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Pubbl. Dom, 22 Gen 2017

La responsabilità extracontrattuale dell’Unione Europea e la ragionevole durata del processo

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Luigimaria Riccardi
AvvocatoUniversità di Pisa


L´Unione Europea è stata condannata dal Tribunale UE per un processo troppo lungo. Quali gli effetti ad essa conseguenti?


Sommario: 1) Premessa; 2) La responsabilità extracontrattuale dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 340 TFUE: una breve analisi; 3) La portata dell’art. 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell’UE e l’art. 6 CEDU; 4) Conclusioni.

1) Premessa

Il Tribunale Ue, per la prima volta, nella sua composizione allargata, ha condannato l’Unione Europea a causa della durata eccessiva di un procedimento giurisdizionale svoltosi in passato dinanzi al Tribunale. Con sentenza depositata il 10 gennaio (T-577/14T-577:14). Il Tribunale ha accolto il ricorso di due società le quali, in precedenza, avevano impugnato una decisione per violazione della normativa Antitrust imposta dalla Commissione europea.

Il Tribunale, in quella vicenda, aveva dato torto alle società, ma il processo era durato eccessivamente e, di qui, la decisione di rivolgersi al Tribunale di primo grado per l’accertamento della responsabilità extracontrattuale dell’Unione ai sensi dell’art. 340 TFUE.Secondo le due società sarebbe stato violato l’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea (CDFUE) che assicura la durata ragionevole del processo. Il Tribunale, constatando la presenza delle tre condizioni, richieste cumulativamente, che consentono di azionare il ricorso per responsabilità extracontrattuale, ovvero, l’illiceità del comportamento contestato, l’effettività del danno e la presenza di un nesso di causalità tra fatto e danno, ha dato ragione alle ricorrenti.

È evidente, come hanno osservato i giudici europei, che far passare quarantasei mesi tra la fine della fase scritta e l’apertura di quella orale non è giustificabile, malgrado la generale complessità delle cause in materia di concorrenza e antitrust. A ciò si aggiunga che, malgrado le parti avessero chiesto la riapertura della fase scritta, il ritardo non è stato ritenuto loro imputabile. Da ciò la violazione dell’art. 47 della CDFUE, vincolante oggi in base al Trattato di Lisbona del 2009.

Per quanto riguarda il danno patito, premesso che l’onere della prova della sua esistenza tocca al ricorrente, il Tribunale ha accolto le doglianze delle società che hanno provato il danno materiale effettivo dovuto principalmente alle spese per la costituzione di una garanzia bancaria e, soprattutto, per il pagamento dell’ammenda alla Commissione europea, calcolando, però, unicamente il periodo che è andato oltre quello ragionevole. È stata respinta, invece, la richiesta legata all’impossibilità di trovare subito un investitore a causa del ritardo nella pronuncia e la liquidazione dell’indennizzo per perdita di chance per il fatto di non essere riusciti a soddisfare l’onere probatorio né della certezza e dell’effettività del danno né quello relativo al nesso di causalità tra il comportamento illecito (durata irragionevole del processo) e tale pregiudizio. 

L’Unione Europea, pertanto, è stata condannata a pagare alle due società € 47.064,00, (più i relativi interessi) per il danno materiale effettivamente sofferto e € 5.000,00 a ciascuna società per il danno non patrimoniale causato dall’incertezza prolungata.

2) La responsabilità extracontrattuale dell’Unione Europea ai sensi dell’art. 340 TFUE: una breve analisi

Al fine di inquadrare in tutti i suoi aspetti la vicenda in esame, occorre brevemente descrivere l’istituto giuridico della responsabilità extracontrattuale dell’Unione Europea. Ai sensi dell’art. 268 TFUE è disposto che “la Corte di Giustizia dell’Unione Europea è competente a conoscere delle controversie relative al risarcimento dei danni di cui all’art. 340 TFUE 2° […].

L’art. 340 TFUE prevede che “In materia di responsabilità extracontrattuale, l’Unione deve esercitare, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati Membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle sue funzioni”.

Ora, in primo luogo, l’art. 268 TFUE, che nel nostro caso richiama l’art. 256 par. 1 che inquadra la relativa competenza del Tribunale, ha la funzione di istituire la competenza della Corte di Giustizia in materia di responsabilità extracontrattuale dell’UE (materia non riservata appunto alla sola Corte di Giustizia). In secondo luogo, l’art. 340 TFUE 2° c. dispone un rinvio ai principi generali comuni degli Stati Membri da cui ricavare la disciplina sostanziale applicabile.

Il ricorso esperito ex art. 340 TFUE ha la precipua funzione di far ottenere il risarcimento dei danni provocati al ricorrente da un comportamento illecito posto in essere dall’Unione Europea. Essa è paragonabile alla responsabilità aquiliana prevista nel nostro ordinamento ai sensi dell’art. 2043 c.c.

L’articolo in commento disciplina due ipotesi di responsabilità dell’UE, ovvero, quella dovuta per un comportamento posto in essere dalle proprie Istituzioni (es. Parlamento, Commissione, Consiglio), e quella derivante da una condotta illecita da parte dei propri agenti nell’esercizio delle loro funzioni. Basandosi solo sul primo aspetto, è essenziale richiamare brevemente i principi regolatori.

Va sottolineato, prima di tutto, che la giurisprudenza europea, rispetto a quanto sostenuto in passato, ha evidenziato l’autonomia del ricorso ai sensi dell’articolo in esame rispetto al ricorso per annullamento (ex art. 263 TFUE) e rispetto a quello in carenza (ex art. 265 TFUE), così come sostenuto nella storica sentenza 5/71 Aktien-Zuckerfabrik c. Consiglio, la quale recita: “l’azione di danni [ex art. 340 TFUE] […] è stata istituita quale mezzo autonomo, dotato di una particolare funzione […]. Tale autonomia consente, inoltre, di non applicare a tale strumento tutte quelle condizioni pressoché restrittive previste per i ricorsi ex art. 263 e 265 TFUE (es. il fatto che l’individuo sia stato destinatario diretto dell’atto impugnato).

In secondo luogo è necessario richiamare le difficoltà di inquadrare quando spetti effettivamente al giudice europeo o a quello nazionale dirimere una controversia. Infatti, in linea teorica, la Corte di Giustizia dispone di competenza esclusiva nella materia in esame, ma in alcuni casi, risulta molto complesso capire a chi essa spetti, in particolar modo, quando il danno derivi da un’attività statale. Normalmente, se l’attività statale posta in essere risulta meramente esecutiva dell’atto dell’UE, questo implicherà una diretta imputabilità dell’illecito a quest’ultima e pertanto la competenza si radicherà presso il giudice euro-unitario (da intendere qui sia come Tribunale che Corte di Giustizia). Al contrario, se lo Stato ha agito discrezionalmente (es. recependo e dando esecuzione in maniera erronea/illegittima ad una Direttiva) allora la controversia dovrà essere esperita dinanzi ai giudizi nazionali, come statuito nella sentenza 175/84 Krohn c. Commissione del 1986.

Ora, come accaduto nel procedimento esperito dinanzi al Tribunale e qui in commento, ai fini della responsabilità extracontrattuale dell’UE, è stato necessario preliminarmente che i ricorrenti dimostrassero l’imputabilità dell’UE della illiceità della condotta posta in essere da parte di una delle sue istituzioni che, nel caso in esame, risultava essere la Commissione europea.

La disciplina però, come sostenuto da tradizionale giurisprudenza, richiede la prova di altre tre condizioni: che la normativa giuridica europea violata attribuisca diritti ai singoli, che si tratti di una violazione sufficientemente caratterizzata (ovvero una violazione grave e manifesta dei poteri discrezionali attribuiti all’Istituzione stessa) ed il nesso causale tra il fatto illecito e il danno subito, come statuito nella sentenza C-234/02 Mediatore europeo c. Lamberts del 2004. Nel caso in esame tali elementi sono stati appunto riscontrati nella violazione dell’art. 47 CDFUE.

3) La portata dell’art. 47 della Carta dei Diritti fondamentali dell’UE e l’art. 6 CEDU

È rilevante sottolineare la rilevanza di detta pronuncia anche nell’aver fondato la responsabilità dell’UE richiamando appunto la violazione dell’art. 47 CDFUE.

Infatti, la Carta di Nizza del 2001 è divenuta pienamente vincolante solo con il Tratto di Lisbona siglato nel 2009, che ha equiparato la sua efficacia a quella dei Trattati Istitutivi dell’UE.

L’art. 47 CDFUE, come già rilevato in apertura, attribuisce un’importante diritto ai singoli o, più precisamente, a coloro che intendano far valere un proprio diritto in giudizio, statuendo che questi ultimi abbiano diritto ad una “ragionevole durata del processo”. Esso, però, corrisponde anche all’art. 6 della Convenzione dei Diritti Umani (CEDU). Questa coincidenza deve essere letta ai sensi dell’art. 52 par. 3 della CDFUE, il quale implica che l’UE si impegna a garantire un livello di tutela dei diritti fondamentali almeno pari a quello assicurato nel sistema CEDU, salvo garantire una protezione più estesa.

Pertanto, la violazione dell’art. 47 CDFUE, in base al richiamo operato dall’art. 52 par. 3 CDFUE all’art. 6 CEDU e così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, è stato ritenuto tale da soddisfare ampiamente le prime due condizioni per soddisfare l’onere probatorio richiesto dall’art. 340 TFUE in quanto non solo risulta essere fonte di diritti per i singoli ma costituisce, anzitutto, una violazione sufficientemente caratterizzata ovvero grave e manifesta, in particolar modo in un sistema quale quello della Concorrenza ed Antitrust essenziale sia per il buon funzionamento del mercato interno, sia per la sicurezza giuridica di cui devono beneficiare non solo i diretti interessati ma anche i terzi. 

Ora, l’importanza si evince nel fatto che, l’art. 47 CDFUE non debba essere letto isolatamente proprio per il fatto che esso risulta indissolubilmente legato ad altri importanti principi dettati nella Carta che si legano fortemente, (o meglio, che corrispondono), ai i diritti statuiti all’interno della Convenzione Europea dei Diritti Umani. Si sta discutendo più precisamente dei diritti ad un equo ed imparziale processo, ovvero al diritto ad una buona amministrazione come stabiliti rispettivamente ai sensi dell’art. 41 CDFUE (il cui par. 3 richiama proprio l’art. 340 TFUE) ed ai sensi dell’art. 6 CEDU. La pronuncia, pertanto, rafforza la tutela delle parti ricorrenti fondando la responsabilità extracontrattuale dell’UE su un ampio spettro di principi che oggi trovano forza nella tutela congiunta offerta sia dalla giurisprudenza euro-unitaria sia a livello internazionale attraverso la CEDU.

4) Conclusioni

Tirando le fila, in qualche modo e a parere dello scrivente, l’aver riscontrato la responsabilità extracontrattuale dell’UE nella piena violazione (da parte di una sua Istituzione, almeno in questo caso) dell’art. 47 CDFUE, e più precisamente, così come interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU, potrebbe implicare un fondamentale ed ulteriore riavvicinamento tra i due ordinamenti (europeo ed internazionale) e garantire così un livello di tutela uniforme ed omogeneo. È possibile, inoltre, auspicare che detta pronuncia rappresenti una potenziale pietra miliare nella tutela del diritto ad una ragionevole durata del processo, non solo all’interno delle complesse procedure in materia di concorrenza ed antitrust, ma cerchi di ascendere a principio generale regolatore dell’operato processuale nazionale ed europeo, direttamente ed uniformemente applicabile così come  interpretato dalla giurisprudenza della Corte EDU ai sensi dell’art. 6 CEDU, ricordando, tra l’altro, che la ragionevolezza risulta legata indissolubilmente con equità e giustizia.