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Pubbl. Lun, 20 Giu 2016

Criticità sulle contravvenzioni ambientali e la procedura estintiva di cui all´art. 318 bis Testo Unico Ambientale.

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Valeria Liccardi


La fallibilità del Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152 «Norme in materia ambientale»


 

Il Decreto Legislativo 3 aprile 2006, n. 152  fornisce un quadro dei principi e delle tecniche di tutela penale dell'ambiente, previdendo molteplici contravvenzioni e un relativo sistema sanzionatorio, imperniato sul diritto penale, riservando un ruolo marginale al diritto amministrativo. Da tale sistema risulta evidente il contrasto con il principio per il quale il diritto (rectius, la sanzione) penale debba rappresentare l'extrema ratio nonché con il principio del  finalismo rieducativo (art. 27, comma 3, Cost).
Dalla lettura di detto decreto emerge uno scardinamento del principio di "offensività", infatti in talune ipotesi contravvenzionali la determinazione della sanzione, non è dovuta alla effettiva lesione o alla messa in pericolo del bene giuridico oggetto di tutela penale, ma essa viene comminata a tutela del c.d. "potenzialmente contaminante".

La ratio di tale dicitura dovrebbe ritrovarsi nel riconoscimento di queste fattispecie come reati di pericolo presunto o astratto, caratterizzati dalla presunzione, in base ad una regola di esperienza, che al compimento di certe azioni si accompagni l'insorgere di un pericolo.
Un chiaro esempio è costituito dal combinato disposto degli artt. 242, comma 1, e 257, comma 1, TUA che  codifica come comportamento penalmente rilevante l'obbligo di comunicare la potenziale contaminazione del sito
La disciplina sanzionatoria dell'omessa comunicazione era caratterizzata dal concorso tra l'art. 257, comma 1 (sanzione penale) e l'art. 304, comma 2 (sanzione amministrativa): di conseguenza per la corretta applicazione delle norme in questione bisognava capire se esse fossero in un rapporto di alternatività o complementarietà. Occorreva, dunque, individuare tra le due fattispecie un rapporto di specialità, ai sensi dell'art. 9 della l. 689/81 («quando uno stesso fatto è punito da una disposizione penale e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, ovvero da una pluralità di disposizioni che prevedono sanzioni amministrative, si applica la disposizione speciale»).
Tuttavia, prima della legge Europea del 2013, tale rapporto, tra parte quarta e parte sesta del TUA, era regolato dall'art. 303, comma 1, lett. i. Difatti, tale disposizione stabiliva che la parte sesta «non si applica alle situazioni di inquinamento per le quali siano effettivamente avviate procedure relativa alla bonifica, o sia stata avviata o sia intervenuta la bonifica dei siti nel rispetto delle norme urgenti in materia».

La legge Europea del 06.08.2013, n. 97, con l'abrogazione dell'art. 303, ha delineato, in virtù del principio di specialità, l'applicazione, alle ipotesi di omessa comunicazione, della sola fattispecie di cui all'art. 257 in tema di bonifica, e non quella dell'art. 304 in tema di danno ambientale. 
Di conseguenza, in tale ipotesi, affinché possa ritenersi giustificata la rilevanza penale, bisogna domandarsi se la soglia della punibilità coincide con la messa in pericolo del bene protetto (risulta, però, difficile interpretare una soglia che non è inquinante come idonea alla messa in pericolo).

Pertanto sorge un dubbio rispetto alla volontà del legislatore nel mascherare, nelle soglie del potenzialmente contaminante, ipotesi di tentativo per le contravvenzioni, che nell'attuale codice penale non è ammissibile, per espressa disposizione legislativa, in quanto l'art. 56 fa esplicito riferimento alle sole ipotesi di «delitti». 
In relazione alle contravvenzioni, la l. n. 68 del 2015, "disposizioni in materia di delitti contro l'ambiente" ha introdotto un nuova procedura estintiva dei reati contravvenzionali contemplati nel Testo Unico Ambientale (art. 318 bis TUA).

Questa procedura può essere attivata mediante apposite prescrizioni impartite dall'organo accertatore (organi di vigilanza- polizia giudiziaria), e al pagamento di una somma pari ad un quarto del massimo dell'ammenda per le contravvenzioni punite o con l'ammenda o alternativamente tra arresto e ammenda.

Un tale meccanismo se da un lato può sembrare un passo avanti per la definizione alternativa del procedimento, dall'altro lato è limitato soltanto per le ipotesi in cui non vi sia danno o pericolo attuale e concreto di danno.

Tuttavia considerando che, nella stessa fase, il legislatore ha previsto un'ulteriore possibilità, ossia l'esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell'art.131bis c.p.,  si palesa il mancato coordinamento del legislatore tra la procedura estintiva di cui all'art. 318 bis TUA e la possibilità di archiviazione ai sensi del 131bis c.p., quest'ultima senza dubbio più favorevole, per la non iscrizione nel casellario giudiziale di detto procedimento, per la mancanza di prescrizioni da ottemperare e per assenza di una somma di denaro.
In conclusione, appare che lo strumento penale non sia l'unica strada necessaria da dover percorre affinché sia tutelato un bene giuridicamente rilevante, in quanto in questi casi contravvenzionali l'assenza dell'offesa comporta una mancata consapevolezza del fatto commesso e, soprattutto, una inefficacia del principio del finalismo rieducativo della pena, risultando incapace sia di indirizzare le condotte dei consociati (prevenzione generale positiva), sia di garantire un'effettiva rieducazione.

Pertanto lo strumento penale diviene un mezzo inidoneo e non assolutamente necessario, in palese contrasto con un il principio di extrema ratio, creando soltanto un regime così particolareggiato (come la disciplina del D.Lgs. N. 152/06), che evidenzia la  significativa violazione del principio di legalità (art. 25, comma 2, Cost).