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Pubbl. Gio, 20 Ott 2016
Sottoposto a PEER REVIEW

Le garanzie funzionali degli agenti dell´intelligence. (2 di 2)

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Saverio Setti
Dirigente della P.A.Ministero della Difesa


Poco noti sono i nuovi istituti che il nostro ordinamento mette a disposizione degli operatori dei Servizi, al fine di garantire una maggior tutela dell’intero sistema Paese. In cosa consistono questi nuovi strumenti? Fino a quale limite si può spingere un’indagine informativa?


Sommario: 1. Le condotte «ultra vires»; 2. La procedura di autorizzazione; 3. L’opposizione dell’esimente; 4. Conclusioni.

1. Le condotte «ultra vires»

I limiti ricordati nell'articolo precedente concernono le condotte coinvolte nella specifica procedura autorizzatoria delle garanzie funzionali.

Ciò non vuol dire, però, che l’insussistenza della giustificazione nascente dalla previsione di specifiche garanzie funzionali, lasci senza copertura giuridica gli operatori del Sistema.

Lo stesso art. 17 della l. 124/2007 espressamente richiama la scriminante di cui all’art. 51 c.p. In caso di ordine illegittimo, non avendo i dipendenti delle Agenzie possibilità di sindacare la disposizione, essi non saranno punibili, poiché del reato verrà chiamato a disporre chi ha dato l’ordine. In caso di erronea ed incolpevole convinzione di agire dietro ordine, si applicherà la disciplina delle c.d. scriminanti putative, di cui all’art. 59 c.p.

Similmente, all’operatore che compia un reato anche eccedente i limiti suesposti, in presenza dei requisiti di legge saranno applicabili le scriminanti della difesa legittima (art. 52 c.p.), dell’uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.) che non presentano particolari problemi interpretativi data la lunga prassi applicativa ed il costante studio dottrinale[1].

Degna di attenzione è la scriminante dello stato di necessità (art. 54 c.p.), ove si dimostri che l’agente sia stato costretto a commettere il fatto spinto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un grave danno.

In questo caso l’operatore dei servizi risulta scriminato dalla commissione del fatto previsto come reato solo se non fosse stato materialmente possibile interrompere l’operazione ovvero se questa interruzione avesse potuto cagionare un rilevate danno o un rischio concreto alla sicurezza nazionale.

2. La procedura di autorizzazione

L’art. 18 della norma in analisi definisce le fasi del procedimento amministrativo di autorizzazione. Si tratta di un procedimento che porta all’emanazione di un atto preventivo, per mezzo del quale il Vertice amministrativo, nell’esercizio di un’attività discrezionale di natura preventiva, provvede alla rimozione di un limite legale posto all’esercizio dell’attività di intelligence[2].

Questo provvedimento deve essere assunto dal vertice dell’Esecutivo, poiché si tratta della manifestazione di una precisa volontà governativa e di assunzione di una ben determinata responsabilità politica. La valutazione della legittimità soggettiva, oggettiva e teleologica delle operazioni, nel cui ambito rientrino le condotte contra legem, spetta primariamente al Presidente del Consiglio dei ministri[3].  L’autorizzazione deve essere motivata[4], onde evitare che la discrezionalità politica e tecnica si possa tramutare in arbitrio ed al fine di consentire un efficacie controllo del rispetto dei limiti suesposti: si tratta, in sostanza, di un atto politico, ma anche di «amministrazione attiva»[5]. Ragion per cui il Presidente del Consiglio può (e dovrebbe) avvalersi, nella fase istruttoria, della consulenza dell’eventuale Autorità delegata e dei direttori di DIS, AISE ed AISI.

Oggetto dell’autorizzazione è la complessiva operazione di intelligence, nel cui contesto è prevista la possibilità o necessità di commettere fattispecie contra legem.

La procedura autorizzatoria ha impulso dalla richiesta circostanziata in forma scritta[6] diretta al Presidente del Consiglio per il tramite del direttore del DIS, che effettuerà un controllo formale e sostanziale per i profili di discrezionalità tecnica. Questa richiesta deve riportare tutte le condizioni legittimanti il rilascio dell’autorizzazione; condizioni che, però, nascono da una valutazione tecnica, spettando all’autorità politica la valutazione e la verifica della compatibilità del rilascio dell’autorizzazione con la linea di governo. Sia il direttore del DIS che il Presidente del Consiglio possono richiedere un’integrazione delle motivazioni della richiesta.

La legge 124/2007 tiene, nello specifico, debito conto della necessità di rapidità delle operazioni di intelligence: i commi 4, 5 e 6 dell’art. 18, infatti, delineano una procedura autorizzatoria abbreviata da adottarsi nei casi di assoluta urgenza[7], che non consentano il ricorso alla procedura, ed alle tempistiche, ordinaria. In questi casi l’autorizzazione, anche orale, viene rilasciata direttamente dal direttore del Servizio interessato che dovrà darne immediata comunicazione al Presidente del Consiglio[8]. A questo punto il procedimento di autorizzazione è sospeso, ed il vertice dell’Esecutivo ha dieci giorni di tempo per ratificarlo.

In questo intervallo temporale egli dovrà verificare la sussistenza dei presupposti ed il rispetto dei limiti imposti dalla legge; non avrà possibilità di valutare sul piano operativo ed amministrativo (ma lo farà sul piano politico) la necessità dell’urgenza. Questo perché i casi di urgenza non sono tipizzati dalla legge, né sono consultabili attualmente i provvedimenti finora assunti. Tuttavia la dottrina ha evidenziato come in questi casi l’urgenza debba essere assoluta, cioè perentoria, non dilazionabile, espressione di una situazione operativa in cui la mancata celere soddisfazione di una richiesta potrebbe cagionare danni irreparabili all’operazione stessa o alla sicurezza nazionale.

Qualora il Presidente del Consiglio ratifichi la provvisoria autorizzazione, essa viene archiviata presso il DIS. La legge prevede anche la possibilità che la ratifica non avvenga, o avvenga solo in parte. In questo caso si è di fronte ad un’attività contra legem non autorizzata, dunque il Presidente del Consiglio deve adottare le misure necessarie[9], informando l’Autorità giudiziaria. In questo casso si pone anche il problema della responsabilità penale residua in capo agli agenti dei servizi. Dimostrando il rispetto delle procedure di richiesta essi proveranno di aver agito nell’incolpevole convincimento di eseguire un ordine operativo legittimo e potranno invocare l’applicazione della comune scriminante ex art. 51 c.p.

Al Presidente del Consiglio è poi, in accordo con le ordinarie norme del procedimento amministrativo, consentito di agire in autotutela. L’art. 18, comma 3, gli attribuisce, infatti, il potere di modificare o revocare il provvedimento, posto che i parametri di valutazione e gli stessi presupposti dell’autorizzazione a porre in essere condotte penalmente sanzionate sono contingenti e transeunti. A questa facoltà si ricollega l’obbligo dei direttori dei Servizi di tenere periodicamente e costantemente informato il DIS delle situazioni operative. Il Dipartimento, quindi, funziona come collettore e produce analisi da indirizzare al Presidente del Consiglio. Su queste analisi egli può basare i processi decisionali in merito al rilascio delle autorizzazioni.

In netta discontinuità con la normativa e la prassi previgente[10], la riforma del 2007, nel c. 4 dell’art. 17 dispone che non possono essere autorizzate le condotte previste dalla legge come reato per le quali non è opponibile il segreto di Stato. Passando in rapida rassegna la disciplina di quest’ultimo istituto si può osservare come[11] non possono essere oggetto di segreto notizie, documenti, o cose relative a fatti di terrorismo ovvero eversivi dell’ordine costituzionale o, ancora, di devastazione, saccheggio, strage, associazione mafiosa[12] e scambio elettorale politico-mafioso. Finalisticamente orientata alla trasparenza, oltre alla effettiva tutale penale dei corrispondenti beni giuridici, è la prevista non apponibilità del segreto di Stato per le condotte degli operatori di intelligence poste in essere in violazione della disciplina qui in commento.

Da evidenziare, infine, che il processo autorizzatorio è, in virtù della sua rilevanza per il corretto svolgersi delle attività di informazione per la sicurezza, assurto a bene giuridico degno di protezione penale[13]. Gli appartenenti ai servizi di informazione per la sicurezza e i soggetti estranei il cui impiego è autorizzato in concorso con i dipendenti del sistema che preordinano illegittimamente le condizioni per il rilascio dell’autorizzazione de qua sono puniti con la reclusione da tre a dieci anni. Si tratta un profilo sanzionatorio penale particolarmente severo, avente come elemento soggettivo il dolo generico e come elemento oggettivo l’alterazione ed il vizio degli elementi conoscitivi tali da incidere sul processo deliberativo necessario al rilascio dell’autorizzazione.

3. L’opposizione dell’esimente

Come deve, nei fatti, comportarsi un operatore dell’Aise o dell’Aisi che, in ragione della commissione di un fatto contra legem, si trovi coinvolto in un procedimento dinnanzi all’Autorità giudiziaria[14]?

Prima ipotesi è quella in cui il fatto emerga nel contesto di un’indagine preliminare: in questo caso la legge 124/2007[15] ha ideato un variegato congegno procedurale.

Non appena un componente il Sistema di informazione per la sicurezza abbia notizia dell’indagine deve informare la linea gerarchica, in modo tale da mettere in condizione il direttore dell’agenzia interessata di informare[16], per il tramite del DIS, il Pubblico ministero del fatto che le condotte presumibilmente oggetto di inchiesta sono autorizzate dalla speciale norma di garanzia oggetto di questo scritto.

Non appena ricevuta la conferma, il P.M. deve in primis chiedere immediata conferma al Presidente del Consiglio e, contestualmente custodire con modalità idonee a tutelarne la segretezza[17] tutti gli atti relativi all’indagine sul fatto e all’opposizione dell’esimente.

Nel caso in cui si debba opporre l’esimente nel corso dell’udienza preliminare o del giudizio, il Presidente del Consiglio dei ministri è interpellato dal giudice che procede.

È, però, evidente come la secretazione degli atti non possa venir richiesta dal legislatore in caso di udienza preliminare o dibattimento, posto che queste fasi necessitano della piena conoscenza degli elementi del fatto oggetto di procedimento[18].

Il Presidente del Consiglio, ai sensi dell’art. 19, c. 4 della l. 124/2007, ha dieci giorni di tempo per confermare l’esistenza dell’esimente e, contestualmente indicarne i motivi[19]. Nelle more di questa pronuncia il procedimento è sospeso.

In caso di conferma il giudice pronuncia, a seconda del caso, sentenza di non luogo a procedere o di assoluzione[20]. Gli atti del procedimento sono archiviati secondo segretezza.

Di particolare interesse è il c. 8 dell’art. 19 che, pur nella sua formulazione estremamente riassuntiva, solleva questioni di primaria importanza. Viene, infatti, fatta salva la possibilità da parte del giudice penale di sollevare un conflitto di attribuzioni nei confronti del Presidente del Consiglio per la tutela delle proprie prerogative. L’unica ragione per sollevare questo conflitto è, a ben vedere, il fatto che detto giudice possa nutrire dubbi sulla legittimità dell’esimente, di cui, s’è visto, ha potuto analizzare le motivazioni.

Parte della dottrina[21] ha sollevato dubbi sull’idoneità del giudice penale a valutare la sussistenza dei presupposti di conferimento dell’esimente, considerata la stretta griglia di controlli necessaria per l’autorizzazione. Altri[22] ammettono pacificamente questo controllo, anzi ne lodano la significatività poiché posto a garanzia del bilanciamento di poteri indispensabile al funzionamento della moderna democrazia.

In ogni modo, la novità principale consiste nell’inopponibilità assoluta di qualunque segreto alla Consulta; quest’ultima, portata a piena conoscenza di ogni dettaglio, potrà dirimere il conflitto tra Esecutivo e Giudiziario. La Corte Costituzionale, allora, dovrà in primo luogo decidere sull’ammissibilità del ricorso, ed eventualmente ad annullare ovvero riformulare gli atti viziati di competenza.

In pendenza del conflitto il processo rimane sospeso e gli atti conservati con idonea segretezza.

Qui iuris nel caso in cui il dipendente del Sistema sia oggetto di una misura restrittiva cautelare o precautelare quale l’arresto?

La disciplina è riportata negli ultimi tre commi dell’art. 19. Da notare come in essa non sia menzionata l’ipotesi del fermo di cui all’art. 384 c.p.p., ma è pacificamente riconosciuto in dottrina[23] come possa applicarsi per analogia la disciplina prevista per l’arresto.

In questo caso sarà il dipendente dell’Aise o dell’Aisi ad eccepire l’esimente direttamente al soggetto in procinto di eseguire la misura restrittiva. Quest’opposizione è di per sé sola idonea a paralizzare momentaneamente l’esecuzione del provvedimento. Ma non può, intuitivamente, comportare l’immediata liberazione del soggetto. Egli, infatti, verrà[24] accompagnato presso l’ufficio di polizia e trattenuto per il solo tempo necessario ad effettuare i «primi accertamenti» o, comunque, non oltre le ventiquattro ore.

La legge non chiarisce quali debbano essere questi primi accertamenti, ma la ricostruzione dottrinale[25] evidenzia come essi dovrebbero concernere la verifica del rapporto di impiego in essere tra il soggetto trattenuto e le Agenzie di informazione per la sicurezza, nonché la loro effettiva partecipazione all’operazione autorizzata. Delegato ad effettuare queste verifiche è il Procuratore della Repubblica che, immediatamente informato dell’opposizione dell’esimente, oltre a compiere le ordinarie operazioni di rito[26], procede alla verifica di cui sopra interpellando il direttore del DIS, il quale ha ventiquattrore di tempo per rispondere[27]. Il P.M., qualora lo ritenga necessario, può chiedere conferma al Presidente del Consiglio, che ha tempo dieci giorni per rispondere.

In ogni caso, trascorse le ventiquattro ore, l’Autorità giudiziaria procede secondo le forme ordinarie.

Ad una più approfondita analisi di possono riscontrare vari profili di particolarità rispetto alle ordinarie disposizioni in merito. In primo luogo si osserva come le disposizioni di cui sopra introducono una disciplina più severa rispetto a quella prevista dall’art. 385 c.p.p. secondo cui l’arresto o il fermo non è consentito quando appare che il fatto sia commesso nell’adempimento di un dovere o, comunque, in presenza di una scriminante; nei casi in esame, invece, si prevede la sola sospensione del provvedimento e l’accompagnamento presso gli uffici di polizia.

Inoltre, mentre è pleonastico che, intervenuta la conferma, l’appartenente ai Servizi debba essere rilasciato, meno specifico è il provvedimento formale che garantisce tale liberazione. La dottrina[28] è ricorsa all’analogia: in caso di arresto in flagranza e di fermo, opererà l’art. 389 c.p.p., mentre in caso la misura cautelare sia stata ordinata dal giudice, sarà egli stesso a produrre, con celerità, la formale revoca del provvedimento restrittivo.

Infine, ancora alla ricostruzione dottrinale si deve ricorrere per la chiarificazione della necessità in cui versa in P.M. allorquando chieda conferma al Presidente del Consiglio della comunicazione giunta dal direttore del DIS. Ebbene, pur non essendo agevole individuare un criterio, si può ritenere che la conferma si richiedibile quando ci si trovi innanzi ad un’operazione particolarmente complessa, quando vi sia difficoltà di contattare il DIS o, ancora, quando, in base alle circostanze di fatto, il P.M. possa trovare di difficile spiegazione il silenzio del DIS.

4. Conclusioni

Lo strumento giuridico delle garanzie funzionali si è rivelato non solo utile al pieno e completo inserimento nello Stato di diritto delle operazioni di intelligence, ma quale imprescindibile congegno giuridico finalisticamente orientato alla sicurezza dello stesso Stato di diritto.

Il successo di questo istituto è stato riconosciuto in primis dal legislatore italiano che, nel recente «pacchetto antiterrorismo»[29], ha ampliato il ventaglio delle garanzie funzionali. Sono ora specificamente condotte autorizzabili[30] tutte quelle condotte che consentono agli operatori di condurre indagini informative dall’interno di associazioni a delinquere anche con finalità di terrorismo internazionale e di addestramento di foreign fighters[31]. Identica ratio ha la disposizione che scrimina le condotte di istigazione[32], utilizzabili dagli operatori per “far uscire allo scoperto” soggetti intenzionati a ledere la sicurezza della Repubblica.

Questo strumento ha trovato successo anche, seppure de iure condendo, nel diritto europeo. Di fronte agli attentati di Parigi a Charlie Hebdo e all'Hypercasher è stata proposta al Parlamento europeo una risoluzione[33] volta a garantire le necessarie garanzie funzionali agli appartenenti ai Servizi di informazione in maniera uniforme nei vari Paesi membri.

Trattasi di norma che, ove venisse correttamente creata e posta, contribuirebbe a garantire una difesa «in blocco» dei valori condivisi dalle democrazie europee.

Note e riferimenti bibliografici
[1] Si veda, ex multis, F. Bellagamba, I problematici confini delle scriminanti, Milano, Giuffré, 2007, pag. 143 e segg.
[2] Cfr. F. Caringella, Manuale di diritto amministrativo, Roma, Dike giuridica, 2015, pagg. 1340 – 1354.
[3] Art. 18, c. 1 della l. 124/2007.
[4] Ai sensi dell’art. 3 della l. 241/1990.
[5] Condizione che mette sotto una forma nuova il ruolo del Capo del Governo, forma che ha ricevuto, da unanime dottrina, il nome di “Presidente-ministro” per evidenziare come il Presidente del Consiglio sembri assumere le attribuzioni proprie di un ministro (tanto da avere alle dipendenze un dipartimento) in ambito informativo per la sicurezza. Tale configurazione emerge evidentemente dalla lettura delle disposizioni della l. 124/2007 che hanno rafforzato il controllo del Presidente del Consiglio sull’intero Sistema. Per un approfondimento dottrinale si vedano C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone e M. Valentini, I servizi di informazione cit., p. 49, P. Bonetti, Aspetti costituzionali del nuovo Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica, Diritto e Società, 2008, p. 251 e R. Merighi, Problemi attuali dei servizi e degli apparati per l'informazione e la sicurezza, in Scritti in onore di M.S. Giannini, III, Milano, 1988, p. 651. e M. Savino, Solo per i tuoi occhi? La riforma del sistema italiano di intelligence, Giornale di Diritto amministrativo n. 2/2008.
[6] Ai fini di archiviazione, cfr. art. 18, c. 2 della l. 124/2007.
[7] Di cui manca una definizione legislativa.
[8] Bypassando l’eventuale Autorità delegata.
[9] Art. 17, c. 6 della l. 124/2007.
[10] Che, in mancanza di una specifica esimente, ricorreva all’apposizione del segreto di Stato (inopponibile all’Autorità giudiziaria) al fine di garantire la necessaria protezione alla posizione individuale dei componenti i Servizi. Cfr. G. Amato, Disciplina strutturale e funzionale dei Servizi di informazione – le garanzie funzionali per gli “operatori” di intelligence, in «Gnosis», 3/2011.
[11] Ai sensi dell’art. 39, c. 11.
[12] Si osservi come la sottrazione alla secretazione riguardi solo le condotte di cui all’art. 416 bis, ma non la mera associazione a delinquere. Stanti i presupposti qui in analisi, infatti, il legislatore ha correttamente evitato di impedire agli operatori dei Servizi condotte di mera partecipazione o di condotta di attività funzionali ad un’associazione per delinquere. Così facendo, infatti, si è garantita piena possibilità di utilizzo di tecniche investigative non convenzionali, quali ad es. l’infiltrazione, rivelatisi spesso indispensabili per contrastare i fenomeni di associazioni criminali o terroristiche.
[13] L’incriminazione è prevista dall’art. 20 della l. 124/2007.
[14] Ovvero di arresto in flagranza o sottoposizione a misura cautelare personale.
[15] All’art. 19.
[16] Trattasi di mero obbligo informativo, cui non è collegata alcuna acquisizione di documentazione.
[17] Tramite trascrizione in un registro riservato. Da notarsi che la parola «riservato» non fa riferimento ad una classifica amministrativa di segretezza (inopponibile all’A.G.) e nemmeno al segreto di Stato, quanto piuttosto al segreto professionale proprio dell’ufficio di Pubblico ministero. Per i requisiti di sicurezza fisica si veda il DPCM 07/2009 o la direttiva PCM ANS 6/2006. Cfr., altresì, l’art. 270 bis c.p.p.
[18] M.L. Di Bitonto, Il pubblico ministero nelle indagini preliminari dopo la legge 16 dicembre 1999, n. 479, in Cass. Pen., 2000, p. 2845.
[19] Si ritiene di dover aggiungere «di massima».
[20] Ove la conferma giunga in pendenza di indagine preliminare, è lo stesso P.M. a chiedere l’archiviazione.
[21] G. Illuminati, a cura di, Nuovi profili cit., p. 296.
[22] C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone e M. Valentini, I servizi di informazione cit., p. 271.
[23] G. Illuminati, a cura di, Nuovi profili cit., p. 296, A. Corneli- S. Mezzacapo-R. Bricchetti-L. Pistorelli-G. Salvi, Servizi segreti: un intervento “bipartisan” che modifica l’organizzazione e i controlli, in Guida dir., 2007 e R. Bricchetti-L. Pistorelli, Garanzie funzionali agli 007, in Guida dir. 2007, n. 40, p. 60.
[24] Ai sensi del c. 9 dell’art. 19 della l. 124/2007.
[25] R. Bricchetti-L. Pistorelli, Garanzie cit., p. 67 e G. Illuminati, a cura di, Nuovi profili cit., p. 298.
[26] La richiesta di conferma dell’arresto o della cattura al giudice delle indagini preliminari, ex art. 390 e segg. c.p.p.
[27] La più attenta dottrina non ha mancato di sottolineare la complessiva oscurità (o discutibilità) di questa previsione legislativa. Nonostante, infatti, il personale dei Servizi non possa essere soggetto a restrizione alcuna, è fattualmente chiaro come il trattenimento per la verifica dei requisiti non può porsi diversamente rispetto ad un fermo ordinario. Il c. 10 dell’art. 9 dispone, poi, che il periodo massimo di trattenimento è di ventiquattro ore, tempo entro il quale il PM deve procedere alla verifica. Tuttavia il comma successivo prevede che il direttore del DIS abbia ventiquattrore di tempo per rispondere alla richiesta e che entro tale termine la persona possa essere trattenuta; termine che va a sommarsi alle «prime» ventiquattro ore seguenti l’accompagnamento presso l’ufficio di polizia. La mancata coordinazione dei due commi, insomma, porterebbe il periodo di ritenzione a superare le ore ventiquattro facendo contraddire l’un l’altro i disposti normativi e, paradossalmente, imponendo un trattamento più rigoroso agli appartenenti al Sistema rispetto al comune cittadino in analoga situazione. Cfr. C. Mosca, S. Gambacurta, G. Scandone e M. Valentini, I servizi di informazione cit., p. 274.
[28] G. Illuminati, a cura di, Nuovi profili cit, p. 298.
[29] Art. 8 della l. 43/2015.
[30] Con modifica del c. 4 dell’art. 17 della l. 124/2007, modifica valida fino al 31 gennaio 2018.
[31] I titoli di imputazione di cui agli artt. 270, c. 2, 270-ter, 270-quater, 270-quater.1, 270-quinquies del codice penale.
[32] Artt. 302, 306, c. 2, e 414, c. 4, del codice penale.
[33] B8-0465/2015 del 19 maggio 2015.