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Pubbl. Mar, 6 Mar 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Contratto di rete tra imprese: aspetti civilistici e giuslavoristici a confronto

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Emilio Mazzeo


Prendendo avvio dalle profonde trasformazioni che hanno di recente investito la figura del datore di lavoro, il lavoro analizza le implicazioni dell’ammissione, ad opera del legislatore, della codatorialità, del distacco cd. ‘‘semplificato’’ e dell’assunzione congiunta di un medesimo lavoratore da parte di imprese legate dal contratto di rete


Abstract

Prendendo avvio dalle profonde trasformazioni che hanno di recente investito la figura del datore di lavoro, in passato riconducibile esclusivamente alla persona fisica o, in alternativa, al soggetto imprenditoriale con cui il lavoratore entrava in una relazione contrattuale di tipo bifasico, il lavoro analizza le implicazioni dell’ammissione, ad opera del legislatore, della codatorialità, del distacco cd. ‘‘semplificato’’ e dell’assunzione congiunta di un medesimo lavoratore da parte di imprese legate dal contratto di rete.

Un approfondimento particolare è, inoltre, rivolto alla fattispecie negoziale del contratto di rete sotto il profilo civilistico, ed ai contratti plurilaterali con comunione di scopo, nel cui ambito trova collocazione.

SommarioIntroduzione; 1. Il contratto di rete: problematiche di autonomia negoziale; 2. Contratto di rete come subspecie dei contratti con comunione di scopo; 3. Rete tra imprese: piano economico e profili organizzativi; 4. Rete di impresa e diritto del lavoro; 4.1 Rete e rapporto di lavoro; 4.3 Le tutele a favore del lavoratore in regime di codatorialità; 4.4 Il distacco nella rete di imprese; 4.5 Le modifiche al 2103 c.c.: cosa cambia?; 5. Conclusioni; Note e riferimenti bibliografici.

Introduzione

Nell’ambito del sistema impresa, caratterizzato dalla presenza di costanti relazioni interattive con altre realtà imprenditoriali volte ad acquisire utilità e fattori produttivi, un fenomeno essenziale e naturale è costituito dalle collaborazioni interaziendali.

Con riferimento a tali collaborazioni, il legislatore italiano ha avvertito l’impellente necessità, sin dal 2009, di fornire alle aziende un nuovo strumento di aggregazione e cooperazione, il cui fine ultimo è supportare la crescita e la competitività: il contratto di rete di imprese. Tale figura negoziale, costituisce un’opportunità che consente agli aderenti un elevato grado di flessibilità nella determinazione del contenuto della collaborazione e della regolazione dei rapporti, permettendo agli attori del nostro tessuto produttivo di porre in essere un processo di crescita razionale, fondato sulle risorse interne e su quelle messe a disposizione dai partner aziendali.

L’obiettivo ultimo che si prefigge il legislatore è, dunque, il miglioramento delle singole performance imprenditoriali grazie alla collaborazione, condivisione ed interazione tra i partner.

Il contratto di rete costituisce una novità di fondamentale rilievo teorico ed applicativo sotto molteplici versanti, civilisti e giuslavoristici. Quanto al primo profilo, le questioni più dibattute, che vengono analizzate nel lavoro in esame, riguardano l’inquadramento di tale figura nel novero dei contratti plurilaterali con comunione di scopo e l’utilizzo dell’espressione ‘‘contratto transtipico’’ nel tentativo di modulare una tipizzazione dello stesso. Il contratto di rete rappresenta, infatti, il punto di emersione delle maggiori tensioni che investono i rapporti tra la dogmatica tradizionale e le nuove esigenze di collaborazione imprenditoriale, poste dalla pratica degli affari ed adottate dal legislatore.

Per quanto riguarda gli aspetti giuslavoristici, sono oggetto di analisi la disciplina speciale del distacco nell’ambito delle imprese retiste e la codatorialità come fattore di convenienza gestionale nella regolazione del personale chiamato a prestare attività lavorativa per la rete. In tali settori si precisa la portata concreta della normativa delle reti tra imprese ex art.3 d.l. 10 febbraio 2009, n.5 e viene affrontato il profilo della derogabilità dello statuto protettivo del lavoratore retista.

Ulteriore aspetto esaminato è il rischio, preso in considerazione dagli interpreti, di possibile storture ed abusi legislativi dello strumento in esame, prevedendo come unica soluzione un penetrante ed efficace controllo del giudice sull’effettività del contratto a monte.

In conclusione dell’analisi si pone l’accento sullo slancio quasi ‘fideistico’ del legislatore su tale tipologia negoziale, vista come mezzo di miglioramento della competitività ed innovatività delle imprese italiane e come strumento atto a realizzare lo scambio tra flessibilità gestionale e migliore garanzia di stabilità dell’impiego dal lato del prestatore di lavoro.

 1. Il contratto di rete: problematiche di autonomia negoziale

Il contratto di rete tra imprese è un particolare strumento giuridico, introdotto nell’ordinamento italiano nel 2009, con l’art.3 d.l. 10 febbraio 2009, n.5[1], mediante il quale più imprenditori instaurano tra loro una collaborazione organizzata e duratura, mantenendo la propria autonomia e la propria individualità (evitando di costituire organizzazioni quali le società o i consorzi).

Le imprese aggregandosi, perseguono lo scopo di accrescere individualmente e collettivamente la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato. A tal fine, esse, si obbligano proprio in virtù di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati, attinenti all’esercizio delle proprie imprese, ovvero a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura tecnologica, industriale o commerciale, ovvero ancora ad esercitare in comune attività che rientrano nello specifico oggetto della propria impresa[2]. La norma in esame precisa ulteriormente che il negozio oggetto di analisi può altresì prevedere l’istituzione di un fondo patrimoniale comune e la nomina di un organo in grado di gestire l’esecuzione del contratto o di singole parti dello stesso, in nome e per conto dei partecipanti alla ‘rete’.

Il modello originario di aggregazione tra imprese è il c.d. ‘‘distretto industriale’’, ossia quel conglomerato di piccole imprese concentrate in un territorio ristretto e specializzate in un medesimo settore produttivo, nell’ambito del quale si creavano profondi legami, in termini occupazionali e sociali con la comunità locale. Al riguardo, un classico esempio è fornito dal distretto della calzatura della riviera del Brenta o dal distretto della ceramica di Sassuolo. Suddetto modello aziendale era caratterizzato dalla coesistenza di una forte competizione ed al contempo di una profonda collaborazione(c.d. ‘‘competition’’) tra le imprese del distretto, determinando la fortuna di tale paradigma organizzativo.

Il modello ‘distrettuale’ ha subito una profonda evoluzione con l’avvento del mercato globale e la relativa necessità di competere con le aziende multinazionali; pertanto si è articolato in forme diverse, slegate dal legame territoriale, ma ancora contraddistinte dalla collaborazione interimprenditoriale, quali ad esempio la filiera produttiva, la catena di subfornitura, le reti di distribuzione (franchising) e le reti tra imprese, sulle quali è concentrata la nostra analisi.

Già dalle formule utilizzate dal legislatore, si può evincere l’ampiezza dei contenuti in astratto idonei a formare oggetto di un contratto di rete. L’eterogeneità degli oggetti che possono essere inseriti nel contratto così delineato va posta in relazione con gli obiettivi perseguiti dal legislatore ed in tale ottica la prima domanda che bisogna porsi è se il legislatore con il contratto di rete abbia voluto creare un nuovo tipo contrattuale.

 Se si aderisce alla tesi di illuminata dottrina[3], che sotto il profilo contrattualistico descrive il ‘‘tipo’’ come un esempio di operazione economica che il legislatore erige a modello normativo, si può distinguere il contratto corrispondente ad un ‘‘tipo legale’’ e che configura una specifica attività di mercato in osservanza della legge, dal contratto che risulta semplicemente ‘‘nominato’’ dal legislatore, privo di un corrispondente atto di commercio.

Orbene mentre il contratto di vendita (in via esemplificativa) è allo stesso tempo sia contratto nominato, sia contratto tipico (come operazione economica adottata come modello normativo), i contratti di società, diversamente, sono nominati, ma non tipici sul piano della causa, in quanto non riflettono una precisa operazione di mercato[4].

I contratti associativi costituiscono, in effetti, dei contratti nominati che valgono come strumento per realizzare specifiche finalità nell’esercizio di alcune delle attività che rientrano tra quelle in astratto attuabili mediante il coinvolgimento di una pluralità di centri di interesse, mentre d’altra parte non si prestano ad attuare una determinata operazione economica[5].

Anche dal punto di vista terminologico, è agevole constatare come la terminologia utilizzata dal legislatore per la configurazione dei contratti tipici (‘‘vendita’’, ‘‘permuta’’, ‘‘locazione’’, ecc.) è diversa da quella impiegata dal d.l. 2009 n.5 che si riferisce non ad un ‘tipo’ esatto ma ad una particolare utilizzazione dello strumento contrattuale. Evidente, dunque, che se il legislatore avesse voluto far sorgere un nuovo tipo di contratto, non avrebbe utilizzato la locuzione ‘‘contratto di rete’’, ma avrebbe richiamato termini linguistici inerenti alla causa o all’oggetto caratterizzante. Il concetto di rete, invece, ha confini labili e rinvia alla possibilità di molteplici impieghi, tanto da far escludere una base tipologica ben definita, connotazione confermata dall’assenza di una disciplina legale, presente per ogni contratto tipico. Infatti la legge si limita a prevedere dei presupposti che il contratto di rete deve possedere, al fine del raggiungimento di determinati risultati, ma non è presente una normativa suppletiva specifica in grado di intervenire in via diretta, in caso di lacune del programma negoziale[6].

Mentre i contratti nominati contemplati nel libro IV del codice civile agli art. 1470 ss., servono ad attuare il rispettivo specifico tipo di affare economico ad essi sotteso, quelli contemplati nel libro V, agli art. 2247 ss., servono per creare entità economiche (come le società) che utilizzano per operare sul mercato gli stessi contratti del libro IV, suindicati. La divergenza tra i due gruppi di contratti nominati evidenziati, si palesa in modo chiaro nel rapporto tra la nullità dei contratti di scambio e la nullità delle società[7]. In particolare, come è stato evidenziato, «a favore di un sostanziale rapporto di mezzo a scopo che si ha tra contratti associativi e contratti di scambio, depone la previsione solo per i secondi della necessaria specifica determinazione dell’oggetto pattuito[8]».

Volendo compiere un raffronto con il contratto di rete, si può notare che, con riguardo allo scopo comune da esteriorizzare con il programma di rete previsto ex lege, le indicazioni normative evidenziano come non sia necessaria una determinatezza del programma, proprio come avviene per i contratti associativi.

Nei contratti di tipo associativo, il cui modello è stato preso a riferimento dal legislatore al momento della formulazione della disciplina sul contratto di rete, la prestazione di ciascuno non soggiace alla logica dello scambio con riguardo alla prestazione degli altri, in quanto l’adempimento di ognuno degli obblighi connessi al programma previsto in contratto arreca vantaggio contrattuale anche al medesimo soggetto che lo esegue[9].

Strettamente connessa a quanto qui precisato, è l’osservazione in base alla quale se il programma di rete non viene determinato in modo esatto, ma genericamente, ciò significa che proprio tale indeterminatezza risponde all’interesse delle parti, che vogliono mantenere tra loro un vincolo generico[10]. È questa la ragione pratica giustificatrice del contratto di rete, la c.d. ‘causa’, in linea con quanto previsto dalla legge per tali situazioni.

Se invece manca la determinazione dell’oggetto di uno specifico trasferimento, è escluso che possa esserne rintracciata la causa concreta e per tale motivo l’ordinamento stesso commina la sanzione della nullità.

In questo modo, se in ipotesi di mancata indicazione dell’oggetto sociale, il contratto di società deve essere considerato nullo ex 2332 c.c., ciò non avviene qualora l’oggetto sociale è indicato in modo generico, con rinvio alla possibilità di effettuare diverse attività, anche se non esattamente specificate.

In tali rilievi, si profila una affinità tra la valenza normativa del contratto di rete ed il sistema dei contratti associativi[11], e si comprendono le ragioni che conducono a qualificare il contratto di rete come contratto transtipico, con disciplina applicabile ad una molteplicità di oggetti[12].

L’ampiezza contenutistica del negozio in esame e la similitudine con i contratti societari è anche dimostrata dalle regole dettate per il caso in cui, con il contratto di rete, si decida di istituire un fondo patrimoniale comune ed un organo comune con il compito di svolgere attività esterna. Infatti, in tali ipotesi, viene previsto che per gli adempimenti pubblicitari, il contratto di rete deve indicare un programma che contenga l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti da ciascun partecipante, le modalità di realizzazione dello scopo comune e, se previsto il fondo patrimoniale comune, la misura ed i criteri dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi. Al riguardo, l’esecuzione del conferimento può avvenire anche mediante apporto di un patrimonio destinato, costituito ai sensi dell’art. 2447-bis 1°co. lett.a) c.c.

La disciplina in materia di rete, deve pure sempre essere armonizzata con quanto discende dai principi di autonomia negoziale, che trovano fonte suprema nella Carta Costituzionale negli artt. 41 e 42 (rispettivamente incentrati sulla libertà di iniziativa economica e sulla proprietà) e riflesso normativo precettivo nell’art.1322 c.c.[13]

Orbene, se si intendono raggiungere i precipui effetti previsti dalla legislazione in materia di rete, ne devono essere osservate le specifiche prescrizioni, con particolare riguardo alle norme in materia di forma e contenuto; diversamente è sempre possibile far sorgere un accordo valido tra i soggetti che intendono costituire una qualche ‘‘rete’’, nei limiti ordinamentali[14]. Da ciò discende che non può, ad esempio, affermarsi che in mancanza dell’indicazione degli obiettivi strategici vi sia la nullità del contratto di rete per difetto originario della causa, in quanto questo è un requisito da possedere per il mero godimento dei vantaggi previsti ex lege[15].

Una prima conseguenza del principio sopra esposto, si rinviene sul piano dei soggetti coinvolti nella fattispecie negoziale. Infatti se da una parte è vero che, per ottenere i benefici previsti dalla legge di settore, il contratto deve vincolare soggetti con la qualifica di imprenditori, dall’altro con riguardo al principio di autonomia contrattuale, deve essere consentita sia una contrattazione che crei una rete tra non imprenditori, sia che possa prendere parte ad un contratto di rete tra imprenditori un soggetto sprovvisto di tale qualifica, qualora la sua partecipazione risulti funzionale al conseguimento del programma negoziale.

Sulla base di tali evidenze, deve distinguersi tra contratto di rete disciplinato dal legislatore e contratto di rete lasciato al libero esplicarsi dell’autonomia privata[16].

Secondo un orientamento diffuso in dottrina, per non rendere vani gli intenti di collaborazione con i soggetti privi della qualifica imprenditoriale, si dovrebbe procedere prima alla costituzione della rete e successivamente alla stipulazione dei relativi accordi con questi ultimi[17]. È stato, altresì, osservato che gli accordi successivi potrebbero costituire delle mere integrazioni nei confronti degli originari partecipanti alla rete e che anche per le modifiche al contratto di rete la legge prescrive un procedimento di pubblicità presso tutti gli uffici delle imprese presso i quali risultano iscritti i partecipanti, pubblicità che non può essere attuata da chi è sprovvisto di titolo per l’iscrizione nel registro.

Il valore fondamentale da attribuire all’autonomia contrattuale, porta in ogni caso a ritenere che bisogna distinguere in relazione agli effetti di ogni singola partecipazione, senza escludere la partecipazione di un soggetto in modo aprioristico per la mera assenza della qualifica imprenditoriale. Da tale premessa è evidente che la partecipazione alla rete di un soggetto non imprenditore deve essere considerata come una vicenda interna alla rete, senza riflessi esterni; pertanto essa non può considerarsi invalida.

In definitiva, un contratto di collaborazione in rete è stipulabile anche con soggetti non imprenditori, anche se esclusivamente questi ultimi possono svolgere quelle attività esterne per le quali la legge prevede una tutela dei terzi mediante la pubblicità nel registro delle imprese. D’altro canto, lo svolgimento di attività esterna da parte di soggetti che partecipano pur non essendo iscritti nel registro delle imprese comporta una piena esposizione a responsabilità in relazione a quanto operato[18]. Quindi, affinché possa configurarsi il contratto previsto dal legislatore, devono far parte della rete anche degli imprenditori, in quanto proprio questi ultimi intendono perseguire, per il tramite della ‘rete’, lo scopo di accrescere individualmente e collettivamente la competitività ed innovatività sul mercato.

La necessaria presenza della parte imprenditoriale si desume anche dalle agevolazioni e dalle speciali deroghe alla disciplina in materia di responsabilità, previste dalla normativa sul contratto di rete (art.4 quinquies d.l. 10 febbraio 2009 n.5).

2. Contratto di rete come subspecie dei contratti con comunione di scopo

Con l’introduzione della fattispecie normativa del contratto di rete, si è posta una prima, importante problematica con riferimento alla sua collocabilità nell’ambito dei contratti plurilaterali con comunione di scopo[19].

Nell’analizzare tale qualificazione, bisogna partire dai profili causali e concreti del negozio e delle articolazioni che l’oggetto dello stesso può assumere.

Si rileva, allora, che la causa in astratto del contratto di rete è la medesima che sorregge tutti i contratti associativi e coincide con l’interesse dei contraenti a collaborare tra di loro. Diversa, invece, è la causa in concreto[20], che nel contratto di rete coincide con il programma negoziale.

Per comprendere la qualificazione del contratto di rete come contratto con comunione di scopo non può, inoltre, prescindersi dalle prescrizioni che riguardano il relativo programma negoziale ed essenziali sono anche le finalità indicate dal d.l. n.5/2009.

Secondo la previsione legislativa, il contratto di rete individua un accordo che vincola degli imprenditori o, come visto, anche soggetti non imprenditori, ad una collaborazione e ad un’organizzazione condivisa, sulla base di un programma comune, anche generico[21]. Da tale constatazione deriva che con il contratto di rete può instaurarsi un rapporto associativo volto a predisporre un sistema di strumenti comuni, ma non diretto al raggiungimento di risultati precisi e prestabiliti a favore dei partecipanti. Lo stesso discorso è ugualmente valevole per i contratti di rete non rientranti nello schema del legislatore, per i quali la genericità del programma comune è conseguenza della libertà nella contrattazione associativa e dell’autonomia contrattuale[22].

Con la creazione di una rete mediante un generico accordo di programma, è vero che si intende cooperare, ma ciascun partecipante è sin dall’inizio consapevole dell’impossibilità di ottenere dalla collaborazione dei risultati unitari specifici. L’impossibilità di ottenere risultati specifici non si verifica soltanto in un’ipotesi: quando l’accordo non è ‘‘di programma’’, ma di ‘‘risultato’’ intendendo per risultato uno specifico bene da conseguire a vantaggio di tutti. In ogni caso, tale ipotesi lascia aperta la strada ad una autonoma diversa qualificazione del rapporto tra i partecipanti e ciò si verificherebbe qualora l’oggetto coincidesse con quello di uno dei contratti associativi previsti dal quinto (o dal primo) Libro del codice civile.

Per quanto concerne i contratti di rete previsti dal legislatore, l’ampiezza di programma è direttamente predisposta dalla normativa[23], la quale prevede che il programma deve contenere l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità per misurare l’avanzamento verso suddetti obiettivi.

La genericità del programma non è esclusa dalla disposizione che prescrive l’enunciazione dei diritti e degli obblighi assunti dai partecipanti, le modalità di realizzazione dello scopo comune e, nell’ipotesi di previsione del fondo patrimoniale comune, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi. Queste ultime sono tutte indicazioni necessarie che chiaramente richiamano la disciplina dei contratti associativi previsti dal codice civile.

Emerge già sul piano dei principi, pertanto, che la genericità di un programma non si concilia con l’individuazione di un preciso scopo unitario riferibile a tutti i soggetti che partecipano alla rete contrattualizzata.

In definitiva, la funzione prevista dalla normativa sul contratto di rete appare vaga ed indeterminata e ciò esclude che essa possa considerarsi causa del contratto, nel senso fatto proprio dal Libro quarto del codice civile.

Fatta tale premessa, bisogna confrontarsi con un dato normativo che può apparire dubbio: le disposizioni sul contratto di rete richiamano testualmente le regole sullo scioglimento dei contratti plurilaterali con comunione di scopo. A tal proposito, si può constatare che nel caso di rete con cui sorge un nuovo soggetto di diritto, devono applicarsi le regole previste dal contratto stesso in ordine all’estinzione e al recesso dei soci qualora si verifichino ipotesi di vizio o cessazione di una partecipazione essenziale. Qualora siano assenti regole specifiche, deve procedersi con l’applicazione analogica dei principi riguardanti lo scioglimento del rapporto associativo (artt. 24,27,2272,2284 ss. c.c.)[24].

L’adozione del criterio applicativo in questione, secondo parte della dottrina[25] deve avvenire in modo prioritario rispetto all’adozione delle norme generali sui contratti plurilaterali con comunione di scopo. In riferimento, invece, alle altre ipotesi di contratto di rete appare più rilevante il rinvio alle norme sullo scioglimento di quest’ultimo tipo di contratti plurilaterali. Questo richiamo può coordinarsi con quanto sopra delineato solo se si ritiene che il legislatore non abbia voluto definire il contratto di rete come contratto necessariamente con comunione di scopo.

Difatti il rinvio alla disciplina prevista dagli artt.1420( nullità del contratto plurilaterale), 1446(annullabilità del contratto plurilaterale), 1459( risoluzione del contratto plurilaterale), 1466( impossibilità nel contratto plurilaterale) c.c. può valere esclusivamente con riferimento agli specifici contratti di rete rientranti nell’ambito della fattispecie a cui si riferiscono gli stessi articoli, ossia contratti ‘‘con più di due parti, in cui le prestazioni di ciascuno sono dirette al conseguimento di uno scopo comune’’.

L’estensione del vizio connesso al vincolo di una sola parte deve applicarsi, dunque, unicamente nel caso di contratti di rete caratterizzati da prestazioni che risultino essenziali nella intera logica del rapporto e si tratta di contratti che non contengono la semplice enunciazione di un programma generico, ma indicano la realizzazione di specifici oggetti.

Il problema può essere specificato mediante un inquadramento teleologico delle norme sui contratti plurilaterali con scopo comune, norme che conferiscono rilevanza ai vizi che riguardano il vincolo di una sola delle parti quando esso risulta fondamentale nella logica dell’intero contratto.

La comunione di scopo, inoltre, può rilevare sia in senso debole, quando dalle vicende inerenti ad una parte non derivano effetti dirimenti sulla struttura negoziale, sia in senso forte, quando lo scopo si raggiunge solo con la partecipazione di tutti. È con riferimento alla comunione di scopo in senso forte che il venir meno del vincolo di una parte è in grado di far cadere il vincolo di tutti.

Infatti in tale tipologia di situazioni, i partecipanti hanno come obiettivo lo stesso scopo, che cessa di esistere con il venir meno anche di una sola parte. In tale ambito vi è l’applicazione diretta ovvero analogica degli art. 1420, 1446, 1459, 1466 c.c., a seconda che si ritenga o meno di configurare comunione di scopo anche nella ‘‘ mera condivisione, da parte di tutti, degli scopi, diversificati, presi singolarmente di mira dalle parti stesse’’[26]. Trattasi in questo caso di uno scopo specifico legato al contratto plurilaterale, quale per le imprese, ad esempio, la realizzazione di uno specifico progetto di ricerca.

L’applicazione della normativa codicistica sopra esposta, può avvenire anche quando la prestazione inerente alla partecipazione viziata sia essenziale per tutti i soggetti che restano parti del contratto, ma non per la parte il cui apporto viene meno. In tale ipotesi, la comunione di scopo, riferita alla essenzialità della partecipazione che viene a cessare, si ricava in una fase successiva rispetto al sorgere del contratto originario, riflettendosi unicamente nel rapporto tra i partecipanti rimanenti[27]. D’altro canto se la partecipazione di una parte non è essenziale per le rimanenti, vuol dire che la comunione di scopo è occasionale con portata più debole ed in tale ipotesi se cade la partecipazione di una, non viene meno l’impalcatura contrattuale. Lo scopo, in tali situazioni, è necessariamente generico e non intrinseco al contratto plurilaterale (per le imprese ad esempio potrebbe essere uno scopo di innovazione, migliore efficienza, condivisione dei risultati delle ricerche sul campo ecc.[28]).

Secondo le teorizzazioni tradizionali, in definitiva, il contratto di rete sembra adattarsi maggiormente a tale seconda categoria di contratti plurilaterali, con comunione di scopo ‘debole’[29]. In ogni caso nulla vieta alle imprese, nell’esercizio dell’autonomia privata, di costituire una rete e contrattualizzarla secondo lo schema previsto dal d.l. 5/2009, costituendo un sistema economico differente con comunione di scopo in senso forte. In tale ultimo caso, il venir meno del vincolo di un’impresa è in grado di causare immediate e dirette conseguenze sull’intero vincolo contrattuale.

Tra l’altro, già ad una mera analisi terminologica si riscontra che la locuzione contratto di rete si riallaccia a due differenti tipologie di autonomia, ossia l’autonomia giuridica contrattuale e l’autonomia economica imprenditoriale. In conclusione, può evincersi come non sussiste alcun limite precostituito atto ad ostacolare le imprese che intendano costituire una rete ad adoperare l’istituto del contratto. A ciò deve inoltre aggiungersi che la possibile ampiezza del programma negoziale trova un equilibrio ed un bilanciamento nella prospettiva dei partecipanti che non intendono restarne vincolati[30].

3. Rete tra imprese: piano economico e profili organizzativi

Dal punto di vista economico, il legislatore con il contratto di rete ha voluto fornire uno strumento che mira ad un più efficace accesso al credito e ad una maggiore promozione e tutela dei prodotti italiani per lo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione.

In altre parole, sono state estese alle reti tra imprese i benefici riservati ai distretti produttivi nei settori fiscale e contabile, amministrativo, bancario e finanziario e di ricerca e sviluppo ex art. 3, comma 4 quinquies, d.l. n.5/2009.

Vi è dell’altro.

Per rafforzare il brevetto italiano è stata prevista una dotazione per il Fondo Nazionale dell’innovazione di circa 60 milioni di euro in capitale di rischio per le banche. A queste ultime è stato chiesto di allocare i propri finanziamenti non più sui soggetti, ma sui progetti imprenditoriali, caratteristica comune a tutte le reti di impresa. La rete è dunque un progetto fondato su un programma imprenditoriale[31].

Passando ad analizzare il ‘‘come’’ del contratto di rete, ossia i profili organizzativi, è necessario distinguere due aspetti: l’organo comune per l’esecuzione del contratto e le regole cui sono soggette le decisioni dei partecipanti relative alle materie non demandate all’organo comune e relative alle modificazioni del contratto.

Per quanto riguarda l’organo comune, bisogna rilevare come il d.l. n.78/2010 è intervenuto a modificare il d.l. 5/2009, rimodellandone alcuni tratti. Il nuovo testo dell’art.3, comma 4 ter, lett.e), ci dice, anzitutto, che l’organo comune per l’esecuzione del contratto è un organo facoltativo, stabilendo testualmente che «se il contratto ne prevede l’istituzione, deve indicare il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto per svolgere l’ufficio di organo comune per l’esecuzione del contratto o di una o più parti di esso, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto come mandatario comune, nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto. Salvo che sia diversamente disposto nel contratto, l’organo comune agisce in rappresentanza degli imprenditori, anche individuali, partecipanti al contratto, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l’accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall’ordinamento nonché all’utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza[32]».

La disciplina normativa, come modificata dalla manovra economica, parla di organo comune, precisando che il soggetto prescelto è chiamato ad assumere un ufficio e agisce come mandatario comune, al quale deve riconoscersi la rappresentanza degli imprenditori anche individuali.

Secondo parte della dottrina[33], il riferimento legislativo al mandato scontorna le differenze tra l’associazione temporanea d’imprese e la rete, che sembrerebbe porsi anch’essa più sul piano dei rapporti contrattuali che associativi. Tale ultima previsione richiede, dunque, l’applicazione delle norme sul mandato collettivo ex. 1726 c.c. per l’attuazione del programma comune di rete, facendo apparire la rappresentanza nei rapporti esterni di tipo contrattuale.

 Per quanto concerne il secondo aspetto, ossia le decisioni dei partecipanti relative alle materie non demandate all’organo comune, l’art. 3 comma 4- ter lett. f, ci dice che il contratto di rete deve indicare: «le regole per l’assunzione delle decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo».

La manovra economica mette, quindi, in chiaro che la regola per cui i contratti possono essere modificati solo con il consenso di tutti i contraenti (artt. 1321 e 1372, comma 1, c.c.) può essere derogata dall’autonomia privata, introducendo la diversa regola della modificabilità a maggioranza.

Una pagina tutta da verificare riguarda, invece, quella degli eventuali limiti. L’ipotesi di maggiore interesse riguarda lo scioglimento della rete a maggioranza, che ha visto un importante indirizzo pronunciarsi a favore della necessaria unanimità dei consensi. Un’ altra parte della dottrina sembra sposare una soluzione alternativa: «il contratto potrebbe evidenziare caratteri più propriamente associativi mantenendo la regola di maggioranza, ancorché rafforzata[34] ».

La manovra economica, inoltre, ha polarizzato l’attenzione sui profili contrattuali dell’organo comune per l’esecuzione del contratto nei rapporti esterni, con uno spazio marginale rivolto ai profili associativi ed organizzativi. Tuttavia è evidente che tali ultimi profili non sono stati obliterati, ma piuttosto, ricollocati sul piano dei rapporti interni tra le imprese partecipanti.

Tirando le fila del discorso, alla domanda sulla natura della rete tra imprese non può che rispondersi in negativo; la rete non è, infatti, né una persona giuridica, né un centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici. In positivo può invece dirsi che essa si struttura come una forma di cooperazione complementare ed alternativa sia rispetto al modello societario che agli altri modelli di aggregazione non personalizzati.

È stato anche osservato che la rete si concreterebbe in una forma di rapporto associativo intermedia tra il mero contratto di collaborazione e l’organizzazione societaria, pur non presentandone la struttura.

A quanto osservato deve aggiungersi che l’art. 3, comma 4-ter, per come riformato dalla manovra economica del 2010, ci dà un ulteriore aiuto per fornire una risposta al quesito sulla natura della rete meno legata ad un ragionamento per genus et differentiam. In tale ambito il riferimento è agli art. 2614 e 2615 c.c.; infatti similmente a quanto previsto in tema di consorzi con attività esterna, per tutta la durata della rete i creditori particolari non possono far valere i loro diritti sul fondo, mentre per le obbligazioni assunte ‘‘in nome della rete’’ dalle persone che ne hanno la rappresentanza, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo patrimoniale comune. Le modifiche normative del 2010, sembrano pertanto aver confermato la trasformazione delle responsabilità patrimoniale da regola generale a residuale e la tendenziale equivalenza funzionale della soggettività giuridica rispetto alla separazione patrimoniale, tecniche alternative di presentazione della garanzia patrimoniale.

Su tali premesse si muove il legislatore anche in punto di contratto di rete, che in positivo può dunque definirsi come un contratto tra più imprenditori con comunione di scopo che dà vita a una separazione patrimoniale incentrata sull’attività e, pur entro certi limiti, sull’organizzazione.

4. Rete di impresa e diritto del lavoro

Dopo una breve disamina del contratto di rete e della cornice civilistica in cui si innesta, è necessario analizzare i risvolti giuslavoristici, prendendo le mosse proprio dall’incidenza dello stesso sul rapporto di lavoro.

Il contratto di rete ha costituito un’importante opportunità per veicolare nel diritto positivo italiano del lavoro una novità di grande rilievo teorico ed applicativo[35].

Infatti è divenuta norma di legge quella codatorialità che era stata oggetto di studio e ricerca nel passato e che, ora, il legislatore mostra in una versione ‘‘fisiologica’’, emancipata dalla ‘‘lente indagatrice’’ della frode allo statuto protettivo del lavoratore. Infatti, da sempre forte attenzione è stata posta sulla regolazione dei fenomeni interpositori o di dissociazione nella titolarità unica del rapporto obbligatorio di lavoro.

Non deve infatti trascurarsi che l’epifania della codatorialità nell’ordinamento positivo è intervenuta a seguito di consolidate posizioni giurisprudenziali, che avevano finito per escludere la simultanea riconducibilità di un rapporto di lavoro in capo a due diversi datori di lavoro[36]. È stato rilevato da più fronti che ciò è accaduto anche perché, nell’esperienza quotidiana, il diritto del lavoro si è dovuto confrontare con la progressiva decostruzione del modello fordista di impresa[37], sostituito da un diffuso frazionamento dei cicli e processi produttivi e dal propagarsi di pratiche di integrazione economica tra imprese iperspecializzate[38]. Da quanto evidenziato emerge la necessità per il diritto del lavoro di fare i conti con l’interesse economico alla condivisione degli oneri e delle utilità derivanti dalla prestazione lavorativa da parte di più soggetti aggregati secondo schemi non sempre di tipo gerarchico. Infatti lo stesso paradigma tipico di relazione nei gruppi di impresa, tra controllante e controllata è stato spesso soppiantato da modelli paritari e reticolari.

Può affermarsi, dunque, che con il contratto di rete il legislatore ha inteso rispondere ad una forte e chiara sollecitazione proveniente dal tessuto economico e produttivo, provvedendo ad ‘‘una razionalizzazione giuridica dell’esistente[39]’’.

Nel perseguire tale obiettivo, con l’art. 7, comma 2, lett.a), del d.l. 28 giugno 2013, n.76, convertito, con modificazione dalla l. 9 agosto 2013 n.99, è stato aggiunto il comma 4-ter all’art. 30 d.lgs. n.276/2003 ed è stato così previsto che «qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità…l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 del codice civile[40]». Ed inoltre per le stesse imprese partecipanti al contratto di rete è «ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso» [41].

Con riferimento alla sostanza delle cose, la novità in ambito giuslavoristico è duplice e di grande portata. Infatti, da un lato è stata introdotta un speciale disciplina del distacco, derogativa in melius per le aziende partecipanti alla rete che ne beneficiano, in quanto assicura in modo effettivo una più agevole mobilità intra-rete dei dipendenti. Dall’altro lato è stata immessa e proposta nel mercato del lavoro italiano la codatorialità, intesa come fattore di convenienza gestionale nella regolazione del personale che è chiamato a prestare attività lavorativa per la rete.

Sotto il profilo giuridico, tuttavia, ne conseguono importanti effetti, quali in primis l’emergere di complesse e controverse questioni con riguardo alla tenuta dello statuto protettivo del lavoratore ‘retista’ ed alla imputazione degli effetti protettivi del contratto di lavoro[42], oggetto di approfondimento da gran parte della recente dottrina[43].

A ciò si aggiunga che l’interprete è chiamato a confrontarsi con un dato normativo che di certo non si presta ad un’interpretazione univoca e monodirezionale e nel suo operato, inoltre, deve abbandonare il classico ‘armamentario’ utilizzato tradizionalmente per smascherare fattispecie simulatorie o fraudolente di scomposizione dell’impresa e per contrastare i tentativi di aggiramento dello statuto protettivo del lavoratore o di sviamento dell’imputazione delle connesse responsabilità[44].

In tutto ciò, egli deve anche confrontarsi con il dato normativo sopravvenuto, migliorando gli strumenti di comprensione e conoscenza del fenomeno delle reti di imprese, in una prospettiva che sia coerente con le implicazioni attese dal legislatore in termini di miglioramento di competitività, efficienza e produttività dell’intera realtà produttiva e dei servizi interconnessi in rete.

La normativa in esame, in ogni caso, chiama in gioco istituti complessi e lascia sulle spalle dell’interprete l’onere di ordinare ed individuare i limiti di operatività di ognuno di essi, in pieno rispetto del principio di inderogabilità delle normative di protezione del lavoro.

Per stabilire con chiarezza le implicazioni della fattispecie contratto di rete per i datori di lavoro ed i lavoratori è comunque indispensabile chiarire la portata dei termini che vengono in rilievo ed in particolare della triade semantica distacco/codatorialità/assunzione congiunta.

Il discorso, tuttavia, si semplifica se la rete di imprese acquisisce la soggettività giuridica, perché in tal caso viene a costituirsi un unico centro di imputazione di diritti ed obblighi, in grado di attribuirsi la titolarità dei rapporti di lavoro in modo diretto e inequivoco e cioè assumere i singoli lavoratori e fungere da loro unico datore di lavoro, senza che sia necessario ricorrere a codatorialità e distacco[45].

Nondimeno, bisogna considerare che il legislatore rimette alle imprese la scelta di fondo sul modello giuridico da adottare ed i dati per lo più rilevati danno per preminente la soluzione di non acquisire la soggettività giuridica. Da ciò discende che il modello della cd. rete-contratto, nelle variabili possibili di cui si è dato un accenno (con o senza fondo e organo comune) è tuttora dominante rispetto a quello della cd. rete-soggetto[46].

Partendo dal significato da attribuire al termine codatorialità, si nota che sovente in letteratura e da ultimo anche in giurisprudenza[47], ricorrono soluzioni interpretative eterogenee che tendono alla identificazione dell’istituto della codatorialità ex lege con l’assunzione congiunta di un medesimo dipendente da parte di più datori di lavoro[48]. Orbene, ragioni di ordine sistematico e letterale impongono di tenere distinti tra loro i tre istituti giuridici del distacco, della codatorialità e dell’assunzione congiunta, proprio perché risultano impiegati dal legislatore a titolo diverso[49].

Contrariamente opinando, non troverebbe spiegazione il fatto che il legislatore impiega nell’art. 30 co.4 ter del d.lgs. n.276/2003 l’espressione ‘‘codatorialità’’, mentre, immediatamente dopo, nell’art. 31, co.3 ter, del medesimo decreto, con riguardo alle reti di imprese in agricoltura, adopera l’espressione ‘‘assunzione congiunta’’. In mondo analogo non vi può essere uno scarto logico tra la speciale disciplina del distacco infra-rete e la codatorialità, poiché i due istituti vengono consegnati dall.art.30 c. 4 ter cit. alle imprese retiste disgiuntamente[50]. Dunque, rispetto a quanto sostenuto da altra parte della dottrina, proprio l’impiego non casuale di diverse espressioni negli artt. 30 e 31 cit. convince della autonomia di significato dei termini in questione.

Il distacco, in particolare, anche nella variante speciale e derogatoria dettata per le reti di imprese, si conferma come una particolare espressione del potere direttivo del datore di lavoro-imprenditore, attraverso cui la struttura obbligatoria del rapporto di lavoro non risulta alterata nei suoi fondamenti, ossia nell’univocità della titolarità del contratto di lavoro e nella imputabilità degli effetti.

Nel distacco infra-rete, dunque, resta sempre ferma la titolarità e l’imputazione esclusiva del rapporto di lavoro in capo all’impresa retista che ha assunto il lavoratore alle proprie dipendenze, salvo poi operarne il distacco.

Un diverso contenuto è insito nella facoltà di effettuare una vera e propria ‘‘assunzione congiunta’’ dei dipendenti, che nell’art. 31 cit. il legislatore riferisce esclusivamente alle imprese agricole ‘‘per lo svolgimento delle prestazioni lavorative presso le relative aziende’’ (co.3 bis). La soluzione ivi adottata si giustifica con la necessità di rafforzare la protezione dei lavoratori in un settore storicamente caratterizzato da un impiego della manodopera agricola solo in apparenza frammentato, ma sovente illecito ed occulto. Infatti, al riguardo, il legislatore prevede che, in caso di assunzione congiunta di manodopera ex art. 31 cit., sia da parte di imprese agricole che da parte di imprese legate da un contratto di rete, «tutti i datori di lavoro risponderanno in solido delle obbligazioni contrattuali, previdenziali e di legge che scaturiscono dal rapporto di lavoro».

Infine, con il termine codatorialità previsto nella parte finale del co.4 ter cit. ove si afferma «inoltre per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso», è chiara la voluntas legislativa di intendere qualcosa di differente rispetto al distacco ed all’assunzione congiunta.

Il legislatore mette in conto anche una alterazione degli elementi fondamentali della struttura obbligatoria del rapporto di lavoro (titolarità della fattispecie astratta ed imputabilità della fattispecie concreta), ma non si spinge ad affermare per le imprese retiste non operanti in agricoltura la facoltà di assunzione congiunta.

Al riguardo secondo parte della dottrina[51], la disposizione che introduce nel diritto positivo la codatorialità è stata deliberatamente sfornita di ogni riferimento diretto a termini quali assunzione o contitolarità del rapporto e pertanto non può essere letta come sinonimo di assunzione congiunta.

Contrariamente la disposizione in esame intende evocare come possibilità quella codatorialità che si colloca sul diverso piano dell’esercizio dei poteri datoriali ed in particolare del potere direttivo.

La fattispecie coinvolta dalla norma in questione attiene, dunque, all’esercizio da parte di più imprenditori del potere direttivo nei confronti del dipendente retista, motivo per cui il legislatore non si cura della derivazione del potere direttivo. La facoltà di assunzione congiunta è in questo senso non necessitata nella logica e nel lessico della norma ed il significato ultimo della norma va pertanto rinvenuto nel verbo che regge l’intera formulazione: ‘‘è ammessa’’. Tale espressione rivela, infatti, che la ragione ultima della disposizione è rendere nel contesto del contratto di rete ammissibile ciò che altrimenti non lo sarebbe.

Il legislatore, d’altro canto, è consapevole del fatto che l’esercizio del potere di eterodirezione nei riguardi di coloro che non sono formalmente dipendenti è ammissibile solo nei casi tipici della somministrazione e del distacco, laddove, negli altri casi ove non legalmente previsto, ricorre un impiego illecito ed irregolare della manodopera, che pertanto è sanzionato[52].

Per tali motivi, nell’ambito eccezionale del contratto di rete, la codatorialità configura ex lege la facoltà per le imprese partecipanti alla rete di esercitare con modalità condivise il potere direttivo su di un singolo dipendente, senza perciò incorrere nelle conseguenze sanzionatorie implicate dalla codatorialità sostanziale.

Bisogna, inoltre, specificare che per modalità condivise, il legislatore non intende promiscue ma, semmai previamente organizzate, tant’è che la codatorialità è ammessa a tre precise condizioni[53]: che il contratto di rete sia validamente sottoscritto, che la rete sia operativa e che la codatorialità, ossia l’esercizio condiviso del potere direttivo, avvenga previa organizzazione secondo ‘‘regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso’’.

In questo senso, è verosimile sostenere che la codatorialità ex art. 30 cit., afferma l’esistenza e la compatibilità con l’art. 2094 c.c. di una obbligazione di parte creditoria soggettivamente complessa, considerato l’esercizio condiviso e pre-organizzato del potere di eterodirezione da parte di più soggetti nei riguardi del medesimo lavoratore. Tale ultima eventualità è stata definita come ‘‘una nuova frontiera della codatorialità[54]’’ e persino del diritto del lavoro, perché non è più risultato di un esercizio ricompositivo operato ex post, ma emanazione diretta di un accordo tra imprese, considerato dal legislatore meritevole di tutela[55].

4.1 Rete e rapporto di lavoro

L’utilità perseguita dal legislatore con la normativa in questione, è quella di porre al riparo le imprese retiste da eventuali contestazioni in merito alla effettiva riconducibilità del rapporto di lavoro in capo a soggetti diversi dall’originario titolare del contratto. Tali contestazioni, diversamente, avrebbero avuto terreno fertile nel richiamare la nozione di codatorialità sostanziale, elaborata dalla giurisprudenza al fine di estenderne le responsabilità conseguenti al rapporto di lavoro nei riguardi di più soggetti datori di lavoro sostanziale.

Il legislatore, pertanto, ha ritenuto di consentire alle imprese retiste di prestabilire con il contratto di rete le regole di ingaggio e cioè di condivisione del potere direttivo, senza che da ciò si potesse far derivare in modo automatico una solidarietà condivisa anche da parte debitoria.

Procedendo ad una sintesi, più imprese in rete possono di certo avere interesse all’impiego congiunto ed alla condivisione dei costi di determinate risorse (si pensi in via esemplificativa ai manager della rete, ai tecnici informatici, agli addetti di pulizia ecc…). Orbene il legislatore concede loro la più ampia scelta relativa alle modalità di assunzione ed impiego all’interno della rete, a condizione che sia validamente costituita ed operativa.

Oltre all’uso del distacco in deroga e della possibile assunzione diretta da parte della rete-soggetto, si può anche verificare l’assunzione della risorsa in questione da parte di una sola impresa retista, con successivo impiego della stessa da parte delle altre imprese partecipanti alla rete[56]. In tale caso, considerata la speciale disciplina dettata con il co.4- ter cit., che ammette apertis verbis la codatorialità ex lege nella misura in cui questa assecondi quanto programmato nel contratto di rete, è impedito che dal mero dato della codatorialità possano farsi derivare conseguenze eversive rispetto al regime della responsabilità che risulta pattuito[57].

Né, d’altro canto, basta obiettare che qualora più imprenditori esercitino in concreto eterodirezione si imponga necessariamente la co-imputazione del rapporto di lavoro ex art. 2094 codice civile. Infatti, la trasformazione del rapporto di lavoro alle dipendenze del datore di lavoro sostanziale è la sanzione che da sempre l’ordinamento ricollega ai fenomeni di dissociazione ed interposizione in frode all’art. 2094 del codice civile. Nel caso di specie, invece, non ci troviamo di fronte ad una patologia della subordinazione, ma ad una sua variante ammessa ex lege.

Pertanto, il giudice deve effettuare un differente controllo che attiene alla ricorrenza dei requisiti di validità ed alla concreta effettività del contratto di rete, requisiti che generano a monte lo status eccezionale che rende ammissibile la codatorialità.

Il problema che, tuttavia, è stato sollevato da attenta dottrina[58] è se una tale deviazione rispetto allo schema tradizionale di imputazione della fattispecie di lavoro subordinato, possa o meno configurare profili di illegittimità costituzionale, dato che potrebbe finire col ridimensionare lo statuto protettivo del lavoratore contraente debole, senza neanche l’ausilio indiretto di una sua rappresentanza al tavolo di negoziazione del contratto di rete.

Secondo parte della dottrina[59], tali interrogativi, in realtà, possono essere ridimensionati considerando che nel caso del contratto di rete non sussiste alcuna deroga al principio della indisponibilità del tipo contrattuale, dato che il lavoratore retista è e resta ad ogni effetto protettivo di legge lavoratore subordinato.

Anzi, viene concesso alle imprese retiste di gestire tra loro il rispettivo dimensionamento organico ed indirettamente l’imputazione di tutele tipiche del lavoro subordinato, a condizione di restare nell’ambito della dinamica fisiologica prevista dal legislatore, cosa che rientra ancora nell’ambito di ciò che egli può disporre e delegare all’autonomia privata.

4.2. La codatorialità nel contratto di rete: strumento di protezione o di flessibilità

Il tema della derogabilità dello statuto protettivo del lavoratore retista è strettamente connesso alla questione della codatorialità.

 In linea di principio, appare chiaro che l’accordo tra le imprese retiste non può in alcun modo pregiudicare o ridimensionare i diritti dei loro dipendenti, indifferentemente discendenti dalla legge o dal contratto collettivo[60].

Il contratto di rete, infatti, non è pensato dal legislatore come strumento per introdurre la derogabilità o realizzare una ‘‘sorta di mercato del lavoro a misura di rete[61]’’. Del resto basti considerare che si oppone a qualsivoglia arretramento delle tutele, già il solo fatto che il contratto di rete è espressione dell’autonomia privata delle imprese partecipanti che lo sottoscrivono, pertanto non può vincolare in alcun modo il consenso del lavoratore, soggetto terzo ed extraneus rispetto all’atto negoziale, né può derogare alla legge o al contratto collettivo di volta in volta applicabile.

Tale conclusione, inoltre, va poi confrontata con quanto riferito in merito allo specifico effetto derogatorio legale derivante dall’applicazione dell’art. 30, co.4 ter cit., e cioè con l’impossibilità di procedere in via automatica ad una imputazione giudiziale del rapporto di lavoro in modo differente rispetto a quanto previsto dal contratto di rete. Infatti è evidente che dalla imputazione del rapporto di lavoro in capo ad un datore di lavoro al posto di un altro spesso consegue un diverso standard di protezione e tutele per il prestatore.

Si ponga in via esemplificativa un contratto di rete che preveda l’impiego condiviso di un lavoratore tra tre diverse imprese (A,B, C e l’imputazione formale del rapporto in capo ad una soltanto (impresa A), che lo assume in via esclusiva e non congiunta, ripartendo tra le altre solo gli oneri economici. Il lavoratore suddetto, stante la disciplina suesposta, potrà chiedere per intero il pagamento all’impresa A titolare del contratto, non potendo quest’ultima opporgli una diversa ripartizione pro quota dei costi derivanti dalla contrattazione di rete. La complessità, tuttavia, è dire se quel lavoratore a fronte dell’inadempimento dell’impresa A, possa, o meno, invocare anche la responsabilità solidale delle altre imprese B e C, dimostrando la sussistenza di una codatorialità sostanziale.

Secondo dottrina maggioritaria[62], nel caso in esame si dovrebbe concludere nel senso che l’art. 30 co 4-ter del d.lgs. 276/2003 non consenta di invocare, quantomeno in via automatica, la solidarietà delle imprese retiste, in quanto non avrebbe senso sanzionare non solo ciò che la legge di per sé non vieta, ma che espressamente ‘‘ammette’’.

La stessa soluzione è da preferirsi anche nell’ipotesi dell’assunzione del lavoratore da parte di una sola impresa retista, di per sé al di sotto dei limiti dimensionali per l’applicazione di una disciplina protettiva (es. verso i licenziamenti illegittimi) e del successivo impiego in codatorialità presso altre imprese retiste, i cui dipendenti, sommati tra di loro, consentirebbero il superamento della soglia dimensionale.

Ciò non accade, invece nella diversa ipotesi del passaggio del lavoratore da una società dotata dei requisiti dimensionali, ad un'altra che all’interno del gruppo ne è sprovvista. Infatti la Suprema Corte di Cassazione già nel 1993 con la sent. 11801/1993 ha chiarito che « il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società di un medesimo gruppo non comporta il venir meno della autonomia delle singole società dotate di distinta personalità giuridica e pertanto non è di per sè solo sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad un rapporto di lavoro subordinato, intercorso tra un lavoratore ed una di tali società, si estendevano alla società-madre o ad altre società dello stesso gruppo, salva peraltro la possibilità di ravvisare un unico centro d'imputazione del rapporto di lavoro - anche al fine di accertare la sussistenza o meno del requisito numerico costituente il presupposto della cosiddetta tutela reale del lavoratore licenziato (ex art. 18 e 35 della legge n. 300 del 1970) - ogni volta che vi sia una simulazione o una preordinazione in frode alla legge degli atti costitutivi delle società del gruppo mediante interposizioni fittizie e viceversa reali ma fiduciarie. (Nella specie, la decisione dei giudici di merito - confermata dalla S.C. - ha ravvisato un intento fraudolento diretto all'elusione delle norme legali disciplinanti la tutela cosiddetta reale del lavoro subordinato in un caso in cui la lavoratrice, pur continuando di fatto ad operare nell'ambito dell'organizzazione aziendale dell'originario datore di lavoro, era formalmente passata alle dipendenze di un'altra società del gruppo con meno di sedici addetti, che aveva proceduto al licenziamento)[63]».

In ogni caso è evidente che l’intera disciplina giuslavoristica del contratto di rete, ruota intorno ad un’unica fondamentale questione di fondo, ossia intendere la codatorialità come strumento di protezione del lavoratore o di flessibilità per le imprese.

Secondo parte della dottrina, è proprio in quest’ultima direzione che il legislatore ha intenso procedere con la previsione della disciplina retista, in quanto l’operazione condotta dal ‘faber’ delle leggi appare improntata in modo coerente con una linea di tendenza nota, ossia quella di accreditare il contratto tra soggetti economici privati come strumento di innovazione ed adeguamento del diritto ai mutamenti della realtà, secondo il paradigma della lex mercatoria[64]. A ciò deve aggiungersi che nel caso esame ciò avviene consentendo al contratto di rete di creare una sorta di stato di eccezione, finalizzato ad impedire eventuali ricadute giudiziali[65].

4.3 Le tutele a favore del lavoratore in regime di codatorialità

Arrivati a questo punto, è importante esaminare quali possano essere i vantaggi per il lavoratore nell’entrare in regime di codatorialità o nell’essere assunto ‘congiuntamente’ da più soggetti. Nel tentare di soddisfare tale quesito, occorre distinguere tra la fase di svolgimento e quella di conclusione del rapporto di lavoro.

Con riferimento alla prima fase, sia in ipotesi di assunzione congiunta che di codatorialità, il meccanismo della responsabilità solidale dal lato passivo offre un’adeguata tutela in vigenza del rapporto, a partire dal rispetto dell’obbligazione attinente alla retribuzione.

Nella fase patologica, in ipotesi di codatorialità, sia la risoluzione del contratto di rete che la scelta dei retisti di rinunciare all’utilizzo condiviso del lavoratore, avrebbero l’effetto di far rientrare il rapporto di lavoro entro i binari della relazione bilaterale ‘classica’ con l’originario datore di lavoro.

La plurilateralità sul piano soggettivo dell’obbligazione datoriale nell’assunzione congiunto, potrebbe, invece, comportare che la conclusione del rapporto di lavoro con uno dei datori di lavoro ‘congiunti’, anche per cause estranee a quest’ultimo, implichi la fine del rapporto con tutti (simul stabunt simul cadent) o la conservazione degli effetti utili del contratto nei riguardi delle altre parti.

In ogni caso se si vuole guardare al contratto di rete in prospettiva, esaltandone le potenzialità come strumento di ‘flexicurity’, gli effetti benefici per il lavoratore si potrebbero evidenziare nello sviluppo di nuove capacità e competenze e in una rilettura a trecentosessanta gradi del giustificato motivo di licenziamento.

Concentrandosi su quest’ultimo aspetto, è d’uopo evidenziare come la giurisprudenza, già da tempo, ha esteso la valutazione sulle ragioni alla base del licenziamento per motivi economici, oltre i confini della singola impresa, tenendo conto dell’intero gruppo o delle imprese che si siano avvalse della prestazione lavorativa del lavoratore licenziato.

Il profilo più problematico concerne, tuttavia, quello legato al corretto esercizio dell’obbligo di repêchage, da tempo al centro di un rilevante dibattito dottrinale: da un lato è vero che un eccessivo allargamento dell’ambito da considerare a tali fini potrebbe comportare una sorta di impossibilità a licenziare, dall’altro sembra che non possano essere ignorate le esigenze di bilanciamento tra l’interesse datoriale a realizzare un’organizzazione aziendale dinamica e quella del lavoratore alla conservazione del posto di lavoro.

4.4 Il distacco nella rete di imprese

Le incertezze sopra evidenziate sugli effetti della codatorialità legale, hanno reso per le imprese retiste preferibile adottare lo strumento più familiare e meno problematico del distacco. Sul distacco infra-rete, in particolare, il legislatore interviene operando un’incentivazione normativa con la chiara finalità di rassicurare le imprese coinvolte circa eventuali ‘rovesci’ giudiziali.

Il distacco viene codificato proprio nell’art. 30 co. 1 del d.lgs. 276/2003, secondo cui si configura «quando un datore di lavoro, per soddisfare un proprio interesse, pone temporaneamente uno o più lavoratori a disposizione di altro soggetto per l'esecuzione di una determinata attività lavorativa.

2. In caso di distacco il datore di lavoro rimane responsabile del trattamento economico e normativo a favore del lavoratore.

3. Il distacco che comporti un mutamento di mansioni deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato. Quando comporti un trasferimento a una unità produttiva sita a più di 50 km da quella in cui il lavoratore è adibito, il distacco può avvenire soltanto per comprovate ragioni tecniche, organizzative, produttive o sostitutive.

4. Resta ferma la disciplina prevista dall'articolo 8, comma 3, del decreto-legge 20 maggio 1993, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 luglio 1993, n. 236.

4-bis. Quando il distacco avvenga in violazione di quanto disposto dal comma 1, il lavoratore interessato può chiedere, mediante ricorso giudiziale a norma dell'articolo 414 del codice di procedura civile, notificato anche soltanto al soggetto che ne ha utilizzato la prestazione, la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze di quest'ultimo. In tale ipotesi si applica il disposto dell'articolo 27, comma 2.4-ter. Qualora il distacco di personale avvenga tra aziende che abbiano sottoscritto un contratto di rete di impresa che abbia validità ai sensi del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, l'interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell'operare della rete, fatte salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall'articolo 2103 del codice civile. Inoltre per le stesse imprese è ammessa la codatorialità dei dipendenti ingaggiati con regole stabilite attraverso il contratto di rete stesso[66]

Il distacco rappresenta, dunque, una delle modalità attraverso cui il datore di lavoro, nell’ambito del suo potere direttivo, può decidere di far svolgere la prestazione di lavoro in un luogo diverso da quello indicato nel contratto, mettendo a disposizione di un altro imprenditore uno o più lavoratori alle sue dipendenze.

Il datore di lavoro che si avvale di questo strumento prende il nome di distaccante, mentre il fruitore distaccatario ed i lavoratori distaccati. Il rapporto di lavoro subordinato continua a legare il distaccante al distaccato, in quanto il primo mantiene i poteri direttivi sul secondo, salvo quelli che devono essere necessariamente esercitati dal distaccatario presso cui viene svolta l’attività lavorativa.

Ebbene, a fronte di tale quadro normativo è noto che la giurisprudenza ammette la «dissociazione fra il soggetto che ha proceduto all’assunzione del lavoratore e l’effettivo beneficiario della prestazione» soltanto «a condizione che continui ad operare, sul piano funzionale, la causa del contratto di lavoro in corso con il distaccante». Dunque il distacco deve realizzare uno specifico interesse imprenditoriale del distaccante, interesse che diviene determinante in quanto consente «di qualificare il distacco medesimo quale atto organizzativo dell’impresa che lo dispone, così da ricondurre l’istituto entro i limiti di una mera modifica delle modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, affermando il conseguente carattere non definitivo del distacco stesso[67]».

Orbene, diversamente dalla disciplina generale sopra esposta, per le aziende che hanno sottoscritto un contratto di rete di impresa valido, il co. 4 ter cit. stabilisce che «l’interesse della parte distaccante sorge automaticamente in forza dell’operare della rete» e da ciò deriva la forte compressione della possibilità per il lavoratore distaccato di contestare in giudizio la legittimità del distacco infra-rete.

Tale espressione legislativa è certamente da ricondurre nell’alveo delle presunzioni assolute, con le evidenti conseguenze processuali, per cui non occorre dimostrare null’altro a suffragio della validità del distacco se non la validità del contratto di rete e l’operatività della stessa.

La disposizione ha poi un importante risvolto sostanziale, nel senso che viene meno tra le imprese partecipanti alla rete ogni ‘remora’ ed il distacco potrà fondarsi anche sul semplice interesse del distaccante, ovvero sul quello della sola impresa distaccataria, realizzando in questo modo una forma di somministrazione di lavoro, se non una vera e propria interposizione. La stessa Suprema Corte di Cassazione si è, sul punto, espressa a più riprese chiarendo che «Qualora il distacco del dipendente avvenga nell'ambito di un gruppo di imprese che abbiamo sottoscritto un contratto di rete di impresa (ai sensi del comma 4 ter dell'art. 3 d.l. n. 5 del 2009), l'interesse della parte distaccante sorge automaticamente, e si presume iuris et de iure, in forza dell'operare della rete, che è un contratto con cui più imprenditori, perseguendo scopi comuni in termini di innovazione e di competitività, stabiliscono rapporti di collaborazione nell'esercizio dell'impresa. Resta ferma per il lavoratore la garanzia posta dall'art. 2103 c.c…[68]»

Una parte della dottrina per rispondere alla presunzione di interesse del soggetto distaccante, ritiene di dover rivalutare il ruolo ancillare attribuito dalla giurisprudenza al requisito della temporaneità[69], compensando in tal modo il deficit di tutela per i lavoratori retisti ed evitando che il distacco infra- rete nasconda ipotesi di novazione soggettiva del contratto o trasferimento del prestatore di lavoro.[70]

Tuttavia, è evidente che la previsione del distacco infra-rete di per sé non sembra imporre un ripensamento compensativo dell’attuale orientamento giurisprudenziale. Infatti la stessa giurisprudenza già assume di avere ben presente il limite ultimo della necessità di non sconfinare nella novazione soggettiva e concepisce la temporaneità del distacco non nei termini di una ‘‘predeterminazione della durata’’ quanto di una «coincidenza della durata stessa con l’interesse del datore di lavoro allo svolgimento da parte del proprio dipendente della sua opera a favore di un terzo[71]». Per suddetti motivi, anche nel contratto di rete la temporaneità deve essere ricostruita nei termini di una dimostrabile persistenza dell’interesse delle imprese allo svolgimento delle prestazioni secondo il regime del distacco infra-rete e ciò comporta che la verifica dell’esistenza di un interesse legittimo al distacco coincide con l’accertamento della valida costituzione contrattuale della rete. In ogni caso tale accertamento deve essere pervasivo e spingersi fino a porre in dubbio l’effettiva persecuzione da parte delle imprese retiste dello «scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato, secondo obiettivi strategici e modalità concordate atte a misurare l’avanzamento di tali obiettivi».

Inoltre il giudice potrà anche verificare l’effettiva disponibilità delle imprese a collaborare sulla base del comune programma di rete, scambiandosi reciprocamente le informazioni o le prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica ovvero esercitando in comune una o più attività rientranti nell’oggetto della propria impresa.

Quindi il lavoratore che dimostri che il distacco è avvenuto per lo svolgimento di attività diverse da quelle indicate nel contratto di rete o che dimostri l’ineffettività dello stesso, potrà beneficiare della disciplina generale di cui alla prima parte dell’art.30 del d.lgs. 276/2003, con le conseguenze sanzionatorie del caso.

4.5 Le modifiche al 2103 c.c.: cosa cambia?

La disciplina del distacco infra-rete sopra esposta, ha espressamente fatto salve le norme in materia di mobilità dei lavoratori previste dall’art. 2103 del codice civile, norma cardine relativa alle mansioni del lavoratore.

L’indicazione in esame specifica, dunque, l’incapacità del contratto di rete a costituire uno strumento di deroga in peius con riguardo al profilo sensibile dei mutamenti di mansioni, stante l’operatività del principio secondo cui il mutamento di mansioni nel distacco deve avvenire con il consenso del lavoratore interessato.

Il rinvio alla norma codicistica ha riguardo alla tematica della tutela della professionalità, tenendo conto che nel distacco, pur essendo possibile una mobilità territoriale, non si configura la fattispecie del trasferimento inteso come mobilità interna o introaziendale, regolata dal 2103 del codice civile.[72]

Esplicitato il contesto normativo di riferimento, è evidente che la recente modifica all’art. 2103 cod. civ. ad opera del d.lgs. n.81/2015 determina conseguenze anche in relazione alla regolazione delle reti di imprese.

In primis bisogna stabilire la natura del rinvio contenuto nel co.4 ter del d.lgs. 276/2003 all’art. 2103 c.c. ed al riguardo si rileva che se il senso ultimo della norma di rinvio è di impedire un vulnus alle competenze professionali del lavoratore retista rispetto alla disciplina generale di protezione dettata dall’art. 2103 c.c., se ne ricava una natura dinamica di tale normativa.

Tale rinvio, pertanto si riferisce alla formulazione della norma rinviata tempo per tempo vigente, essendo incapace di cristallizzare per i soli lavoratori retisti l’applicazione della ormai abrogata ma più favorevole previgente disciplina.

Senza scendere nei meandri della normativa ex 2103 c.c., è noto che la novellata disciplina dello ius variandi cd. orizzontale non contempla più il vincolo della equivalenza professionale delle mansioni.[73]

Orbene, il datore di lavoro può oggi in modo del tutto legittimo adibire in via unilaterale il lavoratore a mansioni anche non equivalenti, purché riconducibili alla categoria legale di provenienza e contemplate nel livello contrattuale di partenza.

In ogni caso, il legislatore del 2015 non ha provveduto a modificare di tal guisa anche la disciplina del distacco ex art. 30 cit., che resta ferma nel vietare mutamenti di mansioni unilaterali.

Per tali evidenti ragioni, l’interprete ritrova una disciplina generale del distacco particolarmente rigida, a fronte di una disciplina speciale per il distacco infra-rete, molto più flessibile, in quanto aggiornata con la riforma cd. Jobs act delle mansioni.

Seguendo la lettera della norma si deduce che solo all’interno della rete sarebbe consentito al datore di lavoro retista di mutare in modo unilaterale le mansioni dei dipendenti distaccati, con l’unico persistente limite dell’equivalenza formale e dell’adempimento dell’obbligo formativo, ove necessario.

Parte della dottrina[74], tuttavia, argomenta in senso diverso, muovendo dalla considerazione della ratio originaria della disciplina speciale dettata per il distacco infra-rete. In quel contesto, infatti, il legislatore, stante una peculiare esigenza di protezione del lavoratore retista, richiamava il 2103 c.c. in funzione compensativa rispetto all’ampia apertura alla flessibilità gestionale e di organizzazione che aveva operato esclusivamente a favore delle imprese partecipanti alla rete. A fronte delle minori possibilità di controllo quanto al profilo dell’interesse del distaccante, veniva imposto il rispetto del parametro dell’equivalenza sostanziale delle mansioni.

Ebbene, ciò premesso, apparirebbe eccessivo seguire la ‘‘eterogenesi dei fini’’ della regola speciale, fino a ritenere che quest’ultima diventi peggiorativa per i soli lavoratori distaccati nella rete; pertanto la giurisprudenza tende a ricomporre la sfasatura tra distacco generale e speciale riallineando le previsioni.

La dottrina[75] offre, al riguardo, un prezioso contributo al ruolo dell’interprete che può operare secondo due direttrici contrapposte: affermando la necessità del consenso del lavoratore interessato anche per il distacco infra-rete di cui al co.4 ter cit., ovvero ritenendo necessario il consenso del lavoratore solo nelle ipotesi di distacco con mutamento di mansioni in violazione della cd. equivalenza formale.

In ogni caso è ovvio che solo l’intervento chiarificatore del legislatore potrà porre un punto fermo all’intera vicenda in materia, in quanto solo a quest’ultimo competono le scelte di fondo sul come graduare flessibilità e tutele e su cui ricadono le responsabilità di ordine politico ed economico.

5. Conclusioni

Dalla disamina in questione emerge come il legislatore nello specifico contesto delle reti di impresa detta una disciplina della cd. flessibilità gestionale del rapporto di lavoro innovativa ed incentivante.

Certamente l’aggregazione di imprese, non più su base territorialmente necessitata come per l’esperienza dei distretti, ma fondata su un criterio elettivo quale la condivisione di ‘‘programma comune di rete’’ che permetta di perseguire lo scopo di accrescere collettivamente ed individualmente la propria capacità innovativa e la competitività sul mercato, può consentire importanti sinergie ed economie di scala.

Inoltre, un contesto imprenditoriale similare potrebbe anche incentivare e migliorare il livello occupazionale[76].

E con molta probabilità, nell’ottica legislativa, la eccezionale flessibilità in deroga concessa al contratto di rete si giustifica con l’idea che la stabilità di impiego non è più relazionata esclusivamente alla tipologia contrattuale di assunzione, ma al cd. ‘‘rating comparato’’ dell’azienda datore di lavoro, in termini di innovazione, autogestione e competitività. Ecco che, in tal senso, il modello della rete di imprese è considerato dal legislatore più idoneo rispetto ad altre forme imprenditoriali.

Accanto alle prospettive positive, non mancano quelle eventualmente patologiche, se si tiene conto che i vantaggi giuslavoristici potranno in determinati casi tradursi in un incentivo alla frode.

Ciò si verificherebbe nel caso di impiego di codatorialità e distacco esclusivamente per eludere la disciplina protettiva di legge od aggirare l’applicazione di un determinato contratto collettivo: si pensi ad esempio all’impiego del contratto di rete per sanare una pregressa situazione di distacco, rispetto a cui si è persa traccia dell’interesse del distaccante.

È chiaro che sarà compito della giurisprudenza affrontare e sanzionare queste ed altre possibili anomalie, mentre all’interprete spetterà il compito di indicare quali elementi del tessuto normativo è possibile valorizzare, per consentire alle autorità amministrative e giudiziarie un controllo effettivo.

Per quanto riguarda, invece, il vincolo di scopo e la verifica della razionalità minima dell’iniziativa imprenditoriale, requisiti imprescindibili per la sussistenza della rete, deve osservarsi che saranno elementi sempre più spesso al vaglio del giudice del lavoro, il quale dovrà accertare anche la ‘‘reale capacità innovativa e di competitività sul mercato’’ delle imprese. E all’esito dell’accertamento sulla effettiva operatività del contratto di rete, dovrà far poi dipendere l’applicazione della disciplina ‘‘di favore’’ per le imprese retiste, in luogo dei tradizionali regimi di protezione di volta in volta invocati dal dipendente retista.

Evidente che in questo, come in altri casi, proprio sulla rinnovata capacità di distinzione finiranno per giocarsi, in gran parte, le possibilità di crescita ed ammodernamento del nostro Paese.

 

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[1] In Gazzetta Ufficiale, n.34 dell’11 febbraio 2009, Misure urgenti a sostegno dei settori industriali in crisi.
[2] Cfr. G. Napoli, Autonomia Negoziale e contratto di rete. Alcune considerazioni in ordine ai profili soggettivi e all’inquadramento nell’ambito dei contratti plurilaterali, in Rivista del notariato, 2016, fasc.6, pag.1091 ss.
[3] Cfr. C.M. Bianca, Diritto civile, Il contratto, Milano, 2000, p.473, il quale specifica che il tipo contrattuale può anche essere ‘‘sociale’’, quando è affermato nella pratica degli affari ma non regolato specificamente dalla legge.
[4] Cfr. C.M. Bianca, op. cit.; G.B. Ferri, Causa e tipo nella teoria del negozio giuridico, Milano 1966, p.249 ss.
[5] Cfr. G. Napoli, op. cit.
[6] Cfr. S. Delle Monache, F. Mariotti, Il contratto di rete, in V. Roppo, Trattato dei contratti, III, 1, Milano, 2014, p.1235 ss.
[7] Cfr. G. Palmieri, La nullità delle società per azioni, in G.E. Colombo, G.B. Portale, Trattato delle s.p.a., I, Torino, 2004, p.452 ss.
[8] G. Napoli, op. cit., p. 1095.
[9] Cfr. A. Belvedere, Contratto plurilaterale, in Digesto delle discipline privatistiche, sezione civile, IV, Torino, 1989, p.274.
[10] Al riguardo si distingue nella variegata casistica tra redi di c.d. ‘‘attività’’, volte all’esercizio in comune di attività mirate al raggiungimento degli obiettivi imprenditoriali di ciascun partecipante e redi c.d. ‘‘burocratiche’’, volte allo scambio di informazioni o di prestazioni o alla mera collaborazione. Cfr. sul punto M. Bianca, Il regime patrimoniale della rete, in Il contratto di rete, p. 60ss.
[11]La somiglianza è ancor più marcata se si fa riferimento ad alcune norme di disciplina del rapporto di rete contrattualizzato: ad esempio si può richiamare la prescrizione secondo la quale i soggetti che partecipano alla rete devono indicare i criteri adottati per la valutazione dei beni conferiti nel fondo comune.
[12] Cfr. F. Cafaggi, Introduzione, in F. Cafaggi, Il contratto di rete. Commentario, Bologna, 2009, p.9 ss.
[13] L’articolo in esame è rubricato Autonomia negoziale: ‘‘Le parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto nei limiti imposti dalla legge [e dalle norme corporative] [art. 41 Cost.; art. 5 preleggi; art. 1321 c.c.] (1).
Le parti possono anche concludere contratti che non appartengano ai tipi aventi una disciplina particolare [art. 1323 c.c.], purché siano diretti a realizzare interessi [art. 1411 c.c.] meritevoli di tutela secondo l'ordinamento giuridico [artt. 1343, 2035 c.c.].’’
[14] Cfr. M. Bianca, Alcune riflessioni sul concetto di meritevolezza degli interessi, in Riv. Dir. Civ., 2011, 1, p.789 ss.
[15] Si veda M. Angelone, Sul contenuto minimo essenziale del contratto di rete, in F. Briolini, L. Carota, M. Gambini, Il contratto di rete. Un nuovo strumento di sviluppo per le imprese, cit. p. 145 ss.
[16] È evidente che più ci si allontana dallo schema previsto dal d.l. n.5/2009, meno è possibile ottenere le conseguenze in termini effettuali previste da tale normativa.
[17] Cfr. S. Delle Monache, F. Mariotti, op. cit., p. 1239.
[18] Cfr. S. Rossi, Profili soggettivi del contratto di rete e modalità di adesione di nuovi partecipanti, in F. Briolini, L.Carota, M.Gambini, Il contratto di rete. Un nuovo strumento di sviluppo per le imprese, pag. 108.
[19] G. Villa, Il coordinamento interimprenditoriale nella prospettiva del contratto plurilaterale, in P. Iamiceli, Le reti di impresa e i contratti di rete, p.103 ss.
[20] Le più recenti pronunce della Giurisprudenza di legittimità in tema di definizione della causa del contratto hanno evidenziato un progressivo abbandono della  tradizionale “teorica della funzione economico sociale del contratto” verso una interpretazione maggiormente soggettiva della causa, intesa come “funzione economico individuale” del negozio, con rilevanti riflessi anche sul piano pratico, per esempio nell’ammettere la validità del cosiddetto “contratto preliminare di preliminare”. Per tutte Cass. Sez. Un. 4628/2015.
[21] Cfr. G. Napoli, op. cit., pag. 1102.
[22] Cfr. M. Angelone, Sul contenuto minimo essenziale del contratto di rete, in F. Briolini, L. Carota, M. Gambini, Il contratto di rete. Un nuovo strumento di sviluppo per le imprese. p. 141.
[23] Cfr. A. Gentili «Una prospettiva analitica su reti di imprese e contratti di rete», in Obbl. contr., 2010, p. 50 ss.
[24] Cfr. F. Galgano, Il negozio giuridico, in A. Cicu, F. Messineo, Trattato di diritto civile e commerciale, III, 1, Milano, 1998, p.178 ss.
[25] Cfr. G. Napoli, op. cit.
[26] Si veda G. Napoli, op. cit. p.1107 e F. Valenza, Attività negoziale e rapporto giuridico plurilaterale senza comunione di scopo, Torino, 2005, p.252
[27] Cfr. S. Rossi, Profili soggettivi del contratto di rete e modalità di adesione di nuovi partecipanti, in F. Briolini, l. Carota, M.Gambini, Il contratto di rete. Un nuovo strumento di sviluppo per le imprese, p.125 ss.
[28] Cfr. T. Ascarelli,  Il contratto plurilaterale, in Saggi giuridici, Milano, 1949.
[29] Secondo l’accezione di comunione di scopo, quale mero vantaggio, seguita da A. Belvedere, La categoria contrattuale di cui agli artt. 1420, 1446, 1459, 1466 c.c., in Rivista trimestrale di diritto civile, 1971, p.660 ss.
[30] Cfr. sul tema, C.M. Bianca, Il contratto, op. cit., p. 467
[31] Cfr. A. Di Sapio, I contratti di rete tra imprese. Casi e problemi di interesse notarile-documenti- attualità, in Riv. Del notariato. LXV, pag. 204
[32] Cfr. d.l. 10-2-2009 n.5 in Leggi d’Italia
[33] Cfr. A. Di Sapio, op. cit., pag. 210.
[34] Cfr. A. Di Sapio, op. cit., pag. 212.
[35] Cfr.V. Maio, Contratto di rete e rapporto di lavoro: responsabilità disgiunta, derogabilità dello statuto protettivo e frode alla legge, in V. Maio, M.Sepe,  Profili giuridici ed economici della contrattazione di rete, 2017
[36] Cfr. Cass. Sez. Un., 26 ottobre 2006, n.22910, su cui M.T.Carinci, L’unicità del datore di lavoro- quale parte del contratto di lavoro, creditore della prestazione e titolare di tutte le posizioni di diritto, potere, obbligo ad esso connesse- è regola generale nell’ordinamento giuslavoristico, in Arg. Arg. Dir. Lav., 2007, pag 1019 ss.
[37] Con la parola fordismo si indica una peculiare forma di produzione basata principalmente sull'utilizzo della tecnologia della catena di montaggio (assembly-line) al fine di incrementare la produttività. Il significato è variabile nei diversi Paesi. Spesso connotato negativamente, il concetto fu teorizzato da Antonio Gramsci e dal socialista Henri de Man. Il termine fu coniato attorno agli anni trenta per descrivere il successo ottenuto nell'industria automobilistica a partire dal 1913 dall'industriale statunitense Henry Ford (1863 - 1947); ispiratosi alle teorie proposte dal connazionale Frederick Taylor (1856 - 1915), ebbe poi un considerevole seguito nel settore dell'industria manifatturiera, tanto da rivoluzionare notevolmente l'organizzazione della produzione a livello globale e diventare uno dei pilastri fondamentali dell'economia del XX secolo, con notevoli influenze sulla società. Con l'aggettivo fordista si usa indicare un regime di produzione ispirato al paradigma adottato da Ford, o una sua stretta evoluzione.
[38] Cfr. J.Prassl, The notion of the employer, in The law quarterly review, 129, 2013, pag. 380 ss.; A. Perulli, Gruppi di imprese, reti di imprese e codatorialità: una prospettiva comparata, in Riv.Giur.dir.Lav., 2013, pag. 83 ss.
[39] Cfr. V. Maio, op. cit., pag.2
[40] Cfr. d.lgs. 276/2003 in Leggi D’Italia
[41] Si veda supra
[42] Sono sorte tutta una serie di questioni meritevoli di approfondimento dottrinario e giurisprudenziale quali: il tema della disciplina delle influenze e dei poteri all’interno della rete e delle conseguenti ricadute sul rapporto di lavoro; le conseguenze sul contratto di lavoro in caso di recesso di una impresa dalla rete o per effetto della ridefinizione degli accordi ordinari; la riferibilità della ricordata normativa alle sole reti di fatto, atteso che distacco e codatorialità sembrerebbero presupporre l’esistenza di soggetti distinti; il significato da attribuire all’ ‘‘operare della rete’’ che fa sorgere in automatico l’interesse organizzativo del distaccante, legittimando il distacco dal titolare formale del contratto di lavoro e così via.
[43] Si pensi a G. ZilioGrandi M. Biasi, Contratto di rete e diritto del lavoro, Padova, 2014; I. Alvino, Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici, Milano, 2014, M.T. Carinci, Dall’impresa a rete alle reti di impresa. Scelte organizzative e diritto del lavoro, Milano,2015.
[44] In relazione all’affermazione della ‘‘teoria della cd. codatorialità’’ come strumento per superare l’imputazione formale dei rapporti di lavoro, si veda V. Pinto, Profili critici della codatorialità nel rapporto di lavoro, in Riv.giur. dir. Lav., 2013, I, pag 56 e 63.
[45] Cfr. A.Tursi, Il contratto di rete. I profili giuslavoristici., in T. TREU, Contratto di rete - Trasformazioni del lavoro e reti di imprese, Wolters Kluwer, 2015, pag 116.
[46] Vedi supra.
[47] Il riferimento è a Cass. civ. 8068/2016
[48] Cfr. A. Perulli, Contratto di rete, distacco, codatorialità, assunzioni in agricoltura, Il nuovo diritto del lavoro, vol. IV, La riforma del mercato del lavoro, Giappichelli, 2014, pag. 463 ss. 
[49] Cfr. O. Razzolini, Le reti Gucci ed Esaote: un’ analisi di diritto del lavoro, in Giorn. Dir. Lav. Rel. Ind., 2016, pag 115.
[50] Cfr. V. Maio, op. cit. pag. 3; Diversamente M. Peruzzi, La codatorialità nel contratto di rete: un’ipotesi definitoria, in http://www.diprist.unimi.it/Reti_impresa/papers/11.pdf
[51] V. Maio, op. cit.
[52] Cfr. S.Ciucciovino, Il rapporto di lavoro nel mercato: la frattura del rapporto binario lavoratore/datore di lavoro, in R. Romei, L. Corazza, Diritto del lavoro in trasformazione, Bologna, 2014, pag.166 ss.
[53] Cfr. sul punto v. I. Alvino, Il lavoro nelle reti di imprese: profili giuridici, spec. Pag. 156, ivi con richiami alle elaborazioni di M. Persiani e F. Liso.
[54] Cfr. V.Maio, op. cit. pag. 5.
[55] Cfr. A. Tursi, Il contratto di rete. I profili giuslavoristici, in T. Treu, Contratto di rete. Trasformazione del lavoro e reti di imprese, 2015.
[56] Con tali modalità le potenzialità dell’istituto in termini di flessibilità vengono di gran lunga potenziate, consentendosi alla rete un importante vantaggio rispetto all’impiego di modalità alternative, molto più farraginose e ad elevato rischio contenzioso. Sul punto si veda Cass. 21 maggio 1998, n.5102.
[57] Fa eccezione il regime delle responsabilità conseguenti al d.lgs. n. 81/2008.
[58] Si veda O. Razzolini, Contitolarità del rapporto di lavoro nei gruppi di imprese di dimensione transnazionale, in Giust.civile.com, 2014.
[59] Cfr. V. Maio, op. cit. pag. 6.
[60] Cfr. L. Zoppoli, Metamorfosi soggettive e riflessi sul sistema delle fonti del diritto del lavoro: la codatorialità, in M.T. Carinci, Dall’impresa a rete alle reti di impresa, 2014, Milano.
[61] T. Treu, Introduzione, op. cit.
[62] V. Maio, op. cit.
[63] Cass. civ. sez. lav. 11801/1993
[64] Riferimento a F. Galgano, Lex mercatoria, Bologna, 2015, pag. 239 ss.
[65] Stato di eccezione da intendersi nell’accezione valorizzata da G. Agamben, Stato di eccezione, Torino, 2003.
[66] Art.30 d.lgs. 276/2003 in Leggi D’Italia e http://www.bosettiegatti.eu/info/norme/statali/2003_0276.htm
[67] Tra le tante: Cass. civ. sez. lav.1168/2015; 13673/2015
[68] Cass. civ. sez. lav. 1168/2015
[69] Cass. civ. 23933/2010 per la spiegazione del concetto di temporaneità.
[70] M. G. Greco, Distacco e codatorialità nelle reti di impresa, Arg. Dir, lav., 2014, 381 ss.
[71] Così Cass. civ. n.23933/2010
[72] M. Brollo, La mobilità interna del lavoratore, Milano, 1997.
[73] Cfr. E. Gragnoli, L’ oggetto del contratto di lavoro privato e l’equivalenza delle mansioni, in Variaz. Su temi dir. Lav., 2016, 3 ss.
[74] Cfr. V. Maio, op. cit.
[75] Vedi supra.
[76] Cfr. T. Treu, Introduzione, op. cit.