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Pubbl. Lun, 7 Nov 2016

Affidamento legittimo e provvedimento originariamente illegittimo

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Valentina Zito


Non vi può mai essere affidamento legittimo, meritevole di tutela risarcitoria, fondato su provvedimento illegittimo. Il Consiglio di Stato apre una nuova strada percorribile.


"Non vi può mai essere affidamento legittimo, meritevole di tutela risarcitoria, fondato su provvedimento illegittimo. Potrebbe non essere più opportuno far luogo all'annullamento in autotutela, in considerazione del tempo trascorso e degli interessi dei destinatari e dei controinteressati; ma quando tali condizioni sono, come nella specie, rispettate, non vi è spazio per la tutela patrimoniale", così si esprime il Consiglio di Stato con la Sentenza n. 3975 del 27 settembre 2016, in merito ad una recentissima questione che ha visto protagonista l'annullamento in via di autotutela di un provvedimento ab origine illegittimo. 

Prima di esaminare il cuore della questione si rende necessario affrontare alcuni concetti preliminari.

Cos'è il legittimo affidamento e in cosa consiste la sua tutela? Il legittimo affidamento è uno dei principi cardine del nostro diritto, sia nazionale che internazionale e fa capolinea, nell'ordinamento italiano, non in virtù di una precisa regolamentazione da parte del legislatore, ma bensì come creazione giurisprudenziale. I Tribunali amministrativi si sono ormai adeguati alla celebre pronuncia della Corte di Giustizia Europea, sentenza Toepfer del 3 maggio 1973 causa 112/77, che riconosce il principio di affidamento come parte del diritto comunutario.

Nell'ambito del diritto amministrativo esso si configura come quella situazione giuridica che vede la creazione in capo ad un soggetto di uno "status di fiducia", di un ragionevole affidamento, generato da un determinato comportamento della P.A. In particolare si riferisce a quei casi in cui la P.A emette provvedimenti favorevoli al cittadino, che incidono positivamente nella sua sfera giuridica, in grado di generare una sorta di "convenienza" al perdurare di quella situazione. 

Il legittimo affidamento risulta essere dunque una tutela nei confronti dell'operato della P.A che, nello svolgimento delle ordinarie attività di amministrazione della cosa pubblica, deve necessariamente ispirarsi a tale principio. 

Dove possiamo trovare traccia di questo principio nel nostro ordinamento? Nell'art. 21 nonies della L. n. 241 del 07/08/1990, recante le nuove norme sul processo amministrativo. Precisiamo che il menzionato articolo è stato recentemente oggetto di modifica da parte dell' art. 25, comma 1, lett. b - quater, L. n. 164/2014 e poi dall' art. 6, comma 1, L. n. 124 del 2015, nel tentativo di precisarne alcuni punti.

Il testo vigente dell'art. 21 nonies L. n. 241 del 07/08/1990, recante la disciplina dell'annullamento d'ufficio, dispone che "Il provvedimento amministrativo illegittimo ai sensi dell'articolo 21-octies, esclusi i casi di cui al medesimo articolo 21-octies, comma 2, può essere annullato d'ufficio, sussistendone le ragioni di interesse pubblico, entro un termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi dal momento dell'adozione dei provvedimenti di autorizzazione o di attribuzione di vantaggi economici, inclusi i casi in cui il provvedimento si sia formato ai sensi dell' articolo 20, e tenendo conto degli interessi dei destinatari e dei controinteressati, dall'organo che lo ha emanato, ovvero da altro organo previsto dalla legge. Rimangono ferme le responsabilità connesse all'adozione e al mancato annullamento del provvedimento illegittimo".

Quindi la P.A può annullare in via di autotutela, con il cosiddetto istituto dell'annullamento d'ufficio, un provvedimento quando è illegittimo e sussistano ragioni di interesse pubblico, comunque entro un termine ragionevole (non più di diciotto mesi dalla sua adozione).  

Il tasto dolente sono le ragioni di interesse pubblico perchè questo è il metro di misura per valutare la rilevanza dell'interesse legittimo creatosi in capo al cittadino e all'interesse maturato a non veder annullato un provvedimento a lui favorevole. Se il pubblico interesse è tale da minimizzare la presenza di un singolo interesse legittimo, quest'ultimo verrà inevitabilemente sacrificato in favore della tutela dell'interesse di "molti".

"Il primo comma dell'art. 21-nonies legge 241/1990 pone la dimensione tipicamente discrezionale dell'annullamento d'ufficio dell'atto amministrativo che, rifuggendo da ogni automatismo, deve essere espressione di una congrua valutazione comparativa degli interessi in conflitto, dei quali occorre dare adeguatamente conto nella motivazione del provvedimento di ritiro. Pertanto, ogni qualvolta la posizione del destinatario di un provvedimento amministrativo si sia consolidata, suscitando un affidamento sulla legittimità del titolo stesso, l'esercizio del potere di autotutela rimane subordinato alla sussistenza di un interesse pubblico, concreto e attuale all'annullamento, diverso da quello al mero ripristino della legalità violata e comunque prevalente sull'interesse del privato alla conservazione del titolo illegittimo", in questi termini si esprime il Tar del Molise, Sez. I, 04 giugno 2013, n. 391. Tale pronuncia evidenzia che l'interesse pubblico non può concretizzarsi in un mero ripristino della legalità violata, ma deve affondare le sue radici in altre ragioni. Viene così affrontato il caso in cui il privato cittadino abbia interesse alla conservazione del titolo illegittimo che, consolidatosi nel tempo, ha dato origine a quello status di fiducia che stiamo qui analizzando. 

In particolare la nuova pronuncia del Consiglio di Stato n. 3975 del 27/09/2016 esamina il caso in cui il titolo, su cui si è fondato il legittimo affidamento, è illegittimo dall'origine.

Il caso di specie riguarda la controversia nata tra il Gestore dell'Energia Elettrica (da qui anche G.) ed una Società, concernente l'attribuzione di qualifiche IAFR (impianto alimentato a fonti rinnovabili) alle due sezioni dell'impianto di produzione di energia elettrica e termica di proprietà della società stessa. La Società propone dinanzi al Tar Lazio ricorso avverso l'annullamento d'ufficio dei provvedimenti che attribuivano tali qualifiche alle due sezioni dell'impianto. In primo grado il ricorso non viene accolto e il Tribunale emette Sent. n. 7338/2012. La Società propone appello in Consiglio di Stato, che emette sentenza confermativa del TAR adito precedentemente.

La sentenza si esprime in questi termini: "Non vi può mai essere affidamento legittimo, meritevole di tutela risarcitoria, fondato su provvedimento illegittimo. Potrebbe non essere più opportuno far luogo all'annullamento in autotutela, in considerazione del tempo trascorso e degli interessi dei destinatari e dei controinteressati; ma quando tali condizioni sono, come nella specie, rispettate, non vi è spazio per la tutela patrimoniale"La sentenza in parola considerando pienamente legittimo l'annullamento in via di autotutela, a fronte della sussistenza di tutti i requisiti richiesti dall'art. 21 nonies l. n. 240/1990, sostiene esplicitamente l'impossibilità di considerare contemporaneamente legittimo l'affidamento creatosi nella controparte. In questi termini il Consiglio di Stato tratta il legittimo affidamento: "La società (...), non poteva nutrire alcun legittimo affidamento (...), alla luce delle chiare disposizioni della normativa regolamentare di riferimento che si è dianzi ricordata. (...) Per contro, il G. è caduto nell'equivoco iniziale (...) ma tale errore era evidente e facilmente rilevabile".

Il Consiglio di Stato, mediante queste parole, rileva implicitamente la colpa della Società appellante, sostenendo che il disguido nato dall'errata applicazione delle norme era evidente e dunque non idoneo a dar vita ad un legittimo affidamento. 

Inoltre, la sentenza ci permette di compiere un passo ulteriore, chiamando in causa l'istituto del risarcimento del danno contemplato all'art. 2043 c.c. 
L'art. 2043 c.c presuppone che, affinchè nasca l'obbligo di risarcimento del danno, debba essere stato commesso un fatto doloso o colposo, con conseguente danno ingiusto a carico del soggetto in buona fede. Nel caso di specie tuttavia il Consiglio di Stato ritiene che "la ricorrenza di un interesse pubblico attuale alla rimozione di un atto ab origine illegittimo, prevalente rispetto all'interesse privato antagonista, esaurisce la fattispecie normativa, senza che residui alcuno spazio per la riparazione patrimoniale del privato inciso negativamente dall'esercizio dell'autotutela".

Per mera semplificazione, se sussistono i seguenti requisiti:

1) provvedimento illegittimo ab origine;
2) mancata segnalazione da parte del privato della illegittimità;
3) i tre i requisiti richiesti dall'art 21 nonies l. 241/1990 per l'accesso all'annullamento d'ufficio;

non solo è legittimo l'utilizzo del potere di autotutela da parte della P.A, ma non si configura il diritto di risarcimento del danno per il cittadino danneggiato dall'annullamento del provvedimento.

A parere di chi scrive dunque, per vedere attenuata sensibilmente la tutela dell'interesse legittimo, non è necessario un comportamento viziato da mala fede tale da indurre la P.A in errore, ma potrebbe essere sufficiente una violazione normativa, non rilevata immediatamente dalle parti, responsabile del conseguente provvedimento illegittimo.

A questo punto potrebbe essere interessante valutare una circostanza: se non fosse nella concreta possibilità del privato rilevare tali violazioni che viziano l'operato della P.A? Non solo non viene riconosciuta la nascita del legittimo affidamento (che avrebbe ragione di esistere in quanto il privato, in buona fede, non ha i mezzi per rilevare eventuali errori nell'applicazione delle norme), ma non vi è neppure diritto al risarcimento del danno subìto.

Potremmo essere dinanzi ad un cambiamento che aggiunge un ulteriore ostacolo al raggiungimento della piena protezione della parte debole di questo rapporto.