Pubbl. Gio, 29 Gen 2015
La messa alla prova per gli imputati maggiorenni: una condanna sotto mentite spoglie o un beneficio?
Modifica paginaLa legge 67 del 2014 ha introdotto l´istituto della messa alla prova per gli imputati maggiorenni, similmente ma non del tutto a quello del processo penale minorile.
Nell'ambito del processo minorile, gli articoli 28 e 29 del d.P.R 488 del 1988 prevedono un istituto peculiare, ispirato al modello anglosassone della probation: la sospensione del procedimento con messa alla prova dell'imputato; tuttavia, quest'ultimo si discosta dall'omologo applicato in altri paesi, giacchè interviene nel corso del processo, in una fase anteriore all'esecuzione della pena e non presuppone l'esistenza di alcuna condanna definitiva.
Ebbene, l'ordinanza emanata dal giudice, ab origine proiettato a pronunciarsi nel senso di una condanna, apre incidentalmente una vicenda connessa, ma esogena rispetto al processo che viene posto in uno stato di quiescenza: il giovane deve adempiere ad una serie di compiti, che si traducono in vincoli di spazio e di tempo, in proibizioni e divieti, impegni di lavoro, studio, apprendistato, volontariato, attività sportive, così come può essere sollecitato a riparare le conseguenze del reato o a tentare una riconciliazione con un'eventuale persona offesa.
Ciò che prevale è il diritto all'educazione che spetta al minore, l'urgenza, connaturata al suo status, di farlo fuoriuscire dal circuito penale e di ripristinare, una volta valutata la sua personalità, condizioni fisiologiche al suo sviluppo, quando ciò sia compatibile con i fattori personali, familiari, sociali e ambientati di cui all'art. 9 dello stesso decreto. Ci troviamo di fronte ad un'estrinsecazione del principio di sussidiarietà del diritto penale, visto come extrema ratio e, contemporaneamente, non si viola la presunzione di non colpevolezza ex art. 27 co. 2 della nostra Costituzione, perché tale strategia processuale non si trasforma in un accertamento del fatto-reato, bensì in un'occasione, per il minore, di affrancarsi dalle precedenti scelte di devianza (sebbene non sia tenuto a prestare un consenso, scelta opinabile del legislatore) e che, in caso di esito positivo della prova, conduce al proscioglimento dell'imputato per estinzione del reato.
Ma cosa succede se un istituto di tal fatta viene esteso anche ad imputati maggiorenni?
La legge n. 67 del 2014 ha introdotto questa nuova fattispecie sospensiva (sul versante sostanziale, una causa estintiva del reato e, su quello processuale, un procedimento speciale), nell'ottica di un profondo ripensamento del sistema processuale e sanzionatorio e altresì per finalità di deflazione carceraria.
In particolare, tale modifica legislativa interviene in conseguenza di varie condanne della Corte Europea dei diritti dell'uomo per violazione dell'art. 3 della Convenzione Europea (norma che dispone che "Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti"), le quali affermano che il sovraffollamento, oltre un certo limite, costituisce di per sé un trattamento inumano e degradante. Soprassedendo sugli aspetti procedurali di questi istituti e sui numerosi profili di criticità, nonché di problematico coordinamento con altre norme del sistema, procediamo ad un confronto tra i due tipi di sospensione e ad un'analisi sull'opportunità della loro esistenza.
In primis, per quanto concerne gli imputati maggiorenni, la richiesta di messa alla prova è formulabile solo per i reati sanzionati con la pena pecuniaria ovvero con la pena detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, oppure per quelli individuati ratione materiae tramite il richiamo dei delitti ex art. 550 comma 2 del c.p.p. (ovvero i casi di citazione diretta da parte del Pubblico Ministero dinanzi al giudice monocratico); per i minori, invece, non è prevista alcuna preclusione né per tipologia di reato, né in termini di pena edittale, rilevando solo una prognosi positiva di risocializzazione del reo.
Sul piano soggettivo, la messa alla prova in sede minorile, inoltre, non trova limiti, è reiterabile illimitatamente e può essere concessa più volte, mentre per l'imputato adulto è escluso che questo possa avvenire e non può essere applicata né ai delinquenti e contravventori abituali, né ai delinquenti professionali e per tendenza.
Quel che suscita perplessità per questo nuovo istituto è il fatto che preveda, oltre ad attività volte ad eliminare le conseguenze dannose e pericolose del reato, anche la prestazione di lavori di pubblica utilità e che il giudice possa emettere l'ordinanza sospensiva, se non deve pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell'art. 129 ( ex art. 464 quater c.p.p.), il che presuppone un accertamento della responsabilità fondato su un giudizio sommario e provvisorio, considerata la fase processuale in cui trova ingresso la fattispecie de qua.
Roxin, qualche decennio fa, scriveva: "La giustizia penale è un male necessario, se essa supera i limiti della necessità resta soltanto il male". E ciò induce a riflettere su questo rito speciale di nuovo conio, il quale, senza l'imprescindibile presenza del diritto all'educazione che connota e condiziona il processo minorile, sembra privo di una giustificazione calzante: si tratta, in realtà, di uno strumento repressivo endofasico, con prescrizioni afflittive e rieducative, caratteristiche tipiche della pena, derivanti da una sua lettura costituzionalmente orientata, ancorata all'art. 27 comma 3 Cost..
C'è chi l'ha definita una cripto-condanna, il che, volgendo ad una conclusione, pone delicati problemi sistematici ed alimenta dubbi di legittimità costituzionale, dal momento che confliggerebbe con la presunzione di non colpevolezza anzidetta.