Pubbl. Lun, 6 Mar 2017
Eutanasia: legale in alcuni paesi UE, in Italia è reato anche accompagnare il malato.
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Giuseppe Ferlisi
E´ giunto il momento di regolamentare? Proprio alla luce della nuova proposta di legge in discussione, il 13 marzo 2017 alla Camera dei Deputati, ecco un´analisi della regolamentazione degli altri paesi in tema di Eutanasia e della possibile regolamentazione anche nel nostro ordinamento attraverso il testamento biologico.
La vicenda salita all'onore delle cronache di Dj Fabo, al secolo Fabiano Antoniani, ha riportato dopo quasi un decennio al centro del dibattito giuridico, morale e sociale il tema dell' Eutanasia ed in generale del "fine vita".
Ancor più se pensiamo che l' Avv. Marco Cappato, Presidente dell' Associazione Luca Coscioni, ha scelto di accompagnare Dj Fabo (ci permetteremo di chiamarlo così) in Svizzera, consapevole di sottoporsi ad un procedimento penale per istigazione al suicidio; nel nostro paese, infatti, è vietata ogni opzione di "fine vita", e seppur non si può vietare ad un cittadino italiano di usufuire delle leggi in materia degli altri paesi (nel caso determinato la Svizzera), non è consentito ad altri cittadini accompagnare chi decide di usufruire della "dolce morte".
Per ovvi motivi, anche per la linea editoriale della presente testata, non parleremo dei risvolti morali, spirtuali e religiosi che questo tema produce, per forza di cose, nel lettore e nel cittadino in generale; ci limiteremo, pertanto, ad una analisi degli altri ordinamenti europei (ed internazionali) al fine di capire come tale tema sia stato affrontato, giuridicamente, negli altri paesi e come e se possa essere regolamentato in Italia, alla luce anche della proposta di legge che dovrebbe essere discussa in Parlamento nel mese corrente.
L'unica opinione che chi scrive intende proporre, ha a che fare con una regolamentazione probabilmente necessaria e doverosa, stante comunque la possibilità per i consociati che ne abbiamo voglia ( e soprattutto risorse economiche ), di poter utilizzare il regime giuridico di paesi come la Svizzera e quindi portare la propria drastica decisione a compimento.
Stante questa possibilità, probabilmente rendere tutti i cittadini uguali nelle possibilità anche in questo ambito è doveroso e necessario.
Cos'è l' Eutanasia?
Essa deriva dal greco e significa letteralmente "buona morte" e consta nel procurare intenzionalmente il decesso di qualcuno quando le sue condizioni siano compromesse da malattie, menomazioni e disagio psichico.
Ne esistono di vari tipi:
- attiva, se viene usato un farmaco letale ;
- passiva, se viene interrotto un trattamento medico che tiene in vita il paziente;
- suicidio assistito, se viene apportato un vero e proprio aiuto medico e amministrativo per interromperne la vita, con i farmaci che però devono essere assunti autonomamente;
- testamento biologico, documento con il quale si affidano al medico le indicazioni anticipate di trattamento nel caso di una perdita di capacità di autodeterminazione per malattia acuta e degenerativa.
In Europa?
- In Gran Bretaglia è consentita l'interruzione solo per casi estremi e non è permesso il suicidio assistito.
- In Francia è permessa unicamente l'eutanasia passiva con consenso dei medici.
- In Spagna, cattolicissima quanto l'Italia, sono permesse sia l'eutaniasia passiva che il suicidio assistito.
- in Portogallo troviamo una situazione perfettamente analoga della Gran Bretagna.
- In Olanda, da sempre liberale ed all'avanguardia in tema di diritti civili, sono permessi l'eutanasia di ogni tipo ed il suicidio assistito, tutto questo anche per i minori di 18 anni (almeno 12 anni). Dal 2002, anno della legalizzazione, secondo i dati della Società reale di medicina olandese, circa quattromila persone all'anno sono state aiutate a morire; in special modo malati terminali per neoplasie e malattie tumorali oppure Alzheimer irreversibile.
- In Belgio è consentito il suicidio assistito, anche per i minori in fase terminale, ovviamente con consenso dei genitori.
- In Svezia è regolamentata esclusivamente l' eutanasia passiva, mentre è vietata quella attiva.
- In Germania sono permessi l' eutanasia passiva ed il suicidio assistito.
- In Svizzera, come abbiamo imparato anche dai TG, è consentita l'eutanasia attiva indiretta e quella passiva, oltre che il suicidio assistito.
Fuori dall' Europa?
Il "fine vita", seppur con le dovute differenze da paese a paese, risulta essere depenalizzato, legalizzato o regolamentato in India, Messico e Canada.
L'Eutanasia, la Costituzione Italiana ed il Caso Englaro.
Il dibattito su queste diverse forme e sulla loro più o meno effettiva distinzione ruota sulla questione fondamentale circa il limite scivoloso tra il diritto alla vita e alla salute sancito dalla Costituzione e il diritto, anch’esso costituzionale, per il paziente di rifiutare le cure (art. 32: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”).
Oltre a tale articolo sono oggetto di tale analisi anche l'art. 2 ("la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo") e art. 13 ("la libertà personale è inviolabile").
In Dottrina per questo si scontrano due opposte e diverse opinioni.
La prima ritiene che una eventuale legge che riconosca la legalità dell’eutanasia, e con essa un diritto alla morte, sarebbe incontrovertibilmente in contrasto con lo spirito della Costituzione italiana, dal momento che l’articolo 2 della Costituzione, riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, vietando di fatto il compimento di qualsiasi atto diretto a interrompere o abbreviare la vita dell'uomo. Secondo tale orientamento, la congurenza di tale ragionamento giuridico sarebbe inappuntabile anche alla luce del menzionato articolo 32 della Costituzione – giacchè impone la "tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo» e vieta la violazione dei «limiti imposti dal rispetto della persona umana" - tutelando il diritto alla vita contro qualunque aggressione.
Su una cosa, tuttavia, sembra esserci un accordo: la questione esistente sui diritti legati al corpo. alla salute, alla vita; questioni, queste, effetto del cambiamento di signigificato del linguaggio "naturale" di morte, la quale da processo ineluttabile e naturale, diventa sempre più un processo governato dalla tecnica, dalla medicina e dalle nuove scoperte scientifiche che aumentano a dismisura la possibilità di aumentare la vita di un uomo, e spesso di un corpo.
Così, la rivendicazione ed affermazione di partecipazione attiva alle decisioni che ci riguardano e di un diritto ad esprimere
consenso o il dissenso, è stato e sarà tema centrale del diritto ad esprimersi sui confini della tecnica medica e della sua capacità di ridefinire "artificialmente" i confini biologici della vita.
Nel Diritto oggi è centrale il problema di capire se e in che misura una vita può essere desiderabile per il consociato -paziente,se essa è accettabile per la sua visione esistenziale e morale, oltre che capire se si è giuridicamente o meno legittimati a prendere una decisione in tal senso.
Certa è la presenza, di contro, di un orientamento dottrinale che ritiene come il principio di protezione della vita abbia una rilevanza limitata, làddove si scontri con volontà del paziente che chiede di poter vivere quel poco di vita che ancora gli resta; il diritto alla vita non può tramutarsi automaticamente in un dovere di vivere a qualunque costo.
Dal punto di vista Giurisprudenziale, il primo caso in Italia fu la sentenza "Massimo" (sent. 18-10-1990, n. 13), in cui la Corte d'Assise di Firenze affermava che "nel diritto di ciascuno di disporre, lui e lui solo, della propria salute ed integrità personale, (…) non può che essere ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche, lasciando che la malattia segua il suo corso anche fino alle estreme conseguenze".
Tale Sentenza ha rivestito una importanza fondamentale nel nostro ordinamento, poichè fu una delle prime in cui si affermò il diritto alla salute nella versione negativa.
Ancor più importante fu la sentenza della Suprema Corte di Cassazione sul caso Englaro, del 2007. In essa, gli Ermellini affermano che il principio del consenso informato "ha un sicuro fondamento nelle norme della Costituzione: nell'art. 2, che promuove e tutela i diritti fondamentali della persona umana, della sua identità e dignità; nell'art. 13, che proclama l'inviolabilità della libertà personale, nella quale è postulata la sfera di esplicazione del potere della persona di disporre del proprio corpo; e nell'art. 32, che tutela la salute come fondamentale diritto dell'individuo, oltre che come interesse della collettività, e prevede la possibilità di trattamenti sanitari obbligatori, ma li assoggetta ad una riserva di legge, qualificata dal necessario rispetto della persona umana".
Tale sentenza nacque da un conflitto di attribuzioni sollevato dal Parlamento contro il potere giudiziario.
La Corte costituzionale ha dichiarato in quell'occasione l'inammissibilità del conflitto di attribuzioni proposto, affermando che in tale occasione il potere giudiziario non ha "inventato" un risultato normativo "nuovo", bensì ha elaborato una soluzione poggiata sull' ammissibilità della dichiarazione anticipata di volontà in riferimento agli interventi di "nutrizione e idratazione artificiale"; ragionamento questo ritenuto assolutamente coerente sia in tema di salute che di relazione medico-paziente, oltre che in tema di autodeterminazione individuale.
La svolta della Corte di Cassazione nel 2007 si basa tutta sull'istituto della rappresentanza legale dell'incapace: il rappresentante. "deve decidere non "al posto" dell'incapace né "per" l'incapace, ma "con" l'incapace: quindi
ricostruendo la presunta volontà del paziente incosciente, già adulto prima di cadere in tale stato, tenendo
conto dei desideri da lui espressi prima della perdita della coscienza, ovvero inferendo quella volontà dalla
sua personalità, dal suo stile di vita, dalle sue inclinazioni, dai suoi valori di riferimento e dalle sue
convinzioni etiche, religiose, culturali e filosofiche".
In particolare, il principio di diritto sancito dalla Corte di Cassazione, è il seguente: " Ove il malato giaccia da moltissimi anni in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino naso gastrico che provvede alla sua nutrizione ed idratazione, (…), il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario (…), unicamente in presenza dei seguenti presupposti:
- quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso appressamento clinico, irreversibile,e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno;
- sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l'idea stessa di dignità
E' evidente che tutti i dubbi sollevabili sulla seconda condizione posta dagli Ermellini nel 2007 sarebbero pressocchè facilmente superabili attraverso l'introduzione - di cui si sta discutendo in Parlamento da tempo - del testamento biologico.
L'eutanasia e l'ordinamento italiano.
Attualmente in Italia l’eutanasia costituisce reato e rientra nelle ipotesi previste e punite dall’articolo 579 c.p. ("chiunque cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui, è punito con la reclusione da sei a quindici anni") e dall' articolo 580 c.p. del codice penale ("chiunque determina altri al suicidio o rafforza l'altrui proposito di suicidio, ovvero ne agevola in qualsiasi modo l'esecuzione, è punito, se il suicidio avviene, con la reclusione da cinque a dodici anni. Se il suicidio non avviene, è punito con la reclusione da uno a cinque anni, sempre che dal tentativo di suicidio derivi una lesione personale grave o gravissima").
Il primo articolo - 579 c.p. - fino a questo momento punisce soprattutto gli eventuali medici e sanitari che potrebbero aiutare il paziente a porre fine alla propria esistenza, seppur il soggetto attivo può essere "chiunque".
Ciò che viene permesso è una scelta in conformità con l'art. 32 Cost, ossia l'interruzione delle cure : in molti casi una persona se cosciente, può interrompere le cure, lasciando il nosocomio nel quale è ospitata o decidere per tempo di ricorrere alla nomina dell’amministratore di sostegno per garantirsi, in caso di sopravvenuta incapacità, l’esecuzione delle proprie volontà.
Tale diritto di non accettare le cure, trova però il suo limite quando si tratta di cure necessarie per il mantenimento in vita del paziente, poichè in tale caso prevale il principio di indisponibilità della vita, come confermato dall'art. 579 c.p. suddetto; dall'art. 32 comma 2 Cost., in sostanza, potrebbe desumersi solo un diritto a non farsi curare, ma non anche a lasciarsi morire; il medico avrebbe quindi l'obbligo di tenere in vita illimitatamente il paziente, dovendo bilanciare il diritto individuale di rifiutare le cure e quello indisponibile della vita; e l'omissione delle cure vitali, seppur in adesione alla volontà del malato, comporterebbe una responsabilità ex art. 579.
Maggioritario è l'opposto indirizzo della dottrina costituzionalistica (V. Modugno), che sostiene l'irrilevanza penale dell'interruzione delle cure, da parte de sanitario, nel caso in cui sia lo stesso malato a rifiutare l'intervento terapeutico ( c.d. eutanasia passiva consensuale), dato che il requisito imprenscindibile di liceità di ogni trattamento medico è proprio il consenso del paziente, salvo che questo si trovi nell'impossibilità di prestarlo.
Discussa in dottrina è invece l'eutanasia passiva non consensuale: stabilito che per il medico - stante l'art. 40 comma 2 c.p. - sussiste sicuramente l'obbligo di prestare le cure necessarie ad impedire l'evento morte, tuttavia si tratta di stabilire il limite di tale obbligo, soprattutto con riferimento alle pratiche di rianimazione.
Secondo l'orientamento prevalente, per morte si intende la cessazione irreversibile delle funzioni dell'encefalo, anche se ancora in atto la circolazione sanguigna e la respirazione; indi per cui, seguendo tale ragionamento, il problema troverebbe soluzione nel senso di considerare legittima l'interruzione del trattamento, dato che la protrazione delle pratiche di rianimazione costituirebbe una forma di inaccettabile accanimento terapeutico.
Nella giurisprudenza di legittimità - Cass. Pen. 2008 n.1791 - si è ad esempio riconosciuta la causa di giustificazione di adempimento di dovere per un anestesista che aveva proceduto al distacco del respiratore artificiale, interrompendo un trattamento medico rifiutato dal paziente.
della persona. Ove l'uno o l'altro presupposto non sussista, il giudice deve negare l'autorizzazione, dovendo
allora essere data incondizionata prevalenza al diritto alla vita, indipendentemente dal grado di salute, di
autonomia e di capacità di intendere e di volere del soggetto interessato e dalla percezione, che altri
possano avere, della qualità della vita stessa".
Quanto all'art. 580 c.p., esso punisce la partecipazione, anche morale, al suicidio, sia attraverso determinazione che rafforzamento dell'altrui proposito di togliersi la vita.
E' questo il reato contestato all' Avv. Cappato - nel caso dell'episodio prima menzionato - giacchè la partecipazione materiale o morale può esplicarsi in qualsiasi modo, ivi compreso accompagnare il soggetto all'estero dando istruzioni sulla procedura e assistendolo.
Ovviamente la differenza tra questo reato e quello di omicidio del consenziente, risulta essere delineata dalla condotta e dalla volontà della vittima: si avrà il secondo quando chi provoca la morte si sostiuisca all'aspirante suicida, anche se con il suo consenso; si avrà la contestazione del primo reato allorquando la vittima ha conservato il dominio della propria azione, nonostante la presenza di una condotta estranea di determinazioen od aiuto alla realizzazione del suo proposito.
La legge sul Biotestamento all' esame del Parlamento.
Sono quattro le proposte di legge sull'eutanasia assegnate alle Commissioni riunite II Giustizia e XII Affari Sociali della Camera dei deputati:
- proposta di legge D'INIZIATIVA POPOLARE, "Rifiuto di trattamenti sanitari e liceità dell'eutanasia" (1582), presentata il 13 settembre 2013;
- proposta di legge DI SALVO, "Norme in materia di eutanasia" (2218), presentata il 24 marzo 2014;
- proposta di legge NICCHI, "Norme in materia di eutanasia" (2973), presentata il 19 marzo 2015;
- proposta di legge BECHIS, "Disposizioni in materia di eutanasia e rifiuto dei trattamenti sanitari" (3336), presentata il 30 settembre 2015.
La proposta di legge che nei prossimi giorni leggeremo spesso, anche per la grancassa mediatica che si è sviluppata intorno al tema, è sicuramente quella in arrivo il 13 Marzo alla Camera dei Deputati.
Essa contiene la proposta del testamento biologico, ossia quella dichiarazione fatta già in vita - ancora nelle condizioni di discernere - in cui il cittadino stabilisca le istruzioni sulla propria eventuale e non ancora accaduta situazione patologica terminale od immobilizzante.
Ogni persona maggiorenne e capace di intendere e di volere ha il diritto di accettare o rifiutare qualsiasi accertamento diagnostico o trattamento sanitario indicato dal medico per la sua patologia o singoli atti del trattamento stesso. Affianco a tale diritto, egli ha la facoltà di revocare in qualsiasi momento il consenso prestato, anche quando la revoca comporti l'interruzione del trattamento, ivi incluse la nutrizione e l'idratazione artificiali.
Il medico è tenuto a rispettare la volontà espressa dal paziente, non andando quindi incontro a responsabilità civili o penali.
La seconda parte di questa proposta di legge è quella afferente alla "DAT", ossia disposizioni anticipate di trattamento; il testamento biologico per l'appunto.
Il paziente può esprimere il consenso o il rifiuto rispetto a scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari comprese le pratiche di nutrizione e idratazione artificiali; inoltre egli può indìcare un maggiorenne, capace di intendere e di volere, che ne faccia le veci e lo rappresenti nelle relazioni con il medico e con le strutture sanitarie.
Il medico è tenuto al rispetto delle DAT, le quali possono essere da lui disattese, in tutto o in parte, in accordo con il fiduciario, se e solo se sussistano motivate e documentabili possibilità.
Il DAT deve essere redatto per iscritto davanti a pubblico ufficiale, al medico o davanti a due testimoni; può essere modificato, rinnovato o revocato. Inoltre, tali intendimenti - in base alla proposta di legge in discussione - possono essere rilasciati anche mediante video-registrazione custodita nel fascicolo elettronico del paziente.
Quale futuro in Italia?
Probabilmente una legge, equilibrata, ben strutturata, che fornisca ogni garanzia per il rispetto della volontà della persona, dotata di tutti gli strumenti che il diritto conosce è sempre cosa migliore che nessuna legge. Una base da cui partire è ovviamente la garanzia della volontarietà della richiesta, insieme all’accertarsi dell’ineluttabile avvicinarsi dell’evento clinicamente verificato.
A rendere efficace una eventuale legge sul fine vita deve essere la costante monitorizzazione della sua applicazione per poter apportare via via dei correttivi. Probabilmente, il nostro ordinamento dovrebbe fare tesoro del cosìdetto pluralismo etico, in modo che, eccetto alcuni punti che costituiscono un minimo denominatore comune, sia lasciata a ognuno la libertà di scelta in campo morale e etico. Anche tra la vita e la morte.
Una legge dovrebbe garantire grandissimo spazio all’informazione del malato, così da fargli conoscere il decorso della malattia e delle sofferenze che lo aspetteranno, della qualità della vita che potrà avere, e preferibilimente prima che la malattia intervenga, cosìchè possa disporre di se ancora cosciente.
Potrebbe essere anche rivestito di efficacia giuridica l'atto con il quale si affida ad una terza persona la possibilità di decidere in propria vece o secondo le proprie volontà già stabilite.
Certo, l'eutanasia non può rappresentare l’unica soluzione del problema dei malati terminali e inguaribili, ma deve rientrare, come scelta, nel quadro di umanizzazione della medicina e , se mai, di sviluppo della medicina palliativa, le quali però non possono essere imposte, sicché al malato deve essere lasciata la possibilità di scelta ed eventualmente di preferire, ai trattamenti palliativi, la soluzione anticipata di una condizione di vita segnata da sofferenza o non dignitosa.
Riconoscerne la liceità porrebbe fine alla discriminazione tra il malato terminale in grado di compiere materialmente il gesto ( a tal proposito si può ricordare il caso del Maestro Monicelli) e quello che, per via delle sue condizioni fisiche e della sua malattia, non è in grado di fare la medesima scelta.