Pubbl. Lun, 22 Mag 2017
Le misure di prevenzione patrimoniali
Modifica paginaL´istituto delle misure di prevenzione, con specifico riguardo alle misure a carattere patrimoniale: uno sguardo alla dottrina e giurisprudenza più recente
Sommario: 1. La misure di prevenzione: brevi cenni introduttivi; 2. Le misure di prevenzione a carattere patrimoniale; 3. Il sequestro di prevenzione; 4. La confisca.
1. La misure di prevenzione: brevi cenni introduttivi.
Le misure di prevenzione possono definirsi quali misure specialpreventive dirette ad evitare la commissione di reati da parte di determinate categorie di soggetti ritenuti socialmente pericolosi 1. Esse si distinguono dalle pene in senso stretto, ovvero dalle affini misure di sicurezza, non tanto sul piano funzionale – poichè entrambe mirano alla prevenzione sociale – quanto sul piano strutturale, essendo applicabili indipendentemente dalla commissione di un precedente reato, e di qui la denominazione di misure ante o praeter delictum.
La distinzione tra prevenzione ante delictum e repressione-prevenzione penale in senso stretto è andata delineandosi soprattutto nel corso del XIX secolo, sotto l'influenza di concezioni penalistiche di orientamento liberale.
Alle misure di prevenzione “extrapenali” spetta, nello specifico, la funzione di circoscrivere la pericolosità sociale di determinate categorie di individui, evitando così che la stessa possa sfociare nella commissione di concreti fatti delittuosi, al diritto penale in senso stretto, invece, è attribuibile il precipuo compito di reprimere fatti di reato già commessi.
Nonostante l'evidente chiarezza di tale distinzione, il sistema della prevenzione ante delictum ha vissuto e continua a vivere una tormentata vicenda.
Esso, infatti, è stato oggetto di continue dispute, dalla sua nascita fino ad oggi, in relazione alla legittimità di misure restrittive della libertà del cittadino che prescindono dalla commissione di un reato. Pertanto misure che, essendo fondate su semplici sospetti o indizi di pericolosità, «continuano a sollecitare la facile obiezione di risolversi in pene del sospetto» 2, o vengono ancora individuate come «stampelle di un apparato di repressione che non riesce a percorrere la via maestra del giudizio per l'accertamento del reato» 3.
Nonostante ciò, il sistema della prevenzione è andato progressivamente espandendosi nel nostro ordinamento, soprattutto al fine di fronteggiare nuove forme di criminalità collettiva e finendo così col formare oggetto di un separato corpus iuris, dotato di una propria specifica identità e autonomia e divenuto poi sempre più cospicuo.
Volendo ripercorrere brevemente le tappe normative più significative, occorre partire dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, che rappresenta il testo normativo fondamentale in materia di prevenzione. Esso prevede un sistema misto in cui l'applicazione delle misure di prevenzione è attribuita in parte all'Autorità di pubblica sicurezza ed in parte all'Autorità giudiziaria.
Le altre due fonti principali in materia sono la legge 31 maggio 1965, n. 575, poi integrata dalla legge 13 settembre 1982, n. 646 (c.d. “Legge Rognoni-La Torre”) che ha ampliato l'ambito di applicazione delle misure di prevenzione “agli indiziati di appartenere ad associazioni di tipo mafioso”, e la legge 22 maggio 1975, n. 152 (c.d. “Reale”) con cui il legislatore ha esteso il sistema della prevenzione anche ai fenomeni eversivi e terroristici.
Deve, inoltre, rilevarsi che queste tre fonti sono state poi oggetto di continue modifiche ed integrazioni ad opera di una pluralità di leggi succedutesi nel tempo, al fine di adeguare l'apparato normativo alla costante e rapida evoluzione dei fenomeni criminosi.
Ne è così scaturito un sistema confuso e di difficile interpretazione e di qui il sorgere dell'esigenza di un'organica rivisitazione del sistema delle misure di prevenzione, portata a buon fine dal D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159, “Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136” (c.d. “Codice antimafia”).
Pur a fronte delle segnalate difficoltà dovute alla progressiva stratificazione normativa, è emersa comunque nitidamente negli ultimi anni la volontà legislativa di assegnare un ruolo preminente, nel contrasto alla criminalità di tipo mafioso, al sistema della prevenzione, ed in particolare a quella a carattere patrimoniale, essendo ormai pienamente maturata e diffusa, a livello sociale, la consapevolezza che il metodo più efficace, per combattere la criminalità organizzata, risiede proprio nella aggressione ai patrimoni illecitamente costituiti mediante l'attività delittuosa.
Inoltre, la tendenza legislativa sembra decisamente muoversi verso un solido e deciso rafforzamento delle possibilità di assoggettare a vincolo ablativo non solo i proventi dell'attività illecita ma anche e principalmente i proventi che, a vario titolo, costituiscono il reimpiego del c.d. “denaro sporco”, perseguito dalle associazioni mafiose con tecniche sempre più sofisticate, al fine di occultare l'illecita provenienza di esso e così da evitarne l'apprensione ad opera dello Stato.
La Carta Costituzionale nulla dispone in materia di misure di prevenzione, da cui la difficoltà di reperire norme o principi costituzionali atti a conferire al potere di prevenzione una piena legittimazione.
Riguardo alle misure di prevenzione personali, si sono sviluppate in dottrina varie ed articolate posizioni aventi come estremi la tesi della piena compatibilità delle misure 4 e quella della incompatibilità assoluta 5.
Nell'ambito del prevalente orientamento, favorevole all'ammissibilità della prevenzione, si richiama l'art. 2 della Costituzione che, nel riconoscere e garantire i diritti inviolabili dell'uomo, impegnerebbe lo Stato a tutelarli prima che siano offesi. A tale fronte ha aderito anche la Corte Costituzionale che in numerose decisioni ha affermato che “il principio di prevenzione e di sicurezza sociale affianca la repressione in ogni ordinamento”, rendendo così legittime le restrizioni della libertà che non siano costituzionalmente escluse 6.
In modo più agevole si perviene a sostenere la legittimità costituzionale delle misure di prevenzione a carattere patrimoniale guardate con sostanziale favore, posto che, incidendo su un bene come il patrimonio, assistito da minori garanzie rispetto a quelle della libertà personale, assicurano peculiari e maggiori risultati nel contrasto ai fenomeni della criminalità organizzata.
2. Le misure di prevenzione a carattere patrimoniale.
L'ambito di applicazione delle misure di prevenzione è stato ampliato a partire dalla seconda metà degli anni sessanta, ad opera della legge n. 575/1965, con l'inclusione di nuove categorie di soggetti pericolosi, quali gli “indiziati di appartenere ad associazioni mafiose”.
La prevenzione antimafia è stata poi ulteriormente rafforzata dalla legge n. 646/1982 (c.d. “Rognoni- La Torre”), che ha apportato diverse novità tra le quali in particolare, oltre alla creazione del nuovo reato di associazione di tipo mafioso, l'introduzione di misure di prevenzione a carattere patrimoniale, ritenute le più adeguate a combattere le organizzazioni mafiose.
Tali nuove misure sono applicabili indipendentemente dalle misure di prevenzione personali in virtù del c.d. “principio di reciproca autonomia”, sancito nell'art. 2-bis, L. n. 575/1965, come modificato dall'art. 18, comma 1, D.Lgs. n. 159/2011 (c.d. “Codice antimafia”), il quale dispone espressamente che: «Le misure di prevenzione personali e patrimoniali possono essere richieste e applicate disgiuntamente e, per le misure di prevenzione patrimoniali, indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto proposto per la loro applicazione al momento della richiesta della misura di prevenzione».
L'art. 18, al comma 2, prevede poi che: «Le misure di prevenzione patrimoniali possono essere disposte anche in caso di morte del soggetto proposto per la loro applicazione. In tal caso il procedimento prosegue nei confronti degli eredi o comunque degli aventi causa». Prosegue al comma 3 stabilendo che: «Il procedimento di prevenzione patrimoniale può essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca; in tal caso la richiesta di applicazione della misura di prevenzione può essere proposta nei riguardi dei successori a titolo universale o particolare entro il termine di cinque anni dal decesso» 7.
Le misure di prevenzione a carattere patrimoniale sono il sequestro e la confisca.
3. Il sequestro di prevenzione.
Il sequestro è un provvedimento di natura provvisoria e cautelare disposto, con decreto motivato, dal Tribunale, anche d'ufficio, nel corso del procedimento per l'applicazione della sorveglianza speciale, avente ad oggetto i beni nella disponibilità diretta o indiretta del proposto, “quando il loro valore risulta sproporzionato al reddito dichiarato o all'attività economica svolta ovvero quando, sulla base di sufficienti indizi, si ha motivo di ritenere che gli stessi siano il frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego” (art. 20, comma 1, Codice antimafia).
La ratio del provvedimento è da ravvisarsi nell'esigenza di neutralizzare la situazione di pericolosità derivante dal permanere del bene nella disponibilità di chi lo ha acquisito illecitamente e ne preordina l'impiego per ulteriori attività illecite.
Il Codice prevede poi una precisa scansione temporale del procedimento, tale da garantire la speditezza dello stesso in uno con le necessarie garanzie del proposto. Si prevede infatti la perdita di efficacia del sequestro ove non venga disposta la confisca nel termine di un anno e sei mesi dal deposito del ricorso8. Tali termini possono eventualmente essere prorogati per periodi di sei mesi e per non più di due volte in caso di indagini particolarmente complesse.
Al termine del procedimento di prevenzione, il Tribunale applica la misura di prevenzione richiesta ovvero respinge la proposta.
“Il sequestro è revocato dal tribunale quando è respinta la proposta di applicazione della misura di prevenzione o quando risulta che esso ha per oggetto beni di legittima provenienza o dei quali l'indiziato non poteva disporre direttamente o indirettamente” (art. 20, comma 2, Codice antimafia).
Se invece la misura di prevenzione è applicata, il Tribunale procede alla confisca dei beni sottoposti a sequestro preventivo nel corso del procedimento.
4. La confisca.
La confisca dei beni sequestrati, invece, consiste in un provvedimento a carattere ablativo che comporta la devoluzione allo Stato dei beni (sia mobili che immobili, ma anche crediti, quote sociali, società, aziende ecc..) appartenenti al prevenuto.
La confisca di prevenzione differisce pertanto dalla confisca quale misura di sicurezza patrimoniale in quanto:
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si applica indipendentemente dall'accertamento della commissione di un reato;
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non è limitata soltanto alle cose che costituiscono il prezzo, il prodotto o il profitto del reato.
Ai sensi dell'art. 24, comma 1, Codice antimafia: «Il Tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego».
Alla stregua dell'art. 26, comma 1, Codice antimafia, il giudice quando accerta che taluni beni sono stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi, con il decreto che dispone la confisca il giudice dichiara la nullità dei relativi atti di disposizione. Ai fini di cui al comma 1 si presumono fittizi, fino a prova contraria:
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i trasferimenti e le intestazioni, anche a titolo oneroso, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione nei confronti dell'ascendente, del discendente, del coniuge o della persona stabilmente convivente, nonché dei parenti entro il sesto grado e degli affini entro il quarto grado;
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i trasferimenti e le intestazioni, a titolo gratuito o fiduciario, effettuati nei due anni antecedenti la proposta della misura di prevenzione.
Il punto più controverso della disciplina della confisca riguarda però il regime probatorio. La legge, infatti, sembra subordinare l'applicazione della misura alla mancata dimostrazione, da parte dell'indiziato, della legittima provenienza dei beni, inducendo così molti autori a ritenere che il legislatore, così facendo, abbia finito con l'introdurre un'inversione dell'onere della prova, con conseguente violazione dei principi costituzionali della difesa e della presunzione di non colpevolezza.
Nella prassi si è tuttavia sostenuto l'orientamento secondo il quale sull'interessato graverebbe soltanto un onere di allegazione delle circostanze atte a dimostrare l'origine lecita dei beni in sequestro, escludendosi qualsiasi inversione dell'onere della prova 9. L'organo dell'accusa non deve quindi partire dalla presunzione che i beni sequestrati sono di fonte illecita, bensì fornire gli elementi indizianti al momento del sequestro, la permanenza dei quali va accertata dal Tribunale in sede di statuizione di confisca.
Sull'argomento è infatti intervenuta una recente pronuncia della Cassazione a Sezioni Unite la quale ha statuito che, in tema di confisca di prevenzione, la presunzione di illecita provenienza dei beni ha natura di presunzione relativa e per l'assolvimento dell'onere probatorio posto a carico del soggetto inciso è sufficiente la mera allegazione di fatti, situazioni od eventi che, ove riscontrabili, siano idonei, «ragionevolmente e plausibilmente», ad indicare la lecita provenienza dei beni oggetto di richiesta di misura patrimoniale. Inoltre, spetta pur sempre alla parte pubblica l'onere della prova della sproporzione tra beni patrimoniali e la capacità reddituale del soggetto, nonché della illecita provenienza dei beni, dimostrabile anche in base a presunzioni, mentre è riconosciuta al proposto la facoltà di offrire prova contraria 10.
Infine, altro punto dibattuto riguarda la natura giuridica della confisca. Alcuni tendono a configurare la confisca come una misura a carattere repressivo e sanzionatorio 11, altri autori, al contrario, la qualificano come una nuova misura di prevenzione a carattere patrimoniale 12.
Nell'ambito della dottrina e giurisprudenza più recenti va affermandosi l'orientamento volto a sottolineare la natura “ibrida” della confisca di prevenzione, le cui funzioni vengono ricondotte ad un tertium genus sanzionatorio, cioè ad una sanzione amministrativa a carattere ablativo, assimilabile negli effetti alla misura di sicurezza ex art. 240, comma 2, c.p. 13.
Note e riferimenti bibliografici
1 G.P.DOLSO, Misure di prevenzione e Costituzione, in AA.VV., Le misure di prevenzione, a cura di F.FIORENTIN, Torino, Giappichelli, 2006, pp. 1-2, definisce efficacemente le misure di prevenzione quali «provvedimenti variamente afflittivi che vengono di norma adottati nei confronti di persone che, pur non avendo o non avendo ancora commesso reati, sono considerate, sulla base di parametri di diversa consistenza, pericolose per la società».
2 G.FIANDACA-E.MUSCO, Diritto penale. Parte generale, Bologna, Zanichelli, 2014, VII ed., p. 914
3 G.CORSO, Profili costituzionali delle misure di prevenzione: aspetti teorici e prospettive di riforma, in AA.VV., La legge antimafia tre anni dopo, a cura di G.FIANDACA- S. COSTANTINO, Milano, Giuffrè, 1986, p. 137.
4 P.NUVOLONE, Le misure di prevenzione nel sistema delle garanzie sostanziali e processuali della libertà del cittadino, in Trent'anni di diritto e procedura penale, Padova, CEDAM, 1969, p. 387.
5 L.ELIA, Le misure di prevenzione tra l'art. 13 e l'art. 25 della Costituzione, in Giurisprudenza Costituzionale, 1964, p. 938; F.BRICOLA, Forme di tutela “ante delictum” e profili costituzionali della prevenzione, Milano, Giuffrè, 1975, p. 83.
6 Corte Cost., 20 giugno 1964, n. 68, in Rivista penale, 1964, II, p. 767.
7 Cass. pen., Sez. Un., 16 marzo 2017, n. 12621, ha statuito il seguente principio di diritto: “Nell’ipotesi in cui l’azione di prevenzione patrimoniale prosegua ovvero sia esercitata dopo la morte del soggetto socialmente pericoloso, la confisca può avere ad oggetto non solo i beni pervenuti a titolo di successione ereditaria, ma anche i beni che, al momento del decesso, erano comunque nella disponibilità del de cuius, per essere stati fittiziamente intestati o trasferiti a terzi”.
8 Cass. pen., sez. VI, 13 dicembre 2016, n. 52774, ha affermato che: “Il termine di un anno e sei mesi, previsto dall'art. 27, comma 6, D.Lgs. n. 159/2011, decorrente dal deposito dell'atto di impugnazione, entro il quale la Corte di appello deve provvedere a pena di inefficacia della confisca disposta in primo grado, ha come riferimento finale la data del deposito del decreto motivato e non quella del deposito del dispositivo”. La Suprema Corte ha, in motivazione, osservato che, svolgendosi il procedimento in camera di consiglio, il provvedimento giurisdizionale acquista giuridica esistenza soltanto con il deposito, che ne segna il momento perfezionativo.
9 Cass. pen., 9 dicembre 1988, in Foro It., 1990, p. 2056; Cass. pen., 26 maggio 1986, in Foro It., 1988, p. 73.
10 Cass. pen., Sez. Un., 2 febbraio 2015, n. 4880.
11 P.COMUCCI, Il sequestro e la confisca nella legge antimafia, in Riv. it. dir. proc. pen., 1985, p. 84; A.MANGIONE, La misura di prevenzione patrimoniale tra dogmatica e politica criminale, Padova , CEDAM, 2001, pp. 291 ss.
12 L.GUERRINI-R.MAZZA, Le misure di prevenzione. Profili sostanziali e processuali, Padova, CEDAM, 1996, pp. 163 ss.
13 Tale orientamento, volto a riconoscere una natura di tertium genus alla confisca, risale alla nota sentenza Cass. pen., Sez. Un., 3 luglio 1996, n. 18, ed è stato più volte sostenuto anche dalla giurisprudenza più recente.