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Pubbl. Gio, 2 Feb 2017

La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità dell’automatica attribuzione del cognome paterno ai figli

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Giovanni Sicignano


Con la sentenza n. 286 del 2016, la Corte Costituzionale ha tutelato il diritto della madre a che il figlio possa avere il cognome materno in aggiunta a quello paterno, in caso di accordo comune tra i coniugi.


La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità dell’automatica attribuzione del cognome paterno ai figli

Con la sentenza n. 286 del 2016, il Giudice delle Leggi ha sancito un principio estremamente importante: il diritto dei figli all’attribuzione del cognome materno. Si tratta di un principio che tiene conto delle norme sovranazionali che vincolano l’Italia e che prevalgono sulla disciplina interna.

1. Il caso 2.La violazione dei parametri costituzionali 3. La decisione della Corte

1.Il caso

Il caso di specie, giunto all’attenzione della Corte Costituzionale verte sul giudizio di legittimità costituzionale della norma desumibile dagli articoli 237, 262, 299 c.c. e 72, primo comma del R.D. n. 1238 del 1939 e degli articoli 33 e 34 del D.P.R. 396 del 2000, promosso dalla Corte d’Appello di Genova.

La Corte d’Appello infatti ha sollevato questione di legittimità costituzionale in riferimento ai parametri rappresentati dagli articoli 2, 3, 29 secondo comma e 117 primo comma della Cara Costituzionale. Nel caso in esame l’ufficiale di stato civile si era rifiutato di attribuire al figlio dei ricorrenti il cognome materno in aggiunta a quello del padre. Il Tribunale di Genova aveva rigettato il ricorso e la Corte d’Appello evidenzia che sebbene non vi sia una norma specifica che stabilisca l’attribuzione automatica al figlio del cognome paterno, essa è comunque desumibile dal combinato disposto delle norme di legge invocate.

La Corte d’Appello evidenzia che vi sono diverse norme e convenzioni internazionali che sottolineano l’eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti della donna, tra cui si segna l’art. 16 comma 1, lettera g della Convenzione di New York del 1979, ratificata e resa esecutiva con la legge n.132 del 1985. Vi sono inoltre anche alcune pronunce della Corte EDU che sanciscono l’eliminazione di ogni discriminazione basata sul genere nella scelta del cognome.

2.La violazione dei parametri costituzionali

Nel caso in esame vengono ravvisate delle violazioni ai parametri costituzionali in quanto il figlio della coppia, nato durante il matrimonio, è titolare di doppia cittadinanza. Tuttavia, a causa del rifiuto dell’ufficiale dello stato civile, il minore viene identificato in modo diverso nei due stati in cui è cittadino: in Italia è identificato mediante il cognome paterno mentre in Brasile ha il doppio cognome.

A detta della Corte d’Appello rimettente l’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio si porrebbe in contrasto con i parametri costituzionali di cui agli art. 2,3, 29 secondo comma e 117 primo comma della Costituzione.

L’art. 2 della nostra Carta sarebbe leso nella misura in cui viene leso il diritto alla pienezza dell’identità personale: infatti il singolo individuo ha “il diritto di vedersi riconoscere i segni di identificazione di entrambi i rami genitoriali.”[1]

Gli articoli 3 e 29 secondo comma sarebbero lesi nella misura in cui non vi è parità di trattamento dei coniugi nella scelta del cognome e ad avviso del rimettente non si può giustificare la priorità del cognome paterno sulla base della tutela dell’unità familiare.

Viene inoltre lamentata anche la lesione dell’art. 117 primo comma come interpretato nelle sentenze gemelle (348 e 349 del 2007), poiché le norme convenzionali indicate sono norme interposte e costituiscono dei parametri di valutazione costituzionale delle norme interne.

Anche la difesa delle parti private, ha insistito per l’accoglimento della questione di legittimità costituzionale sollevata dalla Corte d’Appello di Genova in quanto  “se, il diritto al nome e, più in particolare, al cognome, costituisce la manifestazione esterna e tangibile del diritto all’identità personale, l’attribuzione automatica al figlio di una coppia coniugata del solo cognome paterno determina l’irrimediabile compromissione di tale diritto, precludendo al singolo individuo di essere identificato attraverso il cognome che meglio corrisponda alla propria identità personale”.[2]

In riferimento alla violazione degli articoli 3 e 29 secondo comma vengono richiamate una serie di sentenze che rappresentano l’orientamento giurisprudenziale della Consulta nel dichiarare irragionevoli i trattamenti differenziati dei coniugi.[3]

In riferimento all’importanza e alla prevalenza delle norme convenzionali e sovraordinate, la difesa delle parti private richiama l’art. 24 del Patto internazionale sui diritti civili e politici, l’art. 7 della Convenzione sui diritti del fanciullo, l’articolo 16 lettera g) della Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne. Alla luce di queste norme sovraordinate non sarebbe conforme a tali norme l’attribuzione automatica del cognome paterno al figlio in quanto “ sarebbe lesiva sia dei principi che garantiscono la tutela del diritto al nome, sia di quelli in tema di eguaglianza e di non discriminazione tra uomo e donna nella trasmissione del cognome al figlio, sia esso legittimo o naturale.”

Infine la difesa delle parti private ha evidenziato che la pronuncia richiesta al Giudice delle Leggi non sarebbe invasiva dell’attività legislativa perché non si richiede alla Corte di colmare una lacuna in senso legislativo ma bensì attraverso una pronuncia che attesti la non conformità delle norme impugnate ai principi convenzionali e costituzionali. Pertanto la Corte potrebbe ben limitarsi ad affermare l’illegittimità costituzionale delle norme contestate nella misura in cui non permettono ai coniugi di scegliere di comune accordo il cognome da trasmettere ai figli.

 3. La decisione della Corte

Il giudice delle Leggi in riferimento alle doglianze mosse, ha accolto la questione di legittimità costituzionale in relazione agli articoli 2,3 e 29 della Costituzione. La Corte Costituzionale preliminarmente ha chiarito che l’art. 72, primo comma del R.D. 1238 del 1939 è stata abrogata dal D.P.R. 396 del 2000. Tuttavia non si può dubitare della forza imperativa della norma che prevede l’estensione automatica del cognome paterno al figlio.

In relazione all’art. 2 Cost. si evidenzia che “La piena ed effettiva realizzazione del diritto all’identità personale, che nel nome trova il suo primo ed immediato riscontro, unitamente al riconoscimento del paritario rilievo di entrambe le figure genitoriali nel processo di costruzione di tale identità personale, impone l’affermazione del diritto del figlio ad essere identificato, sin dalla nascita, attraverso l’attribuzione del cognome di entrambi i genitori.”[4]

Inoltre “La perdurante violazione del principio di uguaglianza morale e giuridica dei coniugi, realizzata attraverso la mortificazione del diritto della madre a che il figlio acquisti anche il suo cognome, contraddice, ora come allora, quella finalità di garanzia dell’unità familiare, individuata quale ratio giustificatrice, in generale, di eventuali deroghe alla parità dei coniugi, ed in particolare, della norma sulla prevalenza del cognome paterno.”[5]

A detta dei giudici della Corte pertanto bisogna superare quella concezione patriarcale della famiglia in base alla quale vi era la prevalenza del cognome paterno.

Inoltre la Corte ravvisa che “Nella famiglia fondata sul matrimonio rimane così tuttora preclusa la possibilità per la madre di attribuire al figlio, sin dalla nascita, il proprio cognome, nonché la possibilità per il figlio di essere identificato, sin dalla nascita, anche con il cognome della madre.”[6]

Resta assorbita la questione di legittimità costituzionale relativa all’art. 117 Cost. in relazione alla violazione delle norme convenzionali che si impongono sul diritto interno.

Alla luce di queste valutazione pertanto il Giudice delle Leggi dichiara l’illegittimità costituzionale della norma desumibile dal combinato degli articoli 237,262 e 299 del c.c.; 72 primo comma del R.D. 1238 del 1939 e 33 e 34 del D.P.R. 396 del 2000 nella parte in cui non consente ai coniugi di comune accordo di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno.

In via consequenziale viene dichiarata inoltre l’illegittimità costituzionale dell’art. 262 primo comma c.c. nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere ai figli anche il cognome materno.

Ed infine viene dichiarata anche l’illegittimità costituzionale dell’art. 299 terzo comma c.c. nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo anche il cognome materno.

Ad avviso di chi scrive, si tratta di una soluzione equa e conforme al dettato costituzionale. Estremamente interessante è l’estensione dell’illegittimità costituzionale alle norme degli articoli 262 primo comma e 299 terzo comma c.c. Si tratta di una decisione meritevole di accoglimento in quanto tutela il diritto della madre a che il figlio abbia anche il cognome materno.

 

Note e riferimenti bibliografici


[1] Sentenza Corte Cost. 286 del 2016 pag. 7

[2] Sentenza citata pag. 5

[3] Sentenze Corte Cost. n. 33 del 1960; n. 126 e 127 del 1968; n. 477 del 1987; n.254 del 2006;

[4] Sentenza citata, pag. 11

[5] Cfr

[6] Sentenza citata, pag. 10.