interpretati in modo differente a seconda della sensibilità del giudice. La scelta del legislatore di utilizzare espressioni così generiche, per quanto possa essere sospettata di violazione del principio costituzionale di legalità, sotto il profilo della determinatezza della fattispecie incriminatrice, potrebbe essere intesa, piuttosto, come volontà del legislatore stesso di offrire una norma incriminatrice resistente all’evoluzione socio-culturale dell’istituto della famiglia. Dottrina e giurisprudenza hanno, perciò, tentato di offrire un contenuto più determinato alle condotte descritte dalla norma in questione, ma sul punto non si registra univocità di vedute: secondo una prima opinione, tali condotte sarebbero integrate proprio dalla violazione degli obblighi coniugali e genitoriali descritti dal codice civile; secondo altra opinione, invece, servirebbe un quid pluris, riscontrabile, ad esempio, in condotte di incesto che non risultino, però, punibili ai sensi dell’art. 564 c.p., perché non integranti la condizione obiettiva di punibilità del “pubblico scandalo”, richiesta da tale norma. Tra le due opinioni, appare preferibile la prima, proprio in ragione di quanto si è detto in precedenza: il legislatore penale interviene con una sanzione di tal fatta, proprio al fine di garantire una tutela più pervicace alla violazione di obblighi, che già sul piano del diritto civile trovano una specifica, ma talvolta insufficiente, tutela.

2. Rapporti tra art. 570 c.p. e art. 12-sexies della legge sul divorzio

Come si è già avuto modo di sottolineare, gli obblighi reciproci gravanti sui coniugi non vengono meno per il solo fatto della separazione o dello scioglimento del matrimonio; in presenza di taluni presupposti, infatti, continua a sussistere un rapporto di tipo prettamente patrimoniale che lega i coniugi, sub specie di obbligo di mantenimento, gravante su un coniuge a favore dell’altro, qualora quest’ultimo si trovi in condizioni economiche di indigenza. Pertanto, il legislatore ha ritenuto opportuno intervenire, specificamente, per tutelare sul piano penalistico, anche la violazione degli obblighi scaturenti dalla pronuncia giudiziale di separazione, ovvero di scioglimento del matrimonio. L’art. 12-sexies della legge 898/1970 (cd. Legge sul divorzio) interviene sul punto, sancendo che, in caso di omessa corresponsione dell’assegno divorzile, ovvero dell’assegno di mantenimento in favore del figlio (rispettivamente previsti dagli artt. 5 e 6 della medesima legge), “si applicano le pene previste dall’art. 570 c.p.”.

La disposizione di cui all’art. 12-sexies legge divorzio presenta diversi profili di criticità dal punto di vista del rispetto dei principi di tassatività, determinatezza e precisione, sotto il profilo, in particolare, del trattamento sanzionatorio. Infatti, si presenza come una norma di sostanziale rinvio; ciò appare piuttosto singolare nell’ambito del diritto penale, che si caratterizza (o dovrebbe caratterizzarsi) per una tecnica di redazione delle disposizioni normative piuttosto precisa e puntuale. La questione che, più nello specifico, ha posto tale norma è l’interpretazione da dare al rinvio operato rispetto alle “pene previste dall’art. 570 c.p.”. Si è detto, in precedenza, di come l’art. 570 si componga, infatti, di due commi, contenenti tre diverse condotte integranti reato, puniti con diverso trattamento sanzionatorio: il primo comma prevede l’applicazione alternativa di pena detentiva e pena pecuniaria; il secondo comma prevede, invece, l’applicazione congiunta di tali pene. Orbene, poiché l’art. 12-sexies non specifica se il richiamo vada inteso come riferito al trattamento sanzionatorio di cui al primo comma, ovvero di cui al secondo comma, la dottrina e la giurisprudenza si sono a lungo interrogate sul punto.

Il primo orientamento che si era formato, sul punto, in seno alla Cassazione riteneva che tale richiamo dovesse intendersi come riferito al secondo comma dell’art. 570 c.p., con conseguente applicazione congiunta delle pene detentiva e pecuniaria, anche in relazione all’omesso versamento dell’assegno divorzile o di mantenimento del figlio. Tale orientamento, giova sottolinearlo, ebbe la sua fortuna nel periodo storico in cui era invalsa l’interpretazione dell’art. 570 come norma recante un’unica fattispecie di reato, e, di conseguenza, l’interpretazione del secondo comma di tale disposizione come una mera circostanza aggravante del medesimo titolo di reato. L’argomentazione principale posta a sostegno di tale orientamento atteneva alla sostanziale identità dell’elemento oggettivo tra la condotta descritta al secondo comma dell’art. 570 c.p. e quella descritta all’art. 12-sexies legge divorzio. Il primo comma della disposizione codicistica sarebbe diretta a sanzionare la violazione di obblighi assistenziali di carattere morale, gravanti sui coniugi; il secondo comma, invece, sanzionerebbe la violazione di obblighi assistenziali di carattere patrimoniale e, più nello specifico, la violazione dell’obbligo di mantenimento. Appare evidente, in questa ottica, l’identità di tale violazione rispetto al reato omissivo proprio, descritto dall’art. 12-sexies: in entrambi i casi, emerge la violazione di un obbligo, di contenuto economico-patrimoniale, estrinsecantesi nel mantenimento del coniuge in posizione economica più debole.

Il suddetto orientamento è stato, da ultimo, superato da una pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione (n. 23866 del 2013), che ha sposato la tesi contraria, secondo cui il richiamo operato dall’art. 12-sexies all’art. 570 vada inteso esclusivamente quoad poenam, da riferirsi rigorosamente al primo comma della disposizione codicistica. La Suprema Corte sottolinea come l’art. 12-sexies richiami l’art. 570 esclusivamente ai fini della determinazione del trattamento sanzionatorio, individuando, invece, il contenuto oggettivo della fattispecie incriminatrice con riferimento ad elementi del tutto diversi rispetto a quelli indicati dalla disposizione del codice penale. L’art. 570, dal canto suo, individua, come si è già visto, una condotta di carattere estremamente generico, senza fare alcuno specifico riferimento all’omesso versamento di specifici assegni obbligatori per uno dei coniugi; l’art. 12-sexies, invece, determina il precetto penale proprio richiamandosi, per relationem, agli assegni obbligatori ai sensi degli artt. 5 e 6 della legge sul divorzio. È di palmare evidenza come si tratti di due norme che incriminano non soltanto condotte diverse, ma anche basate su diverse rationes: l’art. 570 si riferisce alla violazione di obblighi solidaristici gravanti sui coniugi, in quanto partecipi del vincolo familiare, in una fase ancora fisiologica dello stesso; l’art. 12-sexies, invece, riguarda la violazione di obblighi (di carattere, peraltro, eventuale) che sorgono soltanto in una fase patologica del vincolo coniugale, ovverosia quello del suo scioglimento. La diversità oggettiva delle due fattispecie incriminatrici è desumibile anche da un’altra importante circostanza: l’art. 12-sexies è stato introdotto nella legge sul divorzio solo con un intervento riformatore del 1982, prima del quale la giurisprudenza e la dottrina si interrogavano sulla sanzionabilità penale della violazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno divorzile; l’orientamento dominante, sul punto, escludeva la possibilità di estendere l’operatività dell’art. 570 c.p. anche alla violazione dell’obbligo di versare l’assegno divorzile, stante il divieto di analogia in malam partem. Ed, in effetti, proprio di analogia di tal specie si tratterebbe, laddove si intendesse il richiamo effettuato dall’art. 12-sexies, come riferito al secondo comma della disposizione codicistica. Non soltanto: si violerebbe anche il principio del favor rei, che imporebbe, nel dubbio interpretativo, di accogliere l’interpretazione più favorevole al reo. Tale interpretazione più favorevole, che qui si è imposta, è, pertanto, quella che intende il richiamo di cui all’art. 12-sexies come un richiamo esclusivamente quoad poenam (senza alcun riferimento all’oggetto della condotta incriminata, che è completamente differente da quella descritta dall’art. 570), riferito al primo comma di tale disposizione, il quale prevede il trattamento sanzionatorio più favorevole, recante l’applicazione alternativa, e non congiunta, della pena detentiva o della pena pecuniaria.

3. L’intervento del legislatore del 2018, nel rispetto della cd. “riserva di codice”

Con d.lgs. 21 del 2018, il legislatore è intervenuto sul punto, nell’ambito di una più ampia riforma, ispirata dall’intento di riordinare le fattispecie incriminatrici e di ricomprendere all’interno del codice penale. Infatti, la disposizione di apertura di tale decreto legislativo, entrato in vigore il 6 aprile del 2018, introduce nel codice penale l’art. 3-bis, rubricato “Principio della riserva di codice”, in virtù del quale, laddove il legislatore intervenga creando nuove fattispecie incriminatrici, queste devono essere contenute nel codice penale, ovvero in leggi speciali che disciplinino organicamente la materia di riferimento. Appare un intervento quanto mai opportuno, in quanto il fenomeno di frammentazione del diritto penale, mediante la proliferazione di leggi speciali assolutamente slegate tra di loro, aveva reso assai difficoltoso il lavoro di ricostruzione dell’interprete, costretto a ricercare la norma concretamente applicabile, in un’infinità di leggi, spesso mal coordinate tra di loro.

Tale intento sembra essere stato perseguito dal legislatore anche in relazione alla questione sopra esposta, relativa alla violazione degli obblighi assistenziali gravanti sui coniugi. Infatti, sul punto, il decreto legislativo in questione ha abrogato l’art. 12-sexies della legge sul divorzio, che, come si è visto, sanciva l’applicazione delle pene previste all’art. 570 c.p. per le ipotesi di omesso versamento dell’assegno divorzile; nonché l’art. 3 della l. 54/2006, che, a sua volta, richiamava l’applicazione dell’art. 12-sexies per le ipotesi di omesso versamento dell’assegno di mantenimento a favore del figlio, in caso di separazione o di divorzio.

In conseguenza della suddetta abrogazione, nel pieno rispetto dello spirito della “riserva di codice”, il recente decreto legislativo ha trasposto entrambe le fattispecie incriminatrici in una nuova norma codicistica, l’art. 570-bis, collocata immediatamente dopo l’art. 570. Il nuovo art. 570-bis sancisce che “le pene previste dall’art. 570 si applicano al coniuge che si sottrae all’obbligo di corresponsione di ogni tipologia di assegno dovuto in caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili o di nullità del matrimonio ovvero viola gli obblighi di natura economica in materia di separazione dei coniugi e di affidamento condiviso dei figli”. Rispetto a tale disposizione sono tre le osservazioni che possono essere effettuate.

La prima osservazione attiene alla formulazione letterale della nuova disposizione, che appare ispirata dalla volontà del legislatore di farvi rientrare la violazione di ogni tipologia di obbligo gravante sull’ex-coniuge, a seguito della cessazione degli effetti del matrimonio, in conseguenza di una delle tre pronunce menzionate (scioglimento; cessazione degli effetti civili; nullità del matrimonio), senza richiamare espressamente, come faceva l’art. 12-sexies, le specifiche norme della legge sul divorzio che prevedono la corresponsione di tali assegni. Dal punto di vista delle conseguenze, ciò non muta la portata del precetto penale, rispetto alla precedente formulazione.

In secondo luogo, è possibile osservare come il legislatore non abbia inteso risolvere, con tale intervento di riforma, uno dei problemi sollevati dalla dottrina e dalla giurisprudenza, nei decenni precedenti: la condotta di violazione dell’obbligo di mantenimento del figlio, da parte del genitore non sposato, può essere egualmente sussunta nelle fattispecie incriminatrici qui in esame? Sul punto, infatti, a fronte di un granitico orientamento negativo della giurisprudenza, che aveva fermamente ritenuto legittima la limitazione della tutela penale alle sole ipotesi di omesso mantenimento del figlio, da parte del genitore coniugato; si registra un recente intervento della Cassazione (n. 14732 del 2018), che ha, invece, ritenuto un’irragionevole disparità di trattamento, come tale contraria all’art. 3 Cost., la limitazione della tutela penalistica alle sole ipotesi di omesso versamento dell’assegno di mantenimento al figlio, da parte del genitore coniugato, a fronte di un obbligo costituzionalmente garantito di mantenimento dei figli, che grava sui genitori, indipendentemente dalla circostanza che il figlio sia nato o meno in costanza di matrimonio. Ciononostante, il legislatore del 2018 non sembra aver preso posizione in questo secondo senso, stante l’utilizzo del termine “coniuge”, per indicare il soggetto attivo del reato in questione. Bisognerebbe, piuttosto, comprendere se l’estensione del precetto penale anche al genitore non coniugato possa intendersi come mera interpretazione estensiva, come tale ammessa, ovvero come interpretazione analogica, assolutamente vietata nel nostro ordinamento.

Ultima osservazione da svolgere, proprio alla luce di quanto si è detto in precedenza rispetto ai rapporti tra art. 12-sexies e art. 570, attiene alla scelta operata dal legislatore relativamente al trattamento sanzionatorio applicabile al reato di “nuovo conio” (o meglio, di nuova trasposizione nel codice penale). Il problema principale, come si è visto, atteneva proprio al rinvio secco operato dall’art. 12-sexies alle “pene previste dall’art. 570 c.p.”, senza che fosse specificato se tale rinvio dovesse intendersi come riferito al primo o al secondo comma della suddetta norma. Auspicabile, in tal senso, sarebbe stato un chiarimento del legislatore che, intervenendo espressamente sul punto, indicasse specificamente il trattamento sanzionatorio applicabile al reato di omesso versamento dell’assegno divorzile, ovvero dell’assegno di mantenimento a favore del figlio. Tuttavia, tale chiarimento non è intervenuto con il decreto legislativo qui in commento; il legislatore, piuttosto, ha preferito utilizzare nuovamente una tecnica di rinvio (“Le pene previste dall’art. 570 si applicano...”), analoga a quella utilizzata nell’art. 12-sexies, lasciando tuttora nel dubbio la riferibilità di tale rinvio al primo o al secondo comma della disposizione codicistica.

Ciononostante, e sebbene sia opportuno attendere le prime applicazioni giudiziali della nuova disposizione introdotta, si può ritenere il problema risolvibile mediante gli esiti interpretativi già raggiunti dalla giurisprudenza di legittimità, in riferimento all’art. 12-sexies. Si è detto, infatti, di come le Sezioni Unite della Cassazione abbiano operato un netto revirement nel 2013, rispetto all’orientamento tradizionale sviluppatosi sul punto, sottolineando come il reato di cui all’art. 12-sexies debba essere punito secondo il trattamento sanzionatorio previsto al primo comma dell’art. 570 c.p., ovverosia mediante l’applicazione alternativa della pena pecuniaria ovvero della pena detentiva. Tale interpretazione offerta dalla Cassazione appare assolutamente compatibile con la formulazione, pressoché riproduttiva della lettera dell’art. 12-sexies, del nuovo art. 570-bis. Pertanto, anche in relazione a tale innovazione legislativa, si può ritenere il rinvio operato come riferibile al primo comma dell’art. 570: dunque, la violazione dell’obbligo di corresponsione dell’assegno di divorzio (o di ogni altro assegno discendente da una pronuncia di cessazione del matrimonio, ovvero di nullità), ovvero degli obblighi di mantenimento dei coniugi in caso di separazione o di affidamento congiunto dei figli sarà punibile, alternativamente, con la reclusione fino a un anno, o con la multa da 103 a 1032 €.