Pubbl. Gio, 16 Giu 2016
Quando il "braccialetto elettronico" diventa un problema
Modifica paginaCon la sentenza n. 20769 del 2016, le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione affrontano la questione circa la possibile modifica di misure cautelari
Con la sentenza n. 20769 del 2016, le Sezioni Unite penali della Corte di Cassazione hanno dato risposta al quesito "se il giudice, investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domicialiari con cd. braccialetto elettronico, o di sostituzione della custodia cautelare in carcere con la predetta misura, in caso di indisponibilità di tale dispositivo, debba applicare la misura più grave della custodia in carcere ovvero quella meno grave degli arresti domiciliari."
Il caso e la questione di diritto.
La problematica nasce da un preciso caso giuridico sottoposto al vaglio del Tribunale di Potenza.
Nella specie, il giudice di merito aveva rigettata l'istanza di revoca della misura cautelare della custodia in carcere ovvero di sostituzione della stessa con altra meno afflittiva e il conseguente appello dell'imputato, proposto ex art. 310 c.p.p. era stato ugualmente rigettato dal Tribunale della libertà.
L'imputato ricorreva in Cassazione, denunciando violazione nonchè falsa applicazione della legge processuale penale e vizio di motivazione, riferendosi, in particolare, alla ritenuta inidoneità dell'applicazione di una diversa misura a contenere il pericolo di ricaduta nel reato, in particolare con riferimento a quella degli arresti domiciliari con le procedure di controllo di cui all'art. 275 bis, comma 1, cpp.
Infatti, il Tribunale, nonostante condividesse la motivazione dell'ordinanza impugnata, aveva ritenuto eccessiva la misura inframuraria, optando invece per quella, senz'altro più congrua, degli arresti domiciliari, con le procedure di controllo di cui al suddetto articolo.
Presa tale decisione, il giudice ne escludeva in ogni caso l'applicazione, dato che - particolare non irrelevante - il braccialetto elettronico risultava indisponibile al momento. Il magistrato era dunque costretto ad applicare la misura della custodia cautelare in carcere.
In ragione di ciò, l'imputato lamentava che, prendendo tale provvedimento, il giudice aveva di fatto condizionato - a suo dire, illegittimamente -, la scarcerazione ad un mero presupposto quale l'indisponibilità e l'effettiva attivazione del braccialetto elettronico.
Riguardo tale mancato accoglimento della richiesta di sostituzione, va osservato che l'art. 275 bis cpp non ha introdotto una nuova misura coercitiva, bensì una semplice modalità di esecuzione di una misura cautelare personale.
Sul punto, si sono registrati in giurisprudenza di legittimità due diversi orientamenti, di cui il Tribunale delle libertà non ha potuto non tener conto.
Il primo ritiene che il provvedimento che non accolga un'istanza di sostituzione della custodia in carcere, a causa della indisponibilità di braccialetti da parte della polizia giudiziaria, non arreccherebbe alcun "vulnus" ai principi costituzionale di cui all'art. 3 e 13 Cost.
Sul punto, parte della dottrina sostiene che l'impossibilità di concedere gli arresti domiciliari senza controllo elettronico a distanza dipenderebbe pur sempre della intensità delle esigenze cautelari e, pertanto, sarebbe ascrivibile alla persona dell'indagato.
Di contro, secondo un altro orientamento, il braccialetto rappresenta una cautela che il giudice può adottare, qualora lo rienga necessario , non già ai fini della adeguatezza della misura più lieve, vale a dire per rafforzare il divieto di non allontanarsi salla propia abitazione, ma ai fini del giudizio, da compiersi nel procedimento di scelta delle misure, sulla capacità effettiva dell'indagato di autolimitare la propria libertà personale di movimento, assumendo l'impegno di installare il braccialletto e di osservarne le prescrizioni.
Sì è altresì ossevato che in tema di arresti domicialiari, poichè la prescrizione non attiene al giudizio di adeguatezza della misura ma alla misura delle capacità dell'indagato di autolimitare la propria libertà di movimento, è illegittimo il provvedimento con cui il giudice, ritenuta idonea la misura domiciliare a soddisfare le concrete esigenze cautelari,subordina la scarcerazione alla disponibilità e alla effettiva attivazione del dispositivo elettronico.
Ciò in quanto, in caso di indisponibilità del braccialetto, il detenuto deve essere controllato con i mezzi tradizionali.
La questione proposta dal collegio remittente.
Va premesso che l'introduzione nel cpp dell'art.275 bis è avvenuta con l'art. 16, comma 2, d.l. 24 novembre 2000, n. 341, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 gennaio 2001, n- 4 che stabiliva "il giudice, se lo ritiene necessario prescrive procedure di controllo mediante mezzi elettronici o altri strumenti tecnici, quando ne abbia accertato la disponibilità da parte della polizia giudiziaria".
Al secondo comma l'articolo in esame stabilisce che il soggetto che debba essere sottoposto alla misura debba neccessariamente prestare il proprio consenso. Nel caso questo consenso sia nagato, il giudice dovrà necessariamente applicare la misura della custodia cautelare in carcere.
E' divertente ossevare come la norma si preoccupi di stabilire le conseguenze dell'assenza di consenso dell'imputato, ma nulla disponga in relazione all'indisponibilità del dispositivo elettronico, pur essendo tale ipotesi senz'altro più frequente.
La decisione delle Sezioni Unite.
La Corte ha per prima cosa ripercorso l'evulozione storico-normativa del cd. "braccialetto elettronico", soffermandosi su alcune modificazioni legislative utili al fine di individuare l'esatto senso della disposizione in esame.
In particolare, la decisione ha richiamato il D.L. 23 dicembre 2013, n.146, con il quale è stato modificato l'art. 275-bis citato. La locuzione "se lo ritiene necessario" è stata infatti sostituita con quella "salvo che le ritenga non necessarie", di fatto ribaltando in tal modo, i termini della valutazione del giudice in ordine all'applicazionme di questa speciale forma di controllo.
Si tratta di una modifica che si è resa necessaria a fronte della pronuncia della Corte EDU del 2013, Torregiani che assegnava all'Italia un anno di tempo per porre rimedio alla drammatica situazione carceraria, suggerendo non solo di ridurre il numero dei detenuti, ma anche di ridurre il ricorso alla custodia cautelare. Parte della dottrina ritiene che ciò sia una chiara scelta del legislatore di puntare sulle modalità di sorveglienza elettronica, in linea con le prese di posizione in ambito europeo.
Da ultimo, il legislatore è intervenuto ancora, indirettamente, sull'istituto con la legge 16 aprile 2015, n. 47 che ha inteso ridurre ulteriormente la possibilità della misura custodiale in carcere, sia nella fase applicativa che nel successivo svolgersi della vicenda cautelare.
La stessa legge, con l'art. 8,ha inserito nell'art. 292, comma 2, lettera cbis, le parole "autonoma valutazione", per cui l'ordinanza di custodia cautelare deve contenere, a pena di nullità, l'esposizione delle concrete e specifiche ragioni per le quali le esigenze cautelari di cui all'art. 274 cpp non possano essere soddisfatte con altre misure.
Nella sentenza in commento, le Sezioni Unite, dopo aver rimarcato come a fronte di tali interventi, la disciplina sia rimasta inattuata per circa un decennio, non risparmiando dunque pesanti critiche in sede amministrativa e contabile per lo scarso ricorso alla sorveglianza elettronica. Si registra quindi una sperequazione tra spese sostenute per dare attuazione al dettato normativo e risultati applicativi della innovazione. Il braccialetto elettronico viene visto, dunque, nell'ottica degli Ermellini, come alternativa al carcere, invertendo così il rapporto regola/eccezione. Nell'ottica di oggi, invero, la regola è rappresentata dagli arresti domiciliari con braccialetto elettronico e l'eccezione dalla custodia cautelare in carcere.
Ciò in quanto, con l'inserimento del comma 3 bis nell'art. 275 cpp, il legislatore vuole considerare gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico ugualmente idonei, rispetto alla custodia in carcere, a tutelare le esigenze cautelari poste a base della misura. Il giudice dovrà ora considerare tutte le alternative possibili per escludere il ricorso alla custodia cautelare in carcere e motivare ampiamente sul punto.
La SC ha in proposito ribadito che gli arresti domiciliari con le procedure di controllo in esame non configurano una misura autonoma, che si collocherebbe ad un livello intermedio tra la custodia cautelare in carcere e gli arresti domiciliari "base", bensì un nuovo strumento di tutela applicabile, in quanto possibile, alle misure esistenti, in seguito a specifica valutazione di adeguatezza operata dal giudice.
La decisione ha succesivamente precisato in quale momento della procedura si colloca la verifica da parte del giudice in ordine alla concreta dispopnibilità dell'apparecchiatura, stabilendo che tale controllo deve avvenire ex ante, in quanto funzionale alle scelta della misura da applicare.
Conclusioni.
La Corte è giunta alla conclusione del proprio percorso argomentativo dopo avere ricordato che le disposizioni in esame non contemplano la carenza del dispositivo quale causa automatica di applicazione della custodia cautelare in carcere o, in senso opposto, della sostituzione della stessa con quella degli arresti domiciliari “semplici”. Soluzioni entrambe inaccettabili , in quanto comporterebbero automatismi nell’applicazione della misura.
In realtà è rimessa al giudice, nel caso concreto, sia nel momento di prima applicazione della misura cautelare (ex art. 291 cod. proc. pen) sia nel caso di sostituzione della misura (ex art. 299), in caso di indisponibilità dello strumento elettronico di controllo, la scelta se applicare la custodia cautelare in carcere o gli arresti domiciliari “semplici”, sulla base di un giudizio di bilanciamento che, dato atto della impossibilità di applicare la misura più idonea, ossia gli arresti domiciliari “elettronici”, metta a confronto l’intensità delle esigenze cautelari e la tutela della libertà personale dell’imputato.
Pertanto le Sezioni Unite hanno dato risposta al quesito posto, affermando il seguente principio di diritto “Il giudice, investito di una richiesta di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari con il c. d. ‘braccialetto elettronico’ o di sostituzione della custodia in carcere con la predetta misura, escluso ogni automatismo nei criteri di scelta delle misure, qualora abbia accertato /’indisponibilità del suddetto dispositivo elettronico, deve valutare, ai fini dell’applicazione o della sostituzione della misura coercitiva, la specifica idoneità, adeguatezza e proporzionalità di ciascuna di esse in relazione alle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto”.
Fonti e bibliografia
R. GAROFOLI Manuale di Diritto Penale - Parte Generale, XI Edizione, 2015, Nel Diritto Editore