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Pubbl. Dom, 12 Mar 2017

Commenti offensivi sui social: sulla pagina personale è diffamazione aggravata

Chiara Penna


La Suprema Corte, sent. n. 2723/2017 ribadisce che le divulgazioni di messaggi a carattere denigratorio su facebook integrano il reato di diffamazione aggravata


Sommario: 1. Diritto di informazione: limitazioni; 2. I social come mezzo di stampa o di pubblicità; 3. La portata potenziale ed indeterminata di utenti come aggravante

Sommario: 1. Diritto di informazione: limitazioni; 2. I social come mezzo di stampa o di pubblicità; 3. La portata potenziale ed indeterminata di utenti come aggravante

1. Diritto di informazione: limitazioni

Bisogna prestare molta attenzione ad interagire sui social. È ormai un dato ineluttabile che migliaia di utenti, tra cui anche persone note, raccontano la propria vita sui network. Ampio rispetto del diritto di manifestazione del pensiero, libertà di espressione, riconosciuta dalla pluralità degli ordinamenti democratici. Invero, l’art. 21 della Costituzione afferma che “tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.”.

Da tale articolo si evince l’ampia libertà di informare e di essere informati, del diritto di cronaca, critica e satira.

È però opportuno precisare che, la libertà di manifestazione del pensiero, benché sia una delle libertà fondamentali riconosciute e protette dalla nostro ordinamento democratico, incontra delle limitazioni volte alla tutela stessa dei cittadini dello Stato civile. Limiti ravvisabili nel buon costume, nell’ordine pubblico; limiti che trovano fondamento nei precetti costituzionali o in leggi comunque collegate alla Carta Costituzionale.  

L’utilizzo spropositato dei social comporta anche un necessario controllo di tutte le affermazioni e critiche degli utenti affinché non si sconfini lesioni del decoro, dell’onore, della reputazione della persona stessa, mortificazione, “social stalking”.

2. I social come mezzo di stampa o di pubblicità

Il nostro ordinamento disciplina, all’art. 595 del codice penale, il reato di diffamazione che rientra nell’ampia categoria dei Delitti contro l’onore, reati classificati al Capo II del codice penale italiano agli artt. 594-599.

L’art. 595 c.p nel definire la diffamazione come l’offesa all’altrui reputazione, effettua un “discrimen” sanzionatorio aggravante in base alla natura dell’offesa; in particolare, l’offesa sui social rientra nel co.3 di tale articolo ascrivendo a questi mezzi di comunicazione la valenza di mezzo di stampa o di pubblicità; difatti, “Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a euro 516”.

È bene, precisare che tale fattispecie costituisce reato di diffamazione perché la persona è assente al momento dell’offesa ovvero l’offesa viene comunicata ad una pluralità di persone (a differenza dell’ingiuria).

3. La portata potenziale ed indeterminata di utenti come aggravante

La Suprema Corte è da tempo coerente e concorde nell’affermare che il reato di diffamazione si possa configurare anche sui social network per la loro portata divulgativa “esplosiva” di arrivare ad numero indiscriminato di utenti. In particolare, di recente è la pronuncia della Cassazione n. 2723/2017.

Il caso di specie ha ad oggetto il ricorso in Cassazione di una donna che è stata condannata sia in primo grado che in appello per aver offeso un’altra donna su facebook attribuendole della “cornuta”. La Suprema Corte afferma che “in base a dati di comune esperienza - che la divulgazione di un messaggio tramite facebook, ha, per la natura di questo mezzo, potenzialmente la capacità di raggiungere un numero indeterminato di persone, che, del resto, si avvalgono del social network proprio allo scopo di instaurare e coltivare relazioni interpersonali allargate ad un gruppo di frequentatori non determinato; pertanto se il contenuto della comunicazione in siffatto modo trasmessa è di carattere denigratorio, la stessa è idonea ad integrare il delitto di diffamazione. In tal senso Sez. 1, Sentenza n. 24431 del 28/04/2015 Cc. (dep. 08/06/2015) Rv. 264007:

La diffusione di un messaggio diffamatorio attraverso l'uso di una bacheca "facebook" integra un'ipotesi di diffamazione aggravata ai sensi dell'art. 595 c.p., comma 3, poichè trattasi di condotta potenzialmente capace di raggiungere un numero indeterminato o comunque quantitativamente apprezzabile di persone.” L’elemento centrale del ragionamento della Cassazione, è la portata potenziale ed indeterminata di utenti che apprenderanno la notizia pubblicata e la conseguente lesione della reputazione, del decoro, dell’onore del destinatario.