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Pubbl. Mer, 23 Ago 2017

Il nuovo reato di tortura: analisi e prospettive

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Antonella Storti


Modifiche e innovazioni operate dal Legislatore con la Legge n. 110 del 14 luglio 2017, relativa al reato di tortura, in vigore dal 18 luglio 2017.


Nel recepire le indicazioni fornite dalla Convenzione di New York del 1984, il Legislatore italiano ha – finalmente – introdotto nell'ordinamento il reato di tortura, con legge n. 110 del 14 Luglio 2017, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 166 del 18 luglio 2017.

Il fondamento normativo alla base dell'esigenza di introdurre il reato di tortura nell'ordinamento italiano è costituito dall'art. 13 della Costituzione, il quale sancisce il principio per cui è punita ogni forma di violenza fisica e morale su persone sottoposte a restrizioni di libertà.

Non bisogna dimenticare, peraltro, che il divieto di tortura è espresso in svariati trattati ai quali l'Italia ha aderito: si pensi, fra tutte, alla Convenzione ONU contro la tortura, ovvero la Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti, entrambe risalenti al 1987.

La legge poc'anzi citata ha aggiunto al codice penale gli articoli 613 bis e 613 ter (1). Il primo prevede e punisce il reato di tortura. La formulazione normativa richiede, ai fini del configurarsi del reato, che l'autore cagioni, mediante violenze o minacce gravi, acute sofferenze fisiche od un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale od affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, curo od assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa.

La pena è della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Inoltre, è prevista un'aggravante speciale per il caso in cui il reato sia commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio. In questo caso, infatti, la pena è della reclusione da cinque a dodici anni.

Ancora, un aumento della pena base è previsto nel caso in cui dalla condotta tipica descritta dalla norma derivi una lesione personale. In particolare, se la lesione personale che ne derivi è grave l'aumento della pena è di un terzo; qualora si tratti di lesione gravissima la pena è aumentata della metà. Infine, se dai fatti descritti dalla norma derivi la morte della vittima, quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Qualora la morte della vittima sia cagionata volontariamente, la pena è dell'ergastolo.

In ogni caso, il Legislatore ha avuto cura di precisare che quanto previsto al comma 1 dell'art. 613 bis non si applica nel caso in cui le sofferenze risultino unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti.

La formulazione normativa poc'anzi esposta lascia sicuramente spazio a perplessità e dibattiti, soprattutto per quanto concerne l'ipotesi di lesioni o morte conseguenti alla condotta di cui al comma 1. Si è in presenza, infatti, in questi casi, di un reato aggravato dall'evento.

Soprattutto con riguardo alla morte della vittima, il Legislatore opera una distinzione espressa tra l'ipotesi in cui questa sia cagionata intenzionalmente dal caso in cui la stessa sia, invece, un evento involontario, sicché si potrebbe anche ritenere che si sia in presenza di un'ipotesi di responsabilità oggettiva.

A tal proposito, si attendono interventi giurisprudenziali volti a chiarire la natura e l'ambito applicativo delle previsioni contenute nella norma in commento.

L'art. 613 ter, invece, incrimina l'istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura, prevedendo che il pubblico ufficiale o l'incaricato del pubblico servizio il quale, nell'esercizio delle proprie funzioni istighi un altro pubblico ufficiale od altro incaricato di pubblico servizio a commettere tortura è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni, sia se l'istigazione non sia accolta che nel caso in cui la stessa sia accolta ma il delitto non venga commesso.

La norma richiede, inoltre, la concreta idoneità della condotta dell'istigatore.

Anche quest'ultima previsione lascia spazio a dubbi, trattandosi di una locuzione oltremodo ampia, sicché è ragionevole ritenere che l'idoneità della condotta di istigazione vada valutata di volta in volta con riguardo al caso concreto.

Infine, a completamento dell'analisi della recente legge 110 del 2017, pare opportuno menzionare le altre innovazioni che la stessa reca.

Anzitutto, quest'ultima modifica l'art. 191 del codice di procedura civile in tema di prove illegittimamente acquisite, prevedendo che le dichiarazioni o informazioni ottenute mediante tortura sono inutilizzabili, se non contro le persone accusate dello stesso delitto e solamente al fine di provarne la penale responsabilità.

Inoltre, la legge in commento ha introdotto ulteriori disposizioni concernenti il divieto di respingimento, espulsione o estradizione quando vi siano fondati motivi di ritenere che la persona sottoposta a tali misure subisca torture nel proprio stato di appartenenza, nonché in materia di esclusione dall'immunità diplomatica agli stranieri sottoposti a procedimento penale o condannati per il delitto di tortura in un altro Stato o da un tribunale internazionale.

Note

(1) «Art. 613-bis (Tortura). - Chiunque, con violenze o minacce gravi, ovvero agendo con crudeltà, cagiona acute sofferenze fisiche o un verificabile trauma psichico a una persona privata della libertà personale o affidata alla sua custodia, potestà, vigilanza, controllo, cura o assistenza, ovvero che si trovi in condizioni di minorata difesa, è punito con la pena della reclusione da quattro a dieci anni se il fatto è commesso mediante più condotte ovvero se comporta un trattamento inumano e degradante per la dignità della persona. Se i fatti di cui al primo comma sono commessi da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o in violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, la pena e' della reclusione da cinque a dodici anni. Il comma precedente non si applica nel caso di sofferenze risultanti unicamente dall'esecuzione di legittime misure privative o limitative di diritti. Se dai fatti di cui al primo comma deriva una lesione personale le pene di cui ai commi precedenti sono aumentate; se ne deriva una lesione personale grave sono aumentate di un terzo e se ne deriva una lesione personale gravissima sono aumentate della metà. Se dai fatti di cui al primo comma deriva la morte quale conseguenza non voluta, la pena è della reclusione di anni trenta. Se il colpevole cagiona volontariamente la morte, la pena è dell'ergastolo».

«Art. 613-ter (Istigazione del pubblico ufficiale a commettere tortura). - Il pubblico ufficiale o l'incaricato di un pubblico servizio il quale, nell'esercizio delle funzioni o del servizio, istiga in modo concretamente idoneo altro pubblico ufficiale o altro incaricato di un pubblico servizio a commettere il delitto di tortura, se l'istigazione non è accolta ovvero se l'istigazione è accolta ma il delitto non è commesso, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni».