Pubbl. Sab, 4 Mar 2017
Le esenzioni fiscali a favore di enti ecclesiastici: “aiuti di Stato” o beneficio legittimo?
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Luigimaria Riccardi
Il rapporto giuridico-politico tra Stato e Chiesa è sempre stato caratterizzato da alti e bassi, in particolare per quanto concerne eventuali benefici fiscali e/o finanziari a favore di enti ecclesiastici. Tra l'altro, con riferimento agli obblighi derivanti dall'Unione europea, lo spettro di un "aiuto di Stato" è sempre dietro l'angolo.
Sommario: 1. Premessa; 2. Gli “aiuti di Stato” nella disciplina europea: un breve inquadramento; 3. Le conclusioni dell’Avvocato generale Kakott; 4. Conclusioni.
1) Premessa
Il rapporto tra le esenzioni fiscali a favore degli enti ecclesiastici e la disciplina dell’Unione europea riguardante gli “aiuti di Stato” non è mai stato di facile discernimento e trova, ancora oggi, notevoli sviluppi nella prassi giurisprudenziale europea.
Ora, la questione che ci si presta ad esaminare riguarda varie esenzioni fiscali accordate dal Regno di Spagna alla Chiesa cattolica in forza di una convenzione internazionale conclusa nel 1979 con la Santa Sede.
Nel caso di specie, richiamandosi alla suddetta Convenzione, la Chiesa cattolica chiede, quale responsabile di una scuola religiosa, il rimborso di un’imposta comunale versata dalla stessa in occasione della realizzazione di taluni interventi edili su un edificio scolastico.
L’Avvocato generale della Corte di giustizia dell’Unione europea, Kokott, nelle conclusioni depositate il 17 febbraio nella causa C-74/16, ha stabilito che non sono qualificabili come aiuti di Stato e, pertanto, incompatibili con il diritto dell’Unione europea, l’esenzioni fiscali sull’imposta ad oggetto costruzioni concesse da uno Stato alla chiesa cattolica per le opere realizzate all’interno di un edificio scolastico, a patto, però, che la struttura sia utilizzata per fini educativi e sociali e non per motivi commerciali, anche quando le prestazioni di insegnamento non perseguono un obiettivo strettamente religioso.
La fattispecie in commento, come evidenziato vivamente nelle conclusioni dell’Avvocato generale Kakott, si pone quale questione attuale e di vivo interesse, anche per altri Stati dell’Unione europea, visto il dibattito spesso accesso dell’integrazione delle comunità religiose e della religione nella moderna società europea. Il caso in esame si presta ad introdurre alcuni profili di novità ad oggetto il rapporto tra Stato e Chiesa cui il diritto primario dell’Ue riserva una particolare attenzione [1].
L’analisi delle conclusioni (che ricordiamo precede la pronuncia in via pregiudiziale della Corte di Giustizia dell’Ue) postula, però, alcune brevi premesse in materia di “aiuti di Stato”.
2) Gli “aiuti di Stato” nella disciplina europea: un breve inquadramento
La disciplina sostanziale e procedurale inerente gli “aiuti di Stato” è contenuta agli art. 107 108 e 109 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE), a cui vanno aggiunti alcuni atti di diritto derivato [2]. Alla base della disciplina de qua discende il principio che, salvo alcuni casi eccezionali [3], gli Stati membri devono astenersi dal falsare il gioco competitivo attraverso l’erogazione diretta e indiretta di risorse ad imprese o produzioni. Inoltre, in base all’art. 107 TFUE e alla giurisprudenza costante della Corte di Giustizia dell’Ue, un “aiuto di Stato” può assumere nella realtà forme differenti, dal finanziamento diretto o di erogazione finanziaria alle esenzioni fiscali a favore di una o più imprese. Ciò che conta, infatti, è fornire la prova che: I) l’aiuto sia imputabile alla Stato o a risorse statali; II) apporti un vantaggio al suo beneficiario; III) sia selettivo; IV) è idoneo ad incidere sugli scambi tra Stati membri e V) falsi o minacci di falsare la concorrenza [4]. Tra l’altro, posto che il diritto dell’Unione europea in materia di concorrenza si applica esclusivamente alle imprese, non sempre risulta di facile riscontro distinguere tra attività economiche e non economiche, da cui dipende la presente controversia.
Infatti, è noto che le attività di educazione scolastica/di istruzione si collochino in un settore di confine tra le attività imprenditoriali e le attività sociali, educative e culturali come ribadito da ampia giurisprudenza [5].
3) Le conclusioni dell’Avvocato generale Kakott
Premesso ciò, la questione in esame vede al centro della controversia nazionale un istituto della Chiesa cattolica e il Comune di Getafe (Madrid). L’ente ecclesiastico, dopo l’ampliamento di un edificio utilizzato dalla scuola come sala conferenze, aveva presentato domanda di rimborso delle imposte in base a una Convenzione del 1979 tra Spagna e Santa Sede. Il Comune aveva respinto la richiesta perché l’attività, a suo dire, non era collegata agli obiettivi religiosi della Chiesa cattolica. Impugnato il diniego all’esenzione, i giudici amministrativi spagnoli hanno chiamato a pronunciarsi i giudici dell’Ue su alcune questioni interpretative in materia di aiuti di Stato.
Prima di tutto, l’Avvocato generale della Corte ha chiarito che anche se al centro dell’attività della Chiesa cattolica vi sono compiti religiosi, pastorali e sociali non può essere escluso che singole attività possano essere considerate di carattere economico. Pertanto, per verificare l’applicazione dell’articolo 107 del TFUE riguardante gli aiuti di Stato, è necessario analizzare le singole attività dell’ente.
Nel caso in cui l’ente religioso – osserva Kokott – gestisce i propri istituti con un approccio commerciale “ed eroga le attività didattiche ivi tenute essenzialmente quale controprestazione per i contributi economici e le altre prestazioni pecuniariamente quantificabili degli scolari e dei loro genitori” (punto 42) implica che l’ente stesso eroga servizi e, quindi, svolge un’attività economica. Lo scenario cambia se l’ente ecclesiastico gestisca l’istituto scolastico non con modalità commerciali ma nell’ambito sociale, culturale ed educativo “non ricorrendo o ricorrendo solo marginalmente per il finanziamento delle lezioni ai contributi degli scolari o dei loro genitori” (punto 43). In quest’ultima ipotesi, manca un’attività “strettamente” economica e, quindi, la normativa dell’Unione europea sulla libera concorrenza non trova applicazione. In conseguenza di quanto premesso, la relativa esenzione fiscale non è un aiuto di Stato e può essere concessa all’ente ecclesiastico.
Quanto affermato è applicabile anche quando l’attività svolta negli edifici considerati non persegua un obiettivo strettamente religioso, proprio perché è sufficiente che con i servizi didattici l’ente persegua realmente un obiettivo sociale, culturale ed educativo. Per l’Avvocato generale, quindi, non è importante che l’ente assolva ad una finalità strettamente e formalmente educativa e sociale, ma che con le sue singole attività esso fornisca e contribuisca con un’attività socialmente e educativamente apprezzabile.
Spetterà poi ai giudici spagnoli verificare se, tra le diverse attività che l’ente svolge sul piano didattico, esista un particolare servizio offerto il quale è posto in essere senza motivi commerciali nell’edificio per il quale è chiesta l’esenzione, tenendo conto simultaneamente di alcuni elementi quali indici rilevatori: il numero di classi, di ore di lezione, il numero di scolari, di insegnanti impegnati nelle diverse attività, nonché del budget medio annuale che la scuola destina alle diverse attività didattiche.
4) Conclusioni
In conclusione, se l’attività imprenditoriale è marginale è giusto negare che si tratti di attività economica, lasciando spazio alle esenzioni.
Ciò che importa è una visione sostanziale, da un lato, delle modalità attraverso le quali i servizi didattici sono offerti e, dall’altro, dell’attività e del contributo sociale e/o educativo delle stesse.
Note e riferimenti bibliografici
[1] Si veda l’art. 17 del TFUE
[2] Sul piano procedurale il testo principale è il reg. 659/1999 del Consiglio del 22 marzo 1999, recante modalità di applicazione dell’art. 93 TCE (oggi art. 108 TFUE), recentemente modificato dal reg. 734/2013 del Consiglio, del 22 luglio 2013, il quale ha introdotto diverse modifiche (es. la possibilità della Commissione di richiedere informazioni a: Stati membri diversi dal diretto interessato, imprese o associazioni di imprese).
[3] Si vedano i par. 2 e 3 dell’art.107 TFUE.
[4] ADAM R. e TIZZANO A., “Manuale di Diritto dell’Unione europea”, G. Giappichelli editore, Torino, 2014, pag. 633-640.
[5] Si rinvia alla nota n. 2 delle conclusioni dell'Avvocato generale in commento.