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Pubbl. Mer, 12 Ott 2016
Sottoposto a PEER REVIEW

La giurisdizione tributaria.

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Daniela Mendola


Nonostante il carattere di specialità della giurisdizione tributaria, sono riconosciute al contribuente tutte le garanzie e i diritti previsti per ogni giurisdizione.


Sommario: 1. La natura speciale della giurisdizione tributaria. 2. I poteri del giudice tributario. 3. L’impugnazione degli atti. 4. Conclusioni.

1. La natura speciale della giurisdizione tributaria.

La giurisdizione tributaria trova cittadinanza nei Decreti Legislativi 31 dicembre 1992, n. 545 e n. 546, entrati in vigore dal primo aprile 1996. Si tratta di una giurisdizione speciale che vanta una disciplina propria, salvo nei casi di applicazione della disciplina civilistica ove compatibile. Come noto, la materia tributaria è sottoposta a continui mutamenti in linea con i mutamenti della comunità delle cui esigenze è portavoce. A tal proposito il D.Lgs. n. 156 del 2015 ha apportato rilevanti modifiche ad alcune disposizioni del D.Lgs. n. 546 del 1992, che sono state illustrate dalla circolare n. 38/E del 29 dicembre 2015. In sintesi, le più importanti modifiche relative al decreto n. 546 riguardano: l’estensione dell’ambito di applicazione della conciliazione al giudizio di appello e alle controversie soggette a reclamo/mediazione; l’estensione dell’ambito di operatività del reclamo/mediazione alle controversie degli altri enti impositori (Agenzia delle dogane e dei monopoli, enti locali, agenti della riscossione e soggetti iscritti all’albo di cui all’articolo 53 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 4463), nonché alle controversie catastali; la rivisitazione della disciplina della tutela cautelare, che è stata estesa a tutte le fasi del processo; l’immediata esecutività delle sentenze tributarie; la previsione del giudizio di ottemperanza come unico meccanismo processuale di esecuzione delle sentenze, siano esse definitive o meno; l’innalzamento del valore dei giudizi in cui i contribuenti possono stare personalmente, senza l’assistenza di un difensore abilitato, che viene portato dagli attuali 2.582,28 euro, a 3.000,00 euro;  l’ampliamento della categoria dei soggetti abilitati all’assistenza tecnica.

La giurisdizione tributaria, pur avendo una natura cd. speciale, subisce dei limiti che sono espressamente previsti dall’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992, al punto da sancire una unicità della giurisdizione tributaria, nel senso che la cognizione delle commissioni tributarie riguarda tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, salvo alcune marginali eccezioni stabilite dalla legge o dalla elaborazione giurisprudenziale. Sul punto la Corte, nel suo massimo consesso, con sentenza n. 8770/2016 ha affermato che “l'attribuzione alle commissioni tributarie - a norma dell'art. 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, come sostituito dall'art. 12, comma 2, della legge n. 448 del 2001 - della cognizione di tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, ivi incluse, quindi, quelle in materia di contributi spettanti ai consorzi di bonifica, si estende ad ogni questione relativa all'"an" o al "quantum" del tributo, arrestandosi unicamente di fronte agli atti dell'esecuzione tributaria, sicché vi ricade anche l'eccezione di prescrizione dedotta tramite l'impugnazione della cartella esattoriale, che è atto prodromico all'esecuzione”[1]. Ad abundantiam il T.A.R. Cagliari ha affermato che “I ricorsi avverso i dinieghi di richieste di sgravio fiscale hanno ad oggetto rapporti di natura tributaria e, pertanto, sono soggetti alla giurisdizione delle Commissioni tributarie ai sensi dell'art. 2, D.Lgs. n.546 del 31 dicembre 1992”[2].

I giudici tributari, inoltre, risolvono in via incidentale ogni questione da cui dipenda la decisione delle controversie di propria competenza[3], con esclusione delle questioni in materia di querela di falso e sullo stato o la capacità delle persone, diversa dalla capacità di stare in giudizio (art. 2, co. 3, del D.Lgs. n. 546 del 1992). La giurisdizione tributaria si articola su due gradi di giudizio di merito: il primo grado si svolge dinanzi alle commissioni tributarie provinciali; il secondo grado si svolge dinanzi alle commissioni tributarie regionali, che decidono sulle sentenze delle commissioni tributarie provinciali, nei limiti dell’impugnazione proposta dalla parte che ha interesse a chiedere un riesame della controversia. Contro le sentenze delle commissioni tributarie regionali è possibile proporre ricorso dinanzi alla Corte di cassazione, in qualità di giudice unico e di legittimità.

La competenza delle commissioni tributarie (art. 4 del D.Lgs. n. 546 del 1992) è di natura funzionale e territoriale. La distinzione della competenza, dal punto di vista funzionale, attiene alla diversità del livello del giudizio e della conseguente funzione, in quanto, in prima istanza, le commissioni tributarie provinciali giudicano sull’impugnazione degli atti emessi dagli enti impositori mentre, in seconda istanza, le commissioni tributarie regionali giudicano sulle sentenze impugnate, pronunciate dalle commissioni tributarie provinciali. La previsione della competenza per territorio è utilizzata per individuare, tra tutti i giudici dello stesso tipo dislocati sul territorio nazionale, quello competente a giudicare sulla singola controversia. Ne deriva che per le controversie instaurate nei confronti di articolazioni dell’Agenzia delle entrate è competente la commissione tributaria provinciale nella cui circoscrizione ha sede l’Ufficio al quale spettano le attribuzioni sul tributo controverso, individuato in ragione del domicilio fiscale del contribuente, al quale è riconosciuta anche la legitimatio ad causam.

2. I poteri del giudice tributario.

L’art. 7 del D.Lgs. n. 546 del 1992 attribuisce alle commissioni tributarie[4] una serie di poteri al fine di consentire un accertamento dei fatti esaustivo ai fini istruttori e nei limiti di quanto dedotto dalle parti. Principio cardine in materia di giurisdizione tributaria[5] è il principio cd. dispositivo ovvero il giudice accerta i fatti entro i limiti di quanto dedotto dalle parti. Tale inciso delimita l’operatività dell’intervento giudiziale che non può andare al di là di quanto espressamente indicato dalle parti. Il carattere dispositivo del processo tributario comporta che il giudice non può utilizzare i propri poteri istruttori per sostituirsi alle parti, in quanto per la il diritto vivente si tratta di poteri meramente integrativi. In tal senso la Commissione tributaria regionale di Palermo, (Sicilia), sez. XXX, 30/05/2016, n. 2124 “in tema di osservanza delle decisioni delle commissioni tributarie, il giudice può esercitare il suo potere sul comando definitivo entro i limiti posti dall'oggetto della controversia individuata con il giudicato, pertanto può essere indicato il contenuto degli obblighi derivanti dalla relativa decisione ma non può essere attribuito un nuovo diritto rispetto a quello riconosciuto con la sentenza da eseguire”.

Tra i poteri espressamente riconosciuti dalla legge e compatibili con la disciplina civilistica vi è quello di avvalersi di un consulente tecnico. Un riferimento in tal senso è nell’art. 7, comma 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992 ai sensi del quale “le commissioni tributarie, quando occorre acquisire elementi conoscitivi di particolare complessità possono richiedere …ovvero disporre consulenza tecnica”. In più le commissioni tributarie possono esercitare collegialmente tutte le facoltà di: accesso; richiesta dati, informazioni e chiarimenti conferite agli uffici tributari e all’ente locale da ciascuna legge d’imposta. Viene anche riconosciuta alle commissioni la possibilità di disporre la consulenza tecnica d’ufficio, permettendo così di acquisire dati tecnici che non rientrano nella comune conoscenza dei giudici tributari; disapplicare un regolamento o un atto generale rilevante ai fini della decisione se viene ritenuto illegittimo, ciò in considerazione della gerarchia delle fonti che governa il nostro ordinamento giuridico; dichiarare non applicabili le sanzioni amministrative tributarie quando la violazione è collegata a condizioni di obiettiva incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si riferisce (art. 8 del D.Lgs. n. 546 del 1992).

Ciò in ragione del principio di certezza del diritto e legittimo affidamento che governano l’ordinamento tributario. Nel processo tributario non sono ammessi né il giuramento né la prova testimoniale e questo è un dato di particolare interesse. Il processo tributario, infatti, è un processo essenzialmente documentale che non fa ricorso alcuno all’oralità e si fonda sulla documentazione prodotta in giudizio e prima dello stesso. Ciò ha fatto sorgere numerosi dubbi in ordine alle dichiarazioni fornite dai terzi e al loro valore probatorio. Muovendo dall’assunto che nel processo tributario non è ammessa la testimonianza sarebbero da escludersi anche le dichiarazioni dei terzi.

Eppure, il diritto vivente sul punto lascia aperto uno spiraglio. Le dichiarazioni di terzi sono ritenute alla stregua di indizi che non sono di per sè sufficienti a fondare la decisione giudiziale, ma devono essere corroborati da elementi ulteriori. Ad esempio per la Commissione tributaria provinciale di Como sez. I  19 giugno 2013 n. 100 “nell'ambito del contenzioso tributario, deve essere riconosciuto anche al contribuente, in attuazione dei principi del giusto processo, la possibilità di introdurre, nel giudizio innanzi le Commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, le quali hanno il valore probatorio degli elementi indiziari e come tali devono essere valutate dal giudice, non essendo idonee a costituire da sole il fondamento della decisione (nel caso di specie si fa riferimento ad indagini a seguito di accertamenti bancari)”[6].

Ad abundantiam “nel processo tributario, gli elementi indiziari, come la dichiarazione del terzo - nella specie, acquisita dalla guardia di finanza nel corso di un'ispezione, il cui verbale era stato debitamente notificato al contribuente - concorrono a formare il convincimento del giudice, se confortati da altri elementi di prova; se rivestono i caratteri di gravità, precisione e concordanza di cui all'art. 2729 c.c., essi danno luogo a presunzioni semplici (art. 39 d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600, e 54 d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 633), generalmente ammissibili nel contenzioso tributario, nonostante il divieto di prova testimoniale (Alla luce del principio che precede, la S.C. ha avuto modo di precisare come fosse inesatto che gli indizi potessero "assurgere a prove documentali" se confortati da "ulteriori indagini", da eseguire necessariamente da parte dell'ufficio "per provare la fondatezza delle dichiarazioni rese a verbale" dal terzo; ed ha affermato che, invece, il giudice "a quo" avrebbe dovuto procedere all'esame degli indizi disponibili, posti a fondamento e motivazione degli avvisi o ulteriormente dedotti dall'ufficio - come i riscontri bancari o la segnalazione di particolare affidabilità delle dichiarazioni del terzo, aventi natura "confessoria" per le conseguenze negative nei suoi stessi confronti - al fine di stabilire, con giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità, se logicamente e congruamente motivato, l'eventuale sussistenza dei caratteri di gravità, precisione e concordanza, in presenza dei quali la pretesa erariale sarebbe fondata) (Cassazione civile sez. trib.  20 aprile 2007 n. 9402)[7]”.

3. L’impugnazione degli atti.

L’art. 19 del D.Lgs. n. 546 del 1992 contiene l’elencazione degli atti avverso i quali è proponibile l’impugnazione[8], comprendendo: l’avviso di accertamento del tributo;  l’avviso di liquidazione del tributo; il provvedimento che irroga le sanzioni; il ruolo e la cartella di pagamento; l’avviso di mora; l’iscrizione di ipoteca sugli immobili di cui all’art. 77 del d.P.R. n. 602 del 1973;  il fermo di beni mobili registrati di cui all'art. 86 del d.P.R. n. 602 del 1973; gli atti relativi ad alcune operazioni catastali individuate nell’art. 2 del D.Lgs. n. 546 del 1992; il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri accessori non dovuti; il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di rapporti tributari; ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie[9]. Tale elencazione è stata ritenuta tassativa, nel senso che non sono autonomamente impugnabili[10] atti diversi da quelli indicati.

Tuttavia, la giurisprudenza ha aperto nuovi scenari sulla natura tassativa della suddetta disposizione normativa enunciando che “l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1993, n. 546, ha natura tassativa, ma, in ragione dei principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.), ogni atto adottato dall'ente impositore che porti, comunque, a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al giudice tributario, senza necessità che si manifesti in forma autoritativa, con la conseguenza che è immediatamente impugnabile dal contribuente anche la comunicazione di irregolarità, ex art. 36 bis, terzo comma, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Cass. 28 novembre 2014, n. 25297)[11]”. Si tratta, per lo più, di un aumento della soglia di tutela prevista per il contribuente[12] ogniqualvolta sia destinatario di un atto che possa anche solo potenzialmente essere pregiudizievole della propria sfera giuridico-patrimoniale.

In tal senso si è espresso anche il Tribunale di Teramo con sentenza n. 1151/2014 l'elencazione degli "atti impugnabili", contenuta nell'art. 19 d.lg. n. 546 del 1992, tenuto conto dell'allargamento della giurisdizione tributaria operato con la l. n. 448 del 2001, deve essere interpretata alla luce delle norme costituzionali di buon andamento della p.a. (art. 97 cost.) e di tutela del contribuente (art. 24 e 53 cost.), riconoscendo la impugnabilità davanti al giudice tributario di tutti gli atti adottati dall'ente impositore che portino, comunque, a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, con l'esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, senza necessità di attendere che la stessa, ove non sia raggiunto lo scopo dello spontaneo adempimento cui è "naturaliter" preordinato, si vesta della forma autoritativa di uno degli atti dichiarati espressamente impugnabili dall'art. 19 d.lg. n. 546 del 1992[13]”.

Laddove da un atto[14] si ravvisi una pretesa tributaria il contribuente può impugnare[15] tale atto al fine di difendersi dall’attività impositiva dell’Ufficio. Ciò riguarda ogni atto in cui sia ravvisabile una, anche solo potenziale, pericolosità per il patrimonio del destinatario. E' una tutela anticipatoria e a carattere preventivo, che interviene prima ancora che si produca l'effetto pregiudizievole per il contribuente che si vede raggiunto da un atto dal quale sia ravvisabile una pretesa tributaria. 

4. Conclusioni.

La natura speciale della giurisdizione tributaria fa sì che la stessa sia retta da una disciplina autonoma e specifica che la differenza dalle altre giurisdizioni. Eppure, il legislatore non esclude che ad essa possano applicarsi le disposizioni previste per altro processo, ad esempio quello civile, laddove prevede che possano applicarsi le disposizioni previste per il processo civile “se ed in quanto compatibili”. Allo stesso modo si vuole riconoscere al contribuente gli stessi diritti e garanzie riconosciute dalle altre giurisdizioni.

Una dimostrazione è l’ampliamento dell’ambito di applicazione dell’art. 19 del D. Lgs. 546/92 che consente l’impugnazione di atti non espressamente previsti dalla norma. Dunque, la tassatività che rappresenta un principio cardine dell’ordinamento tributario cede il passo alla tutela del contribuente e alla necessità per quest’ultimo di impugnare anche atti che tassativamente non siano previsti. Ecco che il diritto vivente, in nome del suo potere di intervento nella quotidianità, supera anche un principio acquisito da tempo ovvero quello della tassatività della norma tributaria. Ciò opererebbe sempre in ossequio a quel principio di bilanciamento di interessi che va al di là anche del diritto scritto. Il diritto vivente, a volte, può prevalere sul diritto, quello naturale e scritto, che è cristallizzato nella norma.

Il diritto tributario, in particolare, subisce condizionamenti esterni e plurimi e necessita di continui interventi modificativi o ampliativi da parte del diritto vivente.

La giurisdizione tributaria è una giurisdizione piena che consente al giudice di analizzare tutti gli aspetti e i fatti della controversia e di consegnare al contribuente una pronuncia il più possibile esaustiva ed in tempi ragionevoli in ossequio a quanto espressamente sancito dall’art. 111 della Carta Costituzionale. Nonostante il carattere di specialità della giurisdizione tributaria sono assicurate al contribuente tutte le garanzie e i diritti riconosciuti in via generale dalle altre giurisdizioni e che sono esplicitati nella Costituzione. D'altronde ciò è giustificato dalla natura dei diritti oggetto della giurisdizione tributaria ovvero quelli patrimoniali che sono di rango elevato e richiedono un'ampia ed apposita tutela.

Note e riferimenti bibliografici
[1] Corte di Cassazione, Sezioni Unite, n. 8770/2016 in www.dejure.it.
[2]T.A.R. n. 489/2016 in www.dejure.it.
[3]Comm. trib. reg. Cagliari (Sardegna) sez. IV  28 gennaio 2016 n. 27 in www.dejure.it“le controversie relative al pagamento di cartelle esattoriali per contributi per il S.S.N. rientrano nella giurisdizione tributaria così come stabilito dal d. lgs n. 546/1992, articolo 12 e per la natura tributaria del contributo, il quale sussiste nonostante il contribuente non richieda l'utilizzazione del S.S.N.”.
[4]Cassazione civile sez. un.  23 novembre 2015 n. 23834 in www.dejure.it “qualora la domanda di risarcimento dei danni sia basata su comportamenti illeciti tenuti dall'Amministrazione Finanziaria dello Stato o di altri enti impositori, la controversia, avendo ad oggetto una posizione sostanziale di diritto soggettivo del tutto indipendente dal rapporto tributario, è devoluta alla cognizione dell'autorità giudiziaria ordinaria. E ciò perchè non può sussumersi in una delle fattispecie tipizzate che, ai sensi del d.lg. n. 546 del 1992, art. 2, rientrano nella giurisdizione esclusiva delle Commissioni Tributarie”.
[5]Cassazione civile sez. trib.  02 dicembre 2015 n. 24511 in www.dejure.it“nel giudizio innanzi alle Commissioni tributarie di primo e di secondo grado, disciplinato dal d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, il giudice di merito non ha il potere di statuire sulle spese di giudizio, che sono compensate "ope legis", sicché, in tale sistema processuale, non trova applicazione il principio per cui il giudice del giudizio di rinvio deve provvedere, anche di ufficio, alla regolamentazione delle spese relative a tutte le fasi del giudizio di merito secondo il principio della soccombenza. (Cassa con rinvio, Comm. Trib. Reg. Catania, 23/11/2009).
[6]Como sez. I 19 giugno 2013 n. 100 in www.dejure.it.
[7] Cassazione civile sez. trib. 20 aprile 2007 n. 9402 in www.dejure.it.
[8] Comm. trib. prov.le Campobasso sez. II  17 aprile 2013 n. 75 in www.dejure.it “i giudici di una C.T. Provinciale ritengono che, nel caso analizzato, la sanzione dell'inammissibilità sia eccessiva perché comporta la definitività del provvedimento impugnato; quindi la questione di legittimità dell'art. 17-bis del D.Lgs. n. 546/1992 è stata rimessa alla Corte Costituzionale, nella parte in cui prevede l'inammissibilità del ricorso in caso di omessa presentazione del reclamo”.
[9]Cassazione civile sez. un. 03 maggio 2016 n. 8770 in www.dejure.it “i contributi spettanti ai consorzi di bonifica ed imposti ai proprietari per le spese relative all'attività per la quale sono obbligatoriamente costituiti rientrano nella categoria generale dei tributi e le relative controversie, insorte dopo il primo gennaio 2002, sono devolute alla giurisdizione delle commissioni tributarie, in applicazione dell'art. 2 del d.lg. n. 546 del 1992, nel testo modificato dall'art. 12 della legge 448 del 2001, il quale ha esteso la giurisdizione tributaria a tutte le controversie aventi ad oggetto tributi di ogni genere e specie”.
[10]Cassazione civile sez. VI  03 febbraio 2014 n. 2248 in www.dejure.it “il ruolo, benché atto interno dell'Amministrazione, costituisce lo strumento fondamentale della riscossione, poiché contiene l'indicazione del periodo d'imposta, cui l'iscrizione si riferisce, dell'imponibile, dei versamenti e dell'imposta effettivamente dovuta, oltre che degli interessi e delle sanzioni pecuniarie eventualmente irrogabili al contribuente, sicché momento determinante per l'instaurazione del rapporto giuridico di riscossione è proprio la sua formazione e non già quello della notificazione della cartella esattoriale, che costituisce solo lo strumento mediante il quale la pretesa tributaria viene portata a conoscenza del debitore d'imposta. Ne consegue che, nel caso in cui il dipendente addetto all'ufficio abbia consegnato al contribuente copia dell'estratto del ruolo, questi è legittimato alla sua impugnazione, essendo il ruolo l'unico valido e legittimo titolo per la riscossione dei tributi (Rigetta, Comm. Trib. Reg. Catanzaro, 15/10/2010)”.
[11]Cass. 28 novembre 2014, n. 25297 in www.dejure.it.
[12]Comm. trib. prov.le Catanzaro sez. IV  27 febbraio 2013 n. 48 in www.dejure.it “è un atto definitivo in sede amministrativa il diniego del direttore regionale delle entrate di disapplicazione di una legge antielusiva, ed è anche un atto recettizio con rilevanza esterna, quindi si concretizza un'ipotesi di diniego di agevolazione, impugnabile innanzi alle Commissioni tributarie, come previsto dall'art. 19, comma 1, lett. h) del d.lgs 31 dicembre 1992 n. 546. Ne consegue che il giudizio instaurato dinanzi al giudice tributario, siccome si poggia su diritti soggettivi e non su interessi legittimi, è a cognizione piena e si estende al merito della pretesa e non si limita a decretare l'llegittimità dell'atto. Da tutto ciò deriva che potrà essere emessa una decisione sulla fondatezza della domanda di disapplicazione e, in presenza delle condizioni applicative, si potrà applicare l'agevolazione richiesta”.
[13]Tribunale Teramo 15 agosto 2014 n. 1151 in www.dejure.it.
[14]Comm. trib. prov.le Milano sez. XXIV  15 marzo 2013 n. 112 in www.dejure.it “è inammissibile il ricorso volto a contestare il diniego di autotutela (e non l'atto che ha dato origine all’istanza di autotutela) perché non rientrante tra gli atti tassativamente elencati nell’art. 19 d.lg. n. 546 del 1992 e che possono essere impugnati avanti la giurisdizione tributaria. Anche la norma di chiusura di tale articolo (“ogni altro atto per il quale la legge ne prevede l’autonoma impugnabilità davanti alle commissioni tributarie”) non ne giustifica, da un punto di vista processuale, la proposizione atteso che non risulta alcuna norma di carattere speciale che permetta di impugnare il diniego in parola”.
[15]Comm. trib. prov.le Bergamo sez. X 07 giugno 2013 n. 105 in www.dejure.it “l'impugnazione di una comunicazione dell'Agenzia delle Entrate a seguito di controllo formale ex art. 36-ter d.P.R. 600/1973 — pur non rientrando nell'elencazione degli atti autonomamente impugnabili contenuta nell'art. 19 del d.lgs. 546/1992 — è da ritenere ammissibile e legittima il giudizio di merito. L'art. 19 del d.lgs. 546/1992, pur contenendo un'elencazione apparentemente tassativa, è interpretabile estensivamente ritenendosi impugnabili tutti quegli atti che risultano portatori di una sostanziale pretesa tributaria”.