Pubbl. Sab, 3 Mar 2018
Omessa comunicazione all´INPS del decesso del genitore percettore di pensione: non è truffa aggravata
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Taccola Ilaria
Commento alla recente sentenza della Corte di Cassazione sez. II, 13 dicembre 2017 n. 55525.
Sommario: 1. Normativa di riferimento; 2. Il caso.
1. Normativa di riferimento
La fattispecie incriminatrice di cui all’art. 316 ter c.p. punisce l’indebita percezione di erogazioni pubbliche conseguite mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute. La norma in esame è disciplinata nel Libro II, titolo II in materia di delitti contro la pubblica amministrazione.
Trattasi di un reato a forma vincolata realizzabile sia in forma commissiva che omissiva il cui elemento soggettivo è costituito dal dolo generico.
Il bene interesse protetto dalla norma è rappresentato dalla corretta gestione delle risorse pubbliche destinate ai fini di incentivazione economica.
In merito alla forma di manifestazione commissiva si deve precisare che quest’ultima si concretizza nell’utilizzo o nella presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere.
In particolare, l’utilizzo di dichiarazioni mendaci o di documenti falsi può risultare idoneo a integrare gli artifizi e i raggiri richiesti dalla fattispecie di truffa ex art. 640 c.p. e pertanto a provocare l’induzione in errore dei pubblici funzionari.
Si ritiene, infatti, per orientamento consolidato[1] che l’elemento distintivo tra la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p. e la truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche ex art. 640 bis c.p. sia l’induzione in errore, mancante nel primo caso e viceversa presente nel secondo.
Si deve precisare che per costante orientamento giurisprudenziale, la mera presentazione di dichiarazioni o documenti falsi integrerebbe gli estremi degli artifici e i raggiri richiesti dalla fattispecie di truffa ex art. 640 c.p., riducendo di conseguenza l’ambito di applicabilità dell’art. 316 ter c.p. al silenzio antidoveroso o a condotte che non inducano in errore la persona offesa.
Invero, si tratta di un’interpretazione estensiva del concetto di artifizi e dei raggiri, non confacente al modello strutturale della truffa. Infatti, gli artifici e i raggiri devono essere idonei in concreto a provocare l’evento, ossia l’induzione in errore della vittima e di conseguenza l’atto di disposizione patrimoniale. Nella prassi, si sta prescindendo dalla prova dell’idoneità degli artifizi e dei raggiri a cagionare l’evento richiesto dalla fattispecie, ossia l’errore della persona offesa e il conseguente atto di disposizione patrimoniale.
Inoltre, si deve aggiungere che in generale, nell’ambito del procedimento di erogazione delle pubbliche sovvenzioni, si prevede che il riconoscimento del contributo richiesto sia fondato sulla base del soggetto interessato, rimandando a una fase successiva le opportune verifiche. Pertanto, in tali casi l’erogazione non dipende da una falsa rappresentazione dei suoi presupposti da parte dell’erogatore e dunque si ritiene applicabile la norma di cui all'art. 316 ter c.p..
Al contrario, nel caso in cui venga in rilievo un’attività di tipo valutativo e non meramente ricognitiva dei presupposti legittimanti l’erogazione del contributo, l’utilizzo di documenti falsi integra la fattispecie di cui all’art. 640 bis c.p. e non quella più lieve prevista dall’art. 316 ter c.p.
Una parte della dottrina ritiene, infatti, che la norma avrebbe avuto maggiore spazio applicativo se fosse stata strutturata in maniera tale da anticipare la soglia di punibilità prima dell’effettivo conseguimento della sovvenzione pubblica, utilizzando quini, lo schema del reato di pericolo.[2]
Per quanto concerne la condotta omissiva, si deve rilevare che la mancata comunicazione di informazioni dovute integra gli estremi della fattispecie incriminatrice in esame, nel caso sia violato un preesistente obbligo giuridico di informazione, previsto dalla normativa in merito alle erogazioni pubbliche.
2. Il caso
G.F. proponeva ricorso per Cassazione avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma conformante la decisione del Tribunale di Rieti che l’aveva dichiarato colpevole del delitto di truffa aggravata ai danni dell’Inpdap ex art. 640, comma 2 n. 1 c.p., condannandolo alla pena di mesi cinque, giorni dieci di reclusione ed euro 600,00 di multa.
Il ricorrente deduceva la falsa violazione di legge e il vizio di motivazione in merito alla ritenuta sussistenza del delitto di truffa aggravata in luogo della fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p. Sostenendo, infatti, che la condotta tenuta dall'imputato si era concretizzata unicamente nell’omessa comunicazione all’Inpdap del decesso del genitore, e che quindi, tale omissione non era idonea a integrare gli estremi degli artifizi e ei raggiri richiesti dall’art. 640 c.p.
La Corte di legittimità[3], avvalorando le precedenti interpretazioni[4], ha ritenuto che l’omessa dichiarazione del decesso del parente all’Ente previdenziale, da parte del cointestatario del medesimo conto corrente sui cui confluivano i ratei pensionistici e la conseguente indebita percezione di quest’ultimi, integra la fattispecie meno grave di cui all’art. 316 ter c.p., mancando, infatti, in quest’ultima gli artifizi e i raggiri e di conseguenza l’induzione in errore.
La Corte ha altresì precisato in merito al rapporto tra le fattispecie di cui agli artt. 316 ter e le fattispecie di cui agli artt. 640 bis e 640 comma 2 n. 1 c.p., ritenendo che sussista tra loro un rapporto di sussidiarietà e non di specialità.
Difatti, la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p. prevede una clausola di sussidiarietà espressa a favore dell’art. 640 bis c.p. “Salvo che il fatto costituisca il reato previsto dall’art. 640 bis c.p.” Trattasi, infatti, di concorso apparente di norme, ovvero sia, quando prima facie più disposizioni incriminatrici appaiono applicabili alla medesima condotta. Pertanto, in base al criterio di sussidiarietà la norma principale esclude l’applicabilità della norma sussidiaria. Si definisce, infatti, norma sussidiaria la fattispecie che tutela un grado inferiore dell’identico bene protetto dalla norma principale.
Invero, l’art. 316 ter c.p. è una fattispecie residuale rispetto alle fattispecie di truffa aggravata ex artt. 640 bis e 640 comma 2 c.p., mancando, come si è precisato, gli artifizi e i raggiri finalizzati all’induzione in errore.
Viceversa, nel caso del soggetto che in qualità di delegato alla riscossione della pensione dall’avente diritto, si sottoponeva abitualmente alla verifica e dichiarava falsamente l’esistenza in vita del parente all’INPS, percependo di conseguenza la pensione del deceduto, la Corte di Cassazione[5] ha ritenuto sussistente la fattispecie di truffa aggravata. Nella vicenda in esame la Corte di legittimità ha ritenuto, in conformità a precedenti statuizioni, sussistente l’induzione in errore dell’Ente previdenziale, cagionata dalla condotta fraudolenta del soggetto, incidente dunque sull’attività valutativa del suddetto ente.
In altri termini, secondo un consolidato orientamento[6], si riconosce sussistente l’induzione in errore e di conseguenza il delitto di truffa aggravata nel caso in cui la condotta fraudolenta dell’agente incida sull’attività di verifica e di valutazione dell’Ente in merito ai presupposti delle erogazioni. Al contrario si ritiene sussistente la fattispecie di cui all’art. 316 ter c.p. nel caso in cui l’attività dell’ente sia meramente ricognitiva dei presupposti, ossia si limiti a prendere atto dei documenti presentati dal richiedente, rimandando a un momento successivo la verifica dei requisiti richiesti ai fini dell’erogazione.
Nel caso in esame, infatti, il soggetto aveva dichiarato falsamente l’esistenza in vita del parente all’INPS, e tale dichiarazione incide sull’attività accertativa e di controllo del suddetto Ente, al quale vengono comunicati periodicamente i decessi. Pertanto, la falsificazione di tale certificazione è idonea ad integrare l’attività fraudolenta tipica della truffa in quanto involge i presupposti dell’erogazione che sono sottoposti ad attività accertativa e non meramente ricognitiva, esulando dall’area delle mere 'prese d’atto' che viceversa integrano la più lieve fattispecie prevista dall’art. 316 ter c.p.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Sez. U, 19 aprile 2007 n. 16568
[2] Fiandaca – Musco Diritto penale parte speciale, volume I ed. 2012
[3] Cass. sez. II 13 dicembre 2017 n. 55525
[4] Cass. Sez. 2, 23 ottobre 2013 n. 48820, Cass. Sez. 2, 12 aprile 2016 n. 23163
[5] Cass. sez. II 4 settembre 2017 n. 40260
[6] Vedi nota n. 1