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Pubbl. Lun, 2 Mag 2016

L’abuso dell’autovettura di servizio tra peculato ordinario e peculato d’uso

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Arianna Landolfi


L’utilizzo prolungato, seppur frazionato nel tempo, dell’auto di servizio si configura come peculato ordinario ex art. 314, comma 1 c.p. o implica la sussistenza di più episodi di peculato d’uso, ai sensi del secondo comma dell’art. 314 c.p.?


Sommario: 1. Il caso; 2. Il delitto di peculato ordinario e quello d’uso, ai sensi del primo e del secondo comma dell’art. 314 c.p.; 3. I recenti orientamenti della Cassazione; 4. La decisione della Corte.

1.  Il caso

Con la recente sentenza n. 13038/2016 la Cassazione si è nuovamente pronunciata in merito all’uso indebito dell’auto di servizio da parte del pubblico ufficiale, tentando di far luce sui distinti orientamenti giurisprudenziali succedutisi in merito a tale questione. Il caso trae origine dall’utilizzo prolungato, per scopi personali, dell’automobile di servizio da parte della Preside di un Istituto scolastico di Mestre. In particolare, l'autovettura risultava a completa disposizione dell’imputata, che la utilizzava come veicolo personale, sia per compiere il tragitto quotidiano casa - ufficio, che per percorsi e visite personali, anche in altre città, o per la messa a disposizione di terzi. Il veicolo veniva inoltre solitamente parcheggiato nel posto auto antecedentemente occupato dall’automobile privata – poi venduta – della Preside. Avverso tale comportamento erano stati emessi due esposti pervenuti all'Ufficio Scolastico Regionale, senza produrre alcun risultato. La condotta abusiva si era infatti reiterata, per un totale di 5 mesi (settembre 2012 - gennaio 2013), con carburante e pneumatici dell'autovettura pagati dall'Istituto scolastico. Grazie anche alle testimonianze di alcuni docenti, l’imputata veniva condannata in primo grado per peculato ordinario, ai sensi dell’art. 314, comma 1 c.p. In sede di appello veniva parzialmente modificata la sentenza di primo grado, confermando però l’inquadramento della condotta nel reato di peculato ordinario. Avverso la sentenza della Corte di Appello di Venezia, l’imputata avanzava ricorso per cassazione.

Tra i motivi di diritto la ricorrente asseriva l’erronea applicazione della legge penale e vizio della motivazione, per aver ricondotto i fatti nell’alveo del peculato ordinario e non del peculato d’uso. Deduceva, infatti, la ricorrente che la fattispecie del peculato ordinario di cui al primo comma dell’art. 314 c.p. si verifica nei casi in cui il bene oggetto della condotta venga distratto definitivamente e totalmente dalla sua funzione originaria.

Diversamente, nel caso in cui l’utilizzo sia solo temporaneo, riconducendo successivamente il bene alla sua funzione originaria, si configurerebbe il più lieve reato di peculato d’uso, di cui al secondo comma del suddetto articolo.

In secondo luogo, la ricorrente adduceva la mancanza di motivazione in relazione al principio di offensività e l’omessa applicazione dell’attenuante prevista dall’art. 323 bis c.p. Ciò in quanto il peculato risulta essere un delitto volto a tutelare, oltre all’imparzialità della Pubblica Amministrazione, il patrimonio di quest’ultima. In mancanza di un danno economico apprezzabile subito dalla P.A., la condotta non risulterebbe offensiva e, in ogni caso, pur ritenendo sussistente la suddetta offensività, si sarebbe dovuto applicare perlomeno l’attenuante prevista dall’art. 323 bis c.p. Asseriva invece la ricorrente che l’unica valutazione effettuata in sede di merito per considerare offensiva la condotta, era stata la valutazione del periodo prolungato e dei viaggi, anche di particolare lunghezza, effettuati utilizzando l’automobile di servizio. Né d’altro lato, poteva considerarsi ammessa l’offensività sulla base dell’offerta d’indennizzo da parte della ricorrente in favore dell’Istituto scolastico, titolare dell’autovettura.

2.Il delitto di peculato ordinario e quello d’uso, ai sensi del primo e del secondo comma dell’art. 314 c.p.

Il delitto di peculato ordinario punisce, ai sensi dell’art. 314, c.1 c.p., la condotta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio che, avendo per ragioni di servizio o del suo ufficio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altro bene mobile altrui, se ne appropria. Il bene giuridico tutelato è duplice: buon andamento delle Pubblica Amministrazione, inteso come legalità, efficienza ed imparzialità nello svolgimento delle pubbliche funzioni, e il patrimonio della PA o di un terzo. Di particolare importanza si configura l’elemento oggettivo del reato, consistente nella definitiva appropriazione del bene oggetto della condotta. La nozione di possesso deve intendersi in un’accezione più ampia di quella civilistica, potendo consistere nella disponibilità di fatto del bene ovvero nella mera disponibilità giuridica. Il possesso si configura come un presupposto della condotta appropriativa, che si verifica ogniqualvolta il possessore pubblico ufficiale utilizzi la res altrui per scopi distinti rispetto alle finalità per cui gli sia stato conferito il possesso.

Il peculato d’uso, previsto dal secondo comma del medesimo articolo, punisce in forma più lieve il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio facente un uso meramente momentaneo della cosa mobile di cui abbia la disponibilità per ragioni di servizio o di ufficio, restituendola immediatamente dopo averla utilizzata. L’impiego momentaneo deve intendersi tale sia nel caso in cui l’utilizzo sia istantaneo, che per un periodo di tempo circoscritto. A tale uso deve seguire la restituzione del bene, intesa in un’accezione materiale, mediante la riconsegna di quest’ultimo, ovvero tramite la riconduzione della res all’utilizzo originario.

Da ciò si evince che la distinzione tra i due delitti, a parità di bene giuridici tutelati, verte principalmente sul tipo di appropriazione: temporanea nel peculato d’uso, definitiva in quello ordinario.

Inoltre, il peculato ordinario e quello d’uso si distinguono per l’elemento soggettivo: dolo generico nel primo e dolo specifico nel secondo, in quanto l’agente nel peculato d’uso deve rappresentarsi non solo gli elementi della fattispecie oggettiva, ma anche perseguire un fine particolare, consistente nel far uso meramente momentaneo del bene, per poi restituirlo.

3. I recenti orientamenti della Cassazione

Sul tema dell’inquadramento dell’utilizzo dell’autovettura di servizio nel peculato ordinario o nel peculato d’uso si sono succeduti distinti orientamenti.

La Cassazione ha infatti inquadrato, secondo un recente orientamento, la condotta appropriativa nel peculato ordinario, sulla base del grave ed apprezzabile danno patrimoniale arrecato all'Amministrazione a causa del consumo di una quantità significativa di carburante per l’utilizzo del mezzo di servizio (Cass. pen., Sez. VI, n. 18465/2015, nonché Cass. pen., Sez. VI n. 35676/2015).

Inoltre, in due sentenze  del 2012 (Cass. pen, Sez. VI, n. 20922/2012 e n. 19547/2012) gli Ermellini, oltre a dare rilievo, per qualificare la condotta come peculato ordinario, al fatto che il carburante utilizzato non fosse suscettibile di restituzione, poiché definitivamente consumato, avevano considerato altresì, l’uso costante e reiterato nel tempo dell'autovettura di servizio, come idoneo ad arrecare un danno patrimoniale apprezzabile all'Amministrazione.

Orientamento contrario è stato sostenuto mediante due pronunce, anch’esse piuttosto recenti (Cass, pen., Sez. VI, n. 39770/2014 e n. 14040/2015) che riconducono l’impiego dell’autovettura di servizio per fini personali, nel caso di episodi brevi seppur reiterati, nel più lieve peculato d’uso, qualora all’appropriazione, anche se non istantanea ma temporanea, faccia seguito la restituzione immediata dopo l’utilizzo. In presenza di tali requisiti la Corte ha ritenuto di non poter inquadrare la condotta nel peculato ordinario, classificandola al contrario come una serie di episodi di peculato d’uso, applicando eventualmente il vincolo della continuazione. In questo caso la Corte ha osservato che la quantità ingente di chilometri percorsi, qualora derivante dalla somma dei tragitti effettuati, servirebbe non tanto a valutare la sussistenza di un danno apprezzabile alla P.A., quanto a desumere la momentaneità dell’uso e la pluralità degli episodi. Sostiene la Corte che in tali casi la fattispecie a cui si riconduce la condotta è quella del più lieve peculato d’uso, in quanto la momentaneità dell’appropriazione, seguita dall’immediata restituzione comporta una “sottrazione della cosa alla sua destinazione istituzionale tale da non compromettere seriamente la funzionalità della P.A.”.

Ed ancora, in altre ipotesi la Corte ha escluso la rilevanza penale dell'abuso dell'autovettura di servizio nel caso di impiego “episodico ed occasionale, quando la condotta abusiva non abbia leso la funzionalità della P.A. e non abbia causato un danno patrimoniale apprezzabile (Cass. pen. Sez. VI, n. 5006/2012), anche in relazione all'utilizzo del carburante e dell'energia lavorativa degli autisti addetti alla guida (Cass. pen. Sez. VI, n. 7177/2010)”.

4. La decisione della Corte

Esaminati brevemente i distinti orientamenti succedutisi nel tempo, la Corte si sofferma, al fine di risolvere la questione, sulla nozione di appropriazione, senza dare rilievo al numero di episodi appropriativi, alla quantità di carburante consumato, nonché ai chilometri percorsi. Parafrasando quanto enunciato dalle Sezioni Unite in una sentenza del 2013 (S.U. sent. n. 19054/2013) la Cassazione ribadisce che con il termine "appropriazione" viene indicata la condotta di colui che si appropria della cosa altrui, mutandone il possesso ed esercitando sulla stessa poteri riconducibili a quelli del proprietario, compiendo atti incompatibili con il relativo titolo da cui derivi la disponibilità della res. Tale appropriazione è suscettibile di essere integrata mediante l’attuazione di varie condotte. In senso stretto, tramite l’attuazione di condotte tipiche del proprietario, quali l'alienazione, la consumazione e la ritenzione. In senso lato, mediante la mera distrazione del bene dalla sua destinazione pubblica originaria, riconducendolo alla soddisfazione di interessi puramente privati, o tramite l’uso arbitrario del bene, con conseguente perdita della res da parte del proprietario.

Da tale riflessione iniziale la Corte ha evidenziato la principale distinzione tra il peculato d’uso e l’ordinario: nel primo l’agente pone in essere una condotta intrinsecamente diversa da quella integrativa del peculato ordinario, in quanto “l'uso momentaneo, seguito dall'immediata restituzione della cosa, non integra un'autentica appropriazione, realizzandosi quest'ultima, solo con la definitiva soppressione della destinazione originaria della cosa".

Al fine di poter inquadrare tale condotta nel peculato d’uso, occorre pertanto che si realizzino due elementi: uso momentaneo del bene e restituzione immediata subito dopo la cessazione dell’utilizzo. L’immediatezza si ravvisa nel caso in cui, pur non avvenendo subito dopo l’uso, la restituzione si realizza in un tempo minimo che, seppur non cronologicamente determinabile in modo aprioristico, corrisponda al tempo necessario e sufficiente al compimento di tutte, e solo di quelle attività che, subito dopo l’uso, siano finalizzate unicamente alle devoluzione del bene.

Tale intenzione di restituire la res immediatamente dopo l'uso momentaneo deve inoltre sussistere sin dal principio, integrando il requisito soggettivo del dolo specifico richiesto dal secondo comma dell’art. 314 c.p.

Ribadisce inoltre la Corte, richiamando quanto affermato dalla dottrina, che nel peculato ordinario l'appropriazione può essere integrata anche dall'uso indebito della cosa attuato mediante un’intensità e con modalità tali da comportare la privazione di disponibilità del bene da parte della P.A., realizzando un’"impropriazione" tale da impedirle l’uso della res al fine di perseguire i propri fini.

Da ciò ne segue la integrazione del peculato ordinario quando la cosa venga usata non momentaneamente - e quindi definitivamente - o anche momentaneamente ma senza restituirla dopo l'uso.

Pertanto, l’appropriazione si verifica non solo in caso di utilizzo e di perdita definitiva del bene, alienandolo o consumandolo, ma anche con un uso momentaneo, esercitando sul medesimo bene dei poteri uti dominus, tali da sottrarre lo stesso alla disponibilità della PA.

Sulla base di tale ragionamento, e considerando che nel caso di specie l’uso dell’automobile di servizio era avvenuto in modo “quotidiano, continuativo e sistematico”, senza la restituzione immediata dopo l’uso e privando la PA della disponibilità della vettura, la Cassazione ha pertanto confermato quanto statuito in sede di merito, riconducendo la condotta in esame  nell’alveo del peculato ordinario.

Infine, risulta opportuno evidenziare che il ragionamento effettuato dalla giurisprudenza di legittimità è stato effettuato unicamente sulla base della condotta appropriativa attuata dall’imputata, senza attribuire rilievo, nell’individuazione della fattispecie astratta, al periodo di tempo dell’appropriazione, al carburante e al numero dei chilometri percorsi. Tali elementi sono stati considerati in un secondo momento, al fine di rigettare il secondo motivo di ricorso. Statuisce infatti la Corte che la condotta deve considerarsi lesiva anche nei casi in cui, sebbene non sia stato arrecato un danno patrimoniale apprezzabile alla P.A., comporti una lesione della legalità, imparzialità e buon andamento di quest’ultima (così anche Sez. U, n. 38691/2009 e ). Esclude inoltre l’applicazione dell’attenuante speciale di cui all’art. 323 bis c.p., poiché alla luce della condotta e delle modalità di realizzazione, non risulta ravvisabile la tenuità del fatto commesso, da valutarsi non soltanto in base all'entità del danno economico o del lucro conseguito, ma ad ogni caratteristica della condotta, dell'atteggiamento soggettivo dell'agente e dell'evento da questi determinato”.