Il trattamento sanzionatorio del minore socialmente pericoloso
Modifica paginaLa pericolosità sociale dei minorenni è soggetta a criteri di valutazione parzialmente difformi da quelli previsti per gli imputati maggiorenni.
Sommario: 1. La pena nel diritto penale italiano: il doppio binario; 2. La pericolosità sociale; 3. Le misure di sicurezza: presupposti e destinatari; 4. Le misure di sicurezza nei confronti dei minori; 5. La libertà vigilata; 6. Il ricovero in riformatorio giudiziario.
1. La pena nel diritto penale italiano: il doppio binario
Accanto alle pene in senso stretto, il codice penale prevede poi le misure di sicurezza, che consistono in ulteriori forme di risposta al delitto che hanno come presupposto la pericolosità sociale dell’autore, e come scopo la sua riabilitazione. Il legislatore del 1930 non ignorava le istanze di prevenzione speciale: se è vero, infatti, che l’impianto teorico sotteso al codice assegnava alla pena altre funzioni, è anche vero che nel sistema codicistico la funzione di prevenzione speciale veniva ascritta ad una sanzione di altro tipo, ossia alla misura di sicurezza
Tale sistema – tutt’ora vigente – è definito del doppio binario, alle tradizionali pene si affiancano le misure di sicurezza. È utile sottolineare, a questo proposito, che l’espressione doppio binario non soltanto allude alla coesistenza nell’ordinamento giuridico, di sanzioni penali di natura diversa, ma indica altresì che è possibile applicare ad un medesimo soggetto, che sia al tempo stesso imputabile e socialmente pericoloso, tanto la pena che la misura di sicurezza.
Il codice penale Rocco, come abbiamo detto, introduce un modello sanzionatorio che ruota attorno ai poli della prevenzione generale, attuata anche attraverso il modello retributivo, e speciale, rispettivamente a strumenti sanzionatori di natura diversa. Il suo obiettivo era quello di “sanare il contrasto fra la Scuola classica e la Scuola positiva, che divideva gli studiosi italiani dell’epoca in posizioni contrapposte.
A tal fine fu introdotto il sistema del cd. doppio binario, che poneva accanto alla pena tradizionale inflitta sul presupposto della colpevolezza una misura di sicurezza, fondata sulla pericolosità sociale del reo e con il compito della sua risocializzazione.
Sostanzialmente, il sistema prevede da un lato che sia comminata una pena qualora il soggetto sia responsabile per un fatto di reato e dall’altro che si applichi una serie di misure di sicurezza, che si possono sommare alla pena per i soggetti imputabili e semi-imputabili e consistono invece nell’unica pena prevista per i soggetti non imputabili.
Secondo i redattori del codice del 1930, la pena ha principalmente la funzione di prevenzione generale, rispetto alla quale è strumentale il ruolo “satisfattorio”, come essi definiscono la funzione retributiva - si legge nei lavori preparatori del codice penale - Delle varie funzioni che la pena adempie, le principali sono certamente la funzione di prevenzione generale, che si esercita mediante l’intimidazione derivante dalla minaccia e dall’esempio, e la funzione cd. satisfattoria, che è anch’essa, in un certo senso, di prevenzione generale, perché la soddisfazione che il sentimento pubblico riceve dall’applicazione della pena, evita le vendette e le rappresaglie.
La funzione di prevenzione speciale è invece affidata alle misure di sicurezza, le quali sono dirette a neutralizzare la pericolosità sociale del reo, allo scopo di evitare che lo stesso soggetto incorra nella commissione di futuri reati. La misura di sicurezza rappresenta la traduzione, sul piano della teoria della pena, di quello scopo che l’idea preventiva non aveva voluto – ed in parte: potuto – imporre sul terreno della teoria della commisurazione. Il sistema del cd. doppio binario non esprime soltanto la compresenza in uno stesso ordinamento di sanzioni penali di natura diversa, ma indica la possibilità di applicare ad un medesimo soggetto, che sia al tempo stesso imputabile e socialmente pericoloso, tanto la pena che la misura di sicurezza.
2. La pericolosità sociale
L'imputabilità non è l'unica condizione personale del reo a influenzare il trattamento sanzionatorio in sede penale, concorrendo con essa la pericolosità sociale, quel presupposto per l'applicazione di una misura di sicurezza.
Il nostro sistema penale prevede che il minore non imputabile, perché al momento del fatto non aveva compiuto ancora quattordici anni o perché, pur avendoli compiuti, è stato riconosciuto incapace di intendere e di volere, venga prosciolto, cioè non assoggettato a pena. Questo non vuol dire che nei confronti del minore così prosciolto non venga disposta nessuna misura, laddove sia considerato pericoloso. Infatti, il nostro codice penale, “per non lasciare la società indifesa”, come dice Mantovani, prevede che al minore, infraquattordicenne o di età superiore a quattordici anni e inferiore a diciotto, che abbia commesso un fatto previsto dalla legge come delitto e che sia stato ritenuto pericoloso, si applichi la misura di sicurezza del riformatorio giudiziario o della libertà vigilata.
Per quanto riguarda il concetto di pericolosità sociale, agli effetti della legge penale è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile, che ha commesso un reato o un quasi-reato (artt. 49 e 115 c.p.), quando è probabile che commetta nuovi fatti preveduti dalla legge come reati.
La pericolosità sociale è quindi un modo di essere del soggetto, da cui si deduce la probabilità che egli commetta nuovi reati e si desume si desume dalle circostanze indicate nell'articolo 133 c.p. La giurisprudenza, però, ha interpretato in maniera più estensiva tale disposizione prevedendo che il giudice debba considerare come parametri di valutazione, accanto alla gravità del fatto, anche i fatti a questo successivi, come ad esempio il comportamento tenuto durante la fase di espiazione della pena.
Nell’articolo 133, si definisce la capacità a delinquere del colpevole come l’attitudine a compiere dei delitti. Di conseguenza l'accertamento della pericolosità deve essere compiuto attraverso l'integrale ricognizione di tutti i fattori che riguardano non solo la gravità del reato, ma anche la capacità a delinquere del reo. Da tale disposizione risulta che il legislatore ha inteso accogliere due principi fondamentali: da un lato ha sancito che presupposto indispensabile per la dichiarazione di pericolosità è la commissione di un fatto che la legge in astratto configura come reato, nulla periculositas sine crimine, escludendosi così le tendenze più estreme del positivismo che volevano che il giudizio di pericolosità fosse svincolato da tale presupposto per come previsto espressamente dall'art. 202 c.p. Dall'altro che l'essenza della pericolosità debba consistere nella probabilità che il soggetto possa compiere in futuro, non fatti genericamente contrari agli interessi della collettività, ma fatti specificamente configurabili quali fattispecie di reati. Da ciò se ne deduce come l'accertamento giudiziale della pericolosità sociale si articola in due momenti: quello dell'analisi della personalità dell'individuo, con accertamento delle qualità indizianti, da cui dedurre, per l’appunto, la probabile commissione di nuovi reati e quello della prognosi criminale, cioè il giudizio sul futuro criminale del soggetto, effettuato sulla base di tali qualità. Il codice non dice quali siano le qualità soggettive da cui deve dedursi la pericolosità: l'art. 203 c.p. si limita a un mero rinvio secondo cui “la qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell'art. 133 c.p.”, onde il giudizio di pericolosità va effettuato con riferimento alla gravità oggettiva e soggettiva del reato commesso ed agli elementi da cui si desume la capacità a delinquere.
Per quanto riguarda il rapporto fra capacità a delinquere e pericolosità sociale, la prevalente dottrina (MANTOVANI, PAGLIARO) ritiene che la capacità a delinquere si concreti in un giudizio sulla possibilità che l'individuo commetta in avvenire fatti delittuosi, mentre la
pericolosità sociale andrebbe intesa come una forma intensa di capacità a delinquere, ossia come una rilevante attitudine di una persona a commettere un reato: la pericolosità sociale, dunque, starebbe alla capacità a delinquere come la probabilità sta alla possibilità.
La pericolosità sociale si distingue dal reato, perché mentre quest'ultimo costituisce un accadimento storicamente circoscritto, la prima implica invece una situazione soggettiva durevole. Salvo le ipotesi espressamente previste dalla legge (i cd. quasi-reati), il reato costituisce comunque il necessario presupposto del giudizio di pericolosità sociale. Essa deve essere accertata dal giudice di volta in volta, avendo, la l. 663 del 13 ottobre 1986 soppresso le ipotesi di pericolosità presunta. Il giudizio sulla pericolosità consta dell'accertamento delle qualità indizianti, da cui si desume la probabile commissione di nuovi reati, e della c.d. prognosi criminale, quale giudizio sul futuro criminale del soggetto, fondato su tal qualità.
L’esame del concetto di pericolosità sociale non può essere svolto esaustivamente se non si tiene conto degli interventi normativi che hanno conferito un volto nuovo all’istituto in questione. In particolare, si osserva che l’art. 204 c.p. nella sua formulazione originaria sanciva la cosiddetta pericolosità presunta, ossia prevedeva che nei casi espressamente determinati la qualità di persona socialmente pericolosa fosse presunta dalla legge. La pericolosità presunta riguardava anche i minori non imputabili, nelle ipotesi di delitto non colposo punibile con l’ergastolo o la reclusione superiore nel massimo edittale a due anni, e i minori imputabili condannati per delitto commesso durante l’esecuzione di una misura di sicurezza cui erano stati sottoposti perché non imputabili.
All’esito di un lungo dibattito circa l’incostituzionalità della disposizione normativa ed alle sentenze della Corte Costituzionale interveniva l’art. 31 della l. 663 del 13 ottobre 1986 che abrogando l’art. 204 c.p. sanciva il sistema della pericolosità in concreto, e stabiliva che tutte le misure di sicurezza personali fossero ordinate previo accertamento, ad opera del giudice, che colui il quale ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa. Laddove già l’art. 69 della legge n. 354 del 1975 (ordinamento penitenziario) eliminava il termine minimo della misura ed attribuiva al magistrato di sorveglianza la facoltà di revocare anticipatamente ogni misura di sicurezza, anche prima dello scadere del termine, previo riesame della pericolosità.
Oggi la pericolosità sociale è ancora il cardine dell’applicazione delle misure di sicurezza, poiché consente di individuare i soggetti cui occorre applicarle, sempre previa valutazione in concreto del giudice, che deve preliminarmente verificare se il soggetto sia pericoloso. In altri termini sia probabile che avendo commesso un reato o un quasi-reato, ne commetta un altro. In tal caso il giudice applica la misura di sicurezza che permane fino a che la pericolosità non sia venuta meno.
L’accertamento della pericolosità verrà effettuato sulla base degli elementi indizianti dai quali dedurre la probabile commissione di nuovi reati e la prognosi sul futuro comportamento eseguita sulla base di questi elementi. A tal fine appaiono rilevanti gli indici previsti dall’art. 133 c.p. (cui la stessa norma rinvia) ossia la gravità, oggettiva e soggettiva, del
reato commesso e gli elementi dai quali si desume anche la capacità a delinquere.
Quanto ai presupposti per l’applicabilità delle misure di sicurezza ai minorenni l’art. 37, comma 2, d.p.r. 448 del 1988 (di seguito per brevità c.p.p.min), stabilisce che la misura di sicurezza è applicabile se ricorrono le condizioni previste dall’art. 224 c.p. e quando, per le specifiche modalità e circostanze del fatto e la personalità dell’imputato, sussiste il concreto pericolo che questi commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l’ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata. Dalla norma si evince che non basta la semplice pericolosità della commissione di un reato di qualsiasi tipo, bensì occorre che vi sia la probabilità che venga commesso un reato particolarmente efferato. Il giudizio di pericolosità sociale deve essere effettuato soprattutto dal magistrato di sorveglianza quando esegue la misura disposta con sentenza, poiché nelle more questa potrebbe essere venuta meno.
3. Le misure di sicurezza: presupposti e destinatari
Venendo alle caratteristiche delle misure di sicurezza, come detto sopra, l’introduzione delle misure di sicurezza rappresenta sicuramente una delle innovazioni più importanti del codice Rocco del 1930. Esse sono collocate nella toponomastica codicistica nel Titolo VIII (Delle misure amministrative di sicurezza) del Libro primo (Dei reati in generale) dagli artt. 199-240. Con la creazione di tali misure è nato quello che viene definito il sistema del doppio binario che pone, accanto ad una pena detentiva che ricomprende in sé funzioni di carattere retributivo e general-preventivo, una misura di carattere specialpreventivo avente come funzione quella di neutralizzare, attraverso la cura e la rieducazione, la pericolistà sociale di determinate categorie di soggetti. Inizialmente alle misure di sicurezza veniva attribuita natura amministrativa ma, nell’attuale momento storico, quasi tutta la dottrina respinge tale tesi e le considera sanzioni criminali di di competenza del diritto penale, tanto più che esse vengono applicate mediante un procedimento giurisdizionale.
Tuttavia, le misure di sicurezza si differenziano dalla pena per diversi aspetti:
a) esse non hanno carattere punitivo, ma mirano a neutralizzare la pericolosità di certi soggetti;
b) soggetti destinatari sono non solo gli imputabili (come invece avviene per le pene), ma anche i non imputabili e i semi imputabili;
c) mentre la misura della pena è proporzionata alla gravità del reato ed oscilla tra un minimo ed un massimo edittale fissato dalla legge, la durata delle misure di sicurezza è indeterminata, essa cessa al venire meno della pericolosità sociale.
I destinatari delle misure di sicurezza sono sia i soggetti imputabili che i soggetti semi-imputabili e non imputabili; alle prime due categorie di individui le misure di sicurezza si applicano cumulativamente alla pena, dando così vita al sistema del doppio binario, alla terza si applicano in modo esclusivo.
Presupposti per l'applicazione sono la commissione di un fatto previsto dalla legge come reato e la pericolosità sociale del soggetto.del soggetto.
Il primo requisito di natura oggettiva subisce due eccezioni tassativamente previste dalla legge: il giudice infatti può, nelle ipotesi di quasi-reato ex art. 115 c.p. (Accordo criminoso non eseguito o istigazione a commettere un delitto non accolta, o accolta, ma non seguita dalla commissione del delitto) e di delitto impossibile ex art. 49 c.p., comminare l’applicazione di una misura di sicurezza a prescindere dalla commissione di un vero e proprio reato.
Il secondo requisito, di natura soggettiva, è definito dall’art. 203 c.p., in forza del quale deve ritenersi socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile o non punibile quando è probabile.
Per quanto concerne la durata, coerentemente con la funzione ad esse assegnata, la loro durata è indeterminata, la loro durata è determinata nel minimo e sono destinate a permanere finché non cessi la condizione di pericolosità sociale del reo. Infatti, ai sensi dell'art. 207, comma 1, c.p. le misure di sicurezza non possono essere revocate se le persone ad esse sottoposte non hanno cessato di essere socialmente pericolose.
La revoca non può essere ordinata se non è decorso un tempo corrispondente alla durata minima stabilita dalla legge per ciascuna misura di sicurezza.
L'applicazione di esse è sempre subordinata all'accertamento della pericolosità quando, secondo la legge italiana, si dovrebbe sottoporre il condannato o il prosciolto dalla sentenza straniera, che si trova nel territorio dello Stato, a misure di sicurezza personali. Le misure di sicurezza sono ordinate, di regola, dal giudice nella stessa sentenza di condanna o di proscioglimento o anche con provvedimento successivo dal magistrato di sorveglianza:
Circa il momento dell’esecuzione, le misure di sicurezza sono eseguite:
a) immediatamente, se applicate con sentenza di proscioglimento;
b) dopo che la sentenza è divenuta irrevocabile, se aggiunte a pena non detentiva;
c) dopo che la pena è stata scontata o estinta, se aggiunte a pena detentiva.
Il codice penale distingue le misure di sicurezza in due categorie: personali e patrimoniali. Le misure di sicurezza personali si distinguono, poi, in detentive e non detentive.
Sono misure di sicurezza personali detentive:L'assegnazione ad una colonia agricola o ad una casa di lavoro; il ricovero in una casa di cura e di custodia; il ricovero in un ospedale psichiatrico giudiziario e il ricovero in un riformatorio giudiziario. Sono misure di sicurezza personali non detentive: la libertà vigilata; il divieto di soggiorno in uno o di più Comuni o in una o più Province; il divieto di frequentare osterie o pubblici spacci di bevande alcooliche e l’espulsione dello straniero dallo Stato.
Sono misure di sicurezza patrimoniali: la cauzione di buona condotta e la confisca.
4. Le misure di sicurezza nei confronti dei minori
Il minore, che al momento del fatto non aveva compiuto ancora quattordici anni o pur avendoli compiuti, è stato riconosciuto incapace di intendere e di volere, non è imputabile e dunque non viene assoggettato a pena. Nonostante ciò il legislatore ha previsto la possibilità di sottoporre ugualmente a misure di sicurezza il minore non imputabile prosciolto se considerato pericoloso, proprio perché la non imputabilità del soggetto autore di reato non è elemento sufficiente ad escluderne la pericolosità. Lo stesso art. 203 c.p., prevede che è socialmente pericolosa la persona, anche se non imputabile, o non punibile, la quale ha commesso taluno dei fatti previsti dalla legge come reati, quando è probabile che ne
commetta dei nuovi.
La qualità di persona socialmente pericolosa si desume dalle circostanze indicate nell’art. 133 c.p. ossia la gravità del reato, l’intensità del dolo e la capacità a delinquere del reo desunta dai motivi a delinquere, dal carattere del colpevole, dai precedenti penali e giudiziari, dalla condotta antecedente, contemporanea o susseguente al reato e dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo.
In relazione alla tipologia delle misure di sicurezza applicabili al minore infraquattordicenne o di età superiore a quattordici anni e inferiore a diciotto, se riconosciuto non imputabile, che abbia commesso un fatto previsto dalla legge come delitto e sia stato ritenuto pericoloso, l’art. 224, comma 1, c.p. indica il ricovero in riformatorio e la libertà vigilata.
Le misure di sicurezza personali del riformatorio giudiziario e della libertà psichica hanno per destinatari minori socialmente
pericolosi imputabili e non imputabili il cui difetto di imputabilità sia dovuto ad immaturità ritenuta dal legislatore ai sensi dell'art. 97 c.p. o accertata dal giudice a norma dell'art. 98 c.p.
Relativamente ai minori infraquattordicenni o maggiori di quattordici, che abbiano commesso il reato in condizioni di infermità psichica o di intossicazione cronica da alcool o da sostanze stupefacenti o di sordomutismo e pertanto incapaci di intendere e di volere per motivi diversi dall’età il codice prevedeva ai sensi dell’art. 222, comma 4, c.p. come destinatari della misura del ricovero in ospedale psichiatrico anche i minori, senza alcuna differenziarne il trattamento rispetto agli adulti. Su tale norma è intervenuta la Corte Costituzionale con la sentenza n° 324 del 20 lulglio 1998 che ha dichiarato che la misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico non può trovare applicazione nei confronti dei minori attesa la finalità eminentemente rieducativa assunta dalla pena nei confronti di tali soggetti. La Corte Costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo questo comma per violazione degli artt. 2, 3, 27 e 31 Cost., in forza dei quali il trattamento penale dei minori deve essere improntato, sia per quanto riguarda le misure adottabili, sia per quanto riguarda la fase esecutiva, alle specifiche esigenze proprie dell’età minorile.
Pertanto, per i minori dichiarati incapaci di intendere e di volere, la cui non imputabilità sia dovuta (anche) ad alterazioni o deficienze psichiche (art. 88 c.p.) o tossiche (art. 95 c.p) o minorazioni fisiche (art. 96 c.p), la misura di sicurezza applicabile è sempre il riformatorio giudiziario o la libertà vigilata, ritenute più idonee a rispondere alle esigenze educative e curative del minore. A seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 324 del 1998, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 222 c.p. nella parte in cui prevedeva l’applicazione anche ai minori della misura di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario, deve ritenersi conforme al principio di legalità applicare nei confronti del minore non imputabile per vizio totale di mente e socialmente pericoloso, la misura del riformatorio giudiziario, da eseguire nelle forme del collocamento in comunità a norma dell’art. 36, comma 2, d.p.r. 448 del 1988, trattandosi di situazione analoga a quella disciplinata dall’art. 98 c.p., cui fa rinvio l’art. 224, comma 3, c.p. In tal caso, la durata minima della misura non potrà essere quella prevista dall’art. 222, comma 2, c.p., essendo divenuta tale norma inapplicabile ai minori a seguito della richiamata sentenza della Corte Costituzionale, ma sarà quella prevista dall’art. 224, comma 2, per il riformatorio giudiziario.
In ordine alle misure di sicurezza personali non detentive del divieto di soggiorno in uno o più Comuni o in una o più Province (art. 233 c.p), divieto di frequentare osterie e pubblici spacci di bevande alcoliche (art. 234 c.p) e dell'espulsione dal territorio dello Stato (art. 235 c.p.). Secondo parte della dottrina (PENNISI) non vi è nessun impedimento all'applicabilità di tali misure anche ai minori per i quali non è prevista nessuna esplicita indicazione né, dunque, nessuna particolare modalità esecutiva. Altra parte della dottrina (GRASSO), invece, ritiene, a seguito dell'entrata in vigore del d.p.r. 448 del 1988 applicabile al minore le sole misure di sicurezza personali della libertà
vigilata e del ricovero in riformatorio giudiziario.
In relazione alle misure di sicurezza patrimoniali, le disposizioni che le disciplinano non fanno alcun riferimento ai minori, sicché è necessario accertare la loro applicabilità nei confronti dei minori.
Partendo dalla cauzione di buona condotta, benché le norme che la disciplinano non prevedono come destinatari i minori, la possibilità che essa possa trovare applicazione anche nei confronti dei minori si ricava dall'art. 231 c.p.; questa disposizione prevede la possibilità di applicare la cauzione di buona condotta in aggiunta alla misura della libertà vigilata quando siano violati gli obblighi inerenti quest'ultima: inoltre, con esplicito riferimento ai minori, essa sanziona con il riformatorio giudiziario la mancata prestazione della cauzione di buona condotta. Tuttavia, non bisogna dimenticare, che la
misura in esame è un atto non patrimoniale, che presuppone non solo il patrimonio, ma anche la capacità di alienarlo, sicché difficilmente risulta essere compatibile nei confronti dei minori.
In ordine alla confisca, non vi sono motivi per escludere l'applicabilità di tale misura di sicurezza ai minori, considerato
che l'applicazione non richiede la pericolosità sociale del destinatario.
5. La libertà vigilata
L’art. 224 c.p. stabilisce che il giudice, tenuto conto della gravità del fatto e delle condizioni morali della famiglia in cui il minore è vissuto, ordina che sia ricoverato nel riformatorio giudiziario o posto in libertà vigilata. In relazione ai criteri utilizzati dal giudice per scegliere la misura più idonea si osserva che, da un lato dovrà tenere presente il principio delle esigenze educative, che informa tutto il D.P.R. n. 448 del 1988, e quindi l’adeguamento delle misure alla personalità del minore e dall’altro dovrà considerare il parametro previsto dall’art. 37 c.p.p.min., ossia le specifiche circostanze del fatto.
Le misure sono tra loro alternative, anche se l’art. 36 c.p.p.min. specifica che il riformatorio giudiziario è applicato solo in relazione ai delitti previsti dall’art. 23 c.p.p.min..
L'art. 228 del codice del 1930, sulla libertà vigilata, stabiliva che per la vigilanza sui minori provvedevano le leggi speciali. Il rinvio riguardava l'art. 23 della Legge minorile (r.d.l. 1440 del 1934), il quale prevedeva che la sola forma di libertà vigilata per i minorenni era l'affidamento ai genitori o a coloro cui spettava di prestargli assistenza; la vigilanza, cioè, spettava non all'autorità di pubblica sicurezza, come avveniva per i maggiorenni, ma alle persone e agli istituti affidatari. La libertà vigilata poteva essere, infatti, applicata al minore non imputabile solo se era possibile affidarlo ai genitori o a coloro che avevano l'obbligo di provvedere alla sua educazione. Se tale affidamento non era possibile o non era considerato opportuno, il giudice ordinava il ricovero del minore in un riformatorio, così come tale ricovero era disposto se durante la libertà vigilata il minore non dava prova di ravvedimento.
La libertà vigilata è una misura di sicurezza non detentiva e consiste nell’affidamento del minore ai genitori o ad istituti di assistenza sociale che dovranno attenersi alle linee direttive di assistenza e vigilanza stabilite dal giudice. Difatti, a norma
dell’art. 36 la misura di sicurezza della libertà vigilata è eseguita nelle forme previste dagli artt. 20 e 21 c.p.p.min. ossia delle prescrizioni e dell’obbligo di permanenza in casa.
L’art. 20 c.p.p.min. prevede che il giudice impartisca al minorenne delle specifiche prescrizioni inerenti all’attività di studio o di lavoro oppure ad altre attività utili per la sua educazione, mentre l’art. 21 c.p.p.min. disciplina l’obbligo della permanenza in casa, che può essere accompagnato da limiti o divieti alla facoltà del minorenne di comunicare con persone diverse da quelle che con lui coabitano o che lo assistono, o viceversa dall’autorizzazione a svolgere attività di studio o lavoro.
L’art. 231 c.p. prevede che, quando la persona sottoposta a libertà vigilata trasgredisce gli obblighi imposti, il giudice può trasformare la misura della libertà vigilata in quella del ricovero in riformatorio giudiziario. Pertanto se il minore viola gli obblighi impartiti, la libertà vigilata viene sostituita con la misura di sicurezza detentiva. La sostituzione può aversi solo in seguito a ripetute e gravi violazioni degli obblighi connessi alla libertà vigilata. Anche se non basta la ripetuta violazione delle prescrizioni, ma occorre che siano connotate dal requisito della gravità, mentre una sola grave violazione non può essere considerata presupposto sufficiente per sostituirla.
6. Il ricovero in riformatorio giudiziario
Il ricovero in riformatorio giudiziario è una misura di sicurezza speciale prevista esclusivamente per i minori socialmente pericolosi. Essa trova la sua disciplina negli artt. 223-227 c.p. ed è applicata sia ai minori socialmente pericolosi non imputabili e in tal caso si sostituisce alla pena, sia a quelli imputabili aggiungendosi alla pena e venendo eseguita dopo l’espiazione di questa. Inoltre a norma dell’art. 223 c.p. la misura del riformatorio giudiziario non può avere durata inferiore ad un anno.
Destinatari della misura sono:
a) i minori degli anni 14 e degli anni 18 riconosciuti non imputabili ma socialmente pericolosi, che abbiano commesso un delitto; in questo caso il riformatorio giudiziario è alternativo alla libertà vigilata; b) i minori degli anni 18, ma di età superiore a 14 anni, riconosciuti imputabili e come tali condannati a pena diminuita ai sensi dell'art. 98, comma 2, c.p.;
c) i minori degli anni 18 che siano stati dichiarati delinquenti abituali, professionali o per tendenza.
Con l’entrata in vigore dell’art. 31, l. 163 del 28 febbraio 1986 che ha eliminato la categoria della pericolosità presunta e sancito che tutte le misure di sicurezza personali sono ordinate previo accertamento che chi ha commesso il fatto è persona socialmente pericolosa, il riformatorio giudiziario (misura di sicurezza detentiva) non viene più automaticamente inflitto in base alla gravità del reato, ma è applicabile soltanto in seguito all’esame della pericolosità sociale dell’autore del fatto delittuoso. Inoltre, la sussistenza in concreto della pericolosità deve pertanto essere positivamente accertata, sia nel momento della sua applicazione, sia durante l’intera esecuzione della misura. In ogni caso la gravità del fatto rimane un criterio fondamentale per l’applicazione del riformatorio, posto che l’art. 36 c.p.p.min. stabilisce che tale misura di sicurezza è applicata soltanto in relazione ai delitti previsti dall’art. 23 c.p.p.min. ossia i reati per i quali è applicabile la custodia cautelare in carcere.
La durata minima è di un anno, elevata a tre anni per il caso in cui il minore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero per il caso in cui il delitto commesso del minore imputabile sia punito con la pena della reclusione non inferiore nel minimo a tre anni o con l'ergastolo.
La Corte Costituzionale con la sentenza n. 1 20 gennaio 1971 ha dichiarato la parziale illegittimità dell'art. 224, comma 2, c.p., nella parte in cui prevedeva come obbligatorio ed automatico per i minori degli anni 14 il ricovero per almeno tre anni in riformatorio, con ciò facendo cadere la presunzione della loro pericolosità.
La disciplina codicistica della misura in esame è stata profondamente innovata in senso più favorevole ai loro destinatari dal d.p.r. 448 del 1998, tanto che oggi la sua applicazione rappresenta un'eventualità del tutto eccezionale.
Nello specifico:
a) può essere disposta ove venga accertata la commissione da parte del minore di un delitto per il quale la legge
prevedea la reclusione non inferiore nel massimo a dodici anni;
b) quanto all’esecuzione della misura, l'art. 36 c.p.p.min. precisa che il riformatorio viene eseguito nelle forme dell’art. 22 del citato d.p.r. ossia in una comunità aperta, pubblica o autorizzata, con eventuale affiancamento di specifiche prescrizioni inerenti alle attività di studio o di lavoro ovvero ad altre attività utili all’educazione del minore;
c) l'applicazione è circoscritta nei limiti di cui all'art. 224 c.p. e in base all'art. 37 c.p.p.min. ai soli casi in cui per le specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità dell'imputato, sussiste il concreto pericolo che questi commetta delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro la sicurezza collettiva o l'ordine costituzionale ovvero gravi delitti di criminalità organizzata.
Prima dell’entrata in vigore del d.p.r. 448 del 1988, la misura del riformatorio giudiziario era eseguita in istituti facenti parte dei Centri di rieducazione per minorenni. Si trattava di luoghi simili agli stabilimenti penitenziari (c.d. prigioni scuola) con all’interno scuole, laboratori, attività sportive, con la differenza che la durata non era predeterminata essendo connessa alla
pericolosità del soggetto. Oggi, a seguito della citata sentenza della Corte Costituzionale n. 1 del 1971, che ha dichiarato l'illegittimità del comma 2 dell'art. 224, la misura del riformatorio è di applicazione sempre facoltativa.
La sussistenza in concreto della pericolosità deve essere positivamente accertata, non solo al momento della sua applicazione, ma durante l'intera esecuzione della misura.
Mentre secondo parte della dottrina (RICCIOTTI) la durata minima è sempre di un anno (salvo revoca anticipata per riesame della pericolosità sociale), per altria parte della dottrina (INGRASCI'), invece, anche dopo l'abrogazione delle presunzioni di pericolosità, gli elementi di disciplina contenuti nelle varie ipotesi presuntive continuano a trovare applicazione, per cui, nei confronti del minore non imputabile, ritenuto socialmente pericoloso, che abbia commesso un delitto non colposo punibile con l'ergastolo o con la reclusione non inferiore nel minimo a tre anni, qualora ricorrano le condizioni per applicare il riformatorio giudiziario,la misura va applicata con una durata minima di tre anni.
Il codice non dispone circa l'età minima al di sotto della quale il minore non può essere ricoverato in riformatorio, ma sulla base della comune esperienza si ritiene che prima dei 12/13 anni il bambino non abbia né autonomia né capacità di nuocere in misura sufficiente per sfuggire al controllo dei genitori. L'età massima per l'applicazione di questa misura di sicurezza, invece, è disciplinata dal comma 2 dell'art. 223 c.p., il quale stabilisce che, qualora tale misura debba essere, in tutto o in parte, applicata o eseguita dopo che il minore abbia compiuto gli anni diciotto, essa è sostituita la libertà vigilata, salvo che il giudice non ritenga di ordinare l'assegnazione a una colonia agricola o a una casa di lavoro.
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