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Pubbl. Gio, 15 Giu 2017

Il fenomeno del crowdfunding: scenari e contesti economici

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Giusy Tuzza


Probabilmente una delle espressioni più innovative dell’attuale finanza, si avvale della rete e dei contatti virtuali per raccogliere capitale da destinare al mercato. Pertanto è una forma di finanziamento online che permette la realizzazione di progetti ed idee attraverso il cd. microfinanziamento dal basso. Quale, dunque, lo scenario normativo e il contesto economico in cui tale fenomeno si realizza?


SOMMARIO: 1.Premessa; 2. Il crowdfunding: classificazione e caratteristiche; 3. Il crowdfunding le start up innovative sotto il profilo normativo; 4. Conclusioni.

 

1. Premessa.
La prima piattaforma in Italia risale al 2005 anche se, negli ultimi anni, ha registrato una crescente diffusione. Attualmente, infatti, sono attive 39 piattaforme e, probabilmente, il numero sarà presto destinato ad essere incrementato (1). Il motivo di tanto successo sta nel fatto che questo strumento permette la realizzazione di progetti imprenditoriali a soggetti che, di fatto, dispongono di minime possibilità finanziarie. Le piattaforme di finanziamento collettivo sono siti web sui quali proporre domanda (di finanziamento) ed offerta (di denaro) da parte, rispettivamente, dei promotori di un progetto e degli utenti che ne sono destinatari. Di fatto funzione della piattaforma è quella di fare da intermediario tra chi propone progetti e chi li finanzia, sfruttando perfino quegli innovativi strumenti che si concretizzano in termini di blog, siti e quant’altro contribuisce a diffondere questo nuovo tipo di finanziamento. Ebbene a tale pratica di promozione e conseguente raccolta di capitale si avviano sempre più numerose le start up. Ciò, evidentemente, per la natura delle stesse che, non essendo quotate sui mercati regolamentati possono, in genere, andare incontro a difficoltà di reperimento del capitale.      

2. Il crowdfunding: classificazione e caratteristiche.
Per comprendere a fondo la vera natura di questo strumento è, previamente, utile leggere i principi fondamentali inseriti nel Manifesto Kapipalist scritto da Alberto Falossi di Kapipal. Il predetto manifesto recita:

  • I tuoi amici sono il tuo capitale;
  • I tuoi amici realizzano i tuoi sogni;
  • Il tuo capitale dipende dal numero di amici;
  • Il tuo capitale dipende dalla fiducia;
  • Il tuo capitale aumenta con il passaparola. 

Entrando nel merito della questione è opportuno precisare che il Crowdfunding, anche conosciuto come finanziamento collettivo, permette al promotore di un progetto di rivolgersi alla “folla” per chiedere fondi previa proposizione della propria idea imprenditoriale. La raccolta può essere effettuata sia da persone fisiche che da organizzazioni le quali si rivolgono ad un mercato di riferimento sfruttando le vie della rete internet e dei social network. Proprio in ciò consiste la caratteristica principale, che vede concretizzarsi, in un gioco di fiducia e passaparola, un sostegno alle idee più meritevoli e valide accrescendo le leve disponibili della raccolta fondi (2). L’agire comunitario, infatti, realizza un accumulo di ricchezza tale da far decollare progetti che altrimenti sarebbero rimasti tali.

I progetti proponibili coprono una vasta gamma di ipotesi, che vanno dalle attività didattiche alla conservazione dell’ambiente fino alla realizzazione di microcredito verso categorie svantaggiati e/o ricerca scientifica.

Nello specifico gli scambi informativi e la relativa serietà della proposta sono regolati attraverso la piattaforma, che opera con tutti gli espedienti possibili fino a coinvolgere la erogazione di premi, contributi operativi o creativi. Sulla base delle piattaforme possiamo distinguere le diverse categorie di crowdfunding:

  1. Il modello Donation Crowdfunding è la versione virtuale della beneficienza con soggetti (prevalentemente organizzazioni no profit) che chiedono contributi per progetti sociali aventi scopi filantropici ed etici; nessuna ricompensa economica verrà, pertanto, corrisposta al donatore;
  2. Il modello reward-based prevede che i finanziatori ricevano una qualche forma di premio per il loro contributo, una sorta di prenotazione sul prodotto che verrà realizzato con il sostegno economico ottenuto dalla “folla”;
  3. Il modello social lending è caratterizzato dalla raccolta di fondi attraverso microprestiti, ossia attraverso la messa a disposizione di finanziamenti a medio termine da proporre ad un gruppo di richiedenti. Per la particolarità del tipo in oggetto è necessario che le società che operano con questa modalità siano iscritte nei registri presso la Banca d’Italia;
  4.  Il modello equità based consiste nella raccolta di capitale on line a fronte di una partecipazione al capitale di rischio. Di certo rispetto ai modelli precedenti è quello più peculiare, in quanto c’è un elevato grado di coinvolgimento degli utenti donatori che, peraltro, divengono azionisti oppure titolari di quote.

In particolare l’equitycrowdfunding, particolarmente efficace in progetti culturali o tecnologici oppure ambientali, è una variante che permette agli investitori di entrare nel capitale sociale di una società, condividendone il rischio di impresa e acquisendo un vero e proprio titolo di partecipazione.  Dunque è una forma alternativa di raccolta di capitale che meglio si addice alle piccole imprese (o giovani idee) nelle fasi iniziali della propria attività. È, di fatto, una ulteriore alternativa al sistema tradizionale di intermediazione creditizia, che riesce a far fronte alla crisi economica e alle conseguenti carenze di erogazione creditizia. Ed ancora, in termini più ampi, si può ritenere una diversa opzione rispetto alle strutture istituzionali come, per esempio, i venture capitalist o i fondi legati ai BIC. Pertanto, volendo concludere questa breve rassegna, l’Italia può vantare il primato nell’aver predisposto una normativa ad hoc, meglio conosciuta come Decreto Crescita.

3. Il crowdfunding e le start up innovative sotto il profilo normativo.
E’ evidente il forte legame che esiste tra il crowdfunding e il mondo societario, soprattutto alla luce delle ultime tipologie descritte. In particolare le recenti applicazioni vedono coinvolte sempre più le start up innovative, ossia quelle società di capitali che non contemplano la quotazione delle proprie azioni nel mercato regolamentato e che possono interessare il mondo cooperativo e perfino il Terzo settore.

Il D.L. 179/2012, a seguito delle modifiche apportate dal D.L. 3/2015, prescrive i requisiti che le stesse devono possedere. Peraltro il Ministero dello Sviluppo Economico, con decreto 17 febbraio 2016 (3) ha stabilito che i contratti di S.r.l., aventi per oggetto prevalente o esclusivo “lo sviluppo, la produzione e la commercializzazione di prodotti innovativi ad alto valore tecnologico” e, per i quali, viene richiesta l’iscrizione nella sezione speciale delle start up ai sensi dell’art. 25, comm 8, D.L. 176/2012, sono redatti in forma elettronica e firmati digitalmente ex art. 24 C.A.D. da ciascuno dei sottoscrittori. Ed ancora. L’Agenzia delle Entrate (4) dispone che il riferimento in termini ostativi alla fusione, cessione o scissione del ramo d’azienda previsto dal D.l. su citato, rispetto alle start up, deve essere inteso come “divieto di costituire imprese agevolabili per effetto di una operazione di riorganizzazione dell’azienda”. Ciò trova sostegno nella logica sottesa, ovverossia l’agevolazione di avvio di innovative attività imprenditoriali. Logica che trova coerenza nella possibilità della realizzazione della diversa operazione di trasformazione, come precisato dalla nota prot. 0164029 del 2013 del Ministero dello Sviluppo Economico.

Interessante sotto il profilo giuridico è il caso del riconoscimento del regime delle start up, da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, al conferimento di una azienda che ha dato origine ad una S.r.l. unipersonale al fine di non creare un regime di discriminazione verso quegli imprenditori individuali che, non essendo costituite in forma societaria e non potendo trasformarsi in società, in teoria non potrebbero avvalersi della disciplina in oggetto.

Un altro caso interessante da analizzare è il seguente: un’associazione culturale senza scopo di lucro, costituita prevalentemente per attribuire data certa al marchio e all’oggetto, può trasformarsi in start up con il medesimo oggetto? Per rispondere è previamente opportuno distinguere (al fine di una giusta valutazione) tra il profilo della trasformazione in società e il profilo dell’accesso alla disciplina delle start up (5). Ne deriva che, non essendo la start up innovativa un tipo autonomo, non è possibile una trasformazione in tal senso, mentre nessun ostacolo se si accettasse la qualifica ad una società risultante dalla trasformazione (un esempio tra tutti trasformazione da società di capitali a cooperativa). Alla luce di quanto esposto si può ora rispondere al quesito iniziale, e precisamente si può affermare che lo stesso art. 25 del D.L. 179/2012 contempla le start up innovative a vocazione sociale ossia che operano i quei settori indicati dall’art. 2, comma 1, del D.lgs. 155/2006. È anche possibile che l’ente associazione cambi il solo scopo mantenendo immutato l’oggetto sociale.  

Quanto detto ci permette di introdurre la questione relativa alle cd. SIAV, appunto meglio conosciute come start up innovativa a scopo sociale, alle quali si ricorre per fruire di maggiori agevolazioni fiscali in termini di detrazioni/deduzioni, purché ci si impregni a dare evidenza all’impatto sociale, realizzando una finalità di interesse generale e, ovviamente, purché si operi in uno dei settori indicati nell’art. 2, comma 1, D.lgs. 155/2006.

Anche se brevemente, onde evitare di straripare oltre i confini della questione centrale affrontata nel presente articolo, è bene soffermarsi per completezza a esporre un ulteriore tipologia di start up innovativa e precisamente si fa riferimento alle tech –based. Quest’ultime, di certo, rappresentano una valente opportunità per le imprese tecnologiche, favorendone sia gli investimenti che la produttività. Ci si riferisce, pertanto, a categorie del tutto nuove come internet of things, security and access control, digital payments, smart wellness, ed altri concetti che vanno a concretizzare realtà virtuali e di stampo prettamente tecnologico in linea con l’evoluzione societaria, culturale e finanziaria.

Inquadrato, dunque, il palcoscenico economico e societario in cui operano gli attuali utenti (cittadini, società, risorse, finanziatori, investitori, ideatori, ecc), a questo punto è più agevole comprendere il legame tra il fenomeno del Crowdfunding e le start up. La raccolta di capitale di rischio tramite portali on line rappresenta una delle modalità con cui il legislatore si è mosso al fine di agevolare la raccolta di capitale da parte delle start up (6).
Nel nostro ordinamento la Consob, coerentemente con quanto previsto all’art. 50 quinquies del TUB, ha adottato con delibera n. 18592 il regolamento con il quale vengono disciplinati il contenuto, i requisiti richiesti, le modalità di iscrizione ed eventuali modifiche ma, soprattutto, sono individuate le informative che devono essere date sia in tema di start up oggetto di investimento che di offerte promosse che, infine, di modalità di adesione (7).
Si badi bene che l’attività di gestione dei portali on line è riservata alle imprese di investimento e/o alle banche autorizzate che confluiscono in una sezione speciale del Registro nonché ai soggetti iscritti ai sensi della predetta delibera Consob nel registro disciplinato dal Regolamento. Questi, infatti, possono gestire i portali soltanto a condizione che trasmettano gli ordini solo alle banche e alle imprese di investimento. Le informazioni devono essere riservate, aggiornate ed accessibili almeno per 12 mesi successivi alla chiusura delle offerte e per 5 anni a chi ne facesse esplicita richiesta. Il gestore, ai sensi dell’art. 13 Regolamento, deve svolgere la propria attività con trasparenza, evitando conflitti di interesse; deve anche rendere disponibili le informazioni; deve inoltre tutelare gli investitori esponendo il rischio dell’investimento e facendo presente che è possibile recedere e in che modalità. Ai sensi dell’art. 25 comma 2, poi, è previsto il diritto di revoca quando sopraggiungano fatti nuovi o errori materiali rilevanti nelle informazioni offerte sul portale.  Dovranno, infine, essere esposte tutte le informazioni specifiche al caso in esame, allo specifico, cioè, tipo di investimento ed offerta proposta.

4. Conclusioni.
Se si pone attenzione all’art. 2333 c.c. risulta immediatamente evidente che qualcosa di molto simile al fenomeno attualmente diffuso del crowdfunding avveniva nel nostro ordinamento già prima dell’entrata in vigore del D.L. 179/2012 convertito dalla L. 221/2012. La norma del codice civile, infatti, prevede un procedimento complesso  che consiste nella pubblica sottoscrizione che, nello specifico, consiste nella sollecitazione al pubblico risparmio vendendo al pubblico le azioni della società da costituire. Tuttavia è palese che il fenomeno dell’equity crowdfunding, e in generale del crowdfunding, avviene in maniera più agevole, veloce, controllata attraverso l’innovativa rete del web e su piattaforme che operano da veri e propri mach makers.

 

Bibliografia

  1. A. Ordanini, L. Miceli, “Crowfunding: trasfering customers into investons thought innovative service platforms”, Journal of service management, 22 (4), pp. 443 ss.
  2.  I. Pozin, “Crowfunding: saving the US Economy”, www. Fobes.com, 28 giugno 2012.
  3. G.U., serie generale, n. 56dell’8 marzo 2016.
  4. Circolare Agenzia delle Entrate n. 16/E dell’11 giugno 2014.                 
  5. Ruotolo, “La trasformazione degli enti no profit”, in Studi e materiali, 2010, p.840.          
  6. Il legislatore italiano, tenendo conto della introduzione del JOBS Act degli Usa ha emanato il decreto c.d. Crescita bis, ossia D.L. 179/2012 convertito in L. 221/2012.
  7. Camera di Commercio con l’ausilio del MISE, “La start up innovativa, guida sintetica per utenti esperti sugli adempimenti societari”, http://startup.registroimprese.it.