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Pubbl. Mer, 5 Lug 2017

Danni da vaccinazioni: la CGUE prospetta un accantonamento “parziale” delle prove scientifiche?

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Simona Rossi


Analisi della sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, II Sezione, n. C‑62115 emessa il 21.06.2017 in tema della necessità di prove scientifiche a dimostrazione del ”difetto” del vaccino.


Senza ombra di dubbio, il tema più discusso del momento riguarda i vaccini. Tuttavia, stavolta, non siamo qui a dibattere dell’obbligo (oggetto di non poche polemiche!) di ben "dodici" vaccinazioni introdotto nel nostro Paese col decreto legge n. 73/2017, bensì della recentissima pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea n. C‑621/15 emessa dalla II sezione il 21.06.2017.

Prima di analizzare i profili “rivoluzionari” di questa sentenza, è necessario illustrare brevemente la questione che veniva sottoposta al collegio europeo.

A seguito di un ciclo di iniezioni, effettuate a cavallo tra il 1998 ed il 1999, del vaccino prodotto dalla Sanodi Pasteur per immunizzare l’epatite B, un cittadino francese iniziava a manifestare sintomi della sclerosi multipla, che gli verrà poi ufficialmente diagnosticata sul finire del 2000. Sulla base di tale diagnosi, il soggetto in questione adiva in giudizio innanzi al Tribunal de Grande Instance de Nanterre la Ditta farmaceutica produttrice del vaccino, al fine di ottenere il risarcimento del danno da vaccinazione.
Tale giudizio si concludeva con la sentenza emessa il 4 settembre 2009, la quale veniva successivamente riformata dalla Cour d’Appell de Versailles che, con sentenza emessa il 10 febbraio 2011 (anno in cui, tra l’altro, decedeva l’uomo), affermava che gli elementi dedotti erano idonei a dimostrare il nesso di causalità intercorrente tra l’inoculazione del vaccino e l’insorgenza della malattia, ma che tuttavia non erano in grado di dimostrare l’esistenza di un difetto nel suddetto vaccino. A questo punto, la Cour de Cassation veniva chiamata a pronunciarsi sull’impugnazione diretta di tale sentenza e provvedeva ad annullarla con sentenza emessa il 26 settembre 2012, nella quale riconosceva che, stante le condizioni di salute pregresse del soggetto nonché l’assenza di precedenti familiari e il momento di insorgenza della malattia, vi erano le “presunzioni gravi, precise e concordanti” necessarie a dimostrare l’esistenza del nesso di causalità tra la malattia ed il vaccino, ma che mancavano però elementi sufficienti tesi alla dimostrazione che il vaccino fosse difettoso.

La Cour de Cassation rinviava dunque alla Cour d’Appell de Paris per riformare la sentenza emessa in primo grado dal Tribunal de Grande Instance de Nanterre e respingeva, con sentenza del 7 marzo 2014, il ricorso rilevando la mancanza di consenso scientifico a suffragio dell’esistenza di un nesso di casualità tra la vaccina e la malattia poi insorta. Quindi, la Cour de Cassation venne chiamata nuovamente a pronunciarsi sul ricorso diretto contro tale sentenza e decideva di sospendere il procedimento e di sottoporre la questione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Qual è la posizione assunta dall’Illustre Corte? Ebbene, il collegio europeo ha ritenuto che in mancanza di consenso scientifico, il difetto del vaccino possa essere comunque provato da una serie di indizi gravi, precisi e concordanti che in questo caso sono forniti dal fattore temporale di insorgenza della malattia, dalla situazione di salute pregressa dell’uomo, l’assenza di precedenti nell’anamnesi familiare ma anche dalla documentazione di un numero importante di casi riportanti il manifestarsi della sclerosi multipla in seguito a somministrazioni del vaccino. Pertanto, la Corte ha ritenuto che tali elementi fossero sufficienti a “provare” il difetto del vaccino, ma va osservato che questa sentenza non rappresenta affatto un accantonamento delle prove scientifiche in quanto la stessa Corte nella pronuncia in questione sottolinea che “un simile mezzo di prova può solo riguardare presunzioni che: a) siano basate su prove sia rilevanti sia sufficientemente rigorose per sostenere quanto dedotto, b) siano relative, c) non limitino indebitamente la libera valutazione delle prove da parte del giudice nazionale […], d) non impediscano a i giudici nazionali di tenere in debita considerazione qualsiasi ricerca medica rilevante […]”.

Dunque, si potrebbe parlare di un "accantonamento parziale” della scienza solo qualora vi siano prove che, anche in assenza di consenso scientifico, da sole siano in grado di dimostrare non solo il nesso di causalità ma anche il difetto del vaccino.