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Pubbl. Ven, 22 Apr 2016

Il bail-in: come funziona e a cosa serve

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Alessandra Inchingolo


La direttiva BRRD (Bank Recovery and Resolution Directive) introduce in tutti i paesi europei regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche e delle imprese di investimento. Le nuove norme si prefiggono l´intento di ridurre gli effetti negativi sul sistema economico dovuti alsalvataggio di una o più banche, evitando che il costo di tali operazioni gravi sui contribuenti.


Negli ultimi tempi ha dominato, creando non poco sgomento negli investitori, il tema della crisi delle banche e gli strumenti per farvi fronte, uno tra tutti il cd. Bail-in.

Ma cos’è e come avviene? Il bail-in è uno strumento di salvataggio interno (una sorta di autotutela delle banche) che consente di svalutare le azioni e i crediti e di convertirli in azioni per assorbire le perdite e ricapitalizzare la banca in difficoltà (o una nuova entità che ne prosegua le funzioni essenziali).

A seguito della crisi di Cipro e delle sue banche avvenuta nel giugno 2013, il Consiglio dei Ministri ha recepito a fine 2015 la direttiva europea "BRRD" (Bank Recovery and Resolution Directive) che regolamenta le crisi bancarie e quindi anche il cosiddetto bail in, che ha introdotto in tutti i Paesi europei regole armonizzate per prevenire e gestire le crisi delle banche.

L’attuazione della BRRD in Italia è articolata in due decreti legislativi che sono stati approvati definitivamente dal Governo il 13 novembre 2015. Ma andiamo con ordine. Cosa dice la direttiva sul bail in?

Innanzitutto, la direttiva attribuisce alle autorità di risoluzione, quali la Banca d’Italia, gli strumenti per pianificare la gestione, intervenire per tempo e infine risolvere la crisi.
Infatti, la Banca d’Italia potrà, già durante la fase di normale operatività della banca, preparare piani di risoluzione che individuino le strategie e le azioni da intraprendere in caso di difficoltà. Inoltre le autorità di supervisione disporranno di strumenti di intervento graduati in funzione della problematicità dell’intermediario finanziario coinvolto (come, ad esempio, rimuovere gli organi di amministrazione e/o nominare amministratori temporanei).

Ma quali sono gli strumenti a disposizione di una banca nell’eventualità di un dissesto non fronteggiabile in tempi brevi?

In tal caso la Banca d’Italia potrà:

1) vendere una parte dell’attivo;

2) trasferire temporaneamente le attività e passività a una bridge bank (ossia a un "veicolo" costituito per proseguire le funzioni più importanti in vista di una successiva cessione sul mercato);

3) trasferire le attività deteriorate a una bad bank (che ne gestisca la liquidazione);

4) applicare il bail in.

Tuttavia, dal bail-in sono escluse alcune passività (chi o cosa non viene toccato?):

- i depositi di importo fino a 100mila euro (protetti dal sistema di garanzia dei depositi); 
- passività garantite come covered bonds e altri strumenti garantiti;
- passività derivanti dalla detenzione di beni della clientela (come ad esempio il contenuto delle cassette di sicurezza) o in virtù di una relazione fiduciaria (come i titoli detenuti in un conto apposito); 
- passività interbancarie (ad esclusione dei rapporti infragruppo) con durata originaria inferiore a 7 giorni; 
- passività derivanti dalla partecipazione ai sistemi di pagamento con una durata residua inferiore a 7 giorni; 
debiti verso dipendenti, debiti commerciali e quelli fiscali purché privilegiati dalla normativa fallimentare. 

Per applicare il bail in, la logica segue un criterio gerarchico, secondo cui chi investe in strumenti finanziari più rischiosi deve sostenere prima degli altri le eventuali perdite o la conversione in azioni. Solo dopo aver esaurito tutte le risorse della categoria più rischiosa si passa alla categoria successiva.

In Italia, la direttiva comunitaria sulla risoluzione delle crisi bancarie è entrata in vigore dal 1° gennaio 2016, dunque in caso di crisi finanziaria di una banca, non sarà più lo Stato a farsi carico delle perdite ma saranno le banche a ricorrere al salvataggio interno, ossia al bail in; dunque i fondi necessari saranno a carico, nell’ordine, di: a) azionisti; b) obbligazionisti; c) correntisti; d) del fondo di garanzia (finanziato dalle stesse banche).

Per quel che riguarda i Fondi di risoluzione nazionali atti a fornire sostegno finanziario ai piani di risoluzione, ogni paese dell'UE deve istituire un fondo di risoluzione nazionale finanziato dalle banche presenti nel suo territorio. Tale fondo andrà a finanziare la ristrutturazione di eventuali enti in dissesto.

A tal proposito vi sarà il Single Resolution Fund, nel quale confluiranno i diversi fondi di risoluzione nazionali. In sostanza si tratta di un singolo fondo europeo alimentato negli anni da contributi versati dalle banche dei paesi partecipanti e progressivamente mutualizzati, la cui funzione precipua rimarrà quella di finanziare l’applicazione delle misure di risoluzione, per esempio, attraverso la concessione di prestiti o il rilascio di garanzie. Se tuttavia risulterà necessario escludere alcuni crediti nelle circostanze indicate dalla direttiva, per esempio per evitare il rischio di un contagio, il Fondo potrà, entro alcuni limiti, assorbire perdite al posto dei creditori esclusi, riducendo l’ammontare del bail-in.