• . - Liv.
ISCRIVITI (leggi qui)
Pubbl. Gio, 12 Feb 2015

L´ONU e la repressione del terrorismo a tutela delle future generazioni.

Modifica pagina

Anna Zeviani


Un quadro generale dei principi internazionalmente riconosciuti per la lotta al terrorismo. Quali competenze ha l´ONU in merito e come persegue il fine di tutelare le generazioni cresciute in aree di conflitto armato?


Le immagini che provengono dai telegiornali negli ultimi mesi e le notizie che leggiamo in prima pagina disturbano le nostre coscienze come api di un rumoroso ed incessante sciame. Ci pungono e ammutoliscono con giornalisti, piloti, volontari che scompaiono per settimane, salvo riapparire prima o dopo come protagonisti di filmati nei quali viene loro tagliata la gola od in cui muoiono bruciati vivi. A compiere questi atti di barbarie sono i miliziani dell’ISIS. Cos’è l’ISIS, “Stato Islamico della Siria e dell’Iraq” (o ISIL, cioè “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante”)? È un’organizzazione terroristica insediatasi dal 2013 in Siria e Iraq, proclamando nei territori occupati la nascita di un califfato che si oppone al governo siriano.

La definizione giuridica di terrorismo internazionale la troviamo all’art. 2 della Convenzione ONU del 1999 (“Convenzione per la repressione dei finanziamenti al terrorismo”): "(...) qualsiasi atto diretto a causare la morte o gravi lesioni fisiche ad un civile, o a qualsiasi altra persona che non ha parte attiva in situazioni di conflitto armato, quando la finalità di tale atto è di intimidire una popolazione, o obbligare un governo o un’organizzazione internazionale a compiere o ad astenersi dal compiere qualcosa”. In base a tale dicitura non abbiamo difficoltà noi, quanto le Nazioni Unite, ad annoverare l’attività dell’ISIS tra le manifestazioni del terrorismo.

L’ONU (Organizzazione delle Nazioni Unite per l’appunto) svolge un ruolo fondamentale nella repressione di atti di questo tipo. Essa viene istituita con la Carta delle Nazioni Unite del 1945; all’articolo 1 di questa convenzione, tra le sue finalità principali, troviamo indicate: "(...) mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione (...)”. In base all’articolo 24 dello stesso documento, l’organo dell’organizzazione al quale viene conferita la responsabilità principale del mantenimento della pace è il Consiglio di Sicurezza: esso è composto da quindici stati membri, dei quali cinque permanenti (Cina, Francia, Russia, Regno Unito e Stati Uniti d’America) e dieci non permanenti ed eletti ogni due anni. Gli stati parti dell’ONU si impegnano nel mettere a sua disposizione le forze armate, l’assistenza o le facilitazioni necessarie a concretizzare eventuali missioni di peacekeeping inviate nei luoghi di conflitto armato. Il contingente militare di uno stato utilizzato all’interno di tali operazioni per ripristinare la pace ove non vi sia, diventa un organo temporaneo dell’ONU, dalla quale riceverà ordini ed istruzioni necessarie. Questo legame organico comporta la responsabilità internazionale di eventuali illeciti contestuali alle missioni, in capo all’organizzazione e non allo stato che ha prestato i militari (salve le responsabilità personali degli esecutori materiali). 

Di qualche giorno fa la divulgazione di un rapporto shock da parte delle Nazioni Unite che renderebbe noti atti di tortura ai danni dei bambini siriani. Vere vittime di questo conflitto, come di ogni altro. L’Unicef (Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia) è l’agenzia permanente istituita dall’Assemblea generale ONU per la tutela dei diritti dei bambini. È l’Unicef stessa a gridare il serio rischio per un’intera generazione di non avere futuro, a causa delle crescenti violazioni dei diritti umani delle quali è vittima. A nulla sono fino ad ora serviti i negoziati delle conferenze di pace promosse per trovare una soluzione politica alla crisi siriana e nemmeno le evacuazioni di donne e bambini da alcuni territori sotto assedio; lo stallo della situazione lascia ben poco in cui sperare, se non in un intervento diretto delle Nazioni Unite.

Principio accettato, difatti, dalla comunità internazionale è il disconoscimento di organizzazioni che si autoproclamino “stato” attraverso l’illegittimo uso della forza e si promuove la mobilitazione collettiva perché situazioni di tal fattura, che si concretizzino in deroga agli obblighi internazionali, non abbiano avvallo formale. D’altronde come potrebbe essere altrimenti? Come si potrebbe riconoscere soggettività giuridica ad un sistema che soffoca i diritti umani fondamentali, la cui tutela costituisce nucleo forte non solamente della nostra Costituzione ma di svariate apposite convenzioni? L’accettazione di una società che a dispetto di ogni buon senso non garantisce diritti intergenerazionali,che lede i propri futuri adulti sin da ora addestrandoli dall’infanzia ad imbracciare un fucile, non ha ragione d’esistere.  

Ciò che sta succedendo in questa fetta di mondo e che espande il proprio raggio d’azione ovunque, entrando pericolosamente nella nostra quotidianità, diventando un accadimento “normale” anche se sovraccarico di orrore, non può essere più tollerato in base ai diritti comunemente codificati e accettati.