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Pubbl. Ven, 30 Gen 2015

Caso ”Eternit” : avrà riflessi sulla politica legislativa?

Ambra Di Muro


Analizziamo il "Caso Eternit" e la prospettiva di riforma dei reati ambientali che questo ha posto all´attenzione del legislatore e dell´opinione pubblica.


Clamore e rinnovato dolore ha suscitato la recentissima sentenza con cui, lo scorso 19 novembre, la Corte di Cassazione si è pronunciata in via definitiva in ordine alla vicenda giudiziaria del cd. "caso Eternit", annullando per intervenuta estinzione del reato la condanna sopraggiunta nei due precedenti gradi di merito. La vicenda processuale de qua, tristemente nota alle cronache, ha avuto ad oggetto l'accertamento dei fatti di reato, ascritti a titolo di disastro doloso per le morti "connesse a patologie asbesto-correlate", a carico di una multinazionale che produceva nello stabilimento di Casale Monferrato (To) manufatti contenenti amianto. L'esito della ricostruzione operata in sede di merito ha condotto anche in secondo grado alla condanna a 18 anni di reclusione del titolare della azienda, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny. Condanna, tuttavia, annullata senza rinvio da parte della I Sezione Penale della Corte di Cassazione perchè, è ribadito nelle dichiarazioni ufficiali della medesima, "il reato è da tempo prescritto". Il giudice di legittimità non ha, dunque, assolto l'imputato ma ha necessariamente dovuto dichiarare l'estinzione del reato ascrittogli, per decorso del termine di prescrizione.

Clamore e rinnovato dolore ha suscitato la recentissima sentenza con cui, lo scorso 19 novembre, la Corte di Cassazione si è pronunciata in via definitiva in ordine alla vicenda giudiziaria del cd. "caso Eternit", annullando per intervenuta estinzione del reato la condanna sopraggiunta nei due precedenti gradi di merito.
La vicenda processuale de qua, tristemente nota alle cronache, ha avuto ad oggetto l'accertamento dei fatti di reato, ascritti a titolo di disastro doloso per le morti "connesse a patologie asbesto-correlate", a carico di una multinazionale che produceva nello stabilimento di Casale Monferrato (To) manufatti contenenti amianto.
L'esito della ricostruzione operata in sede di merito ha condotto anche in secondo grado alla condanna a 18 anni di reclusione del titolare della azienda, il magnate svizzero Stephan Schmidheiny. Condanna, tuttavia, annullata senza rinvio da parte della I Sezione Penale della Corte di Cassazione perchè, è ribadito nelle dichiarazioni ufficiali della medesima, "il reato è da tempo prescritto".
Il giudice di legittimità non ha, dunque, assolto l'imputato ma ha necessariamente dovuto dichiarare l'estinzione del reato ascrittogli, per decorso del termine di prescrizione.

Non essendo possibile dar conto delle motivazioni della sentenza, non ancora depositate, ci sia consentito di porre in luce un duplice ordine di "problemi" di politica legislativa occasionati da tale inatteso (?!?) verdetto.
Una premessa, tuttavia, si pone come necessaria: la Cassazione, nel comunicato emesso lo scorso 19 novembre dall'Ufficio stampa, ha precisato che "(..) oggetto del giudizio era esclusivamente l'esistenza o meno del disastro ambientale, la cui sussistenza è stata affermata (..) Non erano, quindi, oggetto del giudizio i singoli episodi di morti e patologie sopravvenute, dei quali la Corte non si è occupata".
Il nodo "interpretativo" che ha condotto il giudice di legittimità a ribaltare l'esito dei gradi di merito riguarda la qualificazione giuridica della condotta ascritta a Schmidheiny, integrante il reato di disastro doloso, la cui disciplina è recata nell'art. 434 c.p.*
Trattasi di una fattispecie delittuosa che sanziona la condotta diretta a "cagionare" un disastro, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni; se il disastro avviene, con la pena della reclusione da tre a dodici anni.
La qualificazione giuridica che la Corte di Cassazione ha verosimilmente compiuto è nel senso di ricostruire la verificazione del disastro come circostanza che aggrava la condotta delittuosa. In tal senso la consumazione del delitto sarebbe istantanea e come tale la prescrizione decorrerebbe dal momento in cui ha avuto inizio la condotta (dunque, al più tardi nel 1986, anno di chiusura dello stabilimento torinese). Accedendo a tale impostazione, il reato si sarebbe ormai estinto.
Nei due precedenti gradi di merito, invece, i giudici avevano ricostruito il delitto de quo come reato autonomo di evento, in cui la consumazione è permanente, essendo l'evento pericoloso - le morti e la contaminazione ambientale- ancora in atto. In tal senso, il termine di prescrizione del reato non sarebbe ancora decorso.

Da ciò, il primo dei "problemi" suddetti, concernente l'introduzione nell'ordinamento di fattispecie delittuose inerenti l'ambiente. Tema dibattuto, questo, anche lo scorso 26 febbraio alla Camera, ove è stato approvato a larga maggioranza il ddl. n. 1345  che prevede l'inserimento nel codice penale, tra gli altri, dei delitti di inquinamento atmosferico, del suolo e delle acque e disastro ambientale (art.1)**. Tuttavia, il testo è attualmente, ancora (sic!), in corso d'esame in commissione Giustizia del Senato.
L'introduzione di simili fattispecie delittuose autonome consentirebbe - nelle intenzioni dei promotori - di colmare le lacune normative del Codice Rocco, evitando - come in quest'occasione - "sofisticazioni" ermeneutiche causate dalla sussunzione di vicende come il "caso Eternit" all'interno di norme strutturalmente anacronistiche come l'art. 434 c.p.
Il secondo "problema", intimamente connesso al primo, concerne la prescrizione dei reati. Quest'ultima fu resa oggetto nel 2005 di una discutibile riforma (cd. Legge Cirielli, n. 251/2005)(3) che ha ridotto i termini prescrizionali dei reati delittuosi.
La vicenda processuale in esame ha dato adito a rinnovate istanze di riforma del codice penale e, con esso, di ripristino di termini di prescrizione maggiormente congrui all'offensività dei reati commessi.
Speranza, questa, condivisibile al fine di consentire alla magistratura di poter esperire anche gli accertamenti più complessi, senza il pericolo che s'incorra nella tagliola della prescrizione, così lasciando crimini privi di colpevoli e vittime prive di giustizia.

 

*«Chiunque, fuori dei casi preveduti dagli articoli precedenti, commette un fatto diretto a cagionare il crollo di una costruzione o di una parte di essa  ovvero un altro disastro è punito, se dal fatto deriva pericolo per la pubblica incolumità, con la reclusione da uno a cinque anni. La pena è della reclusione da tre a dodici anni se il crollo o il disastro avviene».
** http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/Ddliter/44045.htm;
(3) Tale legge è  intervenuta a modificare il precedente sistema di commisurazione dei termini prescrizionali per "scaglioni" con un sistema che li commisura ai limiti edittali massimi di pena.