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Pubbl. Mer, 7 Feb 2018
Sottoposto a PEER REVIEW

Concessione della cittadinanza italiana e valutazione della condizione economica dello straniero

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Antonello Fiori


Nel valutare il possesso di adeguati mezzi di sussistenza da parte dello straniero, l’Autorità amministrativa deve fare riferimento alla condizione reddituale “attuale” e non alla situazione economica pregressa, riferita al momento della presentazione dell’istanza di concessione della cittadinanza italiana.


Sommario: 1. Premesse introduttive e inquadramento normativo –  2.  Il potere valutativo dell’Amministrazione sulla domanda di concessione della cittadinanza: orientamenti giurisprudenziali – 3. Il parere del Consiglio di Stato (Adunanza Sez. I, 8 novembre 2017, n. 1508, trasmesso il 4 gennaio 2018) – 4. Conclusioni.

1. Premesse introduttive e inquadramento normativo

Con il recente parere trasmesso al Ministero dell’Interno il 4 gennaio 2018, in sede di ricorso straordinario al Presidente della Repubblica, il Consiglio di Stato ha dichiarato l’illegittimità del decreto di rigetto della richiesta di cittadinanza presentata dal ricorrente, in quanto adottato sulla base della situazione reddituale riferita al momento della presentazione dell’istanza, non avendo considerato l’Amministrazione la condizione economica conseguita dallo stesso nei successivi esercizi d’imposta.

Giova premettere che l’istituto della concessione della cittadinanza rappresenta una delle modalità di acquisto, c.d. per “naturalizzazione”, dello status di cittadino italiano, disciplinate attualmente dalla Legge 5 febbraio 1992 n. 91 recante “Nuove norme sulla cittadinanza[1] che, a differenza della legislazione precedente, rivaluta il peso della volontà individuale nell'acquisto e nella perdita della cittadinanza e riconosce il diritto alla titolarità contemporanea di più cittadinanze [2].

In particolare, l’art. 9 della Legge n. 91/1992, statuisce che la cittadinanza venga concessa mediante decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato, su proposta del Ministro dell’Interno [3], prevedendo delle modalità differenziate in considerazione di specifici requisiti degli aspiranti e graduando il periodo di residenza legale occorrente per legittimare la proposizione della relativa istanza [4].

In via ordinaria, la suddetta disposizione richiede una residenza legale sul territorio dello Stato di almeno 10 anni per gli stranieri non comunitari (art. 9, comma 1, lett. f).      

Sono numerosi, tuttavia, i casi per i quali il periodo di residenza necessario per poter presentare richiesta di cittadinanza all’autorità governativa è inferiore:

- 3 anni di residenza legale per lo straniero di cui il padre o la madre o uno degli ascendenti in linea retta di secondo grado sono stati italiani per nascita o per lo straniero nato in Italia e ivi residente (art. 9, comma 1, lett. a);
- 4 anni per il cittadino di uno Stato aderente all’Unione europea (art. 9, comma 1, lett. d);
- 5 anni di residenza legale successivi all’adozione per lo straniero maggiorenne ovvero successivi al riconoscimento dello status per l’apolide o il rifugiato politico (art. 9, comma 1, lett. b ed e).

Non è previsto, invece, alcun requisito di residenza per lo straniero che abbia prestato servizio, anche all’estero, per lo Stato Italiano per almeno cinque anni (art. 9, comma 1, lett. c) [5].

E’ opportuno ricordare che il Regolamento di esecuzione della Legge n. 91/1992, approvato con D.P.R. 572/1993, specifica a sua volta (art. 1 comma 2, lett. a) che, ai fini dell’acquisto della cittadinanza italiana, “si considera legalmente residente nel territorio dello Stato chi vi risiede avendo soddisfatto le condizioni e gli adempimenti previsti dalle norme in materia d'ingresso e di soggiorno degli stranieri in Italia e da quelle in materia d'iscrizione anagrafica”.

In pratica, i suddetti periodi di residenza devono essere computati dall’iscrizione dello straniero all’Anagrafe della popolazione residente [6] e non dal momento in cui l’interessato ha ottenuto il primo permesso di soggiorno [7]. Ciò che conta, pertanto, è la c.d. residenza anagrafica attuale ed ininterrotta alla data di presentazione della domanda, non essendo possibile cumulare periodi diversi né avvalersi del suddetto requisito maturato in passato qualora, poi, la continuità della residenza sia venuta a mancare [8].

Sul punto, la posizione della giurisprudenza, in linea con la prassi amministrativa [9], è concorde nel ritenere che l’interessato non possa colmare i periodi di interruzione della residenza con altra prova che dimostri la sua stabile presenza nel territorio della Repubblica italiana [10].

Oltre alla residenza legale, lo straniero è tenuto a dimostrare, altresì, di possedere redditi sufficienti al sostentamento, la sua buona condotta (ovvero di non avere precedenti penali, quantomeno per reati di particolare gravità) e un’adeguata conoscenza della lingua italiana.

2. Il potere valutativo dell’Amministrazione sulla domanda di concessione della cittadinanza: orientamenti giurisprudenziali

Sulla richiesta di concessione della cittadinanza presentata dagli stranieri residenti legalmente nel territorio italiano (per un periodo variabile in relazione alle qualità o agli status sopra riportati) l’Amministrazione dispone di un’ampia sfera di discrezionalità, implicante quindi l’accertamento di un interesse pubblico accanto al riconoscimento dell’interesse privato dell'istante ad ottenere lo status civitatis [11].

In proposito, il consolidato orientamento interpretativo ha più volte evidenziato che al di là del possesso dei formali requisiti di legge, l’Amministrazione deve valutare, alla stregua di un complessivo apprezzamento di opportunità, il grado di impatto che la concessione della cittadinanza italiana ad uno straniero potrebbe avere sull’ordinamento interno [12].

In particolare, l’esercizio del potere discrezionale dell’Amministrazione comporta una valutazione circa la stabile integrazione dello straniero nella comunità nazionale, accertata sulla base di un serie di circostanze atte a dimostrare l’inserimento della persona nel tessuto sociale [13] e concernenti, ad esempio, le condizioni lavorative, economiche, familiari e di irreprensibilità di condotta [14].

Tali aspetti devono essere doverosamente presi in considerazione in quanto, attraverso la naturalizzazione, il soggetto è inserito a pieno titolo nella collettività nazionale ed acquisisce, pertanto, tutti i diritti ed i doveri che competono ai suoi membri.

Tra questi ultimi assume un ruolo di non poco conto il dovere di solidarietà sociale di concorrere con i propri mezzi, attraverso il prelievo fiscale, a finanziare la spesa pubblica funzionale, tra l’altro, all'erogazione dei servizi pubblici essenziali.

Invero, la verifica dell’Amministrazione in ordine ai mezzi di sostentamento dell'istante non tende soltanto a soddisfare primarie esigenze di sicurezza pubblica, ma è anche funzionale all'accertamento del presupposto necessario a che il soggetto sia poi in grado di assolvere, con la propria capacità contributiva, ai suddetti doveri di solidarietà sociale [15].

Nel silenzio della legge, la valutazione della condizione dell’autosufficienza economica viene svolta, per prassi amministrativa [16], avendo come parametro di riferimento l’ammontare reddituale prescritto per l’esenzione dalla partecipazione alla spesa sanitaria (previsto dall’art. 3 del D.L. 25 novembre 1989, n. 382, convertito in Legge 25 gennaio 1990, n. 8 [17]) e attualmente fissato in Euro 8.263,31 annui, incrementato a Euro 11.362,05 in presenza di coniuge a carico e di ulteriori Euro 516,00 annui per ciascun figlio a carico.

Tale parametro rappresenta, infatti, l’indicatore di un livello di adeguatezza reddituale che consente al richiedente di mantenere adeguatamente e continuativamente sé e la famiglia senza gravare (in negativo) sulla comunità nazionale, permettendogli quindi l’effettivo ed ottimale inserimento nel contesto sociale del nostro Paese [18].

Conseguentemente, è stato affermato che l’accertamento dell’insufficienza reddituale rappresenterebbe ex se una causa idonea a giustificare il diniego di cittadinanza, anche nei confronti di un soggetto che risulti sotto ogni altro profilo bene integrato nella collettività, con una regolare situazione di vita familiare e di lavoro (condizione assicurata, comunque, da un valido permesso di soggiorno) [19].

Nonostante l’ampio potere discrezionale di cui gode l’Amministrazione nel rilascio ovvero diniego della cittadinanza, la stessa è pur sempre tenuta ad adeguarsi ai principi che conformano l’azione amministrativa, tra i quali rilevano, in particolare, quello di proporzionalità e ragionevolezza.

Più nel dettaglio, i limiti alle valutazioni di cui si è detto sarebbero rappresentati, in sostanza, da quelli generalmente riconosciuti in tema di esercizio di poteri discrezionali, necessariamente orientati all'effettuazione delle migliori possibili scelte per l'attuazione dell'interesse pubblico nel caso concreto.

Ne deriva che sulle scelte compiute dall’Amministrazione, correlate ad un interesse legittimo, il sindacato ha natura estrinseca e formale, non potendo spingersi, pertanto, al di là della verifica della ricorrenza di un sufficiente supporto istruttorio, della veridicità dei fatti posti a fondamento della decisione e dell'esistenza di una giustificazione motivazionale che appaia logica, coerente e ragionevole [20].

3.  Il parere del Consiglio di Stato (Adunanza Sez. I, 8 novembre 2017, n. 1508, trasmesso il 4 gennaio 2018)

Al fine di poter dare conto, compiutamente, del percorso argomentativo seguito dal Consiglio di Stato nel parere in oggetto, è necessario riportare, brevemente, i fatti oggetto della specifica impugnazione mediante ricorso straordinario al Capo dello Stato.

Il ricorrente, straniero residente in Italia da più di dieci anni, presentava nel marzo del 2005 istanza di riconoscimento della cittadinanza italiana ai sensi dell’art. 9, comma 1, lett. f) della Legge  n. 91/1992.

Con il decreto adottato nel febbraio 2011, successivo alla notifica del preavviso di cui all’art. 10-bis della Legge n. 241/1990, il Ministero dell'I­nterno rigettava la domanda di concessione della cittadinanza in quanto, dalla documentazione presentata a corredo dell’istanza, si evinceva l’insussistenza di una condizione reddituale adeguata da parte dello straniero (peraltro con un figlio a carico).

A sostegno dell’impugnativa, il ricorrente deduceva, tra gli altri, un difetto di istruttoria da parte dell’Amministrazione, concretizzatosi in una carente ed illogica motivazione per non avere la stessa fatto “alcun riferimento alla tipo di documentazione, agli anni e all’entità dei redditi dell’istante nonché al tipo di reddito considerato ed alla composizione esatta della sua famiglia”.

Il Consiglio di Stato, come anticipato, si è pronunciato a favore dell’accoglimento del ricorso e, conseguentemente, ha dichiarato illeg­ittimo il provvedimento di diniego dello status civitatis, sulla base delle seguenti considerazioni.

Innanzitutto, in linea con gli orientamenti giurisprudenziali sopra richiamati, i giudici amministrativi confermano che le determinazioni dell'Amministrazione sulle domande di concessione della cittadinanza italiana allo straniero, residente legalmente nel territorio dello Stato, non sono vincolate, ma costituiscono manifestazione di discrezionalità decisionale [21], sindacabili, pertanto, nei soli casi di palese incongruità del processo valutativo o di erronea conoscenza della situazione di fatto.

Ebbene, proprio sulla scorta di tale ultimo assunto è stato censurato l’operato dell’autorità governativa che tra l’altro, evidenziano i giudici, si è pronunciata sulla domanda di cittadinanza a distanza di circa sei anni [22].

Difatti, il gravato provvedimento è stato ritenuto viziato da eccesso di potere in quanto il presupposto considerato ai fini del rigetto, ovverosia l’importo per l’esenzione della spesa sanitaria rapportato con i redditi percepiti nel triennio precedente l’istanza, si è posto in contrasto con la situazione economica conseguita dallo straniero nei successivi esercizi d’imposta.

Invero, dagli atti del ricorso è emerso che il ricorrente, dal 2008 dipendente di una cooperativa, ha invece percepito regolari compensi mensili che, valutati su base annuale, risultavano ampiamente superiori a quelli indicati nel decreto e, comunque, certamente sufficienti per il sostentamento dello stesso e della sua famiglia.

4. Conclusioni

Il parere favorevole all’accoglimento del ricorso Straordinario reso dal Consiglio di Stato ha offerto degli spunti interessanti in ordine all’attività istruttoria cui sarebbe tenuta l’Amministrazione, con riguardo alla valutazione dei mezzi di sostentamento dello straniero necessari per la concessione della cittadinanza italiana.

In particolare, relativamente al momento in cui le condizioni reddituali vanno valutate, i giudici amministrativi ritengono che il possesso da parte dello straniero di adeguati mezzi di sussistenza deve essere riferito al momento in cui l'Autorità è chiamata a pronunciarsi e non alla situazione economica pregressa dello straniero [23].

La soluzione interpretativa prospettata appare condivisibile in quanto rispondente, tra l’altro, alle esigenze di tutela del richiedente nei casi in cui, come quello esaminato, sia trascorso un consistente lasso temporale tra la presentazione della domanda di concessione della cittadinanza e la decisione dell’Amministrazione.

 

 

Note e riferimenti bibliografici:

[1] In tema di cittadinanza, tra i numerosi contributi in dottrina, si rimanda a: Menghetti G., La stabilizzazione dei cittadini stranieri residenti sul territorio italiano e l'acquisto della cittadinanza, in Nuova rassegna di legislazione, dottrina e giurisprudenza, 2012 fasc. 6, pp. 679 ss.; Lippolis Vincenzo, Il significato della cittadinanza e le prospettive di riforma della legge n. 91 del 1992,in Rassegna parlamentare, 2010, fasc. 1, pp. 151 ss.; Romanelli C., (voce) Cittadinanza, in Enciclopedia del Diritto (Treccani), Vol. VII, par. 1.3.3;  Lepri Gallerano M. La nuova legge sulla cittadinanza, Ed. Maggioli, 1994; Ballarino T. - Nascimbene B. - Barel B., Commentario alla Legge, in Le Nuove leggi civili commentate, 1993, fasc. 1, pp. 1 ss.; Clerici R., La nuova legge organica sulla cittadinanza: prime riflessioni, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1992, fasc. 4, pp. 741 ss.; Grosso E., Una nuova disciplina della cittadinanza italiana, in Giurisprudenza italiana, 1992 fasc. 7, pp. 320 ss.

[2] A differenza della previgente disciplina in materia di cittadinanza italiana, rappresentata dalla Legge 13 giugno 1912, n. 555 (vigente per quasi ottanta anni) la Legge n. 91/1992 si ispira, in sintesi, ai seguenti principi: la trasmissibilità della cittadinanza per discendenza (principio dello "ius sanguinis"); l’acquisto "iure soli" (per nascita sul territorio) in alcuni casi; la possibilità della doppia cittadinanza; la manifestazione di volontà per l’acquisto e la perdita.

[3] La proposta appartiene alla competenza del Dipartimento delle Libertà Civili e Immigrazione, Direzione Centrale Cittadinanza del Ministero dell'Interno. Successivamente, il decreto di concessione della cittadinanza è notificato alla Prefettura di residenza dell’interessato, il quale ha sei mesi di tempo, dalla data della notifica, per prestare giuramento dinanzi all'ufficiale di Stato Civile del Comune di residenza.

[4] La domanda di cittadinanza può essere inoltrata, dal 2015, attraverso una procedura informatica. Il richiedente deve registrarsi sul portale dedicato alla procedura https://cittadinanza.dlci.interno.it e compilare la domanda utilizzando le credenziali d’accesso, previamente ricevute.

[5] La cittadinanza italiana, ai sensi dell’art. 9, comma 2, della Legge n. 91/1992, può altresì essere concessa allo straniero quando questi abbia reso eminenti servizi all'Italia, ovvero quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato (in tal caso la cittadinanza viene concessa con decreto del Presidente della Repubblica, sentito il Consiglio di Stato e previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri).

[6] Il D.P.R. 223/89, di approvazione del nuovo Regolamento anagrafico della popolazione residente, nel disciplinare le iscrizioni anagrafiche statuisce (art. 7, comma 3) che “Gli stranieri iscritti in anagrafe hanno l'obbligo di rinnovare all'ufficiale di anagrafe la dichiarazione di dimora abituale nel comune, entro sessanta giorni dal rinnovo del permesso di soggiorno, corredata dal permesso medesimo (...)”.

[7] Se è indubbio che ai sensi della normativa civilistica ed anagrafica la residenza come dimora stabile è data dall’elemento oggettivo della permanenza in un dato luogo, in materia di cittadinanza il Legislatore ha introdotto il più rigoroso requisito della “continuità” dell’iscrizione anagrafica (cfr. T.A.R. Valle d’Aosta, 20 novembre 1995, n. 172).

[8] Cfr. T.A.R. Lombardia (Milano), Sez. I, 19 aprile 2007, n. 1899.

[9] Si rimanda, ad esempio, alla circolare del Ministero dell'Interno del 28 settembre 1993, n. K 60/1.

[10] Cfr. Tar Lombardia (Brescia), Sez. I, 14 novembre 2008, n. 1637; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 6 aprile 2007, n. 1583; T.A.R. Piemonte, Sez. I, 18 dicembre 2002, n. 2077.

[11] Tali valutazioni altamente discrezionali non si rinvengono, di contro, nel caso di adozione del provvedimento concessione della cittadinanza “per matrimonio” (art. 5 della Legge n. 91/1992). In tal caso, infatti, si è in presenza di un vero e proprio diritto soggettivo del richiedente e, al contempo, di un atto dovuto da parte dell’Amministrazione, fermo restando l’integrazione dei requisiti richiesti dalla legge ed in assenza di motivi ostativi.

[12] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 8 agosto 2008, n. 3907; Cons. Stato, Sez. IV, 7 maggio 1999, n. 799.

[13] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 novembre 2011 n. 5913; Con. Stato, Sez. VI, 10 gennaio 2011,  n. 52; Cons. Stato, Sez. VI, 26 gennaio 2010, n. 282; Tar Lazio (Roma), Sez II quater, 18 aprile 2012, n. 3547; Tar Lombardia (Milano), Sez. I, 27 gennaio 2006, n. 77.

[14] Con particolare riferimento alle valutazioni concernenti la pericolosità sociale ed i precedenti penali dello straniero, è stato affermato che l’esistenza di precedenti di “lieve entità” non può costituire di per sé preclusione automatica e tassativa alla concessione della cittadinanza italiana, specie se non sono stati valutati tutti gli altri elementi a favore dell’extracomunitario (Cfr. Cons. Stato, Sez III, 11 novembre 2014, n. 5544).

[15] Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 8 gennaio 2015, n. 60.

[16] Si veda la circolare del Ministero dell'Interno del 5 gennaio 2007, n. K 60/1.

[17] Il raggiungimento del livello minimo di reddito (richiesto per il triennio antecedente la presentazione della domanda) può essere dimostrato dal richiedente non solo in modo autonomo ma anche sulla base del complesso delle condizioni economiche dell’intero nucleo familiare (Cfr. Cons. Stato, Sez. III, 5 giugno 2012, n. 3306). Sul punto, si vede anche Cons. Stato, Sez VI, 2 marzo 2009, n. 1175, che, diversamente, ha ritenuto illegittima l’imposizione di una precisa soglia di reddito ai fini della naturalizzazione, dovendosi invece valutare l’inserimento complessivo dell’interessato nel tessuto sociale e l’inequivocabile volontà di entrare a far parte della collettività italiana.

[18] Per la concessione della cittadinanza non sarebbe necessaria, tuttavia, la percezione di un reddito di carattere retributivo o stabile, essendo sufficiente provare il possesso di mezzi di sussistenza idonei, quali ad esempio borse di studio, somme percepite a titolo di risarcimento danni, etc. (in tal senso,T.A.R. Veneto, 28 aprile 2008, n. 1138). 

[19] Cfr. T.A.R. Lazio (Roma), Sez. II quater, 30 gennaio 2014, n. 4959; T.A.R. Lazio (Roma), Sez. II, 9 maggio 2012, n. 4189.

[20] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 9 novembre 2011, n. 5913; Cons. Stato, sez. VI, 2 novembre 2007, n. 5680; Tar Lazio (Roma), Sez I ter, 16 gennaio 2018, n. 891; Tar Lazio (Roma), Sez. II quater, 19 giugno 2012, n. 5665.

[21] Cfr. Cons. Stato, Sez. VI, 3 febbraio 2011 n. 766 e 26 gennaio 2010 n. 282.

[22] L’art. 3 del D.P.R. n. 362/1994, recante il Regolamento per la disciplina dei procedimenti di acquisto della cittadinanza italiana, prevede che il procedimento de quo si concluda entro 730 giorni (2 anni) dalla data di presentazione della domanda. Tuttavia, nella prassi, si riscontrano non di rado attese maggiori. Al riguardo, è stato affermato che il ritardo nella conclusione del procedimento concessorio (oltre i 730 giorni dalla data di presentazione della domanda) costituisce un comportamento ingiustificato da parte dell’Amministrazione procedente che, seppur non portando ad un accoglimento tacito dell’istanza, permette la messa in mora dell’Amministrazione (in tal senso, Tar Lazio, Sez. II quater, 8 novembre 2010, n. 33280).

[23] Cfr. Cass., Sez. I, 3 febbraio 2006, n. 2417.