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Pubbl. Mar, 17 Apr 2018

La discrezionalità tecnica, il vizio di eccesso di potere e l´ampiezza del sindacato del giudice amministrativo

Elisa D´aveni


Breve analisi sulla discrezionalità della pubblica amministrazione quale oggetto di sindacato da parte del giudice amministrativo


Sommario: 1. Legalità, discrezionalità e merito amministrativo; 2. Tipologie di discrezionalità; 2.1. Discrezionalità tecnica e raffronto con altri istituti; 3. Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica; 4. Conclusioni.

Sommario: 1. Legalità, discrezionalità e merito amministrativo; 2. Tipologie di discrezionalità; 2.1. Discrezionalità tecnica e raffronto con altri istituti; 3. Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica; 4. Conclusioni.

1. Legalità, discrezionalità e merito amministrativo. 

In omaggio al principio di legalità, la pubblica amministrazione pone in essere un’attività di cura concreta degli interessi pubblici individuati dalla legge. A tal fine, infatti, la legge conferisce all’amministrazione il potere pubblicistico da esercitare nel rispetto dei contenuti e dei limiti fissati dalla stessa norma attributiva, insieme a quelli ricavabili dai principi generali che sorreggono l’azione amministrativa. Il potere amministrativo, quindi, non è mai totalmente libero; all’opposto, l’amministrazione è tenuta, da un lato, a mantenere la propria attività nei confini della legalità e, dall’altro lato, a non distogliere il proprio operato dal fine per il quale il potere è stato conferito. È evidente, quindi, la differenza con l’autonomia negoziale dei privati, le cui scelte sono certamente più libere se e in quanto prive di vizi e provenienti da un soggetto capace.

Al contempo, però, l’azione amministrativa presenta di norma una componente di merito. Più precisamente, per merito amministrativo si intende il margine di scelta di cui la pubblica amministrazione gode nell’esercitare il potere pubblicistico. La cura concreta dell’interesse pubblico, difatti, si risolve nella scelta della soluzione migliore per il caso specifico, la quale inevitabilmente tiene conto delle peculiarità della situazione su cui l’amministrazione intende intervenire. In altri termini, l’eterogeneità delle situazioni rende necessaria una certa adattabilità delle soluzioni, il che, secondo autorevole dottrina, lungi dal contrapporsi al principio di legalità nella sua accezione sostanziale, rappresenta l’essenza stessa dell’amministrare.

Ebbene, il concetto di merito è strettamente collegato al carattere discrezionale dell’attività amministrativa. Più l’attività è discrezionale, più ampia sarà l’area del merito; diversamente, in presenza cioè di un potere vincolato, il merito si restringe, sino eventualmente ad annullarsi ove il potere risulti integralmente soggetto a vincoli normativi.

A ciò si ricollegano delle ricadute pratiche di non poco conto: il merito amministrativo, infatti, non è sindacabile da parte del giudice amministrativo, il quale - salvi i casi eccezionali di giurisdizione estesa per l’appunto al merito ex art. 134 c.p.a. - può pronunciarsi soltanto sulla legittimità o meno dell’agere pubblicistico e dunque sul rispetto da parte dell’amministrazione titolare del potere delle regole di legittimità poste dalla norma attributiva e dai principi generali del diritto amministrativo. Non è quindi ammesso un sindacato di tipo sostitutivo da parte del giudice sul margine di scelta che la legge, in misura più o meno ampia, riserva alla pubblica amministrazione, pena la realizzazione di un eccesso di potere giurisdizionale censurabile ex art. 111, comma 8, Cost., nell’interpretazione datane dalla più recente giurisprudenza delle Sezioni Unite.

Sintetizzando i termini del discorso, la discrezionalità amministrativa si risolve nell’adozione di soluzioni dettate da ragioni di convenienza e opportunità e implica, sotto il profilo della tutela giurisdizionale del privato, l’insindacabilità delle scelte così effettuate. Tra tutte le soluzioni astrattamente possibili, ragionevoli e rispettose del dato normativo, infatti, la pubblica amministrazione individua la modalità che ritiene essere la più adatta per soddisfare l’interesse pubblico tutelato. Ciò avviene all’esito di un’attenta ponderazione degli interessi in gioco, sia pubblici (primari e secondari), sia privati e nel rispetto del principio del minor sacrificio possibile di questi ultimi. L’esercizio del potere discrezionale avviene pertanto nel rispetto di regole, oltre che di legittimità, anche di merito e attua il principio di legalità nella misura in cui si traduce in scelte ragionevoli e adeguate a soddisfare l’interesse pubblico primario perseguito.

2. Tipologie di discrezionalità. 

Chiarita la nozione di discrezionalità amministrativa e il rapporto intercorrente tra la stessa e il principio di legalità da un lato, e il merito amministrativo dall’altro, è bene adesso soffermarsi su alcune distinzioni che caratterizzano la materia oggetto di esame.
In primo luogo, la discrezionalità amministrativa può essere tale in astratto, ma non anche in concreto. Talvolta, infatti, accade che il margine di scelta riservato all’amministrazione dalla norma attributiva del potere si riduca in conseguenza dell’attività istruttoria posta in essere. In particolare, ciò si verifica quando, acquisiti tutti gli elementi rilevanti per il caso di specie e ponderati gli interessi in gioco, residui una sola soluzione passibile di scelta poiché l’unica possibile in termini di legalità, ragionevolezza e opportunità. Si parla, al riguardo, di discrezionalità in astratto e di vincolatezza in concreto.

Inoltre, il venir meno della discrezionalità può essere dovuto anche a un autovincolo che la pubblica amministrazione stessa si impone.

In secondo luogo, la discrezionalità amministrativa si divide in pura e tecnica. Si ha discrezionalità amministrativa pura quando la norma attributiva del potere pubblicistico riserva in capo all’amministrazione un certo margine di scelta, che, a seconda dei casi, può riguardare l’an, il quid, il quomodo o il quando dell’azione amministrativa. Trattasi della definizione che normalmente si dà di discrezionalità amministrativa.

Diversamente, si ha discrezionalità c.d. tecnica nel caso in cui la pubblica amministrazione è chiamata ad accertare e a qualificare dei fatti sulla base di criteri tecnico-scientifici, cui la norma attributiva del potere rinvia. Per vero, in dottrina si è aspramente criticato l’utilizzo del termine discrezionalità in relazione a siffatte ipotesi; ciò in quanto la discrezionalità tecnica non implica un potere di scelta tra più soluzioni possibili, traducendosi piuttosto nella semplice verifica, da condurre alla stregua di parametri tecnici, che in concreto sussistano i presupposti legislativi per l’adozione di una certa decisione. Più propriamente, quindi, la discrezionalità tecnica rappresenta una valutazione tecnica che la pubblica amministrazione è chiamata a effettuare in forza di una norma contenente concetti giuridici indeterminati e che faccia rinvio a regole scientifiche per applicarli. Tuttavia, si è osservato, l’utilizzo del termine discrezionalità storicamente si giustifica alla luce dell’esigenza di escludere un sindacato esterno in capo al giudice anche in relazione a siffatte ipotesi, e poggia sull’assunto per cui le predette tipologie di discrezionalità si differenzino soltanto in punto di oggetto: scelta di opportunità da un lato e scelta in applicazione di parametri tecnici dall’altro.

2.1. Discrezionalità tecnica e raffronto con altri istituti. 

Ciò che caratterizza la discrezionalità tecnica è, a tutta evidenza, il ricorso da parte dell’amministrazione titolare del potere, a regole tecnico-scientifiche dai risultati non certi e non univoci. Così, nell’applicare siffatte regole, l’attività amministrativa giunge a esiti opinabili, più che opportuni o inopportuni, e si caratterizza per un’inevitabile soggettività della decisione finale, la quale può essere vagliata esclusivamente in termini di attendibilità.

In quest’ottica, la discrezionalità tecnica va tenuta distinta non solo dalla discrezionalità amministrativa pura, ma altresì dai cc.dd. meri accertamenti tecnici, nell’ambito dei quali si procede all’applicazione di regole tratte da scienze esatte e che dunque consentono di giungere a risultati certi, oggettivi, ripetibili. Ne deriva la piena sindacabilità da parte del giudice (ordinario, secondo i più) degli accertamenti in esame, senza invasione degli spazi riservati alla pubblica amministrazione.

È bene ricordare, infine, che il carattere puro e quello tecnico della discrezionalità amministrativa possono coesistere. Si parla, a tal proposito, di discrezionalità mista, al contempo cioè amministrativa e tecnica. Alla base di tale assunto, la considerazione per cui le distinte componenti in esame siano destinate a operare in momenti diversi: una volta effettuata la verifica tecnica, infatti, si rimette alla pubblica amministrazione la scelta della misura più idonea a soddisfare l’interesse pubblico primario tra quelle che in concreto residuino. Così, la discrezionalità è in un primo momento tecnica, per poi atteggiarsi a pura all’atto della decisione finale.

3. Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica. 

Da sempre si discute circa l’ampiezza da riconoscere al sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità di tipo tecnico. Al riguardo, il dibattito dottrinale e giurisprudenziale si è sviluppato lungo due opposti filoni, l’uno più risalente, l’altro più moderno.

Una premessa è d’obbligo. Con riferimento alla discrezionalità pura, la questione del sindacato giurisdizionale sull’esercizio del potere discrezionale ha risentito dell’evoluzione del processo amministrativo, a sua volta dipesa dall’acquisita connotazione sostanziale dell’interesse legittimo.
In origine, infatti, il processo amministrativo aveva natura essenzialmente impugnatoria: l’unica tutela esperibile innanzi al giudice amministrativo era l’azione di un annullamento dell’atto amministrativo poiché l’interesse legittimo del privato si sostanziava nell’interesse alla legalità dell’azione amministrativa. Tale interesse poteva essere soddisfatto soltanto attraverso la verifica della legittimità dell’atto e l’eventuale caducazione di quest’ultimo, ove affetto da vizi, in specie da incompetenza e da violazione di legge. Così, la giurisprudenza amministrativa raramente ricorreva al vizio dell’eccesso di potere.
L’acquisita connotazione sostanziale dell’interesse legittimo, tuttavia, ha determinato una radicale trasformazione del giudizio amministrativo. Oggi, l’interesse legittimo si identifica con l’interesse a conservare o a ottenere un bene della vita che è al contempo oggetto di potere pubblicistico. Trattasi, più precisamente, di una posizione giuridica soggettiva facente capo al privato e meritevole di tutela diretta da parte dell’ordinamento, al pari del diritto soggettivo.

Pertanto, a fronte dell’esigenza di offrire una tutela giurisdizionale effettiva anche all’interesse legittimo, l’ordinamento ha accolto il principio di pluralità e atipicità delle tutele esperibili innanzi al giudice amministrativo. Quanto ai vizi da far valere in sede di annullamento, poi, la giurisprudenza ha iniziato a valorizzare sempre più il ricorso all’eccesso di potere, divenuto uno strumento di fondamentale importanza per contestare la violazione dei limiti inerenti all’attività discrezionale, nonostante l’assenza di norme positive che li consacrassero.

L’elaborazione di numerose figure sintomatiche di eccesso di potere ha quindi permesso di sindacare l’esercizio del potere discrezionale dell’amministrazione, sì da tutelare in modo effettivo le pretese sostanziali del privato. In quest’ottica, si è assistito all’ampliamento dell’area di legittimità scrutinabile dal giudice attraverso la verifica della presenza di eventuali vizi logici o di incongruenze riconducibili alle figure sintomatiche di eccesso di potere; al contempo, però, il merito è rimasto insindacabile, non essendovi alcun motivo per preferire una valutazione di opportunità (quella del giudice), ad un’altra, ovvero quella iniziale dell’amministrazione.

Analoghe considerazioni sono state svolte in relazione alla discrezionalità tecnica, che, come anticipato, pur non essendo una discrezionalità vera e propria, storicamente è stata definita tale nel preciso intento di sottrarla al sindacato del giudice amministrativo.

Con specifico riferimento alla discrezionalità tecnica, però, il dibattito sull’ampiezza del sindacato giurisdizionale è andato oltre. Ci si è interrogati, infatti, sulla possibilità per il giudice amministrativo di vagliare o meno la correttezza dei criteri utilizzati dall’amministrazione e del metodo applicativo seguito, se del caso sostituendo il proprio giudizio tecnico a quello della pubblica amministrazione. Sono stati così affrontati due principali problemi: il primo riguardante l’ampiezza da riconoscere al sindacato del giudice; il secondo concernente l’intensità del sindacato stesso.


Quanto al primo problema, l’evoluzione giurisprudenziale ha conosciuto essenzialmente due fasi.
In un primo momento, si è ritenuto che il sindacato giurisprudenziale sulla discrezionalità tecnica potesse essere soltanto estrinseco, al pari di quello ammesso sulla discrezionalità pura. Alla base, il già ricordato assunto per cui discrezionalità pura e discrezionalità tecnica si distinguessero soltanto in punto di oggetto, presupponendo entrambe una scelta propria dell’amministrazione. Di conseguenza, il giudice amministrativo, cui non era consentito entrare nel merito di tale scelta, tecnica o di opportunità che fosse, poteva pronunciarsi soltanto sulla legittimità, sulla logicità e sulla formale congruenza rispetto al fine perseguito dalla soluzione dell’amministrazione. Si parlava, a tal proposito, di sindacato solo estrinseco del giudice amministrativo.

Successivamente, tuttavia, si è assistito a un importante mutamento di prospettiva. Nel 1999, infatti, per la prima volta la giurisprudenza amministrativa ha riconosciuto al giudice amministrativo un sindacato più penetrante sulla valutazione tecnica operata dalla pubblica amministrazione. A sostegno, l’idea per cui l’apprezzamento di tutti gli elementi posti a fondamento della decisione, tra cui rientrano anche le valutazioni tecniche, fosse attinente alla legittimità, e non al merito, del provvedimento amministrativo; se, per contro, i suddetti elementi esulassero dallo scrutinio giurisdizionale, si assisterebbe a una palese violazione dei principi di effettività della tutela giurisdizionale e di parità processuale delle parti ex art. 111 Cost.

L’opinione prevalente è oggi nel senso di sposare quest’ultima impostazione. Il sindacato del giudice amministrativo sulla discrezionalità tecnica, pertanto, non è più soltanto estrinseco, limitato cioè alla logicità e alla congruenza dell’esercizio del potere, ma si spinge sino a valutare la decisione medesima in termini di attendibilità. Nel far ciò, il giudice verifica il corretto utilizzo dei parametri tecnico-scientifici cui la norma attributiva del potere fa rinvio e il procedimento applicativo seguito dall’amministrazione; a tal fine, ci si serve dello strumento processuale della consulenza tecnica, già ammessa con L. 205/2000 e oggi prevista dall’art. 67 c.p.a., sebbene alla stessa possa farsi ricorso nei soli casi in cui risulti indispensabile.

Posto che il giudice può sindacare l’applicazione dei parametri tecnico-scientifici, dottrina e giurisprudenza hanno infine affrontato l’ulteriore problema dell’intensità da riconoscere al suddetto sindacato, sotto il profilo di una sua eventuale sostituzione alle determinazioni della pubblica amministrazione.
Al riguardo, si sono contrapposti due orientamenti.

Secondo un primo orientamento, il sindacato intrinseco avrebbe natura forte, sì da consentire al giudice amministrativo di ripetere la valutazione tecnica operata dalla pubblica amministrazione e di pronunciare, all’esito di siffatta ripetizione, una sentenza che si sostituisca al provvedimento impugnato.

Per altra impostazione, invece, il giudice non sarebbe titolare di un potere sostitutivo e, pertanto, non potrebbe sostituire la propria valutazione tecnica a quella dell’amministrazione, poiché entrambe ugualmente opinabili. In questo senso, il suo sindacato sarebbe solo debole.


Oggi, dottrina e giurisprudenza si mostrano concordi nel ritenere che il sindacato del giudice amministrativo, sebbene intrinseco, abbia natura necessariamente debole. In particolare, il tema è stato a più riprese affrontato in relazione agli atti emessi dalle autorità amministrative indipendenti, e da ultimo approfondito da parte delle Sezioni Unite della Corte di cassazione nel 2014, le quali hanno in proposito evidenziato che la verifica dei fatti posti a fondamento della decisione -benché si estenda anche ai profili tecnici- non può tuttavia spingersi sino a sostituire l’apprezzamento del giudice a quello dell’Autorità ove quest’ultima, nell’effettuare le proprie valutazioni tecniche, non abbia esorbitato i margini di opinabilità che connotano la decisione tecnica stessa.

4. Conclusioni.

In conclusione, la valorizzazione del principio di effettività della tutela giurisdizionale, che trova fondamento in Costituzione e che è stato indubbiamente accolto dal codice del processo amministrativo, ha portato, nel tempo, a rendere più penetrante il sindacato del giudice amministrativo sulle decisioni dell’amministrazione frutto di discrezionalità tecnica.

Invero, la valutazione tecnica non implica alcun potere di scelta; essa si sostanzia, piuttosto, nell’accertamento di fatti, i quali, essendo posti a fondamento della decisione, attengono alla legittimità del provvedimento e non al merito dello stesso, il che giustifica un sindacato del giudice in termini di attendibilità del risultato scientifico cui l’amministrazione è pervenuta.   

Riferimenti giurisprudenziali

Cons. Stato, sent. n. 601/1999
Cons. Stato, sent. n. 3900/2013
Cons. Stato, sent. n. 1673/2014
Cons. Stato, sent. n. 2302/2014
Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 2312/2012
Cass. civ., Sez. Un., sent. n. 1013/2014