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Pubbl. Mer, 29 Mar 2017

Tia (Tariffa Igiene Ambientale) non assoggettabile ad Iva: ecco cosa cambia.

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Fabio Giuseppe Squillaci


La Tia non può essere soggetta ad IVA, risultando incompatibile sia con le norme nazionali che con quelle comunitarie. Il contribuente ha diritto alla restituzione delle somme non dovute.


1. Introduzione - 2. Inquadramento del problema - 3. Effetti della pronuncia

1. Introduzione

"La Tia non può essere soggetta ad IVA, risultando incompatibile sia con le norme nazionali che con quelle comunitarie. E poiché l’intero costo del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti è posto a carico del contribuente, sicuramente quest’ultimo ha pagato e paga la relativa imposta sul valore aggiunto."

È quanto affermato dalla sentenza n.5078 resa dalle Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione il 15 marzo 2016, con la quale è stato stabilito che la TIA (Tassa igiene ambientale) è un’imposta e non un’entrata patrimoniale di diritto privato, essendo una mera variante della Tarsu (la tassa sui rifiuti solidi urbani) di cui conserva la qualifica di tributo. In realtà, la sentenza della Cassazione non fa altro che ribadire precedenti pronunce (l’ultima del 2012) cui però non ha mai fatto seguito una legge che potesse chiarire la natura tributaria o meno della tassa sull’igiene ambientale.

2. Inquadramento del problema

La normativa a fondamento delle questioni sollevate è costituita dall'art. 49 del d.lgs. 5/2/1997, n. 22 con il quale venne soppressa a decorrere dal 1 gennaio 1999, la cd. Tarsu, disponendo che i costi per i servizi relativi alla gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti di qualunque natura o provenienza giacenti sulle strade ed aree pubbliche e soggette ad uso pubblico, fossero coperti dai comuni mediante l'istituzione di una tariffa (usualmente denominata Tariffa di Igiene ambientale) composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti, e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio. Con espresso riferimento alla applicabilità dell'IVA al tributo in questione la giurisprudenza, con orientamento costante ha affermato che la tariffa per lo smaltimento dei rifiuti solidi urbani, istituita dall'art. 49 del dlgs. 5 febbraio 1997, n. 22, non è assoggettabile ad IVA, in quanto essa ha natura tributaria, mentre l'imposta sul valore aggiunto mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo, in linea con la previsione di cui all'art. 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, e non quando si paga un'imposta, sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente[1]. Del resto l’intangibilità di questo orientamento trova positivo riscontro nelle pronunce del giudice delle leggi e della Cassazione rispettivamente del 2009 e 2012[2]. La Corte costituzionale giudicò infondata la questione di legittimità del D.L. n. 203 del 2005, art. 3 bis, conv. con modif. con L. n. 248 del 2005, nella parte in cui devolve alla giurisdizione del giudice tributario le controversie relative alla debenza del canone (tariffa) per lo smaltimento dei rifiuti urbani, ritenendo che il prelievo presentasse tutte le caratteristiche del tributo, e che il medesimo non fosse pertanto inquadrabile tra le entrate non tributarie, ma costituisse una mera variante della TARSU disciplinata dal d.P.R. n. 507 del 1993 (e successive modificazioni), conservando la qualifica di tributo propria di quest'ultima.

In contrasto con tale indirizzo sono le affermazioni contenute in alcune decisioni nell'ambito di giudizi aventi ad oggetto la natura privilegiata, ex art. 2752, comma III, cod. civ., del credito relativo al tributo in questione, laddove si avvalora il dato testuale[3]. Inoltre, i dubbi sono stati acquiti dall’introduzione della cd. Tia 2 disciplinata dall’art. 238 del DL 152/2006 (Codice dell’ambiente), che, tuttavia, per mancanza dei decreti attuativi risulta avviata solo da pochi comuni. A partire dal 2011 un' intepretazione autentica recata nel dl 78/2010 la definisce entrata patrimoniale e non tributaria, quindi soggetta ad IVA. La Suprema Corte smentisce l’articolo 14, comma 33, del Dl 78/2010 con il quale la cd. Tia 2 era stata dichiarata entrata patrimoniale e definisce le conclusioni dell’Amministrazione finanziaria ‹‹frutto di una forzatura logica del tutto inaccettabile››. Pertanto, la Cassazione conclude per la non applicabilità dell’IVA alla Tia 1 in considerazione della ‹‹pacifica natura tributaria›› della medesima, della mancanza di disposizioni legislative che espressamente assoggettano a IVA le prestazioni del servizio di smaltimento dei rifiuti e della ‹‹irrilevanza di diverse prassi amministrative, posto che la natura tributaria della tariffa va desunta dalla sua complessiva disciplina legislativa, e non da dette eventuali distorte prassi››[4]. La natura tributaria in questione non può neppure essere contestata in base alla considerazione che la parte terza della tabella A allegata al D.P.R. n. 633 del 1972, in materia di IVA, preveda (n. 127 sexiesdeeies) che le prestazioni di raccolta, trasporto recupero e smaltimento dei rifiuti sia urbani che speciali siano soggette al pagamento dell 'IVA 10%. E' infatti sufficiente a tale proposito osservare che detta previsione normativa è stata introdotta dal D.L. n. 557 del 1993, art. 4, comma 1, convertito con L. n. 133 del 1994, ovvero quando era in vigore la TARSU, la cui natura tributaria è sempre stata indiscussa. Il che dimostra che l'applicazione dell’IVA all' importo corrisposto per smaltimento dei rifiuti prescinde dalla sua natura tributaria o meno[5].

Militano nel senso di considerare questo prelievo quale tributo anche altri dati. Tale determinazione in particolare trova il suo fondamento negli elementi autoritativi che caratterizzano la cd. Tia, elementi costituiti dall'assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente, dalla totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico - essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici- nonché dall'assenza del rapporto sinallagmatico a base dell'assoggettamento ad IVA (artt. 3 e 4 del d.P.R. n. 633/1972). Questa interpretazione, inoltre, è stata più volte ribadita dallo Stato, con due circolari del ministero delle Finanze (111/1999 e 3/DF/2010) e due risoluzioni dell’Agenzia delle Entrate (25/2003 e 250/2008). In particolare con la circolare n. 3/2010 del Ministero dell’Economia e delle Finanze “cambiando” nome alla Tia, da Tariffa di Igiene Ambientale Tia 1 in Tariffa Integrata Ambientale Tia 2, etichettandola pertanto come prestazione di servizio assoggettabile, si era tentato legislativamente di eludere la pronuncia del 2009 della Corte Costituzionale. Mancando però il regolamento attuativo per la nuova Tia 2 il Governo aveva stabilito che ad essa andasse applicato il regolamento del 1999 della Tia 1, sulla quale l’IVA è stata dichiarata illegittima. Da un punto di vista strettamente logico non è dato comprendere in qual senso possa minimamente sostenersi l’identità tra situazioni in successione tra loro, considerato tra l’altro la formale diversità delle fonti istitutive delle due suddette tariffe.

Questo indirizzo è altresì conforme all'art. 13 della direttiva 2006/112 CE, secondo cui "Gli Stati, le regioni, le province, i comuni e gli altri enti di diritto pubblico non sono considerati soggetti passivi per le attività od operazioni che esercitano in quanto pubbliche autorità, anche quando, in relazione a tali attività od operazioni, percepiscono diritti, canoni, contributi o retribuzioni". L’ordinamento comunitario reputa quale servizio essenziale la gestione dei rifiuti, tanto da addossare sui singoli Stati l'obbligo di adottare le misure necessarie atte a garantire il recupero, riutilizzo, riciclaggio e smaltimento dei rifiuti medesimi rimettendo alla discrezionalità degli Stati medesimi la determinazione degli oneri correlati ai costi di gestione[6]. E che tale servizio sia connesso all'esercizio di attività di pubblica autorità trova conforto anche nelle decisioni[7] della Corte di Giustizia (Quarta Sezione nella causa C- 174/14 punto 71) secondo cui: ‹‹l'esenzione prevista all'articolo 13, paragrafo 1, primo comma, della direttiva 2006/112 concerne principalmente le attività esercitate dagli enti di diritto pubblico in quanto pubbliche autorità che, pur essendo di natura economica, sono strettamente connesse all 'esercizio di prerogative di pubblico potere››[8]. Alla luce degli obiettivi della direttiva, la giurisprudenza mette dunque in evidenza che per l'applicazione dell'esenzione devono essere congiuntamente soddisfatte due condizioni, vale a dire l'esercizio di attività da parte di un ente pubblico e l'esercizio di attività in veste di pubblica autorità[9]. Per quanto riguarda quest'ultima condizione, sono le modalità di esercizio delle attività in esame che consentono di determinare la portata dell'esenzione degli enti pubblici[10]. Con riferimento, più in particolare, alla nozione di prestazione di servizi, la giurisprudenza ha affermato in più occasioni che una prestazione di servizi, configura un'operazione imponibile solo quando tra l'autore di tale prestazione e il suo destinatario intercorra un rapporto giuridico nell'ambito del quale avviene uno scambio di prestazioni sinallagmatiche, nel quale il compenso ricevuto dall' autore di tale prestazione costituisce il controvalore effettivo del servizio fornito al beneficiario[11]. Ne consegue che risulta ormai pacifico e incontroverso l'orientamento secondo il quale la tariffa di igiene ambientale avendo natura tributaria, non può essere oggetto di applicazione dell’IVA, e pertanto rappresenta una mera variante della Tarsu con conseguente riespansione del suo regime giuridico. Peraltro non venendo in rilievo alcun contrasto con la normativa europea non può neanche astrattamente ipotizzarsi una questione pregiudiziale. Si assiste ad un fenomeno noto in dottrina come la truffa delle etichette laddove il mero dato formale, nel caso di specie rappresentato dal richiamo alla nozione di contributo, adombra profili sostanziali assolutamente diversi (si pensi al caso del diritto penale ed ai cd. “Engel criteria” con riferimento alla teoria autonomistica della pena).

3. Effetti della pronuncia

La sentenza in commento non chiarisce le modalità attraverso cui è possibile ottenere il rimborso, sussistendo in primo luogo un dubbio in ordine alla giurisdizione. Resta da chiedersi quali sono, dunque, le possibilità per i cittadini che vogliano richiedere il rimborso per l’IVA indebitamente versata sulla Tia. Il primo passo è chiedere il rimborso dell'IVA pagata negli ultimi 10 anni al proprio gestore del servizio rifiuti. In caso di mancata restituzione si potrà adire il giudice ordinario attraverso la condicio indebitii oppure l’azione di ingiustificato arricchimento. Alcuni giudici però non si ritengono competenti, perché trattandosi di materia tributaria, occorrerebbe rivolgersi alle Commissioni Provinciali Tributarie competenti per territorio. Tale iter, comporta che l'intimazione di rimborso venga inviata anche all'Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale competente, e quindi, in caso di risposta negativa o di silenzio-inadempimento di 90 giorni, si dovrà procedere con reclamo fiscale obbligatorio e ricorso.

 

[1] Sul punto si veda Sez 5, Sentenza n. 3293 del 02/03/2012; Sez. 5, Sentenza n. 3756 del 09/03/2012; Sez. 5, Sentenza n. 5831 del 13/04/2012
[2] La Corte Costituzionale con Sentenza n. 238 nel 2009 aveva stabilito che in materia di TIA (tariffa igiene ambientale è un tributo e non una vera tariffa) dovevano applicarsi le stesse norme tributarie previste per la Tarsu e di conseguenza non poteva applicarsi l'Iva. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale è intervenuta anche la Corte di Cassazione con la sentenza n.3756/2012 che ha definitivamente stabilito che l'iva non è dovuta sulla Tia e ne ha stabilito il presupposto per il rimborso.
[3]Hanno lo stesso privilegio, subordinatamente a quello dello Stato, i crediti per le imposte, tasse e tributi dei comuni e delle province previsti dalla legge per la finanza locale e dalle norme relative all'imposta comunale sulla pubblicità e ai diritti sulle pubbliche affissioni”. Il presente è stato oggetto di interpretazione autentica per quanto riguarda il riconoscimento del privilegio generale a tutti i tributi comunali e provinciali, anche non espressamente indicati o istituiti in un momento successivo, in aggiunta a quelli esplicitamente previsti dalla legge per la finanza locale.
[4] Si rinvia a Cass., sentenza del 9 marzo 2012 n. 3756
[5] Sul punto cfr. Cass. 5297/2009; Cass. 5298/2009; Cass. 5299/2009; Cass. 12006/2012; Cass. 12007/2012, Cass. 17768/2012; Cass. 17994/2014
[6] La possibilità di qualificare una prestazione di servizi come operazione a titolo oneroso presuppone unicamente l'esistenza di un nesso diretto tra tale prestazione e un corrispettivo effettivamente percepito dal soggetto passivo. Tale nesso diretto esiste qualora tra il prestatore e il destinatario intercorra un rapporto giuridico nell 'ambito del quale avvenga uno scambio di reciproche prestazioni e il compenso ricevuto dal prestatore costituisca il controvalore effettivo del servizio prestato al destinatario
[7] Si consideri ad esempio la sentenza del 14 dicembre 2000, nella causa C-446/98 (punti 15-17)
[8] Sentenza lsie of Wight Council e a., C-288/07, EU:C:2008:505, punto 31
[9] Si veda, sentenza 25 luglio 1991, causa C-202/90, Ayuntamiento de Sevilla, punto 18
[10] Interessanti in tema le sentenze 17 ottobre 1989, cause riunite 231/87 e 129/88, Comune di Carpaneto Piacentino e a., Race. pag. 3233, punto 15, e 15 maggio 1990, causa C- 4/89, Comune di Carpaneto Piacentino e a., Race. pag. 1-1869, punto 10
[11] Si veda sentenza del 16 dicembre 2010, MacDonald Resorts, C-270/09