Imposta di successione e passaggio generazionale: brevi considerazioni sul trust
Modifica paginaL’imposta di successione e di donazione (un´endiadi ontologicamente inscindibile) ha subìto un articolato percorso evolutivo, essa interagisce con forza nel contesto del passaggio generazionale, in particolare con riguardo alla disciplina relativa ai vincoli di destinazione e, tra questi, l´istituto del Trust ha suscitato alcune perplessità.
Sommario: Introduzione; 1. L’imposta di successione ieri ed oggi; 2. Caratteristiche principali: ambito di applicazione; 3. Soggetti tenuti al pagamento dell’imposta; 4. La composizione dell’asse ereditario; 5. Territorialità dell’imposta; 6. La base imponibile; 7. Criteri per l’applicazione dell’imposta: aliquote e franchigie; 8. L’imposta sulla costituzione dei vincoli di destinazione, l’ipotesi del Trust; 9. Conclusioni.
Introduzione.
Il tema della protezione1 e trasmissione2 del patrimonio imprenditoriale, ha assunto di recente un ruolo di rilievo a seguito, da un lato, dell’introduzione e dell’evoluzione negli ultimi anni di nuovi istituti3 volti a disciplinare i relativi aspetti civilistici e fiscali e, dall’altro, di nuovi utilizzi di strumenti tipici già presenti all’interno dell’ordinamento (da soli o in combinazione tra loro) al fine di ottenere il miglior risultato possibile in termini di protezione delle risorse.
Gli strumenti utilizzabili per realizzare una futura pianificazione del patrimonio in funzione del passaggio generazionale sono molteplici e differenti, ciascuno di essi caratterizzato da implicazioni proprie di carattere giuridico e fiscale e da un diverso grado di fruibilità, a seconda delle esigenze e degli obbiettivi perseguiti4.
Ne deriva che ad oggi il fenomeno successorio rappresenta semplicemente uno dei molti strumenti5 utilizzabili per la realizzazione di effetti trasmissivi del patrimonio imprenditoriale, pertanto lo stesso, in presenza di limitazioni6 proprie e della nascita ed evoluzione di nuovi istituti deve necessariamente trovare un adeguato coordinamento, in termini di valutazioni ed opportunità, in ordine ai relativi profili fiscali e giuridici, da cui possono derivare dubbi e criticità.
1. L’imposta di successione, ieri ed oggi.
La disciplina dell’imposta sui trasferimenti mortis causa ha subìto un complesso ed articolato processo evolutivo caratterizzato da numerose e radicali modifiche.
Si ritiene che storicamente7 nel sistema tributario italiano la fiscalità attinente le vicende successorie fossero ab origine geneticamente interconnessa con le liberalità inter vivos secondo una strutturata incentrata sulla ratio del trasferimento di ricchezza, il principale indice dal quale poter desumere la presenza di un ragionevole incremento patrimoniale oggetto di prelievo fiscale.
Al fine di poter evidenziare nel modo più completo possibile le principali caratteristiche del tributo in esame, in relazione alla prospettiva tracciata in seno al fenomeno del passaggio generazionale, si ritiene opportuno indicare qualche breve cenno in merito alla relativa evoluzione storico-giuridica.
In origine l’imposizione a titolo di successione risultava strettamente connessa con l’imposizione degli atti tra vivi, in particolare nell’ambito del tributo di registro in quanto i trasferimenti di ricchezza sia inter vivos che mortis causa erano entrambi regolamentati dalla medesima normativa8.
La prima disposizione che si occupò di regolamentare il fenomeno fu la Legge n. 585 del 21 aprile 1862 la quale prevedeva un’imposta di successione (al pari di quella di donazione) con un’aliquota variabile in relazione ai gradi di parentela. La norma stabiliva, inoltre, che il relativo versamento doveva essere effettuato direttamente al momento della “denuncia”9.
Agli inizi del Novecento, con l’emanazione della Legge n. 25 del 23 gennaio 1902, furono introdotte aliquote progressive per scaglioni sui trasferimenti mortis causa: le aliquote continuavano ad applicarsi alle singole quote ereditarie tuttavia potevano variare a seconda dei gradi di parentela ed aumentavano in modo progressivo10 in relazione all’aumento del patrimonio ereditato.
Il sopra-citato assetto unitario comprensivo della regolamentazione degli atti di trasferimento inter vivos e mortis causa sopravvisse a lungo e, solo nel 1923, con l’approvazione del R.D. 30 dicembre n. 3270, fu emanato il primo testo unico sulle imposte di successione, sancendo in tal modo anche da un punto di vista formale la sussistenza di due distinti istituti tributari, ancorchè geneticamente interconnessi tra loro. L’imposta di successione colpiva l’ammontare del patrimonio ereditario netto che si trovava nel Regno d’Italia al momento dell’apertura della successione, comprensivo di ogni tipologia di traslazione del diritto di proprietà e diritti reali di godimento, indipendentemente dal luogo di morte del de cuius e dalla propria cittadinanza.
Le liberalità inter vivos invece, pur se assoggettate alle medesime aliquote, venivano regolamentate nell’ambito delle norme sull’imposta di registro.
Agli effetti dell’applicazione della tassa, il patrimonio imponibile, comprensivo di beni mobili ed immobili, veniva ripartito in scaglioni i quali a loro volta erano soggetti ad aliquote progressive e differenti che aumentavano con proporzionalità inversa rispetto al legame di parentela (ovverosia, al minore legame di parentela corrispondeva una maggiore aliquota, entro il limite minimo del 1% e massimo del 50%).
La genesi comune alle due imposte (di successione e di donazione) rappresenta un chiaro segnale della volontà del legislatore dell’epoca di sottoporre a prelievo tutti gli atti inter vivos e mortis causa che rappresentassero un indice di capacità contributiva mediante il quali si determinava un trasferimento di ricchezza da un soggetto ad un altro.
Nel 1942, con il R.D. 4 maggio n. 434, venne introdotta l’imposta globale sull’asse ereditario, la quale integrava la già esistente imposta sulle singole quote determinando una ulteriore diversificazione del regime fiscale delle successioni.
Si trattava della c.d. “imposta sul morto11” la quale veniva applicata sull’intero asse ereditario netto prima della successiva suddivisione per singole quote.
Questa peculiare tassazione aveva un carattere autonomo rispetto alla precedente imposta sulle successioni e, pertanto, determinò in primo luogo una innegabile sovrapposizione tra le due tassazioni con un generale ed inevitabile incremento della pressione fiscale.
Si trattava in definitiva di prelievi effettuati su una duplice base imponibile: da un lato venivano incise le singole quote ereditarie e dall’altro l’asse ereditario globale.
E’ stato affermato12 che tale imposta, considerato il contesto storico in cui versava l’Italia nel periodo in cui fu emanata la normativa in parola (seconda guerra mondiale) sarebbe stata introdotta, principalmente per esigenze finanziare legate alla necessità di un maggiore (e costante) gettito fiscale in relazione agli ingenti costi della guerra, cui conseguiva un necessario aumento della tassazione. Tuttavia, terminato il periodo storico che avrebbe potuto eventualmente giustificare un simile impianto fiscale risulta difficile da comprendere la ragione per la quale lo stesso tributo sia successivamente rimasto in vigore per decenni. Non sono mancate sul punto critiche e contestazioni: l’irrazionalità del concorso tra “l’imposta sul morto” e l’originario tributo successorio fu ampiamente sottolineata in dottrina e diede luogo anche ad eccezioni di legittimità costituzionale le quali, tuttavia, furono sistematicamente rigettate dalla Corte in virtù dell’autonomia strutturale dei due tributi e della differente natura “reale” dell’imposta globale connessa ad un indice di capacità contributiva oggettivamente rilevante e del tutto distinto dal mero incremento patrimoniale degli eredi13.
Si sottolinea che l’imposta globale sull’asse ereditario è rimasta, nonostante le modifiche susseguitesi, in vigore fino alla riforma del 2000.
Infatti, solo con l’ art. 69 della Legge 342/2000 venne definitivamente eliminata la coesistenza delle due tassazioni, ridefinendo un’unica tassazione per successione mortis causa a carico delle singole quote ereditarie, riducendo sensibilmente le aliquote, aumentando le soglie previste a titolo di franchigia per ciascun erede ed abolendo la progressività per scaglioni14.
La riforma del 1971-1972, ha realizzato un cambiamento radicale nel campo delle imposte indirette. Oltre alla parallela introduzione nel sistema tributario dell’IVA quale principale imposta indiretta, ha delineato un nuovo sistema di imposizione delle successioni mortis causa: con il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 637 vennero infatti definitivamente unificate in un testo unico le disposizioni relative alle successioni ed alle donazioni15.
Con tale riforma venne attuato un sostanziale riassetto dell’imposta indiretta in esame, in particolare, in relazione a profili di tipo sostanziale oltre che a peculiari aspetti di utilizzabilità in ambito processuale.
Poiché il criterio di riferimento dell’intera disciplina IVA era rappresentato dall’esclusività dell’imposta la stessa necessitava di un coordinamento con le altre imposte indirette al fine di dare attuazione al generale principio del divieto di doppia imposizione. Pertanto, le vicende successorie che individuavano i presupposti per sottoporre a tassazione indiretta determinati beni non potevano essere gravati da altre imposte indirette, e viceversa. In definitiva il rapporto tra l’IVA e le altre imposte indirette risultava essere di reciproca esclusione o di alternatività.
Questo specifico rapporto determina, coerentemente, una sostanziale omogeneità da un punto di vista fiscale tra tutte le fattispecie potenzialmente soggette alla prima ovvero alla seconda imposta. Il carattere comune emergente tra le operazioni imponibili IVA e quelle relative ai trasferimenti di ricchezza mortis causa è dato dalla rilevanza economica delle singole vicende valutate, rispettivamente, come attività economica indirizzata nei confronti del mercato e, dunque produttrice di beni o servizi, ovvero come mero autonomo incremento del patrimonio dei soggetti passivi.
Una peculiare differenziazione ancora oggi presente nel nostro ordinamento è quella relativa alla funzione assegnata alla imposta di registro (in misura fissa) da un lato ed all’imposta sulle successioni (in misura variabile) dall’altro.
La prima può essere considerata come un’“imposta sull’atto” in quanto assume quale presupposto impositivo qualsiasi modificazione patrimoniale prodotta da atti giuridici16 ed, in particolare, qualsiasi variazione di tipo “qualitativo” del patrimonio17
La seconda invece trova la propria giustificazione a partire da modificazioni “quantitative” attinenti al valore “netto” del patrimonio.
Ne deriva che la corresponsione di un’imposta in misura fissa trova la propria giustificazione logico-giuridica nell’espletamento di un servizio amministrativo.
Per contro, l’applicazione di un’imposta in misura variabile risulta dovuta in ragione della stipulazione di un atto il quale deve essere presuntivamente considerato come un fatto giuridico indice di capacità contributiva18.
Nel contesto della riforma il tributo successorio si caratterizzava come (duplice) forma di imposizione degli incrementi patrimoniali (restava in vigore sia l’imposta globale che quella sui singoli lasciti, ma con distinte aliquote) mentre l’imposta di registro come prelievo (singolo) con riguardo a qualsiasi modificazione patrimoniale derivante da atti giuridici.
Infine, un’ulteriore novità era rappresentata dalla eliminazione dei c.d. “impedimenti fiscali” alla tutela giurisdizionale dei diritti. Si tratta della disciplina introdotta per la prima volta con l’art. 63 del DPR 634 del 1972 il quale ha soppresso il precedente divieto di utilizzazione in giudizio19 degli atti non registrati. La norma ha introdotto uno specifico obbligo di registrazione dell’atto, derivante dall’attività effettuata in sede giurisdizionale in caso di utilizzabilità di un atto di cui emerga solo in tale sede la mancata registrazione e, conseguentemente, i relativi inadempimenti fiscali.
In tal caso risulta doveroso da parte del cancelliere competente inviare d’ufficio l’atto non registrato presso l’ufficio del registro. L’inadempimento tributario rilevato in occasione del giudizio infatti non può mai precludere o essere comunque di ostacolo al corretto svolgimento ed alla conclusione dell’attività giurisdizionale trattandosi di una mera irregolarità fiscale20.
Un ulteriore punto di riferimento all’interno del breve excursus legislativo qui tracciato è rappresentato dal successivo Testo Unico approvato con D.Lgs. 346 del 31 ottobre 1990. Sebbene sia stato oggetto di numerose modifiche esso rappresenta ad oggi il principale testo normativo di riferimento in materia di disposizioni fiscali in tema di successioni e donazoni21.
Un elemento di novità contenuto nella riforma è rappresentato dal definitivo superamento di ogni questione relativa al momento in cui far insorgere la pretesa fiscale da parte dello Stato: se all’atto dell’apertura della successione ovvero al momento dell’acquisto dell’eredità.
Secondo espressa previsione normativa (ex art. 28 cit.) gli obblighi formali previsti a carico degli eredi decorrono dalla data di apertura della successione (data che coincide con la morte22 del de cuius) solamente per gli eredi che si trovino rispettivamente nella peculiare posizione di non aver rinunziato tempestivamente all’eredità e di essere già in possesso dei beni ereditari23 ovvero nell’ipotesi di assenza di possesso dei beni ereditari ed inerzia nella richiesta della nomina di un curatore dell’eredità ex art. 528 c.c.24
Per tutti gli altri chiamati invece, il termine decorreva dalla semplice accettazione.
I principali soggetti passivi dell’obbligazione sono gli eredi25 mentre i soggetti chiamati in assenza di un atto di accettazione dell’eredità e tutti gli altri soggetti co-obbligati ad effettuare la dichiarazione (con esclusione per i legatari) rispondono dell’imposta solo nel limite del valore della quota ereditaria.
In definitiva è stato riconosciuto un rilievo determinante ai fini dell’individuazione della fattispecie imponibile alla disciplina civilistica dell’acquisto dell’eredità.
In tale prospettiva deve essere effettuata una valutazione specifica sull’effettivo incremento patrimoniale anziché un generale computo relativo all’intero asse ereditario26.
A distanza di un anno dalla la citata riforma del 2000 il legislatore con l’art. 13 della Legge 18.10.2001 n. 383 abolì l’imposta di successione con effetto per tutte le successioni aperte decorrenti dalla data del 25 ottobre 2001.
E’ stato evidenziato27 che di tale riforma poterono beneficiare solo le eredità che rappresentavano una certa consistenza patrimoniale, ovverosia quelle che complessivamente consistevano in un valore complessivo superiore ai 350 milioni di Lire, valore equivalente alla franchigia applicabile all’imposta di successione prima della sua abolizione.
Pertanto nulla cambiò per coloro i quali avevano ereditato un patrimonio inferiore.
Si sottolinea che qualora all’interno dell’asse ereditario fossero caduti in successione beni immobili ovvero dei diritti reali di godimento su beni immobili, residuava in capo agli eredi l’obbligo di presentare la dichiarazione di successione28.
Inoltre, per ovvie ragioni in precedenza accennate, nonostante fosse stata abolita l’imposta di successione, erano infatti comunque dovute tutte le altre imposte (fisse) di natura reale quali l’imposta ipotecaria, catastale e l’imposta di registro.
L’imposta di successione fu tuttavia reintrodotta con il D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 ed altre disposizioni di coordinamento29.
Da un punto di vista cronologico, la riforma abolitrice dell’imposta ha interessato un arco temporale intercorrente tra il 25 ottobre 2001 ed il 2 ottobre 2006, mentre per tutte le successioni aperte dal 3 ottobre 2006 in avanti si applicano le disposizioni contenute nella successiva normativa di reintroduzione del tributo, la Legge n. 286 del 2006 e ss. mod., la quale a sua volta rinvia, nei limiti della compatibilità, al citato Testo Unico del 199030.
In conclusione, i principali punti oggetto della riforma che meritano di essere posti in evidenza, in quanto rappresentativi di alcuni aspetti peculiari del tributo ancora ad oggi in vigore31, risultano: aver apportato alcune significanti novità al sistema di tassazione di tipo proporzionale con aliquote da variabili a fisse e relative franchigie, aver annoverato tra gli atti sottoponibili a tassazione anche i vincoli di destinazione32 di cui in seguito verranno evidenziati alcuni aspetti peculiari, fondamentali per la disciplina del passaggio generazionale, aver reintrodotto in modo quasi inalterato l’impianto normativo antecedente al 2001 ed, infine, aver stabilito una disciplina di coordinamento delle imposte sulle donazioni33 la quale tuttavia pare aver creato alcune problematiche applicative di diritto intertemporale34.
Infine, a seguito delle recenti modifiche introdotte dall’art. 11, comma 1, lett. a) del D.lgs 175/2014 è stato previsto un obbligo relativo di presentazione della dichiarazione di successione, il quale può essere escluso qualora l’eredità sia devoluta nei confronti del coniuge ed ai parenti in linea retta del de cuius e l’attivo ereditario abbia un valore non superiore ad Euro 100.000 non ricomprendendo nell’asse ereditario beni immobili o diritti reali su beni immobili35.
2. Caratteristiche principali: ambito di applicazione.
Il comma primo dell’articolo 1 del Testo Unico definisce, circoscrivendo i caratteri, l’oggetto dell’imposta sulle successioni e donazioni, stabilendo da un punto di vista generale che l’imposta si applica alle seguenti differenti fattispecie:
a) - “ai trasferimenti di beni e diritti per successione a causa di morte
b) - ai trasferimenti di beni e diritti per donazione36
(escluse le erogazioni liberali effettuate per spese di mantenimento e di educazione e quelle sostenute per malattia, quelle ordinarie, per abbigliamento o per nozze e le donazioni di modico valore) ;
c) - ai trasferimenti di beni e diritti per altra liberalità37 tra vivi”
(in particolare, le liberalità indirette38 risultanti da atti soggetti a registrazione)
d) - sulla costituzione di vincoli di destinazione39
(ad esempio la costituzione di un trust, di un fondo patrimoniale, la stipula di un negozio fiduciario di cui “prevalentemente si avvalgono le società fiduciarie disciplinate dalla Legge 23.11.1939 n. 1966”).
Il successivo comma secondo, specificando per aggiunta, equipara ai trasferimenti di cui al precedente comma :
- “la costituzione di diritti reali di godimento;
- la rinunzia a diritti reali o di credito;
- la costituzione di rendite o pensioni”[…].
La reintroduzione dell’imposta ha comportato sostanziali novità in particolare con riferimento alla definizione del presupposto oggettivo dell’imposta (ampliato nei confronti delle fattispecie di costituzione dei vincoli di destinazione) ed all’articolato sistema delle franchigie (le quali vengono differenziate in relazione al rapporto di coniugo, di parentela o di affinità intercorrente tra il beneficiario ed il dante causa).
Con riguardo all’ambito di applicazione, l’imposta è efficace in presenza di vari negozi giuridici a titolo gratuito, inter vivos ovvero mortis causa con effetti traslativi della proprietà di beni o con effetti costitutivi di diritti reali o in caso di rinunzia a diritti reali o di credito ed in caso di di costituzione di rendite o pensioni.
Pertanto, vengono ricompresi nel relativo campo di applicazione dell’imposta anche gli atti attraverso il quale il titolare di un diritto reale di godimento su un bene immobile rinuncia a titolo gratuito al proprio diritto in favore del titolare della nuda proprietà.
E’ necessario sottolineare che rispetto alla disciplina previgente il legislatore ha incluso nel campo di applicazione dell’imposta la fattispecie degli “atti gratuiti non donativi” in ordine alla quale l’Agenzia delle Entrate con Circ. n. 3/2008 ha avuto occasione dare un’interpretazione dell’istituto in parola40.
La stessa amministrazione finanziaria chiamata ad interpretare il complesso articolato normativo, ha precisato che le donazioni e le liberalità costituiscono una species del più ampio genus degli “atti a titolo gratuito” e, in quanto tali, questi sono comunque assoggettati all’imposta41.
Tra questi ultimi, secondo la medesima interpretazione, vengono considerati invece estranei all’imposta gli “atti tra vivi a titolo gratuito con effetti meramente obbligatori” (dunque gli atti con effetti relativi o in personam tra le parti e non viceversa in rem) ovverosia quegli atti che non trasferiscono la proprietà beni mobili o immobili né costituiscono diritti reali sugli stessi, come avviene per esempio nelle ipotesi del comodato o del deposito gratuito.
3. Soggetti tenuti al pagamento dell’imposta.
I soggetti passivi dell’imposta sono indicati schematicamente nel comma primo dell’ art. 5 del TUS secondo il quale: “l’imposta è dovuta dagli eredi e dai legatari per le successioni, dai donatari per le donazioni e dai beneficiari per le altre liberalità tra vivi42.” Tale norma risulta di fondamentale importanza in quanto individua preliminarmente tutti i soggetti (o i gruppi di soggetti) sui quali ricadono i rispettivi oneri e diritti secondo l’articolata disciplina ex art. 36 TUS43 individuando, inoltre, eventuali ulteriori adempimenti cui gli stessi sono tenuti ad effettuare, primo tra tutti quello della presentazione della dichiarazione di successione ex art. 28 TUS.
Sulla base di ciò la recente dottrina suole distinguere tra soggetti obbligati a presentare la dichiarazione di successione e soggetti obbligati a pagare l’imposta, senza porre limitazioni tra i due gruppi, nel senso che i primi possono essere comunque tenuti a doveri appartenenti ai secondi e viceversa.
Infatti i chiamati all’eredità secondo la disciplina civilistica risultano in ogni caso obbligati a presentare la dichiarazione di successione e, del pari, sono altresì obbligati a a pagare l’imposta a condizione: che siano già nel possesso del beni ereditari e nel limite del valore dei beni posseduti.
Identica alla posizione dei chiamati è la posizione degli altri soggetti obbligati a presentare la dichiarazione.
Tra questi tuttavia vi possono essere soggetti che hanno obblighi limitati, per esempio i legatari sono obbligati a presentare la dichiarazione di successione ma obbligati a pagare la relativa imposta solo nel limite del valore che grava sul legato conferito.
In definitiva solo gli eredi risultano essere obbligati in modo pieno44, come di seguito meglio specificato.
4. La composizione dell’asse ereditario.
Al fine di determinare con certezza su quale base imponibile ed in che misura effettuare il prelievo fiscale previsto dalla norma in esame è necessario individuare anzitutto la composizione dell’asse ereditario ovverosia quali beni e quali diritti fanno parte di quell’universalità di beni compositi che forma l’eredità45.
Il nostro ordinamento stabilisce una netta distinzione tra “asse ereditario” di natura civilistica ed “attivo ereditario” di natura tributaria, pertanto, non tutto ciò che rientra nel primo gruppo può far parte del secondo e viceversa46.
In termini generali, ai fini dell’applicazione dell’imposta di successione la base imponibile detta anche impropriamente “asse ereditario47” si ottiene calcolando l’attivo ereditario (tenendo in considerazione le esclusioni) al netto delle passività deducibili, il tutto maggiorato del valore attuale delle donazioni pregresse fatte dal de cuius quando era in vita e del 10% del valore dell’asse ereditario tributario, considerata presuntivamente come cifra forfettaria equivalente al valore dei beni mobili (salvo prova contraria).
L’attivo ereditario così come indicato espressamente nel comma primo dell’art. 9 TUS è costituito da tutti i beni e diritti che formano oggetto della successione ad esclusione di quelli non soggetti ad imposta a norma degli artt. 2, 3, 12 e 13 TUS.
Questi ultimi, nel dettaglio riguardano beni e diritti non riferibili al territorio dello Stato per assenza dell’elemento oggettivo o soggettivo.
5. Territorialità dell’imposta.
La legge, ex art. 2 TUS distingue tra soggetti residenti e soggetti non residenti: in caso di morte di un soggetto residente nel territorio dello Stato “l’imposta è dovuta in relazione a tutti i beni e diritti trasferiti, ancorchè esistenti all’estero”.
Se alla data di apertura della successione il de cuius è residente all’estero, l’imposta è dovuta soltanto sui beni esistenti in Italia. Il patrimonio da sottoporre a tassazione viene individuato in modo differenziato a seconda che questi, al momento della morte fosse o meno residente nel territorio dello Stato48.
In definitiva l’imposta di successione risulta informata al principio di territorialità (luogo in cui sono presenti i beni ereditari) contemperato da un criterio di tipo soggettivo (la residenza del de cuius)49.
6. La base imponibile.
Come accennato, a seguito di successione mortis causa gli eredi e/o i legatari del de cuius sono soggetti all’imposta di successione in relazione ai beni ed ai diritti ed essi devoluti. Ad oggi questa particolare imposizione fiscale colpisce direttamente le attribuzioni determinate in capo ai singoli eredi e/o legatari.
La stessa si applica mediante regole proprie, con esclusioni e limitazioni.
La base imponibile è costituita dal valore complessivo netto dei beni devoluti a ciascun beneficiario (erede o legatario), considerando le relative franchigie.
Il valore netto di ciascuna quota si ottiene sottraendo al valore dell’attivo le passività e gli oneri deducibili.
Si considerano compresi nell’attivo ereditario il danaro, i gioielli ed altri beni mobili per un importo pari al 10% del valore globale netto dell’asse ereditario anche se non dichiarati o dichiarati per un importo inferiore, salvo prova contraria, mediante redazione di inventario analitico.
Le partecipazioni in società si considerano sempre ricomprese nell’attivo ereditario50.
Sul punto51, più dettagliatamente, gli artt. 9 ed 11 TUS prevedono, salvo prova contraria, alcune ulteriori presunzioni di appartenenza all’attivo ereditario in ordine ad una serie di beni, quali:
- i titoli di qualsiasi genere e specie il cui reddito sia stato indicato nell’ultima dichiarazione dei redditi presentata dal de cuius ;
- le azioni ed i titoli nominativi intestati al defunto, alienati anteriormente all’apertura della successione con atto autentico o con girata autenticata;
- i beni mobili ed i titoli al portatore di qualsiasi specie posseduti dal defunto o depositati presso terzi a suo nome;
- le partecipazioni in società di ogni tipo.
Infine, vengono considerati all’interno dell’asse ereditario tutti i beni precedentemente indicati dalla norma ancorché sottoposti ad un regime di proprietà in comune al momento della successione (con riferimento ai quali troverà applicazione l’ordinaria disciplina civilistica sulla comunione in relazione al singolo istituto ad essi sotteso: ad esempio comunione legale dei coniugi, comproprietà etc…).
Il legislatore ha dettato regole specifiche per la valutazione dei beni ereditari, in particolare distinguendo sotto il profilo oggettivo, rispettivamente tra: beni immobili ed altri diritti reali immobiliari, aziende, navi ed aeromobili, azioni obbligazioni, altri titoli in quote sociali, rendite e pensioni, crediti ed altri beni.
In estrema sintesi, la base imponibile per gli immobili è determinata dal valore venale in comune commercio alla data di apertura della successione, tuttavia, il valore dichiarato non può essere rettificato quando sia stato correttamente individuato in base al reddito catastale52.
E’ invece sempre rettificabile il valore dichiarato dei terreni edificabili.
Per le aziende la base imponibile (con esclusione del valore dell’avviamento ex art. 8 comma 1-bis TUS) è data dal valore complessivo dei beni e dei diritti che ne fanno parte, al netto delle passività tenendo presente che qualora vi fosse l’obbligo di tenuta delle scritture contabili si avrà riguardo alle attività e passività indicate nell’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato.
La base imponibile relativa ad azioni, obbligazioni, quote sociale ed altri titoli è determinata nel seguente modo:
- per i titoli quotati in borsa o comunque negoziati si avrà riguardo alla media dei prezzi di compenso o dei prezzi dell’ultimo trimestre anteriore all’apertura della successione;
- per le azioni e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti differenti dalle società non quotate o in borsa o comunque non negoziate, nonché per le quote di società non azionarie, si avrà riguardo al valore determinabile in proporzione alla quota posseduta alla data di apertura della successione del patrimonio netto dell’ente o della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto o vidimato . In mancanza di bilancio si avrà come riferimento il valore complessivo dei beni e dei diritti della società o ente, al netto delle passività53.
Come accennato, la base imponibile dell’imposta è rappresentata dal patrimonio netto, valutato in ordine ad ogni singola quota devoluta.
Per il calcolo dell’asse ereditario tributario dunque è necessario:
- tenere conto della disciplina delle esclusioni ex art. 3 TUS;
- tenere conto delle passività deducibili ex artt. 21 – 24 TUS.
Per quanto riguarda questa ultima voce, l’ art. 20 TUS definisce le passività deducibili come “costituite dai debiti del defunto esistenti alla data di apertura della successione e dalle spese mediche e funerarie indicate nell’art. 24 TUS. La deduzione è ammessa alle condizioni e nei limiti di cui agli artt. 21 – 24 TUS.”
Inoltre, si sottolinea che ogni passività deve risultare dimostrabile54 da atto scritto55 .
La disciplina dei casi di esclusione dall’applicabilità dell’imposta è contenuta nell’art. 3 del testo unico “trasferimenti non soggetti all’imposta” e può essere suddivisa in: casi di esclusione di tipo soggettivo e casi di esclusione di tipo oggettivo.
Preliminarmente è necessario sottolineare che la disciplina in parola ricomprende un aspetto peculiare di notevole importanza con particolare riferimento a quei beni che tipicamente devono essere considerati nel fenomeno della successione imprenditoriale, come l’azienda e le quote di partecipazione societaria. Infatti, è stata prevista l’esclusione dall’ambito di applicazione dell’agevolazione di quei beni che, per loro natura, non permettono di attuare il passaggio generazionale (ad es. titoli obbligazionari, immobili…).
Più in dettaglio, da un punto di vista soggettivo, non risultano soggetti all’imposta i trasferimenti effettuati in favore dei seguenti soggetti:
- Stato, regioni, province, comuni ed Enti pubblici;
- cooperative sociali ed Onlus;
- fondazioni ed associazioni legalmente riconosciute
(che hanno quale scopo esclusivo, l’assistenza, lo studio, la ricerca scientifica, l’educazione, l’istruzione o altre finalità di pubblica utilità);
- fondazioni od associazioni legalmente riconosciute a prescindere dal proprio scopo (purché il trasferimento sia disposto per le medesime finalità di cui al punto precedente)56.
- movimenti e partiti politici.
Da un punto di vista oggettivo la disciplina delle esclusioni dall’applicazione dell’imposta che maggiormente riguarda la questione in esame è contenuta nell’art. 3 comma 4-ter del TUS, secondo il quale non sono soggetti all’imposta:
- i trasferimenti gratuiti effettuati anche mediante patti di famiglia di cui agli artt. 768-bis e ss. c.c.57 a favore dei discendenti e del coniuge aventi ad oggetto aziende o rami di esse, quote sociali o azioni, specificando che, qualora le quote sociali o le azioni oggetto di trasferimento riguardino società di capitali residenti nel territorio dello Stato di cui all’art. 73, 1, lett-a del TUIR58. L’applicazione di tale particolare regime fiscale di esclusione è subordinata alla duplice condizione secondo cui:
- il possesso maggioritario delle partecipazioni consenta al beneficiario di acquisire o integrare il controllo ex art. 2356, 1 n. 1 c.c. della società attraverso la maggioranza dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
- gli aventi causa che proseguano l’esercizio dell’attività di impresa o detengano il controllo per un periodo non inferiore a cinque anni dalla data del trasferimento rendendo contestualmente alla presentazione della dichiarazione di successione o all’atto di donazione, apposita dichiarazione59.
Viceversa, a contrario, è stato sottolineato che non sarebbero previste le medesime limitazioni con riguardo alle società di persone e società ed Enti di ogni tipo non residenti nel territorio nazionale, riguardo ai quali si deve ritenere che in tali ipotesi il regime di esonero in parola possa operare anche quando le partecipazioni trasferite non attribuiscano in capo all’avente causa una posizione di maggioranza60.
Una particolare ipotesi di esclusione dall’applicazione del tributo in parola è stata prevista ex art. 8 comma 1-bis del TUS con riguardo al calcolo della base imponibile, dal quale deve essere escluso il valore dei beni rappresentativi dell’ avviamento dell’azienda ovvero di partecipazioni azionarie o di quote di società61.
Tale esclusione, ai fini della determinazione della base imponibile è estesa per relationem altresì alle donazioni, agli altri atti a titolo gratuito ed alla costituzione di vincoli di destinazione, ma solo al fine di evitare una doppia imposizione sul medesimo presupposto62.
In definitiva, è stato recentemente evidenziato ex art. 12 TUS un elenco dettagliato di beni esclusi dall’attivo ereditario, dunque esclusi su base oggettiva dal computo della base imponibile ai fini dell’applicazione dell’imposta di successione, quali:
- Le assicurazioni sulla vita stipulate dal defunto;
- Beni ed i diritti iscritti a nome del defunto in pubblici registri, qualora sia provato mediante provvedimento giurisdizionale, atto pubblico, scrittura privata autenticata o altra scrittura avente data certa, che egli ne abbia perso la titolarità;
- Azioni o titoli nominativi intestati al defunto, qualora sia provata la loro alienazione;
- Veicoli iscritti nel pubblico registro automobilistico;
- Indennità per cessazione del rapporto di agenzia;
- Indennità di mancato preavviso ed indennità di fine rapporto (TFR);
- Le indennità spettanti agli eredi in forza di assicurazioni previdenziali;
- Crediti contestati giudizialmente sino a quando la loro sussistenza non sia riconosciuta con provvedimento giurisdizionale o con transazione;
- Crediti verso lo Stato, gli enti pubblici territoriali e gli enti pubblici che gestiscono forme di assistenza previdenziale;
- Crediti ceduti allo Stato entro la data di presentazione della dichiarazione di successione;
- I beni culturali vincolati di interesse storico ed artistico;
- I titoli del debito pubblico, altri titoli di Stato, garantiti dalo Stato o equiparati, ivi compresi i titoli del debito pubblico emessi da Stati UE / SEE;
- I titoli di Stato emessi da enti o organismi internazionali costituiti in base ad accordi resi esecutivi in Italia cui si applicano le disposizioni ex art. 12, comma 13-bis del D.lgs 461/1997;
- Ogni altro bene o diritto che la Legge dichiari esente63.
Si aggiunge infine, ribadendo per completezza, che ex comma 1-bis dell’art. 8 TUS dal calcolo della base imponibile deve essere escluso il valore relativo all’avviamento dell’azienda, delle partecipazioni azionarie e delle quote di società e che tale previsione è stata estesa alla disciplina alle donazioni, agli altri atti a titolo gratuito ed alla costituzione di vincoli di destinazione.
7. Criteri per l’applicazione dell’imposta : aliquote e franchigie.
A seguito delle varie riforme succedutesi nel tempo, ad oggi, il legislatore ha previsto un sistema di tassazione composto da tre differenti aliquote, ciascuna delle quali applicabili al valore netto della quota o dei beni devoluti a ciascun soggetto beneficiario. Le relative differenziazioni attengono al grado di parentela o di affinità intercorrente tra il beneficiario ed il proprio dante causa:
- 4% per il coniuge ed i parenti in linea retta, da calcolare sul solo valore eccedente, per ciascun erede, della somma pari ad Euro 1.000.000 ;
- 6% per fratelli e sorelle, da calcolare sul valore eccedente, per ciascun erede, della somma pari ad Euro 100.000 ;
- 6% da calcolare sul valore netto totale (senza alcuna franchigia) per tutti gli altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta ed affini in linea collaterale fino al terzo grado;
- 8% da calcolare sul valore netto totale (senza alcuna franchigia) per gli altri soggetti.64
E’ chiaro che ai fini dell’applicazione della franchigia alla quota devoluta al singolo erede o legatario risulta indispensabile tenere conto del valore (attualizzato) di eventuali donazioni precedentemente ricevute e fatte dal de cuius in favore dello stesso beneficiario65, con l’effetto di maggiorare il valore netto globale dell’asse ereditario.
In particolare, a seguito dell’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’imposta devono essere considerate a tal fine non più solo le donazioni effettuate nel periodo ricompreso tra il 25 ottobre 2001 (data di entrata in vigore della Legge n. 333/2001 che aveva abrogato l’imposta di successione e donazione) ed il 2 ottobre 2006 (data di entrata in vigore della riforma del tributo con D.L. 262/2006 conv. Legge 286/2006) ma anche tutti gli altri atti a titolo gratuito che la disciplina equipara ed esse nonché la costituzione di vincoli di destinazione sorti a partire dalla data del 29 novembre 200666.
8. L’imposta sulla costituzione di vincoli di destinazione, l’ipotesi del Trust.
Come anticipato in precedenza il passaggio generazionale ad oggi non è certamente più sinonimo di successione mortis causa, ammesso che in passato lo sia mai stato.
I negozi giuridici atipici fondati su varie forme di c.d. pactum fiduciae vengono agevolmente indirizzati verso la traslazione del patrimonio in funzione di futuri sviluppi sul piano generazionale cosicché gli stessi ad oggi risultano preferibili rispetto a soluzioni tipiche come gli istituti della successione o donazione in quanto questi ultimi, appaiono essere connaturati da maggiore formalismo e rigidità.
Tale interpretazione è suggerita anche dalla disciplina dell’applicabilità delle esenzioni di imposta come previsto dall’art. 3 comma 4-ter del TUS con riferimento a quei beni che per loro stessa natura permettono di attuare il passaggio generazionale (per esempio l’azienda e le partecipazioni societarie) .
Sulla base di ciò, può essere sostenuto che esistono numerose discipline alternative alla successione e donazione finalizzate ad agevolare la trasmissione del patrimonio facendo rimanere i beni in oggetto del tutto al di fuori del perimetro tracciato dall’ambito di applicazione dell’imposta di successione o di donazione, tuttavia, ciò non può valere in termini semplicistici ed assoluti.
Il punto di discrimine tra la sottoposizione al regime fiscale ovvero all’esenzione da esso è dato anzitutto dall’oggetto della citata normativa di riferimento.
Il legislatore della riforma con un intervento “creativo” secondo parte della dottrina e della recente giurisprudenza di legittimità67 ha introdotto un nuovo tributo stabilendo la disciplina fiscale in merito alla costituzione dei vincoli di destinazione ex comma 49 dell’art. 2 del D.L. 262 del 2006.
All’interno di tale categoria sono riconducibili tutti i negozi giuridici mediante i quali determinati beni sono destinati alla realizzazione di un interesse meritevole di tutela da parte dell’ordinamento, con effetti segregativi e limitativi della disponibilità dei beni medesimi.
E’ stato sottolineato68 che seppur con effetti diversi, il vincolo di destinazione si realizza, ad esempio, nelle seguenti ipotesi tipiche:
- costituzione di un trust;
- stipula di un negozio fiduciario;
- costituzione di un fondo patrimoniale (ex art. 167 c.c.);
- costituzione, da parte di una società, di un patrimonio destinato ad uno specifico affare (ex art. 2447-bis c.c.).
Una parte della dottrina si è domandata se risultano sempre applicabili le imposte di successione e di donazione sui vincoli di destinazione, da cui sono derivati dubbi interpretativi69. In particolare, tali dubbi hanno riguardato anzitutto l’inclusione automatica dei negozi fiduciari all’interno della categoria dei vincoli di destinazione ampliando in questo modo il campo di applicazione dell’imposta. Tale interpretazione è stata resa sulla base sull’assunto secondo il quale tali negozi comporterebbero a priori un trasferimento di ricchezza dal fiduciante a favore del fiduciario70.
Una prima risposta in merito è pervenuta con la citata Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 28/E del 27.03.2008 sulla scia interpretativa dettata dalla dottrina maggioritaria71 secondo cui è stata operata una differenziazione tra i due modelli di pactum fiduciae, quello di tipo germanistico e quello di tipo romanistico.
Mediante il primo si verifica una semplice scissione tra la titolarità formale del diritto che resta in capo al fiduciante e la legittimazione al relativo esercizio, cui fa capo il fiduciario. Viceversa, con il secondo modello si verifica un vero e proprio trasferimento del diritto dal fiduciante al fiduciario, con ciò realizzandosi l’ effetto traslativo reale voluto dalle parti, anche se limitato, nei rapporti interni, dal contenuto dello stesso pactum fiduciae.
Tale distinzione non è risultata priva di rilevanza da un punto di vista fiscale.
Secondo quanto stabilito dalla medesima Circolare, il modello della fiducia germanistica troverebbe applicazione, nei casi di intestazione fiduciaria di titoli azionari e di quote di partecipazione societaria, da cui sarebbe possibile determinare agevolmente il relativo regime fiscale applicabile.
Il modello della fiducia romanistica invece, con il quale si verifica un vero e proprio trasferimento del bene dal fiduciante al fiduciario, seppur limitato tra le parti dalle regole stabilite con il pactum fiduciae, risulta più complesso in quanto subordinato alle regole civilistiche tipiche in materia di trasferimento della proprietà o di diritti reali mediante forma scritta ex art. 1350 c.c.
Sotto il profilo fiscale assume sufficiente rilievo il semplice prodursi di un effetto reale, consistente nell’effettivo trasferimento del bene immobile, il quale, a sua volta, implica che siano stati rispettati i requisiti di forma previsti dal codice civile per i contratti aventi ad oggetto immobili e che siano stati assolti i relativi oneri pubblicitari, oltre alle relative imposte di registro.
La costituzione di un vincolo di destinazione comporta, come anticipato, il trasferimento di beni di qualsiasi tipo in capo ad un soggetto diverso dal disponente, determinando un vantaggio patrimoniale in capo al beneficiario.
Pertanto, in termini generali, l’oggetto dell’imposta da questo punto di vista sarebbe rappresentato dallo stesso atto traslativo che consente il trasferimento del patrimonio da un soggetto ad un altro.
Questa impostazione non è stata ritenuta applicabile all’istituto del Trust72.
Secondo l’interpretazione resa dall’Agenzia delle Entrate73 in relazione al Trust non rileva invece la distinzione di carattere generale rispettivamente tra vincoli traslativi (il cui effetto di segretazione si accompagna ad un trasferimento di beni dal soggetto che costituisce il vincolo ad un altro soggetto), vincoli non traslativi (come nel caso di costituzione da parte di una società di un patrimonio destinato ad uno specifico affare ex art. 2447-bis c.c.) e fondo patrimoniale (ex art. 167 c.c., costituito con i beni di proprietà di uno solo ovvero di entrambi i coniugi).
Infatti, secondo questa impostazione il Trust si differenzia da tutti gli altri vincoli di destinazione in quanto determina una doppia segretazione dei beni conferiti, sia rispetto al patrimonio personale del soggetto che ha costituito il vincolo sia rispetto al soggetto destinatario dei beni (il c.d. trustee). I beni conferiti confluiscono, costituendolo, in un patrimonio a sé stante, separato ed autonomo rispetto a quello del disponente e del trustee (entrambi legittimi intestatari). Le relative imposte di successione o di donazione verranno applicate quindi sulla base della sola costituzione del vincolo, indipendentemente dalla tipologia di Trust e direttamente sul singolo patrimonio74.
Come accennato, tale linea interpretativa è stata avallata di recente anche dalla giurisprudenza di legittimità75 con tre ordinanze di rinvio della Corte di Cassazione, sez.VI Civ., le nn. 3735 – 3737 e 3886 del 2015 in materia rispettivamente di trust “auto dichiarato”, trust con “funzione di garanzia” e trust “istituito per rafforzare la generica garanzia patrimoniale già prestata nella qualità di fideiussore in favore di alcuni istituti bancari.”
Sul punto è stato affermato che si è dato luogo ad una vera e propria “nuova imposta” dal valore generico applicabile a tutti i vincoli di destinazione, dunque in particolare anche al trust.
Il presupposto impositivo del tributo sarebbe individuabile nella predisposizione di un programma di funzionalizzazione del diritto al perseguimento degli obiettivi voluti consistendo l’oggetto dell’imposizione il mero valore dell’utilità.
Secondo la Corte “l’imposta è istituita direttamente, ed in sé, sulla costituzione dei vincoli e non già sui trasferimenti dei beni e diritti a causa della costituzione di vincoli di destinazione, come, invece accade per le successioni e donazioni in relazione alle quali è espressamente evocato il nesso causale.”
In base a questa impostazione è sufficiente un contenuto economico determinato o determinabile idoneo a manifestare un indice di capacità contributiva da sottoporre a tassazione secondo i principi ex art. 53 Cost.
Ciò che risulta essere sottoposto a tassazione risulta quindi essere la stessa autonomia del presupposto impositivo ovverosia la costituzione di un patrimonio separato.
Infatti appare ininfluente la natura giuridica se di tipo onerosa, liberale o gratuita del negozio.
Questa interpretazione è stata oggetto di diverse critiche, in particolare da parte della dottrina76.
Le tesi opposte sostengono, in generale, con varie sfumature, una rilevanza relativa dell’imposta sul vincolo di destinazione, stabilendo che viceversa dovrebbero essere sottoposti a tassazione solamente quegli atti di disposizione in grado di determinare veri e propri effetti traslativi ovvero quegli atti in grado di determinare un concreto incremento stabile del patrimonio appartenente all’avente causa con conseguente decremento di un altro patrimonio appartenete al dante causa.
Si tratta in questo caso di atti traslativi che determinano una manifestazione di ricchezza non solo potenziale o determinabile bensì determinata nel suo preciso ammontare rendendo ineccepibile qualsivoglia critica a riguardo.
Infatti la mera rilevanza economica di un atto o di un fatto giuridico non risulterebbe sufficiente per far emergere dallo stesso un chiaro indice di capacità contributiva nei limiti in cui esprima una forza economica (non potenziale bensì effettiva).
Il punto nodale è rappresentato dalla tesi secondo cui un presupposto di imposta basato unicamente sulla mera costituzione di un vincolo di destinazione sul patrimonio non è in grado di far emergere di per sé una forza economica nuova, concreta e misurabile .
Gli effetti giuridici derivanti dalla segretazione patrimoniale rappresentano conseguenze non espressive di tale indice in quanto risultano meramente strumentali al raggiungimento degli interessi per i quali il vincolo è stato costituito.
Solo una volta raggiunti gli obiettivi perseguiti mediante l’istituzione del trust, allora, risulterebbe ragionevole sottoporre a tassazione il concreto incremento patrimoniale ottenuto evidenziando in tal modo una reale (in quanto economicamente valutabile) capacità contributiva.
Le medesime criticità hanno evidenziato che se si ritenesse tassabile nell’ambito dell’imposta di successione e donazione la mera costituzione del vincolo di destinazione si giungerebbe a configurare l’imposizione in parola come del tutto irrazionale ed incoerente, per due ordini di motivi.
In primo luogo poiché risulterebbe alterata la stessa natura del tributo in esame in quanto presenterebbe due presupposti di imposta del tutto disomogenei tra loro.
In secondo luogo, perché la struttura dell’imposta come risultante a seguito delle modifiche introdotte con la riforma del 2006 e ss. mod. non appare coerente con un presupposto correlato alla mera costituzione di un vincolo di destinazione.
Infatti, le regole proprie dell’imposta in parola, come è stato brevemente indicato, quelle che prevedono franchigie, esenzioni, limitazioni ed aliquote e quelle che individuano i soggetti passivi, presuppongono che vi sia un trasferimento di un dato patrimonio da un soggetto ad un altro e che pertanto, lo stesso patrimonio sia valutato in occasione di tale spostamento identificando in tal modo un soggetto “beneficiario” quale soggetto passivo del tributo77.
Sotto il differente profilo delle imposte sul reddito il trust, quale soggetto passivo d’imposta, è tenuto ad adempiere gli specifici obblighi previsti per i soggetti Ires, in primo luogo quello di presentare annualmente la dichiarazione dei redditi, pertanto il trust residente deve avere un proprio codice fiscale e, qualora eserciti attività commerciale, anche la relativa partita Iva. Tutti gli adempimenti tributari del trust sono assolti dal trustee.
Si ricorda che il trust, in quanto atto di disposizione a titolo gratuito risulta soggetto all’azione revocatoria ordinaria e fallimentare, quindi non può mai essere utilizzato al fine di distrarre somme o beni in frode dei creditori.
In precedenza il creditore danneggiato dall’atto di disposizione connaturato da scientia fraudis ed eventus damni del debitore avrebbe dovuto prima di tutto esercitare l’azione revocatoria (ordinaria ex art. 2901 c.c. o fallimentare ex art. 67 L.F.), e solo in seguito avrebbe potuto procedere all’esecuzione forzata, con un notevole dilatazione delle tempistiche.
E’ noto invece che oggi il creditore munito del semplice titolo esecutivo può legittimamente procedere ad instaurare un procedimento di esecuzione forzata contro il debitore78, nonostante l’eventuale presenza di un vincolo di indisponibilità costituito sul bene o direttamente contro il terzo che ha acquistato il bene a titolo gratuito, purché trascriva il relativo pignoramento entro un anno dalla trascrizione dell’atto a lui pregiudizievole. Tale facoltà è riconosciuta solamente per i crediti già esistenti al momento in cui viene costituito il vincolo di destinazione o al momento del trasferimento della proprietà del bene e non viceversa, per i crediti sorti successivamente.
Dalla breve indicazione dei tratti principali dell’istituto e dalle relative problematiche evidenziate può essere desunto l’ulteriore elemento secondo cui, in generale, questi strumenti non devono mai essere intesi come un rimedio per salvare in extremis i propri beni, privati o aziendali, in presenza di debiti, dalle azioni esecutive instaurate dai creditori ma solo ed esclusivamente come forme di tutela preventiva finalizzate a proteggere il patrimonio in funzione del passaggio generazionale.
Da ultimo, si sottolinea che il legislatore ha previsto sanzioni di natura penale per le ipotesi di “alienazione simulata” ovvero di “compimento di atti fraudolenti” idonei a rendere inefficace, in tutto o in parte, la procedura di riscossione coattiva, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte, di ammontare complessivo superiore ad Euro 50.00079 .
Più in generale è punita (ancorché recentemente depenalizzata80) la condotta volta al compimento di atti simulati o fraudolenti al fine di sottrarsi all’adempimento di obblighi derivanti da una sentenza di condanna o in corso di accertamento davanti all’autorità giudiziaria (art. 388 c.p.).
9. Conclusioni.
Al termine della presente, in riferimento al perimetro tracciato dalle argomentazioni rese possono essere sostenute le seguenti brevi conclusioni.
In primo luogo, l’imposta di successione e di donazione (una endiadi ontologicamente inscindibile) così come concepita e strutturata in seno all’evoluzione normativa, ha subìto una serie di profondi mutamenti all’interno del nostro ordinamento giuridico, esprimendo nell’arco dei tempi differenti esigenze e peculiarità tipiche dei vari periodi storici. L’imposta ad oggi risulta avere una attinenza solo relativa con il fenomeno del passaggio generazionale in quanto le fattispecie di trasferimento, per espressa previsione normativa, seguono una disciplina propria di radicale agevolazione fiscale, per ovvie finalità di natura economica. Si ricorda che, a determinate condizioni, sono esclusi dal campo di applicazione dell’imposta sulle successioni e donazioni i trasferimenti aventi per oggetto aziende, quote sociali, azioni, titoli di Stato e la riunione dell’usufrutto. Ne deriva un sistema articolato che pone nei confronti dell’imprenditore una serie di vincoli, primo tra tutti quello della dimostrazione di un effettivo passaggio di consegne di una quota superiore alla maggioranza societaria per un periodo superiore, continuativo, ai cinque anni.
Una delle possibili ragioni può essere da ultimo rinvenuta nella disciplina applicabile sull’imposta sui redditi ex art. 58, comma 1 del DPR n. 917/1986 secondo la quale, il trasferimento di aziende per causa di morte o per atto gratuito non costituisce realizzo di plusvalenze dell’azienda stessa in quanto la stessa è assunta con i medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa.
In tal senso l’operazione risulta essere fiscalmente neutra, a patto che il soggetto ricevente mantenga inalterati i valori fiscalmente rilevanti in capo al dante causa.
Gli stessi criteri vengono applicati nell’ipotesi di scioglimento della società esistente tra gli eredi, avvenuto entro cinque anni dall’apertura della successione, qualora l’azienda resti acquisita anche da uno solo degli eredi.
Si tratta di disposizioni che indubbiamente determinano tra le varie finalità proprie quella di favorire concretamente il passaggio generazionale tra imprenditori.
Come è stato evidenziato, le medesime disposizioni, in particolare quelle relative agli atti di liberalità, possono trovare un valido coordinamento con la disciplina relativa ai vincoli di destinazione e, tra questi, in particolare con l’istituto anglosassone del trust.
Per quanto riguarda gli aspetti fiscali, rimangono ancora alcuni dubbi sulla relativa applicazone pur in presenza, come è stato evidenziato, della normativa sui vincoli di destinazione, tra cui rientra senz’altro l’istituto del trust81.
L'Agenzia delle Entrate ha chiarito ufficialmente la propria interpretazione in merito con le citate Circolari 6 agosto 2007 n. 48 e 22 gennaio 2008 n. 3.
In definitiva, il trasferimento dei beni dal disponente al trustee è soggetto all'imposta di donazione con aliquota proporzionale (rispettivamente del 4%, 6% o 8%) calcolata in base al grado di parentela tra il disponente e il beneficiario secondo le regole indicate dal D.lgs 346/1990 (tuttavia si applica l’aliquota massima se il beneficiario è indeterminato), oltre alle imposte fisse ipotecarie e catastali (rispettivamente del 2% e 1%) in caso di trasferimento di ben immobili.
Sono sempre applicabili le franchigie previste per i parenti in linea retta, per il coniuge, i fratelli e le sorelle ed i portatori di handicap grave.
Non è sottoposto a prelievo fiscale, invece, il trasferimento dei beni dal trustee al beneficiario.
Risulta indubbio che tale istituto possiede numerose potenzialità intrinseche utili per le finalità tipiche del passaggio generazionale e per il superamento di determinate condizioni poste dal legislatore per ottenere determinati vantaggi fiscali, tuttavia, ad oggi l’assenza di una specifica regolamentazione nazionale a riguardo, le varie interpretazioni pretorie e dottrinali susseguitesi, anche di recente, non appaiono indici di solidità e concretezza per una sicura e proficua fruibilità dell’istituto.
E’ senz’altro necessario porre particolare attenzione sulle modalità di utilizzo dell’istituto in parola, sulla tipologia di beni (aziendali, mobili, immobili, immateriali etc..) e sull’interpretazione relativa alla specifica operazione da svolgere ai fini del corretto inquadramento da un punto di vista giuridico e quindi fiscale della disciplina applicabile al singolo caso di specie, tenendo anzitutto presente che, ad oggi restano invariate le disposizioni normative che riconducono in termini generali l’istituto del trust all’interno dei vincoli di destinazione.
Sarà probabilmente compito dell’operatore allora, riuscire a dimostrare che la particolare attività economico-giuridica ancorché inquadrabile all’interno della sopra-citata categoria possa risultare fiscalmente neutra ovvero sottoponibile ad una tassazione solo nel limite del realizzo di un effettivo e concreto incremento patrimoniale (secondo le argomentazioni precedentemente rese ed alla luce della attuale normativa di riferimento) in presenza degli ulteriori e specifici elementi necessari, da dimostrare caso per caso.
Note e riferimenti bibliografici
1 La “protezione del patrimonio” è da intendersi non come mera salvaguardia rispetto alle possibili pretese dei creditori bensì come un’attività di più ampio respiro, tendente a preservare il patrimonio da innumerevoli rischi quali dispute con un socio, accettazione di eredità, separazioni e divorzi, responsabilità professionali etc...le quali direttamente o indirettamente ne possono compromettere la futura stabilità ed integrità.
De Rosa, Russo, Lo Presti, Angeli La trasmissione del patrimonio, strumenti e soluzioni per il passaggio generazionale, 2016, Milano, NeT, IlSole24Ore.
2 Con l’espressione “passaggio generazionale d’impresa”, si indica, nel linguaggio economico-giuridico una serie di operazioni, idonee a garantire la successione, inter vivos o mortis causa, nell’esercizio, diretto o indiretto, dell’impresa. Il perimetro delle fattispecie giuridiche interessate risulta assai ampio, ricomprendendo sia ipotesi di circolazione dell’azienda sia ipotesi di circolazione delle partecipazioni societarie.
CNN Studio n. 36-2011 Profili fiscali del passaggio generazionale d’impresa .
3 A titolo esemplificativo, si indica l’istituto di origine anglosassone del trust oltre ad altri già presenti all’interno del nostro ordinamento come il patto di famiglia e le polizze assicurative con cui è possibile, a condizioni e con effetti differenti, incidere negli assetti del passaggio generazionale.
4 Si ricordano altresì i c.d. vincoli di destinazione per la realizzazione di interessi meritevoli di tutela, il cui regime fiscale applicabile è stato recentemente oggetto di interpretazione da parte della Corte di legittimità (vedi Ordinanze nn. 3735 – 3737 e 3886 del 4.5.2015) e di critica da parte della dottrina (CNN Studio 132-2015).
5 Al pari dell’istituto della donazione, il quale storicamente ha rappresentato nella prospettiva in parola un mero anticipo della futura successione. Ciò è ulteriormente confermato dalla collocazione normativa attuale D.lgs 346/1990 (T.U. successioni e donazioni) e dal dato secondo cui le imposte applicate alla donazione sono le medesime previste per la successione in ordine ad aliquote e franchigie applicabili ex multis Cass.Civ.Sez.V 11677/2017. Il passaggio generazionale attuato mediante una donazione fatta in vita è soggetto immediatamente all’imposta di donazione e pertanto non è più tassato al momento della successione. Secondo parte della dottrina, in un momento storico in cui si attende un sostanziale incremento del carico fiscale per le successioni, di cui si dirà, appare conveniente anticipare il passaggio generazionale, almeno per alcuni beni, al fine di approfittare delle norme fiscali attualmente ancora favorevoli. Paolo Tonalini, Passaggio generazionale e protezione del patrimonio, CNA, Pavia, 2016 ; Simone Ghinassi, L’istituto del “coacervo” nella nuova imposta sulle successioni e donazioni, Rassegna Tributaria, 3/2007.
6 Nella prospettiva generale del fenomeno successorio sono presenti istituti che di fatto limitano la discrezionalità del genitore nel pianificare la successione dell’impresa e nel programmare la destinazione del proprio patrimonio per le generazioni successive (es. gli istituti della successione legittima ex artt. 536 e ss. c.c., del divieto di patti successori ex art. 458 c.c., della collazione ex art. 737 c.c.).
7 Andrea Fedele, Il regime fiscale di successioni e liberalità, Riv.dir.trib. Fasc.10, 2003.
8 Unico è il testo legislativo che disciplina l’imposizione dei trasferimenti di ricchezza, inter vivos o mortis causa, unica, probabilmente, l’originaria giustificazione del prelievo, correlata alla tutela giuridica di interessi e pretese dei privati che negli “atti” e nelle vicende successorie trovavano il proprio fondamento […]
Andrea Fedele, ibidem.
9 Legge 21 aprile 1862, n. 585; l’art. 1 : “[…] gli atti civili, giudiziali e stragiudiziali, e le trasmissioni dei beni per causa di morte sono soggetti alle imposte denominate di registro, a termini della presente Legge”.
Tale disposizione fu voluta dal ministro Sella al fine di rendere omogeneo in tutto il territorio Italiano il sistema impositivo delle successioni mortis causa. Prima dell’Unità d’Italia, i vari Regni prevedevano trattamenti radicalmente diversi. Ad esempio, nel Regno delle Due Sicilie non vigeva una tassazione sui passaggi patrimoniali mortis causa mentre negli Stati della Lombardia e del Piemonte si applicava un’imposta che colpiva il patrimonio al lordo delle passività.
Trinchese – Visconti, Le successioni. Diritto e tecnica professionale, 2016, Ed. Telos.
Andrea Fedele, ibidem.
10 Già la normativa dell’epoca definì con chiarezza l’imposta e le relative articolazioni, in particolare, tra le aliquote (la misura percentuale della base imponibile) quella proporzionale e quella progressiva.
Ancora oggi la prima determina un’aliquota fissa ovverosia la stessa non muta con il variare della base imponibile mentre la seconda determina un’aliquota variabile secondo differenti criteri o tecniche: vi è una progressività per classi, per scaglioni, una progressività continua ed una progressività per detrazione.
Francesco Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, Vol. 1, 2016, UTET.
11 Espressione coniata da Einaudi in occasione di un intervento al Corriere della Sera del 20 settembre 1914 commentando un primo progetto di introduzione dell’imposta globale di successone (progetto Facta – Tedesco, 1914) e successivamente adoperata proprio per sottolineare l’irrazionalità del tributo in quanto collegato ad un indice di capacità contributiva riferibile soltanto ad un soggetto il cui venir meno determina il concorso alle pubbliche spese per altri soggetti (i veri soggetti passivi).
12 Andrea Fedele, ibidem.
13 Corte Cost. sent.19.06.1975 n. 147.
Secondo l'ordinanza di rinvio, infatti, le norme denunziate sarebbero in contrasto con gli artt. 3 e 53 della Costituzione, in quanto:
a) soggetti passivi dell'imposta sono gli eredi ed i legatari e presupposto di essa é il loro arricchimento, mentre l'imposta non é commisurata a tale arricchimento, ma al valore netto globale dell'asse ereditario;
b) conseguentemente, i singoli eredi o legatari, pur ereditando beni di egual valore, pagano un'imposta di ammontare differente, ancorché rivelino identica capacità contributiva, a seconda del valore complessivo del patrimonio del de cuius, con evidente violazione del principio di eguaglianza, in forza del quale a parità di valore dei beni deve corrispondere parità della relativa imposta.
La Corte, tuttavia, in aderenza con la tesi opposta sostenuta dall’avvocatura dello Stato in tale sede, secondo cui, “all'istituzione dell'imposta sul valore globale netto delle successioni si é pervenuti attraverso una scelta politica che ha per presupposti un sistema tributario a carattere progressivo, ri-definendo i tratti principali del tributo in parola”, ha ribadito che:
“[…]la funzione di tale disciplina può ravvisarsi nella finalità di operare un prelievo adeguato alla capacità contributiva riferita al complesso del patrimonio che cade nella successione.
Risponde ai principi consacrati nell'art. 42 della Costituzione che l'asse ereditario sia assoggettato, in conformità anche con l'art. 53 della Costituzione, ad un'imposta progressiva - a carattere prevalentemente reale - a prescindere dall'imposta personale sulle eredità, quote e legati, prevista dal r.d. n. 3270 del 1923
e successive modificazioni.
Né le norme impugnate possono ritenersi costituzionalmente illegittime per il fatto che il cumularsi delle due imposte, a seconda del valore dell'asse, può far si che quote di eredità di eguale valore siano gravate da imposte di ammontare differente.
Non é irrazionale, infatti, avere ritenuto diverse, agli effetti tributari, successioni ereditarie per quote dello stesso valore da assi di valore diverso e non vi é quindi violazione dell'art. 3 della Costituzione.
Né d'altra parte può ravvisarsi violazione del principio della capacità contributiva, in quanto nelle imposte a carattere reale la capacità contributiva é data dal valore del bene tassato e non dal patrimonio del soggetto o dei soggetti ai quali il bene appartiene.”
14 Le ragioni che avevano ispirato la norma del 2000 sono da ricercare nella esigenza di un ampliamento della base imponibile attraverso il duplice canale della eliminazione della progressività delle aliquote con drastica riduzione e razionalizzazione e in un potenziamento degli strumenti antielusivi a disposizione della amministrazione. La stessa norma si caratterizzava per due elementi di particolare novità: da un lato la previsione di sole aliquote proporzionali e non più progressive, dall’altro, la previsione di una franchigia per ciascuno dei beneficiari di misura variabile a seconda della quantità dei beneficiari stessi. CNN, Studio 168-2006/T.
15 Inoltre, vennero introdotte nuove aliquote per scaglioni dal relativo tariffario.
16 In generale derivante da atti scritti alla luce della disciplina civilistica relativa al trasferimento del diritto di proprietà di beni immobili ovvero di particolari categorie di beni mobili ex art. 1350 c.c.
17 Nella vigenza del RD n. 3269 del 30 dicembre 1923 era unanimemente riconosciuto in dottrina che la registrazione non fosse principalmente finalizzata ad accertare l’esistenza giuridica dei relativi atti e ad imprimere alle scritture private la data certa di fronte a terzi, se non nell’ipotesi di riscossione della c.d. imposta fissa, dovuta quale “corrispettivo” del servizio di registrazione reso dallo Stato. In tale ottica si affermava che “la registrazione ben pochi vantaggi arreca alle parti od ai terzi, e serve soprattutto al Fisco, sia perché procura una ragguardevole entrata, sia perché per suo mezzo l’Amministrazione finanziaria può seguire i vari movimenti delle ricchezze private”.
Andrea Fedele, Ibidem ; CNN, Studio 238-2008/T.
18 All’indomani dell’entrata in vigore della nuova disciplina dell’imposta di registro, contenuta nel DPR n. 634 del 26 ottobre 1972, la natura e la funzione della “tassa d’atto” non apparivano mutate.
In dottrina si sottolineava che, nonostante il legislatore utilizzasse il termine di imposta in misura fissa e non di tassa, il prelievo aveva indubbiamente “per giustificazione lo svolgimento di un’attività amministrativa e non un’attività privata e-sprimente capacità contributiva”.
In tale ottica, veniva affermato che quando l’atto è assunto dal legislatore come indice di capacità contributiva, il legislatore “impone incondizionatamente l’obbligo della registrazione e di corresponsione d’una imposta, ovvero, se impone l’obbligo di registrazione ma non considera l’atto come indice di capacità contributiva, l’unica imposizione giustificata è quella fissa”.
Andrea Fedele, Ibidem ; CNN, Ibibem.
19 Norma poi confluita nell’art. 65 del DPR 131/1986 il quale in assenza di specificazioni a riguardo della tipologia di giudizio, nel silenzio della legge, dottrina e giurisprudenza propendono per una interpretazione estensiva facendo valere la disposizione in parola indifferentemente per qualsiasi tipo di attività giurisdizionale sia per i procedimenti civili che penali.
20 Sul punto, Corte Cost. sent. 333/2001 ; Corte Cost. sent. 522/2002.
21 Il Testo Unico è strutturato in 63 articoli, la maggior parte dei quali ricalca, nella denominazione e nel contenuto, gli articoli dell’antecedente D.P.R. 637/1972.
Nella prima versione era stabilito, come previsto anche nel D.P.R. 637/1972, che l’imposta si applicasse con aliquote progressive e determinate franchigie, a seconda dei gradi di parentela.
Il Testo Unico, oltre a prevedere la consueta imposta sulle singole quote, continuava a prevedere la c.d. imposta sul morto, ricalcando l’originaria disciplina del 1942.
Inoltre, originariamente, il Testo Unico prevedeva un’esenzione del tributo per quote di valore non superiore a 10 milioni di lire e, nel caso in cui i beneficiari fossero fratelli, sorelle o affini in linea retta del dante causa, un’esenzione per quote di valore non superiore a 100 milioni di lire.
Nel periodo intercorrente tra il 1990 e il 2000 sono poi state apportate solo modifiche marginali. Meritano un richiamo le disposizione della Legge 488/1999, che modificano le franchigie, innalzando la soglia di esenzione da 250 milioni a 350 milioni di Lire.
Successivamente, con il già citato articolo 69 della Legge 21 novembre 2000, n. 342, il quadro complessivo delle imposte sulle successioni subisce un cambiamento rilevante tramite l’eliminazione dell’imposta sull’asse globale: rimane solo la c.d. imposta sulla quota, applicabile unicamente alle singole quote ereditarie (ad oggi la determinazione della base imponibile avviene ex art. 8 TUS).
Trinchese – Visconti, Le successioni. Diritto e tecnica professionale, 2016, Ed. Telos.
22 L’art. 1 della Legge 23 dicembre 1993 n. 578 in materia di espianto di organi ha individuato tale momento nella “cessazione irreversibile di tutte le funzioni dell’encefalo” ponendo fine al precedente dibattito tra coloro che sostenevano che l’evento morte era determinato nel momento della cessazione dell’attività respiratoria o nella morte c.d. cerebrale o nell’arresto dell’attività cardio-circolatoria, piuttosto che nel momento in cui si fossero verificate cumulativamente tutte le predette circostanze: il c.d. arresto del “tripode vitale”.
Ulteriori ipotesi di morte (convenzionale) previste nel nostro ordinamento riguardano le fattispecie contenute nel Titolo IV, Capo II del c.c. con riferimento alla dichiarazione di morte presunta.
23 Dunque nella posizione prevista ex art. 485 c.c.
In tal caso troverà applicazione il secondo comma della disposizione secondo il quale “trascorso (il termine di 3 mesi) senza che l’inventario sia stato compiuto il chiamato all’eredità è considerato erede puro e semplice”.
24 La nomina del curatore dell’eredità può avvenire in presenza della c.d. eredità giacente, secondo le seguenti condizioni:
- il chiamato all’eredità non ha effettuato l’atto di accettazione;
- il chiamato all’eredità non si trova in possesso dei beni;
- in assenza della nomina di un curatore su istanza dell’avente diritto tale nomina può avvenire d’ufficio da parte dell’autorità giudiziaria con decreto sulla base di una concreta valutazione di tutte le circostanze.
25 Tutti i soggetti chiamati all’eredità che abbiano accettato espressamente o tacitamente l’eredità ovvero risultino averla acquistata ex art. 485,II c.c.
26 La base imponibile ai fini della determinazione dell’imposta è calcolabile secondo i criteri indicati ex art. 8 e ss. del D.lgs 346/1990 il quale riprende quanto già stabilito in precedenza dall’art. 7 del D.P.R. 637/1972 .
27 Trinchese – Visconti, Le successioni. Diritto e tecnica professionale, 2016, Ed. Telos ;
Sergio Dus, La reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni: vecchi e nuovi problemi, Fisco, 2007, parte I, 1075 ;
Valeria Mastroiacovo, Considerazioni relative all’entrata in vigore della riforma dell’imposta sulle successioni e donazioni, Riv.dir.trib., fasc.5, 2001.
28 In termini generali, secondo la disciplina attuale, alla dichiarazione di successione sono tenuti: i chiamati all’eredità ed i legatari, gli immessi nel possesso temporaneo di beni, gli amministratori dell’eredità ed i curatori delle eredità giacenti, gli esecutori testamentari. In caso di più obbligati, la dichiarazione effettuata da parte di uno solo di essi ha l’effetto di liberare gli altri. Il termine per la presentazione dell’atto unilaterale è di 12 mesi dall’apertura della successione. Sono previste ipotesi residuali in cui non è necessario effettuare tale dichiarazione in quanto non risultano tra i beni ereditari beni immobili o dirirri reali su beni immobili ed il valore complessivo è inferiore ad Euro 100.000. Il chiamato all’eredità risulta obbligato ad effettuare la dichiarazione fino a quando conserva lo status di chiamato, il quale può essere perduto in caso di rinuncia all’eredità entro 6 mesi. La dichiarazione può essere rettificata.
Sulla base della dichiarazione l’ufficio competente liquida l’imposta principale e notifica l’avviso di liquidazione entro il termine decadenziale di 3 anni dalla presentazione della dichiarazione.
29 Con tre distinti interventi normativi e cioè con l’art. 6 del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262 con le modifiche apportate in sede di conversione con i commi da 47 a 54 dell’art. 2 della medesima disposizione nel testo risultante dopo la conversione ad opera della Legge 24.11.2006 n. 286 ed infine, con i commi 77, 78 e 79 dell’art. 1 della Legge 27.12.2006 n. 296 (Legge finanziaria 2007) il legislatore ha reintrodotto l’imposta sulle successioni e donazioni la quale era stata abrogata con l’art. 13 della Legge 18.10.2001 n 383. La disciplina transitoria relativa a questioni di diritto intertemporale non ha creato problemi rilevanti in merito alle successioni mentre gli atti di liberalità hanno subìto due regimi differenti prima di trovare un definitivo assetto all’interno dell’ordinamento.
30 Più in dettaglio, ex art. 2 comma 47 del D.L. 262/2006 conv. Legge 286/2006 :
“è istituita l’imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione, secondo le disposizioni del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta sulle successioni e donazioni, di cui al D.lgs 31.10.1990 n. 346, nel testo vigente alla data del 24 ottobre 2001, fatto salvo quanto previsto dai commi da 48 a 54”.
31 Le disposizioni del Testo Unico emanato nel 1990 risultano ad oggi valide, ove compatibili.
La riforma del 2006 tuttavia, ha nuovamente mutato la struttura impositiva, reintroducendo l’imposta abolita nel 2001 e cambiando il sistema di tassazione.
Il nuovo sistema prevede, a differenza di quello in vigore fino al 2001, l’applicazione di franchigie ed aliquote fisse. Il passaggio da un sistema ad aliquote progressive ad uno invece ad aliquote fisse rappresenta pertanto il più rilevante cambiamento; le aliquote variano a seconda del legame, di parentela o meno, tra l’erede ed il de cuius come di seguito verrà meglio specificato.
32 Art. 2, comma 47, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, conv. Legge 24 novembre 2006, n. 286, e ss mod., in sede di disciplina della nuova imposta sulle successioni e donazioni, ha previsto in particolare che:
- “È istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o atitolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione […]”.
Circ. AE, n.28/E del 27 marzo 2008.
33 Con particolare riguardo all’ art. 8 comma IV del TUS. Tale norma, imponendo il c.d. cumulo delle donazioni pregresse ai fini della determinazione dell’aliquota applicabile all’attivo ereditario da un lato, costituisce il più evidente punto di emersione della necessità di una disciplina unitaria o quanto meno non scollegata delle liberalità effettuate in vita e della seguente successione […].
Inoltre, da un punto di vista civilistico il fenomeno successorio ha (geneticamente) rilevanti punti di contatto con le liberalità: si pensi all’istituto della collazione ex art. 737 c.c. che impone ai legittimari di conferire ai coeredi le donazioni effettuate in vita e, ancor prima, partendo dal dato testuale, alla necessità che il legislatore del 1942 ha avvertito riunendo nel medesimo libro II del codice civile la disciplina delle successioni e delle donazioni.
Simone Ghinassi, L’istituto del coacervo nella nuova imposta sulle successioni e donazioni, Rass.trib., 3/2007
34 Sul punto è stato evidenziato che il regime transitorio ha rilievo concreto solo per quanto attiene all’imposta sulle donazioni, posto che per le successioni si passa dalla inapplicabilità dell’imposta alla sua applicabilità alle successioni apertesi a decorrere dal 3 ottobre 2006, con termine annuale per la dichiarazione. Si ricorda che per le donazioni anteriormente a tale data l’imposta dovuta era quella di registro e che essa non si applicava nei confronti del coniuge e parenti fino al quarto grado.
Invece per gli altri soggetti l’imposta era applicabile con le aliquote previste dalla Legge di registro sul valore eccedente i 350 milioni di Lire (pari ad Euro 180.759,00) […].
Sergio Dus, La reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni: vecchi e nuovi problemi, Fisco, 2007, parte II.
35 Ex comma 7 dell’art. 28 del TUS così come modificato.
36 Ai sensi dell’art. 742 c.c. sono escluse dalla disciplina civilistica della collazione e, coerentemente secondo il dettato normativo in parola dalla relativa disciplina fiscale, le erogazioni liberali effettuate per spese per mantenimento e di educazione, le spese mediche e quelle ordinarie fatte per abbigliamento o per nozze.
Inoltre ex art. 783 c.c. sono escluse per la medesima ratio dalla disciplina fiscale in parola altresì le donazioni di modico valore (c.d. donazioni manuali) la cui valutazione dipenderà dalle condizioni economiche del donante.
37 Si evidenzia che la disciplina civilistica ex artt. 769 ss. distingue tra:
- donazioni ;
- altre liberalità tra vivi ;
- liberalità indirette.
Il concetto di liberalità è più ampio di quello di donazione tanto che lo stesso legislatore applica la nozione di liberalità anche ad atti diversi (c.d. liberalità indirette disciplinate dall’art. 809 c.c.).
La causa del negozio di liberalità è costituita dalla volontà di effettuare una attribuzione patrimoniale gratuita che comporti un arricchimento del destinatario, qualificata soggettivamente dalla consapevolezza, nell’autore di essa, che la medesima è operata in assenza di un qualsiasi dovere giuridico oppure soltanto morale o sociale e perciò, in definitiva, per quello spirito di liberalità, che è ontologicamente riferito al contratto di donazione (art. 769 c.c.).
Sul punto ex multis Cass.Civ. 3621/1980. La donazione si configurerebbe pertanto come una species del più ampio genus degli atti di liberalità non esaurendo essa stessa la categoria delle liberalità inter vivos. Una parte della dottrina ritiene che fra gratuità e liberalità intercorra un rapporto di genus ad speciem. Non sarebbe liberale ogni atto gratuito (come ad es. il comodato) ma certamente ogni liberalità sarebbe a titolo gratuito. Peculiarità della gratuità sarebbe data dalla presenza di un’attribuzione senza corrispettivo, caratteristica delle donazioni. Nei generici negozi a titolo gratuito quali, ad esempio, il godimento di un bene nel comodato o la disponibilità di beni fungibili nel mutuo senza interessi, a differenza di quanto accade per le donazioni, lo svantaggio intrinseco nel depauperamento si configurerebbe in una semplice omissio adquirendi e non in un detrimento patrimoniale in senso stretto ed il vantaggio patrimoniale si sostanzierebbe invece in una “mancata spesa”, correlata a quel beneficio, e non in un incremento del patrimonio.
F. Gazzoni, Manuale diritto privato, 2017 ;
G. Balbi, La donazione, in Trattato di diritto civile, 1964.
38 ex art. 4-bis e 56-bis TUS.
39 Fattispecie di rilevanza fondamentale per le vicende relative al passaggio generazionale.
L’ art. 2, comma 47, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, conv. Legge 24 novembre 2006, n. 286 e ss. mod. ha previsto in particolare che “È istituita l'imposta sulle successioni e donazioni sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte, per donazione o a titolo gratuito e sulla costituzione di vincoli di destinazione …”.
Pertanto, l’ambito applicativo dell’imposta sulle successioni e donazioni è stato notevolmente ampliato rispetto alla precedente disciplina, la quale stabiliva che detta imposta si applicava ai soli trasferimenti di “beni e diritti per successione a causa di morte ed ai trasferimenti di beni e diritti per donazione o altra liberalità tra vivi.”
Di conseguenza, attualmente l’imposta sulle successioni e donazioni trova applicazione con riferimento:
- ai trasferimenti di beni e diritti per causa di morte;
- ai trasferimenti di beni e diritti per donazione;
- ai trasferimenti di beni e diritti a titolo gratuito;
- alla costituzione di vincoli di destinazione.
Sul punto, Circ. AE 22.01.2008 n.3/E .
40 Atti gratuiti non donativi: “atti che non prevedono a carico del beneficiario alcuna controprestazione ma sono privi dello spirito di liberalità tipico delle donazioni” ; ibidem.
41Atti a titolo gratuito: “tra gli atti a titolo gratuito sono ricompresi tutti i trasferimenti di beni e diritti privi dell’animus donandi ovverosia della volontà del donante di arricchire il donatario con contestuale suo impoverimento” ; ibidem.
42 Il comma secondo, prosegue, specificando in armonia con la disciplina civilistica, che “Ai fini dell’imposta sono considerati parenti in linea retta anche i genitori e i figli naturali, i rispettivi ascendenti e discendenti in linea retta, gli adottanti e gli adottati, gli affilianti e gli affiliati.[...]”. A tal fine si ritiene applicabile, salvo espressa previsione, la disciplina sulla c.d. filiazione naturale ex Legge 219/2012 la quale ha di fatto equiparato (sul punto, l’art. 315 c.c. è stato sostituito con il seguente :“Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico”) all’interno del nostro ordinamento i figli naturali a quelli legittimi, con ogni ripercussione in ambito civilistico, successorio e, conseguentemente tributario.
43 L’art. 36 TUS prevede:
- che i chiamati all’eredità e gli altri soggetti obbligati a presentare la dichiarazione rispondono SOLIDALMENTE dell’imposta nel limite del valore dei beni ereditari rispettivamente posseduti;
- che gli eredi rispondono IN SOLIDO dell’imposta globalmente dovuta ma chi accetta con beneficio d’inventario ne risponde nel limite del valore della propria quota ereditaria;
- che i legatari sono tenuti al pagamento dell’imposta relativa ai rispettivi legati.
Tesauro, parte speciale, ibidem.
44 Tesauro, parte speciale, ibidem.
45 All’apertura della successione il patrimonio ereditario entra complessivamente in una fase di quiescienza. Pur non appartenendo più al defunto esso non appartiene ancora neppure all’erede in quanto la trasmissione dal primo al secondo si verifica solo con l’accettazione dell’eredità ex art. 459 c.c. Prima di tale atto il patrimonio ereditario, considerato come un unicum, assume la veste di patrimonio destinato il cui titolare è individuato dalla legge o dal de cuius.
Giuseppe Chinè, Manuale di diritto civile, 2014, Nel Diritto editore.
46 E’ stato sottolineato che i beni che non rientrano nell’attivo ereditario fanno generalmente parte del c.d. relictum e dunque dell’asse ereditario. Mentre nell’art. 11 TUS sono elencati una serie di beni che, pur rientrando nell’attivo ereditario non possono però far parte del c.d. relictum: si tratta tra gli altri, dei crediti verso gli enti pubblici territoriali o verso enti pubblici non teritoriali che gestiscono forme obbligatorie di previdenza o di assistenza sociale, compresi quelli per il rimborso di imposte e tributi. Tali crediti rientrano nell’attivo ereditario anche se solo riconosciuti dal’ente mantre rientrano nell’asse ereditario se riconosciuti ed accertati giudizialmente.
Infine nell’asse ereditario civilistico rientrano anche i beni esenti o esclusi da imposta, i quali, viceversa, certamente non rientrano nell’attivo ereditario.
Simone Carunchio, La composizione dell’asse ereditario e la compilazione della dichiarazione di successione, Fisco, 2015, 47-48, 4555.
47 Il c.d. “asse ereditario” indica sia la massa ereditaria civilistica che la base imponibile ai fini dell’applicazione dell’imposta di successione, pertanto risulta necessario sottolineare e distinguere tali aspetti per evitare applicazioni errate dell’istituto.
Per completezza si specifica che tali indicazioni riguardano ogni singola quota ereditaria, le quali, successivamente dovranno essere sommate tra loro al fine di ottenere l’asse ereditario tributario complessivo. Come in precedenza accennato, la norma si riferisce, enunciandolo, all’asse ereditario senza ulteriore specificazione (e non ad ogni singola quota) è il risultato della citata riforma sull’imposta di successione e donazione avvenuta con la Legge 342/2000.
Prima dell’entrata in vigore di tale norma era prevista la c.d. doppia tassazione : imposta sull’asse globale e successiva imposta su ogni singola quota.
48 - Se: il de cuius è residente in Italia il patrimonio da sottoporre ad imposta di successione comprende tutti i beni ed i diritti trasferiti anche se esistenti all’estero.
- Se: il de cuius è residente all’estero il patrimonio da sottoporre ad imposta di successione comprende solo i beni esistenti nel territorio italiano, ma si presumono comunque nel territorio dello Stato (salvo prova contraria):
- i beni iscritti nei pubblici registri ed i diritti reali di godimento ad essi relativi;
- le azioni o quote di società, le quote di partecipazione in enti diversi dalle società che hanno nel territorio dello Stato la sede legale o amministrativa o l’oggetto principale dell’attività;
- le obbligazioni ed i titoli in serie o da massa diversi dalle azioni, emessi dallo Stato o da soggetti ivi residenti;
- i titoli rappresentativi di merci esistenti nello Stato;
- i crediti garantiti da un bene esistente in Italia fino a concorrenza del relativo valore.
49 Tesauro, parte speciale, ibidem.
50 Tesauro, parte speciale, ibidem.
51 De Rosa, Russo, Lo Presti, Angeli, ibidem.
52 ex art. 34 TUS non sono rettificabili i valori degli immobili iscritti in catasto con attribuzione di rendita dichiarata in misura non inferiore (per i terreni) a 75 volte il reddito dominicale risultante in catasto e, per i fabbricati, a 100 volte il reddito risultante in catasto, dati aggiornati con i coefficienti stabiliti per le imposte sui redditi.
53 Tesauro, parte speciale, ibidem ;
Le modalità di determinazione del valore delle quote di società non quotate, ai fini dell’imposta sulle successioni, sono definite dall’art. 16, comma 1, lett. b) TUS:
- il valore della partecipazione al capitale di società non quotate deve essere definito con riferimento al“valore proporzionalmente corrispondente al valore, alla data di apertura della successione, del patrimonio netto dell’ente o della società risultante dall’ultimo bilancio pubblicato o dall’ultimo inventario regolarmente redatto e vidimato, tenendo conto dei mutamenti sopravvenuti”.
Sul punto interessanti questioni sono emerse con Cass.Civ. 11.12.2015 n. 25007.
54 Ex art. 23 TUS.
55 Tali atti devono risultare da: data certa, provvedimento giurisdizionale o estratto notarile.
Si sottolinea che l’art. 23,1 TUS prevede che tali atti devono essere presentati in copia autentica o in originale, condizione ulteriormente ribadita ex art. 30, 1, lett. i) TUS.
E’ necessario aggiungere che recentemente è stato modificato il comma 3-bis dell’art. 30 del TUS il quale ha viceversa consentito che il contribuente possa allegare copie semplici purché vi sia una dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà ex art. 47 del DPR 445/2000.
Sul punto, Carunchio, La dichiarazione di successione tra semplificazioni e norme europee, Il Fisco, 19/2015, 1857.
56 L’ente beneficiario al fine di non decadere dall’agevolazione deve dimostrare di aver impiegato i beni o i diritti ricevuti o la somma ricavata dalla loro alienazione per il conseguimento delle finalità proprie di natura sociale indicate dal testatore o dal donante, entro cinque anni dall’accettazione dell’eredità o dall’acquisto del legato, producendo una specifica dichiarazione al competente Ufficio delle Entrate, in assenza, il soggetto sarà tenuto alla corresponsione dell’imposta unitamente agli interessi legali.
57 Secondo cui si definisce patto di famiglia: “il contratto con cui, compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti.”
Tale contratto necessita della forma scritta e della pubblicità mediante atto pubblico a pena di nullità.
58 ex art. 73 comma I del TUIR, sono soggetti passivi:
- società per azioni
- sociatà in accomandita per azioni
- societa' a responsabilita' limitata
- societa' cooperative
- societa' di mutua assicurazione
- societa' europee di cui al regolamento (CE) n. 2157/2001
- societa' cooperative europee di cui al regolamento (CE) n. 1435/2003 residenti nel territorio dello Stato.
59 Ex cpv art. 3 comma 4-ter TUS, “in mancanza si decadrà dal beneficio con conseguente obbligo di corrispondere l’imposta in misura ordinaria oltre alla sanzione amministrativa ex art. 13 D.lgs 18.12.1997 n. 471 ed agli interessi di mora decorrenti dalla data in cui l’imposta avrebbe dovuto essere corrisposta.”
60 Tesauro, Istituzioni di diritto tributario, parte speciale, 2016.
61 Ex art. 8 comma 1-bis TUS: “Resta comunque ferma l’esclusione dell’avviamento nella determinazione della base imponibile delle aziende, delle azioni, delle quote sociali.”
62 In quanto anche a tali atti sono applicabili gli artt. 15 e 16 del TUS, in applicazione dell’ artt. 2 comma 50 del D.L. n. 262/2006 e dell’art. 56 quarto del TUS.
63 De Rosa, Russo, Lo Presti, Angeli, ibidem.
Tesauro, parte speciale, ibidem.
64 Per i portatori di handicap grave (Legge 5 febbraio 1992, n. 104), è stato previsto il diritto a una franchigia superiore, pari ad Euro 1.500.000, indipendentemente dal rapporto di parentela con il defunto o il donante.
Tutte le franchigie si calcolano sempre sul valore della donazione oppure della quota di eredità attribuita a ciascuno dei beneficiari, e non più sul patrimonio complessivo lasciato dal defunto.
Questo meccanismo fa sì che la franchigia aumenti al crescere del numero dei beneficiari.
Per esempio, se il defunto lascia, oltre alla moglie, quattro figli, ciascuno di essi ha diritto alla franchigia di un milione di euro, e il patrimonio sul quale non si applica l'imposta arriva fino a cinque milioni di euro. Grazie alla franchigia, dunque, in molti casi il coniuge e i figli non devono pagare la tassa di successione e donazione, ma solo le imposte ipotecarie e catastali sugli immobili, se compresi nell'eredità o nella donazione.
65 Ex quarto comma dell’art. 8 TUS.
Sul punto, Ghinassi, L’istituto del coacervo, ibidem.
66 Sul punto si è espressa recentemente Cass. Civ. Sez.V 11.05.2017 n. 11677.
67 Cass.Civ. Sez.VI, con tre ordinanze di rinvio, rispettivamente le nn. 3735-3737 e 3886 del 2015 con le quali ha ritenuto in primo luogo applicabile l’imposta sulle successioni e donazioni in misura proporzionale dell’8% sulla costituzione dei vincoli di destinazione, in particole del Trust .
Sul punto, Thomas Tassani, Sono sempre applicabili le imposte di successione e donazione sui vincoli di destinazione?, Trusts, 2015, 4, 351.
68 Circ.AE n.3/2008
69 Sergio Dus, La reintroduzione dell’imposta sulle successioni e donazioni: vecchi e nuovi problemi, Fisco, 2007;
Thomas Tassani, Sono sempre applicabili le imposte di successione e donazione sui vincoli di destinazione? Trusts, 2015, 4, 351.
70 Il negozio fiduciario in genere è un contratto atipico, mediante il quale un soggetto (fiduciante) trasferisce ad un altro (fiduciario) un diritto o la mera legittimazione al relativo esercizio, sulla base di un accordo (il cosiddetto pactum fiduciae) che vincola le parti, stabilendo modalità, tempi, condizioni di esercizio del diritto e che fissa principalmente lo scopo che il fiduciario si impegna a realizzare.
71 Gazzoni, Ibidem.
72 Il trust è un istituto tipico del diritto anglosassone, che consente di separare alcuni beni dal patrimonio di una persona. Nel trust un bene o un diritto viene trasferito da un soggetto (il “disponente”) a un altro soggetto (il “trustee”), che ne diviene titolare, ma resta completamente separato dal resto del suo patrimonio. Il trustee amministra ciò che ha ricevuto nell’interesse di uno o più “beneficiari”, o comunque per un fine specifico. L'oggetto del trust è estraneo anche al patrimonio del disponente, che se ne è spogliato con l’atto istitutivo, e degli eventuali beneficiari, i quali possono, secondo i casi, avere il diritto di utilizzare i beni oppure goderne i frutti.
Il trust presenta alcuni vantaggi particolari, tali da renderne appetibile l’utilizzo anche nel nostro ordinamento giuridico. Anzitutto, il patrimonio del trust è assolutamente inattaccabile dai creditori del disponente, del trustee e, entro certi limiti, anche del beneficiario. Il trust, infatti, a differenza del nostro negozio fiduciario, ha efficacia reale, ed è quindi opponibile ai terzi. Inoltre, i beni del trust, pur essendo di proprietà del trustee, non cadono in successione alla sua morte. I beneficiari, quindi, sono tutelati anche contro questa evenienza. Infine, il trust può assumere le stesse finalità di una fondazione, ma con un’amministrazione più semplice e soprattutto senza la necessità del riconoscimento governativo. L’Italia ha aderito a una convenzione internazionale per il riconoscimento del trust, ma non lo ha mai disciplinato con una normativa specifica. Si ritiene comunque ammissibile l’istituzione di trust in Italia, se le sue finalità non sono in contrasto con il nostro ordinamento (come sarebbe, per esempio, un trust istituito allo scopo di aggirare la normativa antiriciclaggio). Negli ultimi anni alcuni trust sono stati istituiti in Italia, e si sono delineati i primi orientamenti della giurisprudenza e degli operatori. L'Associazione Bancaria Italiana, per esempio, ha inviato a tutte le banche una circolare per spiegare come aprire un conto corrente intestato a un trustee. Nelle conservatorie dei registri immobiliari sono state eseguite trascrizioni di immobili costituiti in trust o acquistati da trustee.
Per quanto riguarda gli aspetti fiscali, rimangono ancora alcuni dubbi, anche se il legislatore ha disciplinato i vincoli di destinazione, tra cui rientra il trust. L'Agenzia delle entrate ha chiarito ufficialmente la posizione dell'amministrazione finanziaria (circolare 6 agosto 2007, n. 48, e circolare 22 gennaio 2008, n. 3). Il trasferimento dei beni dal disponente al trustee è soggetto all'imposta di donazione con aliquota proporzionale (4%, 6% o 8%) calcolata in base al grado di parentela tra il disponente e il beneficiario (si applica l'aliquota massima se il beneficiario è indeterminato), oltre alle imposte ipotecarie e catastali (2% e 1%) se vengono trasferiti beni immobili. Sono comunque applicabili le franchigie previste per i parenti in linea retta, il coniuge, i fratelli e le sorelle e i portatori di handicap grave.
Non è tassato, invece, il trasferimento dei beni dal trustee al beneficiario.
Paolo Tonalini, Passaggio generazionale e protezione del patrimonio, CNA, Pavia, 2016 .
73 Circ.AE n.3/2008.
74 Il primo orientamento in tal senso fu stabilito con Circ. AE n.48/2007.
75 Non senza critiche, vedi il contributo reso da Thomas Tassani, ibidem.
76 CNN, Studio 132-2015 ;
Thomas Tassani, ibidem.
77 Thomas Tassani, ibidem.
78 Con il nuovo art. 2929-bis c.c., dal 27 giugno 2015 (introdotto con D.L. 27 giugno 2015, n. 83) è consentito ai creditori che siano stati danneggiati da un atto del debitore il quale ha costituito un vincolo di indisponibilità o ha trasferito a titolo gratuito beni immobili o mobili iscritti in pubblici registri, successivamente al sorgere dell’obbligazione, di procedere all’esecuzione forzata (se muniti di titolo esecutivo) senza aver prima ottenuto una sentenza dichiarativa dell’inefficacia dell’atto, a condizione che venga trascritto il pignoramento entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole.
79 ex art. 11 del D.lgs 10 marzo 2000, n. 74
80 ex D.lgs nn. 7 – 8 del 15 gennaio 2016
81 Vedi riforma del 2006 e ss mod.