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Pubbl. Ven, 19 Mag 2017
Sottoposto a PEER REVIEW

PRIVATE MILITARY AND SECURITY COMPANIES, LEGISLAZIONE INTERNA E DIRITTO INTERNAZIONALE DEI CONFLITTI ARMATI

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Nicolò Giordana


La recente crescita sul piano internazionale dell´utilizzo di Compagnie private di contractors fa sorgere dei profondi dubbi a livello della disciplina internazionale e di quella interna, problemi di qualificazione giuridica e quindi di applicazione in concreto di un comparto normativo utile.


Sommario: 1. La privatizzazione dei servizi militari; 2. Il rapporto tra i dipendenti delle PMSCs ed il diritto internazionale; 3. Il legittimo combattente nel d.i.c.a.; 4. PMSCs e art. 43 del I Protocollo Addizionale; 5. Contractors ed art. 4 della III Convenzione di Ginevra; 6. Il contractor come persona che segue le Forze Armate; 7. Contractors e civili; 8. I mercenari per il diritto internazionale; 9. Risvolti pratici di impiego nell’attuale quadro d.i.c.a.; 10. PMSCs e diritto interno.

1.   La privatizzazione dei servizi militari

Un elemento che negli ultimi anni ha assunto ul rilievo fondamentae nel modo di condurre le operazioni militari è rappresentato dall’emergere delle Private Military and Security Companies (di qui PMSCs). Alcuni parlano di un «fenomeno commerciale della privatizzazione della guerra»[1] portato a divenire da ditte private che hanno rafforzato la loro capacità di generare apporti soddisfacenti, sia dal lato economico sia da quello professionale, a Governi ed enti privati tanto da riuscire in poco tempo ad imporsi nello scenario mondiale ingrandendosi e trasformandosi in imprese multinazionali capaci di fornire una rosa di servizi diversificati[2].

 Esaminando l’attuale prassi degli attori internazionali assistiamo all’outsourcing delle funzione di security a società private. In tale contesto dobbiamo specificare come vi sia una profonda distinzione tra l’esternalizzazione e la privatizzazione: se infatti la seconda si riferisce al processo che trasferisce interi settori pubblici ad un ente privato, compresa la funzione gestoria dei settori stessi, con il primo termine riferiamo in ordine ad un processo di trasferimento dello svolgimento di singole funzioni dall’Ente pubblico a quello privato senza che vi sia una definitiva scomparsa dell’autorità statale la quale rimane con varie forme: dalla regolamentazione del mercato attraverso lo strumento legislativo, al successivo controllo sull’operato dei prestatori del servizio.

I soggetti fisici che, dotati di un hight profile of militarian professionality spesso acquisito sul campo, lavorano per queste imprese sulla base di un contratto di diritto privato stipulato tra i soggetti giuridici loro titolari ed il soggetto che richiede la prestazione prendono il nome di contractors.

Attualmente possiamo distinguere le PMSCs in base al settore d’occupazione: avremo le Private Military Companies (PMCs), imprese di carattere strettamente militare che prevedono la partecipazione diretta dei propri dipendenti a conflitti, interni ovvero internazionali, o attuano l’addestramento e l’equipaggiamento delle Forze Armate dell’esercito dello Stato dal quale sono state assoldate; e le Private Security Companies (PSCs), quelle imprese che si occupano prevalentemente della sicurezza interna di uno Stato tramite attività di carattere addestrativo della polizia locale o la protezione materiale di luoghi o persone[3]. Tuttavia «the most widespread distinction used in literature, that between private military and private security companies, appears controversial for at least two reasons. First most companies provide an array of different services ranging from logistic, training, and intelligence to static, convoy, and personal security. Hence most companies provide both private military and private security services rather than one or the other. Moreover this distinction is often inherently blurred. What is crucial in assessing the military nature of an activity is not only the activity per se, but the theatre in which it is carried out: providing security for a site or a convoy in the theatre of an insurgency, under potential enemy fire, is a typically military function»[4].

Sulla base dei compiti materialmente svolti e della natura offensiva o difensiva del servizio, una parte della dottrina[5] distingue tra le imprese di PMCs impiegate in operazioni di combattimento, definite attive, e quelle con compito di mera difesa del territorio, o addestramento di truppe, definite passive. Tra tutte però la classificazione maggiormente asseverata rimane quella del già citato P. W. Singer nota con la metafora della “punta di lancia” secondo cui le unità delle forze armate possono essere distinte in base alla loro posizione sul campo di battaglia ed alla vicinanza alla linea del fronte dove si svolgono i combattimenti armati. Le organizzazioni militari vengono dunque suddivise secondo la loro posizione maggiorente vicina alla punta della lancia: quelle che operano nel quadro generale, quelle che operano nel teatro di guerra e quelle che operano nella vera e propria area delle manovre.

Le PMCs possiamo dunque strutturarle in tre clessi: le società provider, che forniscono servizi di prima linea sul campo impegnandosi in veri e propri combattimenti, nel comando e controllo diretto delle unità; le società di consulenza militare, che forniscono servizi investigativi, di analysis e security, di addestramento e protezione personali nonché di fornitura di tecnologie avanzate; ed infine società di supporto militare, che forniscono forze di retrovia e servizi logistici, tecnici, di trasporto ed ogni altro di carattere supplementare[6].

Questa distinzione, che è doverosa farsi per un’eventuale futura normazione da parte del Legislatore interno che non si è ancora espresso in materia, de facto risulta nella pratica poco funzionale in quanto una medesima impresa può offrire servizi sia a carattere militare che di security. Possiamo quindi proseguire nell’analisi del diritto internazionale dei conflitti amati esaminando le ricadute di questo in capo alle PMSCs.

2.   Il rapporto tra i dipendenti delle PMSCs ed il diritto internazionale

Al fine di determinare il diritto vigente ed il possibile framework entro cui il Legislatore nazionale dovrebbe esprimersi in una regolamentazione del fenomeno sempre più crescente dell'impiego di agenzie private nell'espletamento di funzioni oggi militari, si ritiene di fondamentale importanza premettere una distinzione. Allo stato dell'arte, infatti, le Private Military and Security Companies sono da considerarsi società e per tale effetto persone giuridiche, differentemente dal loro personale che rientra nel genus delle persone fisiche. La distinzione assume rilievo laddove per il diritto internazionale dei conflitti armati (di qui d.i.c.a.), altresì noto come diritto internazionale umanitario, non vincola le persone giuridiche, invero assumendo connotazione d'obbligo per gli individui singoli.

Come granitica dottrina ha inteso affermare[7] la disciplina che trova applicazione nei confronti dei contractors dipende dalla natura delle relazioni che questi soggetti intrattengono con le parti in conflitto e dalle attività che essi pongono in essere. Lo status applicabile, ed il relativo comparto normativo di riferimento, sarà quindi determinabile casu casu alla luce dei criteri esplicati dal d.i.c.a.

Il principio cardine che quindi dobbiamo porre a fondamento del nostro studio è la distinzione che internazionalmente c'è tra il combattente ed il civile al fine di determinare il regime giuridico in cui i dipendenti delle PMC e delle PSC ricadono. In altri termini la species che attribuiamo al contractor determinerà nel particolare sia i diritti ed i privilegi, che le conseguenze giuridiche derivanti dalle condotte poste in essere. Volendo riprendere un concetto espresso da apprezzabile dottrina (Fallah) «there is no blanket response to the question of whether private security contractors are civilians or combatans for the purposes of IHL. The law does not directly contemplate the role or prominence of the private security industry; rather, it sets down a broad framework for determining the status of individuals in armed conflict»[8].

Nei capitoli che seguono andremo ad esaminare funditus le differenti possibilità di qualificazione dei contractors per il diritto internazionale.

3.   Il legittimo combattente nel d.i.c.a.

Il combattente legittimo è, come dice la parola stessa, legittimamente autorizzato a prender parte in forma diretta alle ostilità non potendo quindi essere punito per gli atti posti in essere in battaglia in conformità a quanto previsto dal diritto internazionale vigente. Oltre a questo al legittimo combattente, se catturato, spetta il trattamento riservato ai prigionieri di guerra.

Lo status di combattente non trova spazio all'interno di conflitti armati non internazionali[9]: nei conflitti interni, quindi, i membri di gruppi armati organizzati non godranno del trattamento del prigioniero.

La definizione di legittimo combattente è maturata in senno al diritto internazionale nel corso dei decorsi storici. Sino al termine del secondo conflitto mondiale i giuristi si rifacevano a quanto disposto all'interno della Regulations concerning the Laws and Custom of War on Land annessa alla IV Convenzione de L'Aia del 18 Ottobre 1907 che individuava tre figure di combattente legittimo: il combattente regolare, il combattente irregolare e la levata di massa.

Il primo dei tre era colui il quale faceva parte delle Forze Armate, delle Milizie volontarie o dei Corpi volontari integrati strutturalmente all'interno delle Forze Armate; il secondo faceva parte di spontanee Milizie volontarie o spontanei Corpi volontari che avevano al loro vertice una persona responsabile dei subordinati in grado di garantire il rispetto dell'ordine e della disciplina, fossero dotati di un segno distintivo chiaramente riconoscibile, portassero apertamente le armi e si conformassero nella conduzione delle operazioni agli usi ed alle leggi di guerra. Infine con levata di massa viene definita la sollevazione di una popolazione che, vedendo arrivare il nemico, prende spontaneamente le armi senza avere il tempo di assegnarsi una struttura gerarchica.

A seguito del secondo conflitto mondiale irrompe nella scena giuridica una nuova forma di attore belligerante rappresentato dai movimenti organizzati della resistenza. Questi sono stati formalizzati dall'art. 4 della III Convention relative to the Treatment of Prisoniers of War siglata a Ginevra il 12 Agosto 1949 ed hanno trovato collocazione al fianco delle Milizie e degli altri Corpi volontari non strutturati organicamente all'interno delle Forze Armate. Unica differenziazione assegnata è che i gruppi di resistenza dovranno appartenere ad una delle parti del conflitto, ciò è anche ribadito all'interno del Commentary alle Convenzioni di Ginevra dove si afferma che «it is essential that there should be a de facto relationship between the resistance organization and the party to the conflict, but existence of this relationship is sufficient»[10]. Lo stesso art. 4 prevede poi che la qualifica di combattente legittimo trovi spazio anche nei confronti di quei membri delle Forze Armate regolari che dipendono da un Paese ovvero da un'Autorità non riconosciute dall'avversario.

I requisiti sin qui richiamati di appartenenza ad una parte in conflitto e di sussistenza di un comandante responsabile debbono essere collettivamente posseduti dal movimento perché i suoi membri siano considerabili legittimi combattenti. Riassumendo possiamo a ragione affermare che il singolo da solo - come unità atomistica - non può essere considerato combattente legittimo ma ciò è possibile solo se detto singolo è membro di un gruppo - come unità elementare - essendo questo gruppo medesimo a fornirgli il cappello di legittimità.

Il successivo Additional Protocol alla Convenzioni di Ginevra dell'8 Giugno 1977 è poi intervenuto innovando profondamente la disciplina previgente: da un lato ha ampliato ai movimenti di liberazione nazionale che combattono in senno al principio di autodeterminazione del popolo ed ai guerriglieri, definiti come combattenti in un conflitto armato interno ovvero all'interno di una guerra di liberazione nazionale; dall'altro lato ha fornito una definizione di Forze Armate tale da porre fine alla discriminazione tra combattenti regolari ed irregolari.

L'art. 43 delinea una serie di condizioni necessarie perché un soggetto possa conservare lo status di prigioniero di guerra. Qui è stabilito che combattenti sono i membri delle forze, dei gruppi e delle unità armate di una parte in conflitto che sono posti sotto un comando responsabile della condotta dei propri subordinati e soggetti ad un regime disciplinare interno che assicuri il rispetto del d.i.c.a.

L'art. 44 stabilisce poi che al fine di dirsi combattente il soggetto deve distinguersi dalla popolazione civile nel momento in cui prende parte ad un'operazione militare. Nel caso in cui tale dovere venga ad essere disatteso il soggetto disobbediente perderà lo status di prigioniero di guerra. Tale regola trova un'attenuazione nel caso in cui, in ragione della natura delle ostilità, il combattente non può distinguersi dalla popolazione: in tal caso si ritiene sufficiente che esso porti apertamente le armi per tutto il tempo in cui è esposto all'avversario.

Alla luce di ciò possiamo qualificare come legittimi combattenti poi i componenti di un'organizzazione paramilitare o di un servizio armato incaricato di far rispettare l'ordine se e solo se incorporati all'interno delle Forze Armate di una delle parti in conflitto. Tale incorporazione può derivare sia da un atto formale che da una risultanza di fatto nel caso in cui trovino soddisfazione le condizioni previste dalla nozione di combattente. L'eventuale incorporazione deve essere notificata alle parti in conflitto al fine di facilitare il rispetto del principio di distinzione: «notification is not constitutive of the status of the units concerned, it does serve to avoid confusion and thus enhances respect for the principle of distinction»[11].

Trasportando i concetti sopra espressi al tema di studio possiamo affermare che, alla luce del d.i.c.a., i dipendenti delle PMSCs possono acquisire la qualifica di combattente legittimo in due modi: tramite l'appartenenza diretta alla Forze Armate di uno Stato[12], ovvero attraverso un collegamento esistente tra la società privata e lo Stato[13]. Il legame colla parte in conflitto si erge dunque a condicio sine qua non al fine di qualificare un certo soggetto come combattente e ciò stando solamente i dipendenti di quelle compagnie private ingaggiate da uno Stato possono, in linea di principio, essere considerati combattenti.

contractors che prestano servizio a favore di attori non statali quali Organizzazioni intergovernative ovvero non governative devono quindi considerarsi meri civili agli effetti del d.i.c.a. ciò determinando che molti dipendenti delle aziende PMSCs non possano essere qualificati come combattenti. Nonostante le condizioni in cui operato, le funzioni assegnate e le armi ed i mezzi tipicamente militari che questi operatori utilizzano li possa far scambiare per combattenti, dobbiamo affermare che in linea generale i private contractors non soddisfano i requisiti richiesti dal diritto internazionale e debbano dunque considerarsi a tutti gli effetti dei civili prescindendo dall'attività da loro effettivamente svolta. A tale conclusione possiamo anche arrivare dall'esame dell'art. 50 del I Protocollo Addizionale che impone che in caso di dubbio ogni soggetto debba essere considerato civile.

4.   PMSCs e art. 43 del I Protocollo Addizionale 

Vogliamo quindi ora analizzare il rapporto con l'art. 43 del I Protocollo Addizionale (da qui IPA) e quindi determinare come un contractor possa qualificarsi combattente. Perché ciò avvenga la PMSC dovrebbe essere in posizione di subordinazione ad una parte di un conflitto armato, c'est a dire che i suoi dipendenti devono costituire un gruppo armato organizzato sotto il comando responsabile di quella parte e sottostanno ad un sistema interno di disciplina. L'uniforme, i distintivi o il portare apertamente le armi non si prospettano più dunque come elementi decisivi ai fini di qualificare o meno un soggetto come combattente.

Nel caso in cui uno Stato incorpori formalmente i contractors all'interno delle proprie Forze Armate, questi acquisiranno de jure lo stato di combattente legittimo per gli effetti dell'art. 43 IPA laddove l'attribuzione della qualifica deriva proprio dall'incorporazione che però potrà avvenire unicamente fermo restando la volontà dello Stato ed il suo regime giuridico interno. Autorevole dottrina evidenzia infatti che «it is clear that some form of official incorporation is necessary, especially since Article 43.3 of Protocol I imposes a specific obligation on states that incorporate their own police forces or other paramilitary forces into their armed forces to inform the opposing side. This suggests that international humanitarian law anticipates that although it is a matter of domestic law as to how members of armed forces are recruited and registered within a state, it should be understandable to opposing forces precisely who constitutes those forces»[14].

Nel caso in cui tale inserimento interna corporis non venga ad essere attuato è però possibile un'acquisizione de facto della qualifica stante il soddisfacimento di alcuni requisiti. In primo luogo la subordinazione ad una parte del conflitto armato. La definizione di forze armate data dal diritto internazionale appare avere una natura meramente di tipo funzionale, non individua cioè - come per il nostro diritto interno - gli appartenenti a specifiche Armi del comparto della Difesa, ma definisce solo un gruppo organizzato che porta le armi. Assume dunque un rilievo chiaro se il gruppo combatte nell'interesse di una parte del conflitto oppure no, in altre parole occorre delineare il legame fattuale tra le società private e le Forze Armate regolari[15].

Stante ciò possiamo ritenere pacifico che nell'ipotesi in cui i contractors esercitino prerogative dell'Autorità di governo ovvero agiscano dietro l'istruzione o la direzione ed il controllo dello Stato, essi debbano essere considerati dei combattenti per conto di quest'ultimo.

Un ulteriore requisito vede il gruppo dover essere armato ed organizzato. Tale concetto è flessibile ed implica unicamente che la lotta abbia un carattere non singolo ma collettivo e che venga ad essere condotta mediante un controllo e nel rispetto delle regole. Da questo requisito deriva che i dipendenti privati debbano essere allocati all'interno di una struttura gerarchica in cui sia evidente la subordinazione ad un comando. Possiamo quindi dire che, avendo in linea di massima le PMSCs una struttura gerarchica addirittura a volte simile a quelle militari, spesso dette società soddisfano tale requisito.

Vi è poi il requisito della presenza di un sistema disciplinare interno che, alla luce di quanto affermato all'interno del Commentario al IPA, vuole comprenda il diritto penale militare e quello disciplinare militare[16]De facto però da un lato per i dipendenti di una società privata non potrebbe trovare applicazione il diritto penale militare che prevede una sua applicazione unicamente nei confronti di quei soggetti che rivestono la qualifica di militare; dall'altro lato il nostro Ordinamento non concede ad altri soggetti al di fuori dello Stato di poter commutare sanzioni di carattere penale. Le società private potrebbero godere del sistema di diritto privato con riferimento all'adempimento del contratto sanzionando quindi i propri dipendenti per il tramite di quanto disposto in materia di inadempimenti contrattuali.

Il requisito comunque più controverso rimane quello della sottoposizione al comando responsabile di uno Stato. In dottrina si dibatte circa la possibilità che il contratto concluso tra una PMSC ed un Paese possa dirsi sufficiente ad adempiere a questo requisito - offrendo come già rilevato il diritto civile uno strumento allo Stato che consentirebbe un controllo sulla società privata - ovvero se il contractor deve essere assoggettato ad una catena di comando delle Forze Armate regolari del Paese, oppure ancora se il dipendente della PMSC debba essere soggetto alla giurisdizione penale dello Stato. 

Quanto a questo ultimo dubbio dottrinale occorre, per chiarezza e trasportando la questione sul piano del diritto italiano, distinguere il contractor cittadino italiano che opera per una società ingaggiata dall'Italia, ed il contractor cittadino italiano che opera per una società ingaggiata dallo Stato Beta. Nel primo caso, vigenti gli artt. 7 e ss c.p., la giurisdizione penale spetterà allo Stato italiano in quanto l'operatore è cittadino italiano. Certamente potrebbero però aprirsi conflitti di giurisdizione con altri Stati che prevedono norme analoghe alle nostre laddove l'art. 10 c.p. estende la capacità di conoscere del giudice italiano anche nel caso di delitto commesso da un cittadino straniero fuori dai confini italiani. Nel secondo caso, certamente quello più ricorrente in tema di contractors, l'operatore potrebbe a ragione essere sottoposto alla giurisdizione di Beta ma potrebbero aprirsi conflitti di giurisdizione con l'Italia. La questione appare dunque eccessivamente nodosa e complessa perché possa trovare un'applicazione reale effettiva.

Possiamo comunque ritenere che sarebbe sufficiente utilizzare adeguatamente lo strumento del contratto prevedendo che la PMSC diventi responsabile nei confronti dello Stato e che il contraente statale eserciti il controllo richiesto. In altri termini sarebbe ideale se il contratto contenesse al sul interno delle clausole relative al rispetto del d.i.c.a. e che vincolano le società private a presentare regolari rapporti agli addetti governativi. L'art. 43 IPA non richiede infatti la sussistenza di una rigida catena di comando militare, essendo detta norma costruita con una formulazione aperta e flessibile. Ricordiamo infatti che il compilatore del 1977 volle ampliare la categoria dei combattenti come ricordato nel capitolo che precede.

Ad avviso di chi scrive, quindi, stante un'apertura da parte degli Stati che si avvalgono delle PMSCs di regolarizzare con contratti vincolanti i loro rapporti, sarebbe possibile qualificare i contractors combattenti legittimi ai sensi dell'art. 43 Primo Protocollo Addizionale stante la possibilità di adempiere a tutte le condizioni imposte.

5.   Contractors ed art. 4 della III Convenzione di Ginevra

L'art. 4 della III Convenzione di Ginevra (da qui CG(III)) assolve la funzione di definire chi siano i prigionieri di guerra alla luce del vigente d.i.c.a. Da questa norma possiamo risalire ad una definizione di combattente regolare in quanto, come già affermato nel primo capitolo del presente lavoro, soltanto a questi è riconosciuto il diritto spettante ai prigionieri di guerra.

Detto art. 4 afferma che gli appartenenti alle Forme Armate possono godere dello status di prigioniero. La norma utilizza il termine di Forza Armata in senso formale, intesa quindi come Organo definito de iure dallo Stato che determina i requisiti necessari per l'appartenenza al medesimo comparto. La CV(III) impone quindi un vincolo formale di incorporazione al di là del mero contratto ciò determinando che difficilmente il contractor possa qualificarsi come appartenente alle Forze Armate ai sensi dell'art. 4, infatti «to do so, they would have to individually enlist (or be conscripted) or be formally incorporated as a group. Additionally the requirement inferred from art 4 A 2 would usually act as a further bar to characterization as member of the armed forces, and thereby combatants»[17]. Assume quindi un forte rilievo discriminante il nesso con lo Stato.

L'art. 4 CG(III) prevede poi che il gruppo armato indipendente appartenga ad una parte del conflitto, invero l'art. 43 IPA definisce che è sufficiente che il gruppo sia al di sotto di un comando responsabile di una parte del conflitto. Una norma, questa in esame, che quindi è maggiormente restrittiva rispetto a quella esaminata precedentemente. Possiamo così ritenere che divenga difficile pensare ad un tale vincolo di appartenenza della società privata con lo Stato, specie in Italia alla luce del moderno comparto normativo che demanda l'uso della forza unicamente al comparto delle Forze militari o di polizia.

Ciò detto si potrebbe tuttavia far riferimento al Commentario della Convenzione che afferma sia sufficiente il nesso fattuale tra lo Stato ed il combattente irregolare a condizione che sia chiaro per quale parte del conflitto il contractor sta combattendo[18]. Questa tesi è poi altresì rinvenibile nella giurisprudenza internazionale del noto caso Tadić dove la suddetta relazione è stata descritta come «control by the state and dependence by the group»[19]. La PMSC potrebbe così soddisfare questo criterio.

Il requisito della subordinazione ad un comandante previsto dall'art. 4 CG(III) appare poi rispettato fermo restando che la PMSC o la compagnia di contractors siano organizzati al loro interno come una struttura militare. Così anche il requisito dell'evidenza trova compiutezza laddove quasi nella totalità dei casi gli operatori di dette società private vestono abiti militari e portano apertamente le armi. Invero anche l'ultima condizione del rispetto del diritto internazionale appare adempiuta laddove non si conosce di gruppi riconducibili a PMSCs che sistematicamente non hanno osservato il d.i.c.a.

Concludendo, ad avviso di chi scrive, è quindi possibile che alcune PMSCs ed alcuni loro dipendenti soddisfino le condizioni statuite all'art. 4 della Convenzione di Ginevra (III) tuttavia se tali requisiti debbono essere considerati congiuntamente manifesta un problema evidente il primo di essi, ossia l'appartenenza formale alla Forza Armata laddove voglia sposarsi la concezione di un vincolo formale ed assoluto di incorporamento.

6.   Il contractor come persona che segue le Forze Armate

Un'ulteriore possibilità che offre il d.i.c.a. nella qualificazione dei dipendenti delle PMSCs è quella contenuta all'art. 4, let. A), c. 4, CG(III) ossia come persona che segue le Forze Armate senza però farne parte in maniera diretta. A tale categoria, secondo quanto disposto dalla norma, apparterrebbero i membri civili degli equipaggi di aeromobili militari, i corrispondenti di guerra, i fornitori ed i membri di unità di lavoro o di servizi incaricati del benessere delle Forze Armate, tutti salvo abbiano ricevuto una specifica autorizzazione a svolgere i loro compiti dai Comparti che accompagnano.

La Convenzione vincola poi le Forze Armate a rilasciare una carta d'identità al fine di favorire l'identificazione di tale personale. Da ciò possiamo comprendere che la qualifica di persona che segue le Forze Armate può essere concessa unicamente da dette Forze per il tramite di una specifica autorizzazione, e così essendo le cose i contractors che operano per altre branche dell'Amministrazione, ovvero per Organizzazioni internazionali o non governative, o ancora per soggetti giuridici privati non possono assumere tale qualifica.

Emergono quindi due questioni che occorrono chiarirsi con riferimento alla natura delle attività poste in essere dalle persone che accompagnano le Forze Armate ed al nesso tra detti civili ed i Comparti militari che seguono.

Circa la prima questione possiamo affermare, in linea con quanto riportato dal Commentario alla III Convenzione di Ginevra, che la lista delle attività contenute all'interno della norma ha carattere meramente descrittivo ed indicativo, non certamente esaustivo e chiuso[20]. Ciò detto non possiamo però non evidenziare che tale disposizione elenca solamente delle attività per le quali non si determina una partecipazione diretta alle ostilità: sono tutti individui che non hanno funzioni di combattimento e che non le hanno mai avute, dei meri civili. Nel caso in cui essi prendessero parte alle ostilità, secondo quanto coerentemente previsto dal Manual of the Law of Armed Conflict inglese essi perderebbero lo status di prigionieri di guerra: «Civilians who are authorized to accompany the armed forces in the field [...] remain non-combatant, though entitled to prisoner of war status, so long as they take no direct part in hostilities»[21].

Con riferimento al nesso viene richiesto dalla norma che le persone che seguono le Forze Armate stiano accompagnando queste ed abbiano da loro ricevuto un'autorizzazione. Il focus dunque si fonda sull'interpretazione del termine accompagnare ed autorizzazione. Quanto al primo si discute se i contractors debbano fisicamente seguire in contemporanea presenza le Forze regolari, in realtà la dottrina maggioritaria ritiene che l'operatore della società di PMSC debba offrire concretamente un servizio per le Forze. Circa il termine autorizzazione l'interpretazione più accreditata afferma che non è sufficiente il mero contratto concluso tra le parti ma necessiti di qualcosa di più formale. In realtà ad avviso di chi scrive si ritiene che, almeno in Italia, il contratto abbia una forza giuridica tale da valere come legge tra i contraenti i quali, per giungere a conclusione del medesimo, hanno superato una fase delle trattative in cui certamente è venuta a concretizzarsi la volontà di stipulare, di impegnarsi e, nell'eventuale caso di contractor, di godere dei servizi proposti dalla PMSC e, quindi, de facto autorizzarli.

Concludendo dobbiamo affermare che la linea interpretativa prevalente dell'art. 4 afferma che i contractors debbano svolgere funzioni di supporto alle Forze Armate, dunque non partecipare direttamente alle ostilità, ed abbiano da queste una specifica autorizzazione non bastando il contratto di servizi stipulato. Ciò ritenendo il privato operatore non può trovare copertura da questa norma. Verum est che rebbe sufficiente che in ogni Paese il Legislatore prevederre, come accade in quelli di matrice anglosassone, un comparto normativo di specifiche regole per disciplinare la presenza dei contractors' employees autorizzati ad accompagnare de Forze Armate.

7.   Contractors e civili

Appare poi ragionevole concludere accennando all'ampio contenitore entro in quale rientrano coloro i quali non trovino assimilazione nelle definizioni di combattente legittimo sopra esposte. L'art. 50 del IPA stabilisce che ogni soggetto non appartenente alle Forze Armate di una della parti in conflitto deve essere considerato civile. Essi non possono essere oggetto di attacco ma non hanno neppure il diritto di prendere parte alle ostilità e l'uso delle armi è loro consentito ma per mera difesa di se o di coloro i quali sono sottoposti alla loro responsabilità[22].

Nel caso in cui dei civili prendano parte ai combattenti si spogliano del loro status per acquisire quello di combattenti illegittimi: in tal caso potrebbero essere oggetto di un legittimo attacco nemico e non godrebbero di alcuna immunità per gli atti di belligeranza compiuti quand'anche fossero rispettosi del diritto internazionale umanitario. Va da sé che nel caso venissero catturati non potrebbero neppure godere dei privilegi del prigioniero spettando loro unicamente il diritto al trattamento umano ed all'equo processo.

Possiamo dire che, nel caso non sia possibile affidare alle PMSCs ed ai loro operatori un'adeguata copertura giuridica con la qualifica di combattente legittimo come sopra ampiamente detto, residua quella di civile con ogni limitazione del caso.

8.   I mercenari per il diritto internazionale

Molti hanno ricercato differenze ed analogie con la figura storica del mercenario, ossia di chi combatte per un determinato gruppo al fine di ottenere un guadagno economico, ed alcuni hanno affermato che rispetto al mercenariato tradizionale, che volge i propri obiettivi alla mera partecipazione diretta ai combattimenti, le PMSCs offrono un’ampia gamma di servizi: operazioni tattiche di combattimento, pianificazione strategica, raccolta ed analisi di informazioni, consulenze, sminamenti, manutenzione e gestione degli armamenti, addestramento e protezione di persone o luoghi. Aziende dunque che sono capaci di offrire pacchietti completi che vanno oltre la mera partecipazione diretta alle ostilità.

La definzione di mercenario internazionalmente accettata è quella presente all’art 47 del IPA, primo accordo internazionale che ha voluto definire la figura in oggetto. L’ambito di applicazione è riferito ai soli conflitti aventi carattere internazionale e la norma non vuole vietare agli Stati l’impiego di mercenari, ma escludere che a questi si possano applicare gli stati di combattente legittimo e prigioniero di guerra. L’art. 47 prevede sei requisiti che devono trovare soddisfazione cumulativa e possiamo così riassumere: il mercenario è colui il quale viene reclutato localmente o all’estero, prende parte in modo diretto alle ostilità, agisce in quanto spinto da un guadagno economico e non è né cittadino né un membro dele Forze Armate di uno Stato parte del conflitto.

Nel 1989, sotto l’egida delle Nazioni Unite, è stata adottata la Convenzione internazionale contro il reclutamento, l’utilizzo, il finanziamento e l’addestramento dei mercenari entrata in vigore nel 2001. Detta convenzione rende il mercenariato un crimine e, oltre a stabilire la perseguibilità di ogni soggetto qualificabile come mercenario, di chi recluti, utilizzi o finanzi detti soggetti, prevede la responsabilità internazionale di ogni Paese contraente che finanzi, recluti, addestri o impeghi direttamente i mercenari.

Tale trattato vincola solamente gli Stati che lo hanno ratificato ed ha portata generale ossia trova applicazione non solo per i conflitti armati - interni o internazionali - ma anche a contesti pacifici. L’art. 1 contiene due definizioni di mercenario, ai commi 1 e 2, autonome con requisiti non cumulativi. Al primo comma viene ripresa ed ampliata la definizione data dal IPA laddove la novella trova applicazione anche per i conflitti interni ed elimina il requisito della partecipazione diretta alle ostilità; per secondo comma, invece, il mercenario è chi viene reclutato localmente o all’estero per partecipare ad un atto violento finalizzato al rovesciamento di un governo, alla minaccia di un ordine costituzionale o dell’integrità territoriale di uno Stato.

Un precedente storico che merita essere citato anche tenuto conto dell’attuale quadro geopolitico è rappresentato dalla Convenzione di Libreville del 1977 per l’eliminazione del mercenarismo in Africa. Detta convenzione è efficace unicamente sul piano regionale e, oltre a negare lo status di combattente legittimo al mercenario, prevede che gli individui, i gruppi, le associazioni o gli Stati che, per opporsi ad un processo di autodeterminazione o integrità territoriale organizzano, finanziano, assistnon, promuovono o sostengono bande di mercenari, siano colpevole del crimine di mercenarismo definito come un crimine contro la pace e la sicurezza in Africa.

Stabiliti i limiti estrinsechi, derivanti dalla scarsa adesione degli Stati alle Convenzioni contrarie al mercenariato, ed intrinsechi, derivanti dalla difficoltà di applicare le definizioni tecnico-giuridiche di mercenario di dette convenzioni alla figura del contractor, la dottrina maggioritaria, cui ci sentiamo di prender parte, tende ad escludere l’applicazione del comparto normativo in materia di mercenari alle PMSCs ed ai loro dipendenti.

Invero permangono alcune frizioni prima tra tutte quella per cui il mercenario è tale se impiega la propria opera militare per mero lucro, laddove invece il contractor svolge professionalmente e a tempo indeterminato una professione di esperto militare per una società privata. La permanenza in area di conflitto, quindi, non è dovuta alla remunerazione da lui percepita bensì dal contratto di dipendenza con la società appaltante il servizio. Anche con riferimento alla partecipazione diretta alle ostilità possiamo notare come il compito principale delle PMSCs sia quello non tanto di intervenire in modo diretto nel conflitto ma di addestrare ovvero equipaggiare le Forze militari statali. Certo alcuni requisiti offerti dal d.i.c.a. potrebbero essere soddisfatti, ma proprio il limite applicativo della condizione necessaria di riscontro cumulativo dei vari requisiti ci porta a definire, con un grado elevato di certezza, che gli operatori delle PMSCs non possano definirsi quali mercenari.

9.   Risvolti pratici di impiego nell’attuale quadro d.i.c.a.

Come abbiamo avuto modo di vedere non esiste uno specifico regime giuridico internazionale per la regolamentazione delle PMSCs e solitamente la riluttanza degli Stati nel regolare questo fenomeno deve essere letta unitamente alla loro non volontà di spogliarsi di una prerogativa sovrana forte quale l’uso della forza militare. I limiti e gli spazi liberi entro i quali ci si può muovere in termini di utilizzo dei contractors vengono dedotti dal diritto internazionale ma è compito dei singoli Paesi e delle amministrazioni nazionali implementare questo framework adottando una legislazione efficace e misure amministrative idonee a normare l’uso delle PMSCs in dettaglio.

Volendo portare esempi pratici di possibilità di impiego degli operatori privati - escludendo la partecipazione diretta alle ostilità di cui abbiamo detto a fondo in precedenza - rinveniamo due circostanze. In primo luogo è ravvedibile un impiego per il controllo dei campi di prigionia: secondo quanto disposto dalle Convenzioni di Ginevra infatti è necessario che i campi siano sottoposti all’autorità di un ufficiale responsabile che può essere sia parte dell’Amministrazione militare che di quella civile. Gli Stati potrebbero dunque prevedere di servirsi di PMSCs per il controllo dei campi di prigionia fermo restando la sottoposizione, in merito al controllo circa l’operato, degli operatori civili ad un’autorità statale.

Un secondo risvolto pratico è rappresentato dall’antipirateria dove assume rilievo la Convenzione in materia di diritto del mare (UNCLOS). A partire dal 2010 alcuni giornali britannici avanzavano l’ipotesi che alcuni Governi occidentali si sarebbero potuti servire di una private navy per contrastare il dilagante fenomeno della pirateria al largo delle coste somale[23]. Questo impiego troverebbe infatti riscontro e legittimazione nel diritto di legittima difesa laddove le imbarcazioni private mercantili spesso non riescono a difendersi dai pirati che comunque manifestano una preparazione militare che richiede una forza contrastante preparata ed idonea. Certamente gli eventuali operatori privati non potrebbero compiere funzioni tipicamente riservate all’Autorità statale quali quelle di visit and board una nave sospetta di pirateria, così come quelle di prendere l’imbarcazione in cattura, funzioni unicamente spettanti ad imbarcazioni delle Forze Armate di uno Stato o comunque natanti specificatamente dedicati a queste prerogative.

10. PMSCs e diritto interno

Il quadro internazionale, esaminato a fondo, potrebbe di primo impatto sembrare irrilevante ai fini interni ma tale conclusione sarebbe alquanto errata: in un mondo globalizzato ed in un Paese che come il nostro, ha voluto impegnarsi alle convenzioni ed agli usi internazionali addirittura statuendo tal principio all’interno della Costituzione, il ruolo giocato dal d.i.c.a. è assai forte. Come è noto ai più le PMSCs negli anni hanno trovato le loro sedi sociali negli Stati Uniti, in Gran Bretagna, Francia, Israele, Russia, Sud Africa ma non in Italia. La problematicità del norstro Paese in materia non è trascurabile, infatti da un lato l’assenza di una normativa specifica determina un vuoto che i giuristi tentano di colmare con il comparto normativo presente, dall’altro lato le leggi vigenti che, con un’interpretazione estensiva, potrebbero espandersi alla materia sono desuete e non scritte con l’eventuale intento di applicarle ai casi de quo.

L’esempio ci viene fornito dall’art. 288 c.p. rubricato Arruolamenti o armamenti non autorizzati a servizio di uno Stato estero. La norma è volta a tutelare e garantire il potere di coscrizione militare dello Stato che, come ha avuto modo di affermare la Corte d’Assise di Bari nel dicembre 2010, «deve essere l’esclusivo titolare della funzione pubblica volta al reclutamento ed arruolamento dei cittadini a scopi militari»[24]. Proprio il giudice del capoluogo pugliese si è espresso in numerose occasioni interpretando la presente norma che merita essere analizzata qui in ordine ai quattro suoi elementi: la nozione di “straniero”, l’elemento oggettivo, l’elemento soggettivo ed il momento consumativo.

Con riferimento alla nozione di straniero deve intendersi lo Stato estero finalisticamente inteso nella sua dimensione pubblicistica ossia nelle sue Istituzioni siano esse anche solo a livello embrionale ovvero rudimentale. Ma non solo, rientrano in tale contenitore giuridico anche formazioni estere insurrezionali (truppe ribelli o bande ausiliarie), e gli Enti di diritto internazionale o altri enti esteri come società o imprese che, pur mantenendo una formale veste privatistica de facto manifestino un interesse pubblicistico o istituzionale tramite un collegamento funzionale con lo Stato estero (es. il ricevere eventuali sovvenzioni). Tale norma però, come possiamo notare, colpisce solo il privato che presta il proprio servizio ad un’entità pubblica o ad essa direttamente riconducibili, lasciando andare esente il caso del cittadino italiano che, anche in armi, svolge l’attività per conto di una società privata tramite un rapporto strettamente privatistico. Va da se che tale attività non debba andare a favorire una parte di un conflitto piuttosto che un’altra.

Con riferimento all’elemento oggettivo l’art. 288 c.p. reprime l’arruolamento e l’armamento di chi, dietro corrispettivo pecuniario o altra utilità, combatte in un conflitto armato in un territorio estero o partecipa ad un’azione preordinata e violenta volta a mutare l’ordine costituzionale ovvero violare l’integrità territoriale di uno Stato. È quindi necessario che l’agente, all’interno del territorio italiano ed in mancanza dell’autorizzazione governativa, arruoli o armi cittadini italiani con il fine di prestare attività militare per un ente straniero quand’anche lo faccia per conto di una società privata estera. Va da sé che non sono colpiti dalla norma in esame gli operatori di sicurezza che limitano strettamente la loro attività ad esigenze di tutela delle persone scortate senza possibilità di ingerenza in eventuali scontri tra milizie o Forze Armate estere[25].

Quanto all’elemento soggettivo è richiesto il dolo specifico consistente nella coscienza e volizione di arruolare o armare cittadini italiani per farli militare a favore di uno straniero come sopra descritto sapendo che il Governo italiano non ha offerto alcuna autorizzazione. Infine quanto al momento consumativo risiede nel momento in cui si svolge compiutamente l’attività di arruolamento ovvero armamento.

Questo possiamo dire che è lo stato dell’arte in Italia. È però altresì vero che il compilatore del codice Rocco ha voluto lasciarci una norma aperta all’eventuale affiorire nel panorama italiano proprio di ditte che privatizzassero la sicurezza o i compiti militari. Invero la norma apre affermando «senza approvazione del Governo» ciò lasciando ben intendere che se un’autorizzazione dell’Esecutivo è possibile, certamente un revirement del Legislativo sarebbe auspicabile anche per voler evitare certi eventuali imbarazzi governativi[26].

Negli ultimi mesi il Parlamento ha voluto intervenire con una novella regolamentativa degli Istituti di vigilanza privata senza però dar minimamente conto delle attività di questi all’estero da un lato, e ribadendo, dall’altro lato, che il compito di garantire la sicurezza alle persone è riservato, come da quanto disposto dal Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza, alle Forze di polizia.

La vigilanza, comunque, è consentita e quindi possiamo affermare che il comparto normativo italiano non voglia sanzionale attività di sicurezza se e solo se queste vengano svolte senza avvantaggiare in maniera esplicita una delle parti in conflitto. In quel modo, infatti, si ricadrebbe all’interno dell’art. 288 c.p. con i seguiti che, fino ad una futura auspicabile modifica, abbiamo visto potersi delineare. Il diritto italiano vede dunque attualmente con difficoltà all’attuazione di PMCs italiane, mentre un profilo di maggiore attuazione è lasciato per le PSCs i cui operatori potrebbero quindi essere chiamati a svolgere compiti di sicurezza anche estera. Per gli sviluppi ulteriori dobbiamo attendere un’attività di impulso da parte del Legislatore.

Fonti bibliografiche e sitografiche
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 [1] F. Vignarca, Mercenari S.p.a. I nuovi soldati dell’era globale: chi sono e chi li paga. Dall’America agli stati africani, dall’Iraq all’Italia, gli affari d’oro della guerra privata, Milano, 2004, p. 90.
 [2] Ad oggi possiamo delineare un certamente non esaustivo elenco delle maggiormente note società di PMC operanti in differenti scenari. La quasi interezza di esse proviene dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna: la Aegis Corporation (UK), la Blackwater (USA), la Dyncorp Technical Service (USA) – controllata dalla Computer Science Corporation – la Kellogg Brown & Root (USA) – gruppo Halliburton – la Sandline International (UK), la belga International Defence and Security, e le statunitensi Military Professional Resource Increment e Vinnel, quest’ultima affiliata del gruppo Northrop Grummam
 [3] Sul punto cfr. F. Schreier, M. Caparini, Privatising Security: Law, Practice and Governance of Private Military and Security Companies, in Geneva Centre for the Democratic Control of Armed Forces (DCAF), Occasional Paper, 6, 2005, pp. 17-33; e E. L. Gaston, Mercenarism 2.0? The Rise of the Modern Private Security Industry and Its Implications for International Humanitarian Law Enforcement, in Harvard International Law Journal, XLIX, 1, 2008, pp. 223-228.
 [4] E. Cusumano, Policy Prospects for Regulating Private Military and Security Companies in F. Francioni, N. Ronzitti, War by Contract: Human Rights, Humanitarian Law, and Private Contractors, Oxford University Press, New York, 2001, p. 15. 
 [5] Sul punto cfr. D. Brooks, Protecting People: the Private Military Companies Potential: Comments and Suggestions for the UK Green Paper on Regulating Private Military Services, Alexandria, 2002, p. 3 (disponibile su: www.ipoaonline.org) 
 [6] Cfr. P. W. Singer, Corporate Warriors: The Rise of the Privtized Military Industry, Cornell University Press, New York, 2003, pp. 88-145.
 [7] Cfr. E.C. Gillard, Business goes to war: private military/security companies and international humanitarian law, International Review of Red Cross, n. 863, 2006, p. 530.
 [8] S. Gumedze, Private Security in Africa: Manifestation, Challenges and Regulation, Institute for Security Studies, South Africa, 2007, p. 101.
 [9] I conflitti armati, alla luce del d.i.c.a., possono definirsi come internazionali o non internazionali a seconda che vedano coinvonti pià Stati ovverno abbiano uno sviluppo interno, ad eccezione delle rivolte o dei disordini che non rientrano all’interno della definizione di conflitto.
 [10] J.S. Pictet, Commentary of Geneva Convention relative to the treatment of prisoniers of war, ICRC, Ginevra, 1960, p. 57.
 [11] J.M. Henckaerts e L. Doswald-Beck, Customary International Humanitarian Law, Cambridge University Press, New York, 2005, p. 17.
 [12] Secondo quanto disposto dall'art. 4, c. 1, lett. a) della III Convenzione di Ginevra e dall'art. 43 del I Protocollo Addizionale.
 [13] Come previsto dall'art. 4, c. 2, lett. a) della III Convenzione di Ginevra e dall'art. 43 del I Protocollo Addizionale.
 [14] L. Cameron, Private Military Companies: their Status under International Humanitarian Law and its Impact on their Regulation, in International Review of Red Cross, n. 863, 2006, p. 582.
 [15] Cfr. AA.VV., Expert Meeting on Private Military Contractors: Status and State Responsibility for their Actions, University Centre for International Humanitarian Law, Ginevra, 2005.
 [16] Cfr. AA.VV., Commentary on The Additional Protocols of 8 June 1977 to the Geneva Conventions of 12 August 1949, ICRC, Ginevra, 1987, art. 4.
 [17] M.N. Schmitt, War, International law, and Sovereignty: Revaluating the Rules of the Game in a new Century: Humanitarian Law and Direct Participation in Hostilities by Private Contractors or Civilian Emoloyees, Chicago journal of International Law, n. 5, 2005, p. 527.
 [18] Cfr. E.C. Gillard, Business goes to war, cit., p. 537.
 [19] ICTY, Prosecutor vs. Tadić, 1999.
 [20] Cfr. J.S. Pictet, Commentary, cit., p. 45.
 [21] United Kingdom Ministry of Defence, The Manual of the Law of Armed Conflict, 2004, p. 40.
 [22] Cfr. F. Francioni e N. Ronzitti, War by Contract, cit., pp. 171-184.
 [23] Cfr. C. Milmo, Insurance firms plan private navy to take on Somali pirates, The Indipendent, 28 Settembre 2010, consultabile in www.indipendent.co.uk.
 [24] Corte d’Assise presso il Tribunale di Bari, sent. 27 Dicembre 2010, n. 7.
 [25] Con riferimento all’esame dell’elemento oggettivo è bene portare all’evidenza una giurisprudenza del Tribunale di Bari, sent. 1° Ottobre 2004, che ha ritenuto la vigilanza effettuata da cittadini italiani reclutati in Italia con armamento paramilitare volta alla protezione di ospiti in un albergo sito in zona in conflitto in Iraq integrante la fattispecie di cui all’art. 288 c.p. in quanto gli appartenenti alle Forze Armate angloamericane, direttamente impiegate nel conflitto, potevano intervenire in ausilio per lo svolgimento di dette attività.
 [26] Si pensi a se, sull’Enrica Lexie invece di due militari della Marina Militare ci fossero stati due contractor. Certamente l’India avrebbe potuto far meno gioco forte e l’Italia si sarebbe potuta muovere più agilmente al fine di risolvere con notevole anticipo di tempo la questione internazionale.