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Pubbl. Mer, 28 Feb 2018

Il nuovo reato di omicidio stradale: questioni applicative

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Luigi Rubino


La nuova fattispecie introdotta dal legislatore dà la stura ad una serie di riflessioni in merito al rapporto con gli autonomi reati del Codice della Strada, delineando la prevalenza della prima sulla scorta di una complessiva disamina dei criteri che regolano il conflitto tra norme, nonché alle inevitabili questioni intertemporali.


La “vexata quaestio” relativa al criterio di imputazione soggettiva nelle ipotesi di omicidio a seguito di incidenti stradali sembra aver finalmente trovato risoluzione grazie all’introduzione dell’art. 589bis c.p.

La fattispecie mira ad offrire all’interprete un parametro normativo certo per l’incriminazione di tutte quelle condotte che, in passato, transitavano con facilità dalla colpa (cosciente) al dolo (eventuale) senza, però, trovare un’uniformità di pensiero in seno a dottrina e giurisprudenza.

L’art. 589bis c.p. delinea tuttavia un reato discusso con riguardo alla sua struttura, stante la possibile interferenza con i reati previsti nell’ambito della circolazione stradale (Codice della Strada).

La tecnica di tipizzazione legislativa appare orientata alla eteronormazione, atteso che la condotta penalmente rilevante non è immediatamente desumibile dalla lettura della disposizione; invero, il riferimento alle norme sulla circolazione stradale pare introdurre nella fattispecie regole derivanti da altri sistemi di regole, con la conseguenza che l’art. 589bis si dimostra pregno di elementi normativi.

Trattasi di reato di evento a forma libero.

L’evento è costituito dalla morte della persona, la quale tuttavia può essere cagionata mediante le più svariate modalità – sia pur sempre riferibili alla violazione di norme sulla circolazione stradale – senza che sia necessario positivizzare tutte le possibili condotte causalmente lesive.

In questo senso utile è il parallelismo con l’art. 575 c.p. che, in tema di omicidio volontario, contiene esattamente il predicato verbale “cagiona”, senza alcuna altra specificazione di sorta sulle condotte lesive.

La vera innovazione può rintracciarsi nell’introduzione dell’inciso “per colpa”, sintomo evidente di una scelta ben precisa e volta a fugare ogni perplessità riguardante il “quid” soggettivo del reo. Prima che tale norma fosse introdotta, dottrina e giurisprudenza hanno a lungo dibattuto sul criterio di imputazione soggettivo che dovesse animare tutti gli omicidi avvenuti a seguito di incidenti stradali.

Ed infatti, se l’opinione prevalente si è mostrata più favorevole all’imputato prospettando un’imputazione colposa aggravata dalla previsione dell’evento, un orientamento – sia pure meno cospicuo – ha invece sostenuto che vi fossero gli estremi del dolo eventuale.

A sostegno di quest’ultima impostazione sono stati valorizzati alcuni indici sintomatici della sussistenza del dolo, tra i quali si annoverano le modalità della condotta ed il comportamento tenuto soprattutto prima che il reo si ponga alla guida del veicolo. Secondo l’orientamento più recente in materia, l’agente risponde di dolo eventuale tutte le volte in cui egli agisce “costi quel che costi”, accettando dunque il rischio di verificazione dell’evento lesivo. Siffatta teoria è stata successivamente corroborata dalla c.d. Formula di Frank, in virtù della quale il non facile accertamento del dolo può ricavarsi attraverso un giudizio controfattuale ed ipotetico e tutte le volte che il reo – pur nella consapevolezza della certa verificazione dell’evento – avrebbe ugualmente agito.

La dottrina e la giurisprudenza maggioritarie hanno invece sposato una linea di imputazione meno marcata, ritenendo sussistente, in quei casi di particolari incidenti stradali – la colpa c.d. cosciente.

Trattasi di una circostanza aggravante prevista dall’art. 61, punto terzo del codice penale, applicabile ogni qualvolta il soggetto si rappresenti le possibilità di verificazione del risultato illecito confidando, al tempo stesso, nella certezza che esso non si verificherà.

Tale contrasto si è registrato soprattutto a fronte di incidenti stradali causati dall’abuso di sostanze stupefacenti o alcool prima di mettersi alla guida, momento nel quale deve essere notoriamente valutata la condotta e il fine perseguito dall’agente (c.d. actio libera in causa).

Al fine di scongiurare le annose problematiche succitate, il legislatore si è finalmente deciso ad introdurre nel codice penale l’apposito reato di “omicidio stradale” ex art. 589bis.

Inequivocabile appare il disposto normativo allorché la norma attribuisce il fatto all’agente “per colpa”, elidendo definitivamente ogni incertezza circa la configurabilità del dolo eventuale. Ciò significa che attualmente gli omicidi causati dalla violazione di norme sulla circolazione stradale non potranno che essere imputati a titolo di negligenza, imprudenza, imperizia (c.d. colpa generica) o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline (c.d. colpa specifica), al più residuando uno spazio per l’applicazione dell’aggravante dell’aver agito nonostante la previsione dell’evento.

Una prima questione applicativa attiene al rapporto intercorrente tra l’omicidio stradale aggravato dall’aver fatto uso di alcool o sostanze stupefacenti e gli specifici reati di “guida in stato di ebbrezza” e “guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti o psicotrope” di cui agli artt. 186 e 187 del Codice della Strada.

Una risposta, di certo non agevole, non può prescindere da una attenta disamina dei criteri che tracciano la linea di confine tra concorso di reati e concorso apparente di norme, nonostante le ritrosie manifestate dalla giurisprudenza in ordine all’ammissibilità di alcuni di essi, quali la consunzione e l’assorbimento.

Il primo e, secondo una prima impostazione, unico principio idoneo a regolare i conflitti tra norme è contenuto nell’art. 15 c.p., il quale, sancendo esplicitamente il principio di specialità, stabilisce che la legge o la disposizione di legge speciale prevale su quella generale. L’orientamento giurisprudenziale maggioritario, così come anche la dottrina, ritiene che il raffronto tra fattispecie incriminatrici debba essere effettuato in astratto, mediante una loro comparazione strutturale dalla quale possa evincersi la presenza di elementi specializzanti – per specificazione o per aggiunta – nella disposizione “speciale”.

Le criticità talvolta riscontrate nell’utilizzo dell’art. 15 c.p., evidenti soprattutto in presenza di reciproci elementi di specialità da parte di due fattispecie (specialità c.d. reciproca o bilaterale), ha indotto un’altra parte della giurisprudenza a ricercare criteri basati su un giudizio di valore tra norme incriminatrici, quali la sussidiarietà, la consunzione e l’assorbimento.

Il primo di questi, seppur non esplicitamente codificato, si rinviene nelle c.d. clausole di riserva disseminate in svariate disposizioni di parte speciale del codice penale, allorché il legislatore utilizzi espressione come “salvo che il fatto costituisca più grave reato” et similia; ciò significa che le disposizioni interessate sono poste a presidio dei medesimi beni giuridici, ma li salvaguardano in relazione ad un diverso stadio di lesione. Ecco perché, in virtù della sussidiarietà, non potrà mai farsi luogo ad un concorso di reati ma troverà applicazione la norma che prevede un trattamento sanzionatorio più elevato, in quanto espressione di un maggior disvalore della condotta tipizzata.

Consunzione e assorbimento invece riguardano quelle tipiche situazioni nelle quali rispettivamente la commissione di un fatto assorbe, per la sua gravità, un secondo comportamento oppure la realizzazione di un reato postula la necessaria la commissione di altri fatti, che finiscono tuttavia per essere ricondotti nel primo.

Senza dilungarsi in merito all’ammissibilità di questi ultimi due principi, da molti – e finanche dalle Sezioni Unite nel 2005 con la sentenza n. 47164 – ritenuti in palese contrasto con i principi di legalità e di tassatività della norma penale, non può dubitarsi del fatto che la disposizione di nuovo conio preveda un trattamento sanzionatorio più elevato rispetto alle singole contravvenzioni previste dal Codice della Strada, con la conseguenza che difficilmente potrà ammettersi il concorso di reati per condotte esattamente identiche ma diversificate semplicemente sul piano della loro qualificazione (delitto quello codicistico, contravvenzioni gli altri due) e, conseguentemente, della pena.

A tale risultato può pervenirsi sia attraverso il ricorso al principio di specialità che a quello di sussidiarietà. Non sfugge infatti all’interprete che le fattispecie in oggetto, se poste a raffronto, potrebbero rivelare un rapporto di genere a specie; rapporto nel quale la disposizione recentemente introdotta si caratterizza per la presenza dell’elemento aggiuntivo della “morte” dell’offeso rispetto alle fattispecie contravvenzionali ex artt. 186 – 187 C.d.S.. Pur restando dunque identiche nella struttura materiale del fatto descritto, l’art. 589bis è considerato speciale per via di un elemento mancante nelle norme del Codice della Strada, poste peraltro a presidio di beni giuridici diversi e non coincidenti rispetto alla norma di nuovo conio.

Ad analogo risultato tuttavia può giungersi prendendo in considerazione il principio di sussidiarietà, limitatamente però al rapporto tra omicidio stradale e guida in stato di ebbrezza di cui all’art. 186 del d.Lgs. 285/1992. La presenza della esplicita clausola di riserva “ove il fatto non costituisca più grave reato” contenuta nel secondo comma appare orientata a fare salva l’applicazione del delitto di omicidio stradale tutte le volte in cui la morte della vittima avvenga per effetto di assunzione di sostanze alcooliche. Ove si accedesse a tale ricostruzione ermeneutica, si dovrebbe necessariamente sostenere la tesi dell’identità di beni giuridici presidiati da tali disposizioni, seppur in differenti stadi di lesione.

A parere di chi scrive appare preferibile escludere il concorso di reati rifacendosi alla disciplina del reato complesso, più specificamente del reato complesso “circostanziato”.

Com’è noto, si definisce reato complesso quell’istituto mediante il quale il legislatore crea fattispecie penali derivanti dalla combinazione di due reati autonomi (il tipico esempio è costituito dalla rapina, derivante dalla commistione di furto e violenza privata) o dalla degradazione di un reato a mera circostanza aggravante della fattispecie di nuova emersione.

Orbene, il nuovo art. 589bis sembra incarnare perfettamente il modello del reato complesso circostanziato, nel quale la voluntas del legislatore giunge al punto di considerare i singoli reati contravvenzionali del codice della strada come circostanza aggravante dell’omicidio stradale. Trattasi di una scelta di discrezionalità legislativa che produce, quale effetto conseguenziale ed immediato, l’implicita abrogazione degli artt. 186 – 187 C.d.S. destinati – come detto – a non rivestire più alcuna autonoma funzione nell’ordinamento giuridico.

Un cenno va fatto infine in relazione agli aspetti intertemporali della disciplina applicabile.

Il diritto penale, infatti, contempla tra i suoi principi fondamentali quello di irretroattività della norma (art. 2, comma primo, c.p.), ispirato ad evidenti finalità di garanzia del cittadino, il quale non può mai essere punito per effetto di una legge entrata in vigore dopo la commissione del fatto. Sebbene prima del 2016 i fatti in questione fossero ricondotti nell’alveo del delitto di omicidio colposo, va oggi senz’altro esclusa l’applicazione della novella legislativa in conseguenza della portata peggiorativa in punto di trattamento sanzionatorio.

Emerge chiaramente, dal raffronto delle disposizioni, un inasprimento della pena dell’omicidio stradale, reato dunque operante solo per i fatti di nuova incriminazione e non anche a quelli precedentemente commessi.

La pena edittale, infatti, è più severa sia nel minimo che nel massimo, pertanto nessun effetto migliorativo è stato apportato dalla disposizione di nuovo conio, che costituirà il parametro normativo di riferimento per tutti i fatti posti in essere immediatamente dopo il giorno del suo formale ingresso nell’ordinamento giuridico.