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Pubbl. Mar, 31 Gen 2017

La governance della società per azioni

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Francesco Rizzello


Panoramica generale sui sistemi di amministrazione e controllo, seguita da un´analisi della governance alla luce delle linee guida della riforma delle società di capitali intervenuta nel 2003 e completata da alcune valutazioni di tipo sistematico.


Sommario: 1. Introduzione - 2. I sistemi di amministrazione e controllo in generale - 3. La riforma delle società di capitali - 4. Conclusioni

 

1. Introduzione

Il tema della governance è essenziale ai fini di un'adeguata comprensione del fenomeno della società per azioni, nonché delle società di capitali in generale. Gli equilibri vigenti all'interno di un'impresa di grandi dimensioni, come lo sono inevitabilmente le imprese che si costituiscono sotto forma di s.p.a. (art. 2327 c.c., il quale prevede un versamento di capitale iniziale non inferiore a 50.000 euro), determinano il funzionamento della stessa, e si pongono pertanto alla base dei risultati concreti che l'impresa riesce ad ottenere sul mercato.
La società per azioni è tradizionalmente caratterizzata in quanto società «anonima», all'interno della quale il socio entra in quanto mero investitore. Una tipologia, quindi, tradizionalmente caratterizzata da una tendenziale irrilevanza della persona del socio e dalla centralità del conferimento il quale egli compie idealmente sotto forma di denaro. Tali modalità denotano una fungibilità del conferimento ed una indifferenza rispetto all'elemento individuale che entra a comporre la compagine sociale. Si avrà modo di approfondire tali considerazioni nei paragrafi a seguire. Tale ruolo del socio all'interno della s.p.a. deriva dalla necessità, ricavabile sia dalla legge, sia dalle ragioni economiche alla base del fenomeno della società per azioni, che tale tipologia si doti di un assetto marcatamento corporativo, permeato quindi da una fondamentale ripartizione di ruoli assegnati ad organi competenti per funzioni individuate dalla legge.

2. I sistemi di amministrazione e controllo in generale

Il sistema tradizionale è applicabile salvo diversa disposizione dello statuto (art. 2380, co. 1 c.c.), e prevede un organo amministrativo incaricato della funzione gestoria, costituito dal consiglio di amministrazione (o, in alternativa, dall'amministratore unico) al cui la legge affida in maniera esclusiva la gestione dell'impresa, consistente nel compimento delle operazioni necessarie per l'attuazione dell'oggetto sociale (art. 2380-bis c.c.). Tale norma ha una notevole importanza sistematica, in quanto costituisce non solo una delle disposizioni più significative tra quelle dettate con la novella del 2003, ma anche una delle norme più ricche di implicazioni per la stessa ricostruzione delle caratteristiche tipologiche della società per azioni1. La società per azioni costituisce il modello più affinato di organizzazione dell'impresa, cui si ricorre con il crescere delle dimensioni e della complessità dell'attività, e che risulta caratterizzato da una naturale vocazione alla raccolta tra il pubblico del capitale di rischio, con una conseguente oggettivazione e spersonalizzazione dell'investimento da parte dell'azionista2. Per tali ragioni, il modello della società per azioni implica una necessaria specializzazione della funzione di gestione3: corollario di ciò è la possibilità di affidare l'amministrazione della società anche a non soci che svolgano l'attività professionalmente. L'organo di controllo è invece costituito dal collegio sindacale, al quale compete di vigilare "sull'osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione ed in particolare sull'adeguatezza dell'assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento" (art. 2403 c.c.). Il controllo contabile è infine affidato ad un revisore legale dei conti oppure ad una società di revisione legale iscritti nell'apposito registro (art. 2409-bis c.c.).
Al sistema tradizionale si affiancano i sistemi dualistico e monistico, due sistemi parzialmente ispirati da un lato alla tradizione dell'ordinamento tedesco, dall'altro a quella degli ordinamenti anglosassoni4. Il sistema dualistico prevede una duplicità di organi. L'art. 2409-octies c.c. dispone che: "Lo statuto può prevedere che l'amministrazione ed il controllo siano esercitati da un consiglio di gestione e da un consiglio di sorveglianza". I compiti del consiglio di gestione sono largamente coincidenti con quelli del consiglio di amministrazione, in quanto si prevede l'esclusività nella gestione consistente nel compimento degli atti necessari all'attuazione dell'oggetto sociale (art. 2409-novies c.c.). Il consiglio di sorveglianza, invece, è titolare per un verso di compiti che riproducono quelli attribuiti ai sindaci (v. soprattutto l'art. 2409-terdecies, co. 1, lett. c), c.c., che rinvia al co. 1 dell'art. 2403 c.c.), ma per un altro riguardano competenze che nel sistema tradizionale sarebbero dell'assemblea dei soci; ad esso spetta nominare e revocare i componenti del consiglio di gestione, promuovere l'azione sociale di responsabilità nei loro confronti ed approvare il bilancio di esercizio e quello consolidato5. In tale modo il consiglio di sorveglianza può assurgere a sede ove viene elaborata l'alta strategia della società6.
Si spiega in tale ottica anche perché ai sensi dell'art. 2409-quinquiesdecies c.c. la revisione legale dei conti debba essere affidata ad un revisore legale e non possa invece, come può avvenire nel sistema tradizionale ex art. 2409-bis, co. 2 c.c., essere affidata al collegio sindacale medesimo (si parla in proposito di sistema tradizionale modificato7), in quanto sarebbe incongruo affidare questo tipo di controllo allo stesso organo cui spetta poi approvare il bilancio8. Il sistema monistico, infine, tende a riprodurre la tecnica organizzativa del board tradizionalmente propria delle società anglosassoni9. In esso non vi è distinzione tra organo di gestione e organo di controllo, ma la seconda funzione è attribuita ad un comitato costituito all'interno del consiglio di amministrazione, il comitato per il controllo sulla gestione. Le funzioni di quest'ultimo sono identificabili con quelle svolte dal collegio sindacale. È peraltro interessanto notare come sia per il consiglio di sorveglianza, sia per il comitato per il controllo sulla gestione sia previsto che "almeno un componente effettivo...deve essere scelto tra i revisori legali iscritti nell'apposito registro" (artt. 2409-duodecies, co. 4 e 2409-octiesdecies, co. 3 c.c.). Ciò deriva dalla già menzionata necessità di evitare che si concentrino nel medesimo organo funzioni che potrebbero condurre a situazioni di astratto conflitto di interessi e/o effettivi comportamenti opportunistici. 

3. La riforma delle società di capitali

La legge di delega n° 366/2001, con la quale si affidò al Governo il compito di riformare la normativa in materia di società di capitali, poi sfociata nell'emanazione del d.lgs. n° 6/2003, impone che per la società a responsabilità limitata sia accentuata la "rilevanza centrale del socio" e per la società per azioni la "rilevanza centrale dell'azione" (artt. 3 e 4 della legge di delega)10. Ciò si riflette con assoluta immediatezza, oltre che su ogni ulteriore profilo di rilevanza nella disciplina delle società di capitali post-riforma, anche sugli aspetti pertinenti alla governance. Infatti, la s.p.a., la quale è retta da una ferrea ripartizione di competenze e da un assetto avente caratteristiche squisitamente corporative, vede al proprio interno un socio tendenzialmente anonimo, il cui conferimento, che si traduce nel possesso di titoli azionari all'esito del procedimento tecnico di acquisto della qualità di socio, è caratterizzato da una essenziale fungibilità che facilita la creazione di un mercato avente ad oggetto la negoziazione dei titoli medesimi, e conseguentemente da una necessaria oggettivizzazione o reificazione, che comporta la possibilità di pensare la singola azione come "cosa" e di intenderne le vicende prescindendo da quelle personali del socio che ne sia in un dato momento titolare11. Da ciò (in aggiunta a una moltitudine di ulteriori aspetti che non possono essere oggetto della presente trattazione) una conseguenza di enorme rilievo: ossia la sensazione che nella s.p.a. il modo tipico ed esclusivo con cui il socio contribuisce alla conduzione degli affari sociali è il voto in assemblea12. La sua posizione di mero investitore nella stragrande maggioranza delle ipotesi completamente anonimo nei confronti della società non permette la configurazione dell'assemblea come organo direttamente incluso nella conduzione (sinonimo di gestione) dell'impresa stessa. I soci ne sono i proprietari, ma la legge rimette agli amministratori la gestione in via esclusiva della stessa (si veda nuovamente l'art. 2380-bis c.c.). Autorevole dottrina ha posto, in sede di commento post-riforma, il quesito se sia possibile integrare il catalogo delle competenze dell'assemblea: se, cioè, esistano delle competenze implicite collegate a quelle scelte di gestione destinate ad avere un'incidenza, per così dire strutturale sulla organizzazione sociale ovvero sulla partecipazione sociale13. A tale quesito la medesima dottrina risponde che non è desiderabile ampliare il catalogo delle competenze assembleari per ricomprendervi atti aventi valenza gestoria, per due importanti ragioni. Da un lato, si sposterebbero le competenze gestorie da un organo che è tenuto ex lege a esercitare una funzione nell'interesse altrui secondo determinati canoni,costituenti obblighi specifici e la cui violazione comporta responsabilità nei confronti della società (art. 2392 c.c.) ad un organo il quale è legittimato persino a perseguire il proprio individuale interesse; dall'altro, non si potrebbero chiamare a rispondere del loro operato i soci che hanno adottato la delibera per il principio di irresponsabilità dell'azionista per il voto espresso in assemblea14.  Ne consegue l'inquadramento della società per azioni come tipologia per eccellenza attraverso la quale reperire speditamente e nel modo più efficiente possibile forme di finanziamento sul mercato, data la indifferenza della società nei confronti del singolo azionista in quanto persona, e quindi la assoluta interscambialità di una partecipazione con altra, avvenendo la partecipazione esclusivamente attraverso l'investimento e graduandosi le ulteriori posizioni attribuite al socio per via della previsione di speciali categorie azioniarie.

4. Conclusioni

Alla luce di quanto esposto, appare evidente il disegno che si è voluto tracciare a livello legislativo in ambito di società per azioni, per quanto attiene agli aspetti relativi all'amministrazione e al controllo. Si può osservare una rigida compartimentazione dei ruoli, scanditi dalle funzioni assegnate dall'ordinamento ai singoli organi componenti la struttura societaria. Ci si muove su di un piano assolutamente antitetico rispetto ai principi vigenti in materia di s.r.l., dove anzi i soci plasmano tramite il loro apporto la struttura imprenditoriale stessa e dove è possibile "l'attribuzione a singoli soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili" (art. 2468, co. 3 c.c.). La s.p.a. vuole essere una macchina perfettamente oleata che ha come input del denaro nella forma di conferimenti da parte di coloro che vogliono diventare soci (di finanziamenti o apporti spontanei per quanto riguarda altre posizioni sociali) e come output sempre denaro. Per poter adempiere la propria funzione economica di modalità organizzativa di imprese di grandi dimensioni che gestiscono ingenti somme al fine dell'esercizio della loro attività, i ruoli all'interno della società per azioni devono essere chiaramente delimitati e non è auspicabile, come sopra riportato, che si amplino le competenze di organi non preposti per legge a determinate funzioni, comportando ciò la possibilità che si creino situazioni di rischio per l'impresa per le quali l'ordinamento non prevede rimedi adeguati, non prevedendo ab origine l'esercizio di determinate funzioni in capo ad organi non espressamente a ciò adibiti.
Altro discorso è la necessità di negoziazione endosocietaria tra gli amministratori e, ad esempio, il socio di maggioranza, il quale può usare la sua partecipazione come bargaining chip per indurre dei cambiamenti nella gestione societaria i quali reputa favorevoli; la sanzione di una mancata negoziazione essendo la possibilità di un exit, ossia di un recesso oppure di una cessione della propria partecipazione sul mercato. Operazioni queste, che in quanto in grado di provocare costi per la società, possono essere sfruttate dai soci per ottenere risultati che il voto in assemblea non consentirebbe, ad esempio, ai soci di minoranza, costretti a livello di voto assembleare a comportamenti esclusivamente difensivi, e costituendo l'exit in tale ottica, persino strumento di voice. Tali argomenti sono tuttavia troppo ampi per costituire oggetto della presente elaborato e potranno meglio essere affrontati in trattazioni appositamente svolte.

 

Bibliografia

1 M. Campobasso et al., Società, banche e crisi d'impresa, UTET Giuridica, 2014; contributo di G. Guizzi
2 ibidem
3 ibidem
4 C. Angelici, La riforma delle società di capitali, II ed., CEDAM, p. 156
5ibidem, p. 157
6ibidem, p. 158
7P.G. Jaeger, F. Denozza, A. Toffoletto, Appunti di diritto commerciale, VII ed., 2010, p. 304
8C. Angelici, La riforma delle società di capitali, II ed. CEDAM, p. 158
9ibidem, p. 159
10ibidem, pp. 52, 68
11ibidem, p. 67
12ibidem, p. 71
13M. Campobasso et al., Società, banche e crisi d'impresa, UTET Giuridica, 2014; contributo di G. Guizzi