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Pubbl. Mer, 13 Dic 2017

Abusi edilizi: la distanza minima tra edifici è inderogabile

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Virginia Galasso


Mediante la sentenza n. 4992 del 30 ottobre 2017, il Consiglio di Stato ha confermato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale i Comuni, in sede di formazione e revisione degli strumenti urbanistici, devono inderogabilmente attenersi alle previsioni di cui all’art. 9 D.M. 2 aprile 1968, n. 1444


Sommario: 1) La questione affrontata dal Tar Napoli; 2) La motivazione del Consiglio di Stato

1) La questione affrontata dal Tar Napoli.

I sigg. Pietropaolo e Pietropaolo - comproprietarie di un edificio sito in Maddaloni - impugnavano il permesso di costruire rilasciato su un lotto confinante alla sig.ra De Virgiliis dal Comune di Maddaloni. Il predetto permesso aveva ad oggetto la ristrutturazione - con ampliamento della parte residenziale - del fabbricato, la realizzazione di un nuovo corpo di fabbrica, l'abbassamento del solaio di copertura, la demolizione della copertura esistente, l'innalzamento delle pareti portanti, con previsione dell'utilizzo del cemento armato per le strutture di nuova edificazione.

In particolare, i ricorrenti lamentavano la violazione del D.M. n°1444/1968 nonché del piano regolatore del Comune di Maddaloni in relazione alla distanza tra i due fabbricati.

Si costituivano in giudizio il Comune di Maddaloni e la parte controinteressata chiedendo il rigetto del ricorso.

Orbene, i giudici di primo grado confermavano la violazione del citato D.M., per tali ragioni.

Gli interventi della legge sul piano casa erano consentiti su edifici residenziali ubicati in aree urbanizzate, nel rispetto delle distanze minime e delle altezze massime dei fabbricati di cui al decreto Ministeriale n°1444/1968. Nel caso di specie sarebbe stato violato l'art. 9, ultimo comma, dell’indicato decreto ministeriale poiché:

1) il fabbricato della parte ricorrente era alto 14,88 metri e presentava pareti finestrate, munite anche di balconi, sul fronte contrapposto all'edificio in corso di realizzazione che risultava inammissibilmente posizionato a “soli” 12,07 metri di distanza;

2) inoltre, l'edificio avversato risultava posizionato a 3,15 metri dal confine della parte ricorrente, in violazione dell'art. 9 del d.M. n°1444/1968 (che prevedeva la distanza minima di 10 metri fra gli edifici, comportando, per dato logico, l'obbligo di rispettare anche la distanza minima di 5 metri dal confine).

Veniva, inoltre, denunciata la violazione dell'art. 7 del richiamato d.M. n.1444/1968 (che prevedeva in zona A una densità fondiaria per le eventuali nuove costruzioni ammesse che, in base alla tipologia dell’intervento assentito, non poteva superare in ogni caso i 5 metri cubi a metro quadrato) in quanto l'indice fondiario risultante dal permesso di costruire assentito era pari a 7,30 metri cubi a metro quadrato, ben superiore ai 5 consentiti.

Infine, il piano regolatore generale del comune di Maddaloni prevedeva, per la zona A1, che il rapporto tra altezza del fabbricato e larghezza dello spazio pubblico o privato antistante fosse pari a 1, ma il permesso di costruire rilasciato prevedeva la sopraelevazione del corpo del fabbricato prospiciente Via Marconi, che raggiungeva un'altezza di oltre 11 metri: posto che la Via Marconi era larga circa 7 metri pertanto, l'altezza assentita superava la larghezza della strada, violando così il rapporto specificamente dettato dal Piano regolatore generale.

La censura si rivelava fondata in quanto i limiti posti alle distanze degli edifici dal comma in questione si dovevano applicare anche alla zona A e nelle stesse ipotesi previste dal n. 1 del primo comma dell’art. 9: ciò comportava che le distanze in questione si applicassero indipendentemente dalla presenza o meno di pareti finestrate, in quanto il punto n.1 del primo comma dell’art. 9 si riferiva alle distanze tra edifici senza altre specificazioni.

La distanza intercorrente con l’edificio vicino era minore dei 14,88 metri corrispondenti all’altezza del fabbricato della parte originaria ricorrente che risultava posizionato a 12,07 metri di distanza e non rilevava, a tal fine, la circostanza che la parete da cui era stata misurata la distanza fosse stata solo di recente dotata di aperture e che, quindi, non potesse essere considerata come parete finestrata.

I Giudici del Consiglio di Stato hanno confermato la violazione del D.M. 2 aprile 1968, n. 1444.

2) La motivazione del Consiglio di Stato

La questione sottoposta ai Giudici di Palazzo Spada richiede di stabilire se i limiti stabiliti dall’art. 9 del D.M. 1444/1968 (riguardanti la distanza minima da osservarsi tra edifici) sono limiti inderogabili, e dunque, trovano applicazione anche nel caso in cui le disposizioni del Prg comunale non prevedono limiti di distanze per le ristrutturazioni. 

Orbene, il collegio con la sentenza de qua conferma il costante orientamento giurisprudenziale secondo cui, le previsioni di cui all’art. 9 DM 1444/68 devono considerarsi assolutamente inderogabili da parte dei Comuni, i quali, devono attenersi ad esse sia in sede di formazione che revisione degli strumenti urbanistici.

Si è in presenza di una norma inderogabile posta a garanzia non tanto della riservatezza (tutelata dal codice civile) quanto piuttosto di esigenze collettive connesse all’igiene, alla sicurezza, la salubrità dei luoghi e la formazione di intercapedini dannose.

Ma vi è di più.

Traendo le norme del DM 1444/68 la propria efficacia dall’art. 41 quinquies, comma 8, L. 1150/42 – in tale parte non abrogato dal DPR 380/01 – le relative previsioni devono considerarsi avere una efficacia immediatamente precettiva e tale da potersi sostituire alle eventuali norme di piano regolatore ad esse non conformi.

Trattasi di presidi normativi che, all’evidenza, non sono dettati a tutela e salvaguardia di singole posizioni soggettive, ma nell’interesse generale della corretta pianificazione.

Orbene, la censura accolta dal T.a,r., denunciava la violazione dell’articolo 9, comma 1, n.2 e comma 3 del d.m. n. 1444/1968[1], poiché il progetto autorizzato avrebbe violato le distanze minime inderogabili.

Secondo tesi di parte appellante, nel caso di specie, i limiti di cui al citato art. 9 non troverebbero applicazione in quanto sia le disposizioni del Prg comunale che le disposizioni di legge regionale, attuative del c.d. Piano casa, non prevedono limiti di distanze in caso di ristrutturazioni.

Ebbene, il Collegio ha rigettato tale ultima considerazione evidenziando che, nel caso di specie, non trovano applicazione le deroghe contenute nell’art 9 e precisamente:

 - la deroga di cui al comma 3 dell’art 9 potrebbe essere ammessa soltanto nel caso di realizzazione contestuale di “gruppi di edifici”;
 - la dizione contenuta nel citato ultimo comma dell’art. 9 d.m. 1444/68 implica che alla deroga ivi menzionata possa accedersi soltanto laddove ricorra la compresenza di tutte e tre le condizioni contenute nel detto comma;
 - non sembra convincere neppure la ulteriore articolazione della censura, secondo cui vi sarebbe una assoluta assenza di limiti per le ristrutturazioni in zona A: il d.m. fa riferimento, ovviamente, al concetto “classico” di ristrutturazione  (senza ampliamento); il c.d. Piano-casa consente in ipotesi di ristrutturazione, un ampliamento fino al 20% della volumetria esistente, ma il piano casa non deroga ai limiti dell’art. 9 a più riprese richiamato, che, in quanto norma cogente ed inderogabile deve trovare attuazione piena.

Invero, la legge regionale consente un ampliamento fino al 20% della volumetria esistente soltanto in specifici casi e per particolari edifici.

La disposizione in parola, non soltanto non deroga al regime dell’art. 9 del d.M. n. 1444/1968, ma, anzi, ne presuppone il rispetto.

Nel caso che ci occupa, l’intervento prevede una trasformazione e ricostruzione dell’immobile, che induce a ritenere che non ci si trovi al cospetto di una ristrutturazione (l’immobile diviene oggettivamente diverso dal preesistente) ma di nuova costruzione, che come tale prevede in ogni caso il rispetto dei cogenti limiti di cui al d.m. citato.

L’art. 9 del d.m. nr. 1444/1968 non potrebbe trovare applicazione soltanto nelle ipotesi di intervento di demolizione e ricostruzione di edificio preesistente: ciò in quanto opera l’indirizzo giurisprudenziale in tema di deroghe alle distanze ex art. 9 secondo cui, l’intervento di recupero di un immobile già esistente può essere assimilato quello di demolizione e ricostruzione solo laddove siano mantenute in toto le medesime dimensioni esterne dell’edificio preesistente (cfr. Cons. Stato, sez. IV, 12 luglio 2002, nr. 3929).

In conclusione, i Giudici di palazzo Spada hanno integralmente respinto l’appello, stabilendo che ogni previsione regolamentare in contrasto con i limiti fissati dall’art. 9 del d.m. nr. 1444/1968 è illegittima e va annullata.

 

Note e riferimenti bibliografici

[1]  “le distanze minime tra fabbricati per le diverse zone territoriali omogenee sono stabilite come segue:

1) Zone A): per le operazioni di risanamento conservativo e per le eventuali ristrutturazioni, le distanze tra gli edifici non possono essere inferiori a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti, computati senza tener conto di costruzioni aggiuntive di epoca recente e prive di valore storico, artistico o ambientale;
2) Nuovi edifici ricadenti in altre zone: è prescritta in tutti i casi la distanza minima assoluta di m. 10 tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti;
3) Zone C): è altresì prescritta, tra pareti finestrate di edifici antistanti, la distanza minima pari all'altezza del fabbricato più alto; la norma si applica anche quando una sola parete sia finestrata, qualora gli edifici si fronteggino per uno sviluppo superiore a ml. 12.

Le distanze minime tra fabbricati - tra i quali siano interposte strade destinate al traffico dei veicoli (con esclusione della viabilità a fondo cieco al servizio di singoli edifici o di insediamenti) - debbono corrispondere alla larghezza della sede stradale maggiorata di:

- ml. 5 per lato, per strade di larghezza inferiore a ml. 7;
- ml. 7,50 per lato, per strade di larghezza compresa tra ml. 7 e ml. 15;
- ml. 10 per lato, per strade di larghezza superiore a ml. 15
.

Qualora le distanze tra fabbricati, come sopra computate, risultino inferiori all'altezza del fabbricato più alto, le distanze stesse sono maggiorate fino a raggiungere la misura corrispondente all'altezza stessa. Sono ammesse distanze inferiori a quelle indicate nei precedenti commi, nel caso di gruppi di edifici che formino oggetto di piani particolareggiati o lottizzazioni convenzionate con previsioni planovolumetriche.