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Pubbl. Ven, 6 Mag 2016

Il patto di prova

Francesca Angotti


Natura giuridica del patto, condizioni di validità e recesso delle parti durante il periodo di prova.


Sommario: 1. Nozione e ratio del patto di prova.  2.Forma e contenuto  3. Durata  4. Recesso delle parti

Sommario: 1. Nozione e ratio del patto di prova.  2.Forma e contenuto  3. Durata  4. Recesso delle parti

1. Nozione e ratio del patto di prova.

Il patto di prova, la cui disciplina è contenuta prevalentemente nel codice civile all'art. 2096, designa la clausola apposta al contratto di lavoro, con la quale si subordina l'assunzione definitiva del lavoratore all'esito positivo di un periodo di prova.

In aderenza al principio di bilateralità proprio di questa tipologia contrattuale, il periodo di prova nasce con l'intento di verificare, nell'interesse reciproco di datore di lavoro e prestatore, l'utilità della prosecuzione del rapporto lavorativo.

E' un dato di fatto naturale, quanto frequente, che la fase embroniale di ogni relazione, reca con sè l'esigenza naturale che le parti si conoscano e si esplorino, al fine di appurare quali siano i reali benefici e quali gli svantaggi derivanti da una potenziale futura instaurazione di un legame lavorativo.

In ordine alla natura giuridica del patto di prova, l’orientamento dottrinario prevalente ha da sempre ritenuto che la clausola di prova sia riconducibile alla  figura della condizione.

In particolare, a parere di un primo filone interpretativo, la clausola di prova opererebbe come  condizione sospensiva potestativa, atteso che la sottoscrizione del relativo patto determinerebbe la costituzione di un rapporto di lavoro provvisorio suscettibile di diventare definitivo all'avveramento della condizione stessa, intendendo per tale l'apprezzamento e il gradimento dell'imprenditore o comunque il mancato recesso da parte di entrambi i contraenti.

Un diverso orientamento, di contro, ritiene si tratti di condizione risolutiva, sull'assunto che il rapporto in prova ha, generalmente, lo stesso contenuto di quello definitivo, rimanendo sottoposto al verificarsi della condizione risolutiva data, anche in questo caso, dal mancato superamento del periodo di prova o comunque dal recesso delle parti durante o al termine del periodo.

Così come previsto anche dall'art. 2096 c.c., "l'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova."

Il datore di lavoro, infatti, servendosi del periodo di prova, verifica la capacità professionale del lavoratore e la sua complessiva idoneità, fisica ed attitudinale, a svolgere la prestazione dedotta in contratto, anche in relazione al contesto aziendale;  il lavoratore, invece, può valutare la sua convenienza all'occupazione di quel preciso posto di lavoro, saggiando anche la capacità di adattamento all'ambiente lavorativo.

In realtà, pare scontato affermare che l'esperimento della prova giovi maggiormente al datore di lavoro. Ciò in quanto: in caso di esito positivo dell'esperimento, l'imprenditore ha già avuto modo di sondare l'operato del dipendente, conoscendone punti di forza e punti di debolezza nello svolgimento dell'attività lavorativa. In caso di esito negativo, l'imprenditore ha la potestà di recedere dal contratto senza gli obblighi previsti dalla legge in caso di recesso. L'unico limite a tale piena ed insidacabile facoltà, è dato da due soli motivi che verranno analizzati nel prosieguo dell'articolo.

2. Forma e contenuto

L'art. 2096 c.c. dispone espressamente, al primo comma che "Salvo diversa disposizione delle norme corporative l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto."

Appare, pertanto, evidente la necessità che il patto di prova risulti da atto avente forma scritta, sottoscritto anche dal lavoratore e con indicazione precisa della durata.

La forma scritta è richiesta ad substantiam, al fine di rendere maggiormente concreta la tutela del lavoratore e, con la logica conseguenza che, se essa manca, l'assunzione si ritiene definitiva (Cass. n. 5811/95).

L'onere della forma scritta riguarda solo il patto di prova in sé e non si estende anche alle mansioni di assunzione o all'assegnazione di mansioni successive differenti.

Da un punto di vista prettamente temporale, la Giurisprudenza è concorde nel ritenere che il patto di prova debba essere sottoscritto da entrambe le parti contestualmente alla stipulazione del contratto di lavoro e comunque prima dell'esecuzione dello stesso. (Ex plurimis Cass., 3.1.1995, n. 25 secondo cui è necessario che la stipulazione del patto avvenga in un momento anteriore o al massimo coevo alla costituzione del rapporto).

Tuttavia, non è sufficiente la mera esistenza di un patto di prova in forma scritta, essendo necessario, affinché sia valido, che lo stesso contenga anche la specifica indicazione delle mansioni da svolgere, pena, anche in questa ipotesi, la nullità della clausola e l’automatica conversione del rapporto in rapporto a tempo indeterminato (Cass. 26/5/95 n. 5811).

E' indispensabile, dunque, che il patto di prova contenga l'indicazione specifica delle mansioni che ne costituiscono l'oggetto (Cass. n.11722/09), ravvisandosene, in mancanza, la nullità per incoerenza con la funzione tipica del patto di prova.

Dalla declaratoria di nullità del patto ne discende l'obbligo di considerare il rapporto a tempo indeterminato fin dall’origine, con conseguente illegittimità del licenziamento intimato per mancato superamento della prova e applicazione della tutela stabilita dalla legge a seconda del tipo di rapporto (Cass., 22.6.2012, n. 10440)

Nel lavoro subordinato, il patto di prova tutela l'interesse di entrambe le parti del rapporto a sperimentarne la convenienza, dovendosi ritenere l'illegittimità del fatto ove la suddetta verifica sia già intervenuta, con esito positivo, per le specifiche mansioni in virtù di prestazione resa dallo stesso lavoratore, per un congruo lasso di tempo, a favore del medesimo datore di lavoro. (Cass. n. 10440/2012). Ciononostante, è ammessa la ripetizione qualora il datore di lavoro dimostri l’esigenza non solo di verificare le capacità professionali, ma anche il comportamento e la personalità del lavoratore in relazione all’adempimento della prestazione, suscettibili di modificarsi nel tempo per l’intervento di molteplici fattori attinenti alle abitudini di vita o a problemi di salute (Cass., 22.6.2012, n. 10440; Cass., 18.2.1995, n. 1741).

3. Durata

Oltre alla forma scritta, l'ordinamento impone la predeterminazione della durata massima della prova, normalmente stabilita dai CCNL in misura non superiore a un semestre.

Tuttavia, benché il codice civile nulla dica sulla durata, l'art. 10 della l. n. 604/1966 prevede per il patto di prova, seppure indirettamente, un limite massimo di sei mesi.

Differenze temporali sussistono in ragione della qualificazione professionale richiesta al lavoratore, prevedendo un periodo più lungo per le posizioni più elevate.

Il periodo di prova, dunque, ha una durata massima non prorogabile, di regola stabilita nei contratti collettivi, normalmente in misura non superiore ai 6 mesi.

Il trattamento previsto dall'ordinamento a favore del lavoratore in prova è equiparato a quello di cui gode il prestatore di lavoro subordinato.

La Corte costituzionale con sentenza n. 189 del 1980  ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 2096 cod.civ. nella parte in cui non riconosce anche al lavoratore assunto in prova in caso di recesso durante o al termine della prova stessa il diritto all’indennità di anzianità (oggi trattamento di fine rapporto) e l’art. 2109 nella parte in cui non riconosce il diritto a ferie retribuite. Nella stessa pronuncia, pertanto, si è stabilito che in caso di recesso durante il periodo di prova (o al termine dello stesso), il lavoratore ha diritto al TFR e all'indennità sostitutiva delle ferie non fruite (Corte Cost. sent. n. 189/80)

4. Recesso delle parti

Ai sensi dell'art. 2096 c.c., "durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine. Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro."

Caratteristica del patto di prova è la possibilità di libero recesso conferita ad entrambe le parti.

Durante lo svolgimento del periodo sperimentale, infatti, ciascun contraente può recedere dal patto, in ogni momento, senza obbligo di preavviso e senza necessità di giustificazione alcuna.

Se è stabilita una durata minima del periodo di prova, la facoltà di recesso è esercitabile al termine del periodo.

Il licenziamento intimato durante il periodo di prova o al termine dello stesso non necessita di motivazione.

Il rapporto di lavoro subordinato, costituito con patto di prova, è infatti sottratto, per il periodo massimo di sei mesi, alla disciplina dei licenziamenti individuali.

Il datore di lavoro ha il potere di recesso e non ha l’obbligo di fornire al lavoratore alcuna motivazione, neppure in caso di contestazione, sulla valutazione delle capacità e del comportamento del lavoratore. (Cass., sentenza 23224 del 17 novembre 2010).

Da ciò consegue che, se il lavoratore intenda far valere in giudizio l'illegittimità del licenziamento ha l'onere di provare,  in linea con il principio generale di cui all'art. 2697 c.c., due elementi indispensabili. Da un lato, il positivo superamento del periodo di prova e dall'altro la circostanza che il recesso sia stato determinato da motivo illecito, estraneo all'esperimento della prova

Sul punto, pare appena il caso di citare un'importante pronuncia della Suprema Corte di Cassazione, secondo la quale "il recesso del datore di lavoro nel periodo di prova, pur essendo sottratto alla disciplina limitativa del licenziamento individuale, per quanto concerne sia il presupposto della giusta causa o del giustificato motivo, sia l'onere dell'adozione della forma scritta , sia lo speciale regime dell'onere probatorio, non è tuttavia rimesso al mero arbitrio dell'imprenditore, atteso che da un lato il recesso deve essere collegato all'esito dell'esperimento che del patto di prova costituisce la causa tipica, senza però che l'imprenditore medesimo debba fornire alcuna motivazione circa la valutazione negativa della capacità e del comportamento del lavoratore; d'altro lato il recesso non può essere diretto ad eludere norme imperative,, nè essere fondato su un motivo illecito determinante, della cui prova è onerato il prestatore d'opera." (Cass n.7536/87).

Per il licenziamento durante il periodo di prova non è richiesta la forma scritta dell'atto, pertanto, lo stesso può essere reso anche in forma orale.

 

Art. 2096 cod. civ.

"Salvo diversa disposizione, l'assunzione del prestatore di lavoro per un periodo di prova deve risultare da atto scritto.
L'imprenditore e il prestatore di lavoro sono rispettivamente tenuti a consentire e a fare l'esperimento che forma oggetto del patto di prova.
Durante il periodo di prova ciascuna delle parti può recedere dal contratto, senza obbligo di preavviso o d'indennità. Se però la prova è stabilita per un tempo minimo necessario, la facoltà di recesso non può esercitarsi prima della scadenza del termine.
Compiuto il periodo di prova, l'assunzione diviene definitiva e il servizio prestato si computa nell'anzianità del prestatore di lavoro."

Art. 10 della L. n. 604/1966

"Le norme della presente legge si applicano nei confronti dei prestatori di lavoro che rivestano la qualifica di impiegato e di operaio, ai sensi dell'articolo 2095 del Codice civile e, per quelli assunti in prova, si applicano dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro."