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Pubbl. Lun, 13 Giu 2016

Ius soli sportivo: il ddl che ammette nelle società sportive gli stranieri è legge

Valentina Caldarella


Una nuova legge per l´acquisizione della cittadinanza sportiva: eliminati gli ostacoli per il tesseramento nelle società sportive dei minori stranieri


Il 14 gennaio 2016 con la votazione del Senato (215 sì, 6 no e 2 astenuti) è stato approvato il ddl recante le “Disposizioni per favorire l'integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l'ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva”. 

Il 14 gennaio 2016 con la votazione del Senato (215 sì, 6 no e 2 astenuti) è stato approvato il ddl recante le “Disposizioni per favorire l'integrazione sociale dei minori stranieri residenti in Italia mediante l'ammissione nelle società sportive appartenenti alle federazioni nazionali, alle discipline associate o agli enti di promozione sportiva”. 

La legge, entrata in vigore il 16 febbraio 2016, riconosce il c.d. ius soli sportivo, ovvero la possibilità per i minori stranieri, residenti in Italia almeno dal compimento del decimo anno d’età, di essere tesserati dalle federazioni sportive con le medesime procedure previste per il tesseramento dei cittadini italiani. In tal modo verranno meno tutte quelle lungaggini burocratiche che fino ad oggi hanno impedito il tesseramento ai minori stranieri che avevano la sola colpa di voler portare la loro passione dal livello dilettantistico a quello agonistico.

L’iter facilitato era già  seguito da alcune associazioni “virtuose”, quali la federazione di atletica leggera, la federpugilato e l’associazione di hockey su prato, che da tempo tesserano i minori stranieri sulla base di un periodo più o meno lungo di residenza nello Stato italiano.

Nonostante tale novità legislativa sia da salutare con favore, vi sono, come affermato dall’ASGI, ancora alcuni aspetti lacunosi, ovvero:

  • la normativa può essere applicata ai minori stranieri residenti in Italia almeno dal compimento del decimo anno d’età. Tale restrizione è dovuta dalla presunzione che bambini in così tenera età siano difficilmente oggetto del fenomeno noto come “traffico illecito di calciatori”, ovvero minorenni, in particolare africani, che pagano migliaia di euro a finti procuratori, i quali vendono il sogno di diventare star del calcio europeo. L'associazione Foot Solidaire ha stimato che siano oggetto di questo mercato almeno 15mila bambini all'anno. Tuttavia con la nuova disciplina italiana è precluso l’accesso alla procedura semplificata a buona parte dei minori stranieri, la cui parità di diritti con i minori italiani è sancita a livello internazionale dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo;
  • si richiede che il minore sia “regolarmente residente”, il che, se interpretato in via restrittiva, implicherebbe che lo stesso sia provvisto di un regolare permesso di soggiorno e sia iscritto nel registro anagrafico. Sarebbero così esclusi dal tesseramento tutti i minori stranieri che, seppur residenti in Italia da molto tempo e per una mancanza a loro non imputabile, non posseggono tali requisiti. Infatti, come afferma il TU Immigrazione (in conformità alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo”),  il minore non può mai considerarsi soggetto giuridicamente irregolare e ciò a prescindere dalla posizione giuridica dei genitori;
  • non è stato oggetto di riforma l’art. 27 comma 5 bis del TU Immigrazione, il quale permette alle singole federazioni di fissare “criteri generali di assegnazioni di tesseramento” per la prestazione sportiva retribuita, al fine di preservare i vivai giovanili. Il rischio è costituito dalla possibilità riconosciuta alla singola federazione di porre regolamenti interni che favoriscano i giovani italiani anche rispetto agli stranieri che siano residenti in Italia da prima del compimento dei dieci anni.

Un ulteriore limite si trova con riferimento all'accesso alla Nazionale di calcio: per consentire la convocazione anche dei minori stranieri occorrerebbe una vera e propria disciplina sullo ius soli, non solo sportivo, poichè la FIFA ha posto come requisito il possesso della cittadinanza. Così i giovani stranieri per poter indossare la maglia azzurra debbono attendere sino all'arrivo dell'agognata cittadinanza con il compimento del diciottessimo anno d'età, sempre se si è nati in Italia. Altri paesi europei si sono già mossi in senso contrario, ad esempio in Germania la cittadinanza è riconosciuta anche ai bambini nati da genitori stranieri che siano tuttavia in possesso di permesso di soggiorno permanente; in Belgio, al minore che abbia compiuto 12 anni, qualora i genitori siano residenti da almeno dieci anni. Diversamente in Italia, su questo tema, lo sport non è riuscito ancora a scavalcare la politica.

È possibile così affermare che il riconoscimento della cittadinanza sportiva consente di fare un passo avanti nella lotta al razzismo permettendo ai giovani, almeno nello sport, di non avere più barriere o paletti, anche se la vera chiave di volta deve essere trovata nell’approvazione di una nuova legge sull’acquisizione della cittadinanza italiana.