Pubbl. Lun, 3 Apr 2017
L´effettività della tutela nel processo amministrativo, un obiettivo quasi irraggiungibile
Modifica paginaIl principio cardine del processo amministrativo visto alla luce del progresso giurisprudenziale prima ancora che legislativo.
Da un punto di vista essenzialmente processuale, l’effettività della tutela ricorre spesso sotto forma di principio generale che caratterizza tutte le giurisdizioni proprie degli Stati moderni che, in quanto tali, si sono evoluti sulla base di un modello garantista, nei confronti della “parte debole” nel giudizio.
Su questa linea di pensiero, guardando al procedimento amministrativo, sono venuti a formarsi diversi principi generali a partire proprio dal principio di effettività, proseguendo con il principio del giusto processo e il dovere di motivazione e di chiarezza degli atti.
Il primo di questi è certamente quello che più di ogni altro governa l’intero sistema processuale amministrativo, al punto da innestarsi direttamente all’interno delle norme che prevedono le azioni e gli strumenti a tutela dell’interesse legittimo del privato nei confronti dell’amministrazione, di modo tale che sia possibile garantire in maniera “effettiva” e sostanziale il bene della vita che il privato tende a conservare o pretendere in sede giurisdizionale.
Peraltro, la circostanza stessa che vede l’effettività della tutela richiamata all’interno della Carta costituzionale, agli artt. 24 e 111 Cost., conferma che si tratta di un principio del tutto preordinato che in qualche modo è contenuto anche all’interno degli stessi principi generali del giusto processo e della sinteticità degli atti, in quanto l’effettività della tutela non può ammettere alcun tipo di inefficienza che comporti delle ricadute sul piano della tutela del soggetto privato, come ad esempio le lungaggini processuali o la mancanza di chiarezza e tassatività degli atti.
In questa prospettiva, anche il codice del processo amministrativo ha voluto confermare la priorità del principio in esame inserendolo nell’ambito del primo articolo, con il quale il legislatore ha voluto intendere che il fine principale della giurisdizione amministrativa è proprio quello di garantire una concreta tutela ed una salvaguardia sostanziale dell’utilitas eccepita in giudizio o, più specificatamente, dell’interesse legittimo.
La collocazione sistematica del principio in esame, permette di comprendere la natura e la funzione stessa del concetto di “effettività” che - analogamente a quanto avviene con l’altrettanto fondamentale principio di legalità nella disciplina penalistica (artt. 25 Cost., 1 c.p.) - sconfina e si pone oltre la mera accezione giuridica per elevarsi a valore sostanziale mediante il quale è possibile tutelare concretamente le posizioni legittime eccepite in giudizio; sicché, la disapplicazione dell’effettività della tutela determinerebbe, evidentemente, il venir meno del concetto stesso di giustizia.
Ne deriva che l’obiettivo principale della giurisdizione amministrativa opera all’ombra del principio di effettività, ed obbliga l’autorità giudiziaria ad approcciarsi alla lettura del codice fornendo un interpretazione orientata alla centralità dell’interesse legittimo del ricorrente, quale parte “debole” del processo.
Ed infatti, un chiaro esempio di quanto sin qui esposto viene fornito dall’art. 7 comma VII del codice del processo amministrativo, in virtù del quale, il principio di effettività vive fin tanto che viene applicato da parte del giudice amministrativo che è chiamato a giudicare in materia di interessi legittimi e, nelle particolari ipotesi espressamente previste dalla legge, anche in materia di diritti soggettivi. Sulla base di tale indirizzo, il legislatore ribadisce la portata generale del principio da tenere in considerazione anche in materia di riparto di giurisdizione.
Non meno rilevante, inoltre, è anche il riferimento al principio di effettività compiuto all’interno dell’art. 34 c.p.a. il quale detta il contenuto che può assumere una sentenza di merito, attribuendo al giudice un potere molto penetrante e cioè quello di predisporre il tipo di prestazione dell’adempimento al quale l’amministrazione viene condannata, come ad esempio l’obbligo di emettere l’atto richiesto dal privato.
Quanto agli altri strumenti previsti per garantire l’effettività della tutela, è noto che il nostro ordinamento è stato da sempre caratterizzato per le innumerevoli lacunae legis e per il totale accentramento della giustizia amministrativa sull’azione di annullamento, quale tradizionale soluzione esperibile in giudizio per la tutela dell’interesse legittimo.
Tuttavia, negli ultimi anni, occorre riconoscere che il sistema ha preso coscienza della debolezza di questa misura e degli inevitabili limiti che derivano dall’azione di annullamento a discapito del principio dell’effettività della tutela, al punto da riformare o meglio innovare l’intero sistema.
Tra i principali elementi che hanno ridato nuova luce alla giustizia amministrativa si evidenzia in particolare la c.d. azione di adempimento pubblicistico; se non altro per le vicende che ne hanno segnato la nascita nel nostro sistema.
Ed infatti, quella che più nello specifico può essere definita una azione di condanna dell’amministrazione ad una prestazione di fare (come il rilascio di un atto richiesto dal privato), era stata oggetto di dibattito in sede di codificazione della disciplina sul rito del giudizio amministrativo, senza però ottenere un effettivo riconoscimento in chiave normativa quanto, piuttosto, un’applicazione in via interpretativa e dunque in forma atipica.
Da ultimo, la problematica è stata superata con la codificazione della suddetta azione di tutela avvenuta con l’approvazione del decreto legislativo n. 160 del 2012 (c.d. secondo correttivo) che ha consentito al privato di ottenere da parte del giudice amministrativo non solo l’annullamento dell’atto, ma anche la condanna dell’amministrazione all’adempimento specifico di rilascio dell’atto richiesto e illegittimamente negato. (art. 34, co 1, lett. c, c.p.a.).
Secondo parte della dottrina, come anche della giurisprudenza, l’azione di adempimento pubblicistico ha segnato un punto di svolta epocale per la giustizia amministrativa, tale da poter affermare l’avvenuto superamento del tradizionale (in quanto esclusivo) uso dell’azione di annullamento, per giungere ad un nuovo sistema basato sulla c.d. pluralità delle azioni.
Ciò che è avvenuto nel 2012 ha certamente segnato un risultato importante o meglio, ha confermato quanto era già ampiamente riconosciuto dalla prassi giurisprudenziale che, com’è noto, ha sempre interpretato gli istituti presenti nell’ordinamento al fine di garantire il fondamentale principio di effettività della tutela del privato nei confronti dell’amministrazione.
E pur tuttavia, per comprendere in che modo è stato garantito e si continua a garantire l’effettività della tutela, non si può prescindere dalla distinzione su cui ruota l’intera dottrina amministrativista, ovvero la distinzione tra interesse legittimo pretensivo e interesse legittimo oppositivo; i quali richiedono esigenze di tutela predeterminate.
In primo luogo, quanto alla tutela degli interessi oppositivi, in cui il privato assume un atteggiamento difensivo nei confronti dell’Amministrazione al fine di conservare il bene della vita di cui dichiara esserne il titolare, la giurisprudenza dominante non ha ravvisato particolari difficoltà nel garantire la pretesa del privato, atteso che la tradizionale azione di annullamento conferiva pieno soddisfacimento, essendo in grado di eliminare l’atto amministrativo opposto.
Discorso del tutto diverso, invece, è quello che si riferisce alla tutela degli interessi legittimi pretensivi, rispetto ai quali il privato non assume più una posizione difensiva o per meglio dire, conservativa, tutelabile per mezzo dell’annullamento dell’atto amministrativo, ma vanta in giudizio una pretesa contro l’inerzia dell’amministrazione.
Il problema, infatti, ruota intorno alla pretesa del privato che chiede un fare specifico all’Amministrazione, chiamata ad esercitare il proprio potere verso una specifica direzione.
Con la tutela degli interessi legittimi pretensivi, sia l’azione di annullamento che la relativa azione cautelare di sospensione degli effetti dell’atto amministrativo hanno mostrato i loro limiti e le loro debolezze in termini di tutela.
E del tutto evidente che ottenere la mera sospensione del diniego o l’annullamento dello stesso non consentono al privato di ottenere il bene della vita per il quale vanta una pretesa e quindi non si vedrà tutelato a livello sostanziale, difettando il principio di effettività della tutela.
Sul problema, in relazione ai soli interessi legittimi pretensivi, è intervenuta la giurisprudenza che ha avanzato diverse soluzioni successivamente recepite a livello legislativo, consentendo la traduzione in legge di quanto preannunciato dalla prassi giurisprudenziale.
Come si è avuto modo di sottolineare, il momento in cui si è iniziato a parlare di “pluralità delle azioni”, corrisponde al riconoscimento del c.d. adempimento pubblicistico. Si tratta, in particolare, di una azione del tutto innovativa, volta a contrastare il comportamento omissivo e inerte dell’amministrazione rispetto ad una esigenza del privato che richiede l’emissione di uno specifico atto. Invero, nelle circostanze in cui si verifichi un silenzio-inadempimento (o silenzio-rifiuto) da parte dell’amministrazione, il privato è legittimato a chiedere e ad ottenere dal giudice, la condanna dall’amministrazione convenuta ad una prestazione specifica di fare come ad esempio, rilasciare l’atto richiesto da parte del privato. A ciò si aggiunge la particolarità, frutto dell’Adunanza Plenaria n. 10 del 1978, secondo cui il giudice è chiamato a compiere degli atti prodromici all’azione di adempimento, volti ad accertare che il privato sia effettivamente in possesso dei requisiti richiesti dalla legge per l’ottenimento dell’atto amministrativo.
Un altro traguardo che certamente ha permesso di compiere un ulteriore passo in avanti verso l’affermarsi dell’effettività della tutela, è stato il riconoscimento del c.d. effetto conformativo del giudicato di annullamento.
Si tratta di un istituto creato quasi dal nulla, volto a valorizzare al meglio l’unico strumento generalmente riconosciuto nell’ambito del processo amministrativo, ovvero la sentenza di annullamento dell’atto amministrativo che viola o elude il giudicato della sentenza nella sua interezza.
Mediante l’effetto conformativo del giudicato di annullamento, il giudice vincola l’amministrazione non soltanto con il contenuto del dispositivo, ma anche con la motivazione, il quale contenuto non può essere disatteso da un successivo comportamento di diniego da parte dell’amministrazione.
Ciò posto, nei casi in cui dal testo della motivazione si deduce che il privato detiene tutti i requisiti per chiedere ed ottenere un determinato atto amministrativo, l’autorità non può negare il rilascio dell’atto per motivi che contrastano con quanto precedentemente ritenuto in sentenza.
Ne deriva che, ampliando gli effetti del giudicato della decisione di annullamento anche sulla motivazione, si riconosce al privato la possibilità di instaurare il giudizio di ottemperanza come rimedio contro la violazione del giudicato da parte dell’amministrazione.
In un ipotesi di questo genere, sarà quindi il giudice a sostituirsi all’amministrazione inadempiente, per consentire al privato di ottenere quanto di diritto.
Se quelle sin qui descritte possono considerarsi un fondamentale contributo verso l’affermarsi dell’effettività della tutela anche per gli interessi legittimi pretensivi, la massima espressione della tutela di questi ultimi si è certamente avuta con l’approvazione della Legge n. 205 del 2000 (art. 7) che ha previsto, in chiave normativa, il riconoscimento del risarcimento per lesione dell’interesse legittimo, in modo particolare pretensivo.
Come per la maggior parte dei casi, anche l’istituto dell’azione risarcitoria trae origine da fonte giurisprudenziale e, nel caso di specie, dalla nota sentenza della Suprema Corte a sezioni unite n. 500 del 1999 che, in tema di danno conseguente ad illecito aquilano, hanno osservato che l’art. 2043 c.c. non può ritenersi ristretto alla sola lesione di un diritto soggettivo, ma dev’essere letto secondo un interpretazione aperta che definisca meritevole di tutela risarcitoria la lesione di un qualsiasi interesse giuridico riconducibile ad un bene della vita, indipendentemente dai profili meramente processuali che definiscono le competenze e le azioni di tutela dei diritti soggettivi rispetto agli interessi legittimi e rispondendo invece, alla vera priorità che resta la giustizia sostanziale.
In conclusione, non meno importanti sono state le innovazioni in materia di misure cautelari. Analogamente a quanto era avvenuto con l’adempimento pubblicistico in sede di merito, quale soluzione alla inefficace tutela dell’azione di annullamento a fronte della salvaguardia di un interesse pretensivo, la giurisprudenza si era resa conto che anche in sede cautelare, la mera azione sospensiva nei confronti del diniego dell’amministrazione non poteva produrre alcun risultato effettivo. Sicché, per la prima volta, il giudice amministrativo si è approcciato all’utilizzo di nuove azioni cautelari atipiche più inerenti alla funzione cautelare della pretesa che si vuole tutelare, tra queste, in particolare, i provvedimenti cautelari anticipatori per mezzo dei quali il giudice ordina all’amministrazione l’esercizio provvisorio del potere verso una specifica direzione.
In definitiva, è evidente che la giurisprudenza di merito, come anche quella di legittimità, abbiano più volte fatto ricorso al principio di effettività – a volte anche con spirito creativo – per via della consapevolezza di un evidente deficit normativo che ha lasciato per lungo tempo aperte numerose lacune nella regolamentazione del processo amministrativo e che solo di recente si è iniziato a colmare, al fine di assicurare un adeguata tutela dell’interesse legittimo del privato nei confronti dell’interesse dell’amministrazione pubblica.