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Pubbl. Mar, 13 Dic 2016

I nuovi reati di inquinamento e danno ambientale

Alessandra Inchingolo


La Suprema Corte con la sentenza n. 46170/2016 è chiamata ad individuare i criteri d´interpretazione dei nuovi reati previsti dalla L. 68/2015


Con la sentenza n. 46170/2016 la suprema Corte individua i primi elementi su cui costruire un’interpretazione per l’applicazione di quei nuovi delitti previsti dalla L. 68/2015.

Con la sentenza n. 46170/2016 la suprema Corte individua i primi elementi su cui costruire un’interpretazione per l’applicazione di quei nuovi delitti previsti dalla L. 68/2015.

Anche se la questione sottoposta all’attenzione degli Ermellini è circoscritta, si cominciano a profilare quei requisiti utili a poter costruire l’interpretazione per l’applicazione di una norma incriminatrice speciale, che altrimenti risulterebbe generica.

Il caso sottoposto alla corte riguardava la bonifica dei fondali di due moli del golfo di La Spezia.

In tale circostanza infatti, l'accusa sosteneva che la ditta incaricata, in totale violazione delle prescrizioni progettuali, che prevedevano particolari accorgimenti per limitare l'intorbidimento delle acque, quali un sistema di panne galleggianti ancorate al fondo e, a causa dell’inefficienza di tale sistema, una considerevole quantità di fango, veniva sversata al di fuori delle panne, facendo pertanto registrare, elementi di torbidità estremamente elevati e superiori al consentito.

Inoltre, in virtù di una comprovata presenza, nell'area da bonificare, di sedimenti fino a 100 cm. si rilevava una significativa contaminazione di metalli pesanti ed idrocarburi policiclici aromatici.

La Procura ed il GIP del Tribunale di La Spezia, quindi, ritenendo integrato il nuovo delitto di inquinamento ambientale,  procedevano al sequestro del cantiere e di una porzione di fondale.

La ditta, ricorreva al Tribunale del riesame, il quale accoglieva il gravame ed annullava il sequestro, non ritenendo provato il deterioramento significativo delle acque.

Contro l'annullamento faceva ricorso il Procuratore della Repubblica; e così si arrivava alla Cassazione, dove il Procuratore Generale, in linea col Tribunale del riesame, chiedeva il rigetto del ricorso che invece veniva accolto dalla suprema Corte.

La vicenda processuale evidenzia di per sé l’alto grado di incertezza degli organi giudiziari, quasi certamente dovuto alla vaghezza e genericità  della formulazione del dettato normativo.La Corte affronta il ricorso soffermandosi dapprima sul requisito (richiesto sia per il delitto di inquinamento che per quello di disastro ambientale) della "abusività" della condotta, anche se, nel caso di specie, non era stato oggetto di contestazioni, visto che trattavasi di attività certamente "abusiva", poichè effettuata in spregio delle prescrizioni imposte dal progetto di bonifica.

A tal proposito, è doveroso ricordare il consolidato insegnamento della suprema Corte in merito all’analogo requisito richiesto per l'integrazione del delitto di cui all'art. 260 D. Lgs 152/06 ("attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti") che, fin dai primi anni, come ricorda la sentenza, è stato interpretato dalla giurisprudenza assolutamente prevalente nel senso che "sussiste il carattere abusivo dell'attività organizzata di gestione dei rifiuti - idoneo ad integrare il delitto - qualora essa si svolga continuativamente nell'inosservanza delle prescrizioni delle autorizzazioni; il che si verifica non solo allorché tali autorizzazioni manchino del tutto (cosiddetta attività clandestina), ma anche quando esse siano scadute o palesemente illegittime e comunque non commisurate al tipo di rifiuti ricevuti, aventi diversa natura rispetto a quelli autorizzati".

Nel caso in esame, si contestava ovviamente, la inosservanza delle prescrizioni dell'autorizzazione, ma la suprema Corte, conscia delle polemiche suscitate in dottrina dall’avverbio “abusivamente”, ha ritenuto opportuno aggiungere che "deve peraltro rilevarsi come la dottrina abbia,  richiamato i contenuti della direttiva 2008/99/CE e riconosciuto un concetto ampio di condotta abusiva intendendo non solo la condotta posta in essere in violazione di leggi statali o regionali, ancorché non strettamente pertinenti al settore ambientale, ma anche quella violativa di prescrizioni amministrative".

In via preliminare il Supremo Collegio si interroga sul significato dell’abusività dell’azione. Sul punto, richiamando l’art. 260 d.lgs. 152/06 , che disciplina il traffico illecito di rifiuti nel codice dell’ambiente, la Corte qualifica come abusiva la condotta posta in essere in violazione delle prescrizioni contenute nelle autorizzazioni. Ne consegue che è da considerarsi abusiva non solo l’azione realizzata in assenza di autorizzazioni ma anche quella posta in essere con autorizzazioni scadute o palesemente illegittime.

Non solo, quindi, violazione di leggi e prescrizioni amministrative, ma anche e soprattutto, inosservanza di principi generali che inglobano ogni altra componente presupposta del fatto illecito.

La sentenza, inoltre, individua il bene ambientale protetto nelle "acque in genere", evidenziando che, ai fini della configurazione del delitto, la legge non richiede alcun riferimento quantitativo o dimensionale.

In ultimo, il Supremo Collegio affronta approfonditamente il problema più rilevante, e cioè la interpretazione da dare a quella compromissione o deterioramento significativi e misurabili di acqua o aria o suolo che la norma richiede, e pertanto, da un lato ritiene che per i termini compromissione o deterioramento non rilevi il titolo del reato, né ritiene di particolare ausilio le definizioni di inquinamento e di danno ambientale contenute nel D. Lgs 152/06, precisando opportunamente in proposito che l'utilizzazione del medesimo termine nel citato D. Lgs è di poca importanza perchè "effettuata in un diverso contesto e per finalità diverse"; tanto più che "quando lo ha ritenuto necessario, la legge 68/2015 ha espressamente richiamato il d.lgs. 152/06 o altre disposizioni".

Dall'altro, equipara i termini compromissione e deterioramento poiché equivalenti negli effetti, dal momento che entrambi producono un’alterazione, ossia una modifica dell'originaria consistenza della matrice ambientale o dell'ecosistema.

Tuttavia, mentre la compromissione consiste in una condizione di squilibrio funzionale perchè incidente sui normali processi naturali correlati alla specificità della matrice ambientale e dell'ecosistema, il deterioramento implica uno squilibrio strutturale, caratterizzato da un decadimento di stato o di qualità di questi ultimi.

In conclusione, ciò che maggiormente rileva è la affermazione della Cassazione secondo cui entrambi i termini indicano una condizione di alterazione dell'ambiente, che tuttavia non implica, come invece ritenuto dal Tribunale del riesame, carattere di "tendenziale irrimediabilità" ma ricomprende anche una alterazione reversibile; tanto più che "l'alterazione irreversibile" integra il più grave reato di disastro ambientale.

Più in particolare, per la Cassazione, il termine "significativo" denota senz'altro incisività e rilevanza, mentre "misurabile" può dirsi ciò che è quantitativamente apprezzabile o, comunque, concretamente accertabile". Aggiungendo opportunamente che, ai fini di questa valutazione, in presenza di "parametri imposti dalla disciplina di settore" (quali i limiti imposti dal D. Lgs. 152/06), il loro eventuale superamento è utile ma non è un vincolo assoluto, in quanto non implica necessariamente una situazione di danno o di pericolo per l'ambiente, potendosi peraltro presentare casi in cui, pur in assenza di limiti imposti dalle norme, tale situazione sia di macroscopica evidenza o, comunque, concretamente accertabile.

In sostanza, quindi, per la suprema Corte, l'evento del delitto di inquinamento ambientale consiste in una alterazione, ossia in uno squilibrio funzionale o strutturale, ambientale quantitativamente apprezzabile e concretamente rilevabile, che pur se rimediabile non sfoci mai in uno degli eventi (più gravi) che caratterizzano il disastro ambientale.

Sono sicuramente indicazioni utilissime poiché atte a far chiarezza nella interpretazione di una norma penale così  generica, che di primo acchito rimanda a valutazioni tecniche, difficili da comprendere e molto spesso complicate anche se necessarie per accertare la reale gravità della compromissione o del deterioramento; sempre, comunque, soggetta a notevole incertezza e discrezionalità.